Contemporaneamente avviene che: su Nazione Indiana , Carla Benedetti pubblica il suo intervento al convegno torinese sulla Restaurazione.
Su Herzog, la sottoscritta si ritrova in veste di imputata nel Giorno del Giudizio.
Ed è appena lunedì.
di Loredana Lipperini
Contemporaneamente avviene che: su Nazione Indiana , Carla Benedetti pubblica il suo intervento al convegno torinese sulla Restaurazione.
Su Herzog, la sottoscritta si ritrova in veste di imputata nel Giorno del Giudizio.
Ed è appena lunedì.
Cito da Herzog: “un’inconfondibile caschetto.”
Un imperdonabile apostrofo.
Siamo sotto assedio, eh?
C’è anche questo:
http://www.ildomenicale.it/articolo.asp?id_articolo=351
“E se l’Italia delle terze pagine e dei convegnetti accademici appare soffocata da una concezione tutta narrativa, tutta autoriale e giornalistica e concepita da produttori di storie e storielle, da contrapporre a quell’altra concezione, ugualmente asfittica, dell’avanguardismo, degli epigoni del Gruppo 63, Moresco riporta la scrittura a una lettura sincronica e sempre devastante («La libertà e la potenza sperimentale di tanti libri scritti ancora nell’Ottocento, prima che venissero selezionati duramente le strutture narrative, i linguaggi. Melville, Dostoevskij, Dickens, Balzac») in un momento storico di retroguardia commerciale e sempre furbissima, quando il bello e il cattivo tempo lo fanno i Dorrido e le Lipperini, i critici e i letterati cortigiani, i mentitori e i cretini, i vecchi bellettristi e i giovani finto-avanguardisti.
Moresco non fa nomi, forse perché scrive per restare e dunque evita la necrofilia di parlare dei morti viventi, ma il j’accuse tuona contro l’establishment editoriale e intellettuale, contro i furbi adulti, istituzionali, ma anche contro il pubblico e contro i furbi piccini, i finti giovani reazionari travestiti da rivoluzionari della controcultura, della democrazia narrativa, o ricamatori di postmodernismi applicati, parole depotenziate, giocate, parificate, svuotate. «Ora ci viene spacciato come una sorta di immobile destino di specie questo restringimento di spazi mentre viene operato un contemporaneo e finto allargamento, questo piccolo e normalizzante spazio alfabetico e commerciale dove si giocherebbe tutto e dove bisognerebbe ‘democraticamente’ o populisticamente stare».
Chi vuole intendere intenda, e si può star certi che nessuno, di coloro che si sollazzano sulla schiena ispessita del mostro, farà in tempo a intendere, se non i posteri (l’unico mio timore, visto l’andazzo, è che i posteri siano ancora più stronzi dei presenti di oggi). “
coraggio, abbia fede.
Questa cosa dell’apostrofo abusivo quasi quasi la registro alla Siae, hai visto mai.
Ecco quel che capita a chi ha una casa al mare a Capocotta.
E dài! Che vuoi che sia. ^___^
Peggio è andar al mercato e aver a che fare con massaie super-su-di-giri.
Saludos.
Iannox
Iannox, evidentemente il post di oggi era giocoso. All’intervento di Carla credo di aver già risposto, più volte, e dall’incontro di Torino mi pare siano comunque emersi dei punti di contatto fra cosiddetti restauranti e cosiddetti resistenti.
Per il sollecito anonimo che posta l’articolo sul Domenicale: onorata se Massimiliano Parente pensa che io possa fare il bello e il cattivo tempo, non me n’ero accorta.
Per Marella: la mia casa di Capocotta è un’invenzione (assai divertente) del Miserabile, non possiedo case al mare. 🙂
a proposito di pubblicità, domani alla
casa delle donne, via della lungara, 19, in roma
angela scarparo (aridajeche ri)presenta il suo libro
“disturbando famiglie felici” con a.m.crispino, (molto pos-femminista, dirige “leggendaria”) e m.palazzesi (molto post-femminista organizzatrice di convegni (femministi) libraia di zora neale, dove fa entrare milù, anche se lei scassa le palle perchè vuole andare in giardino, dove ci sarà la
presentazione. in giardino. 🙂
Non posso dire altro che: condivido.
ohi, ienax, anche se sono piuttosto smorta come massaia, e per niente super-su-di-giri, anzi, camicia verde e andare, be’, io le difendo, per questioni di categoria. 🙂 massaie e lavandaie (no, gestori di lavanderie)
anzi, siccome da qualche parte si dice “bisogna prendersi una responsabilità, come scrittori…basta nickname!”, ecco,
1. non sta a me far notare che un po’ di discrezione non guasta (ecco, la solita che la mena con l’educazione!) a dispetto di tutte le accuse fatte a scrittori e lettori di frequentare il blog in cerca di pubblicità
2. e se io per esempio fossi ancora indecisa? se volessi affidare alla “lettrice” ilpostodellamiavita.it la parte (nel mio caso si fa per dire) seria, della mia vita? se da scrittrice volessi solo “giocare” (elicotteri, neve alta, cane che morde, salvataggi, biglietti, minacce vere e finte di shining…) così. contribuisco al restauro? lo so che non frega ninete a nessuno ma se qualcuno me lo dimostrasse (sono ammesse anche teorie semiserie) giuro che non mi chiamerei mai più ilposto, e farei proprio un grande sacrificio 🙂
Questa cosa della “letteratura come luogo di resistenza” mi pare un po’ preoccupante. Perché esporrebbe la letteratura al rischio di una marginalizzazione. La letteratura, nell’ambiziosa tensione di riportare la figura dell’intellettuale belligerante, favorirebbe quelle forze che mirano a parcheggiarla, magari in un parking di lusso. Con tutto questo discorrere di restaurazione (e io condivido le preoccupazioni di Moresco di Carla Benedetti a proposito dell’attuale tendenza verso la restaurazione) e di “luogo di resistenza” (non condivido invece la strategia del luogo di resistenza…) mi pare che si stia ghettizzando la letteratura, trasformandola in scarso resto, in scoria di un sistema che riesce a trovare un suo equilibrio proprio grazie alle istituzioni “sacre”. Roberto Terrosi, un intellettuale giovane e sveglio, ci ha scritto un saggio sugli scarsi resti. Le cose, secondo Roberto, stanno più o meno così: “il fatto che la società non è, come invece sostenevano strutturalisti e funzionalisti, un sistema in equilibrio, perfettamente armonizzabile, ma, al contrario, esso si trova in uno stato di fondamentale squilibrio rispetto al quale vengono attivate delle dinamiche per trovare a tutti i costi un equilibrio provvisorio. Supponiamo che per gioco si dia a una persona il compito di costruire una griglia quadrata suddivisa a sua volta in quadrati con un certo numero di stecchini e che egli sia obbligato ad usarli tutti. Se gli si danno ad esempio venticinque stecchini, noi avremo messo questa persona di fronte a un compito insolubile; tuttavia, razionalmente, piuttosto di non fare alcuna griglia, sarà preferibile farla fin dove è possibile. Così invece di avere nove quadrati si avranno otto quadrati e un pentagono. Una figura dovrà essere abnorme, ma il resto avrà una configurazione ordinata”.
Una bella cricca di letterati che esibiscono la loro diversità non può che fare comodo alla società che essi stessi vogliono combattere: costituisce il pentagono. La società individuerebbe in essi il “sacro”, gli intelligenti da esporre in una riserva indiana (e non in una nazione indiana, come sarebbe auspicabile). Organizzerebbe pure dei giri turistici: ecco, direbbero le guide, vedete come sono fieri e orgogliosi, loro sì che hanno visto giusto, loro sì che si rendono conto di quanto sia in atto la restaurazione del mondo… e adesso potete scattare le vostre foto, ordinerebbero ai turisti. Perché “restaurazione” significa equilibrio di questo sistema e “luogo resistente” significa “scarso resto” che con la sua esistenza permette proprio il ritrovo dell’equilibrio del sistema. Perché basta un luogo dove rinchiudere le tensioni, le forze dialettiche, per sacralizzarle e sacrificarle.
La resistenza partigiana invece aveva capito tutto. Non pensò di costituire una Salò alternativa, no no. Si fece diffusa, si sparse per la penisola, si frantumò in piccoli gruppi, si infiltrò, condusse azioni di sabotaggio. La stessa strategia che predica Chomsky, quando parla dell’importanza di una resistenza policentrica.
La letteratura dovrebbe, credo, penetrare nel tessuto dell’editoria e della società tutta, evitando che questa le assegni un luogo di resistenza.
Chi sta lavorando bene, allora? Probabilmente tutti gli scrittori di genere che col genere da un lato fanno resistenza e dall’altro non si fanno recintare. Tutti gli scrittori che vendono senza vendersi. Ancora sono pochi, ma aumenteranno. Perché è bello costruire Cavalli di Troia: le migliori armi del nostro secolo.
Questa cosa della “letteratura come luogo di resistenza” mi pare un po’ preoccupante. Perché esporrebbe la letteratura al rischio di una marginalizzazione. La letteratura, nell’ambiziosa tensione di riportare la figura dell’intellettuale belligerante, favorirebbe quelle forze che mirano a parcheggiarla, magari in un parking di lusso. Con tutto questo discorrere di restaurazione (e io condivido le preoccupazioni di Moresco di Carla Benedetti a proposito dell’attuale tendenza verso la restaurazione) e di “luogo di resistenza” (non condivido invece la strategia del luogo di resistenza…) mi pare che si stia ghettizzando la letteratura, trasformandola in scarso resto, in scoria di un sistema che riesce a trovare un suo equilibrio proprio grazie alle istituzioni “sacre”. Roberto Terrosi, un intellettuale giovane e sveglio, ci ha scritto un saggio sugli scarsi resti. Le cose, secondo Roberto, stanno più o meno così: “il fatto che la società non è, come invece sostenevano strutturalisti e funzionalisti, un sistema in equilibrio, perfettamente armonizzabile, ma, al contrario, esso si trova in uno stato di fondamentale squilibrio rispetto al quale vengono attivate delle dinamiche per trovare a tutti i costi un equilibrio provvisorio. Supponiamo che per gioco si dia a una persona il compito di costruire una griglia quadrata suddivisa a sua volta in quadrati con un certo numero di stecchini e che egli sia obbligato ad usarli tutti. Se gli si danno ad esempio venticinque stecchini, noi avremo messo questa persona di fronte a un compito insolubile; tuttavia, razionalmente, piuttosto di non fare alcuna griglia, sarà preferibile farla fin dove è possibile. Così invece di avere nove quadrati si avranno otto quadrati e un pentagono. Una figura dovrà essere abnorme, ma il resto avrà una configurazione ordinata”.
Una bella cricca di letterati che esibiscono la loro diversità non può che fare comodo alla società che essi stessi vogliono combattere: costituisce il pentagono. La società individuerebbe in essi il “sacro”, gli intelligenti da esporre in una riserva indiana (e non in una nazione indiana, come sarebbe auspicabile). Organizzerebbe pure dei giri turistici: ecco, direbbero le guide, vedete come sono fieri e orgogliosi, loro sì che hanno visto giusto, loro sì che si rendono conto di quanto sia in atto la restaurazione del mondo… e adesso potete scattare le vostre foto, ordinerebbero ai turisti. Perché “restaurazione” significa equilibrio di questo sistema e “luogo resistente” significa “scarso resto” che con la sua esistenza permette proprio il ritrovo dell’equilibrio del sistema. Perché basta un luogo dove rinchiudere le tensioni, le forze dialettiche, per sacralizzarle e sacrificarle.
La resistenza partigiana invece aveva capito tutto. Non pensò di costituire una Salò alternativa, no no. Si fece diffusa, si sparse per la penisola, si frantumò in piccoli gruppi, si infiltrò, condusse azioni di sabotaggio. La stessa strategia che predica Chomsky, quando parla dell’importanza di una resistenza policentrica.
La letteratura dovrebbe, credo, penetrare nel tessuto dell’editoria e della società tutta, evitando che questa le assegni un luogo di resistenza.
Chi sta lavorando bene, allora? Probabilmente tutti gli scrittori di genere che col genere da un lato fanno resistenza e dall’altro non si fanno recintare. Tutti gli scrittori che vendono senza vendersi. Ancora sono pochi, ma aumenteranno. Perché è bello costruire Cavalli di Troia: le migliori armi del nostro secolo.
@ IL POSTO DELLA MIA VITA
Ma cara, mica volevo dar contro le massaie. Solo che m’è toccato andare a fare la spesa al mercato, e accidenti, sanno essere davvero fameliche. ;-D Ma lo dico con simpatia, con affetto quasi. Che pure la mia mamma e una massaia, e le voglio pure tanto ma tanto bene, anche se non glielo dico spesso.
I blog sono anche – non dico esclusivamente – per gli OT: io sul mio li tollero tutti gli OT, perché? perché la gente viene, legge, però ha poi voglia anche di dire di sé. A me non dispiace, fin tanto che non si scada in incitamenti al razzismo, a dichiarazioni troppo personali della sfera privata. In questi casi, i commenti vengono segati: razzismi non ne accetto, e la privacy delle persone vorrei che fosse tutelata. Questo per dire che inevitabilmente – se hai un blog aperto ai commenti – almeno per come la vedo io, gli ot sono all’ordine del giorno, e il padrone di casa non si dovrebbe poi troppo inalberare o scandalizzare. Così, se c’è anche della pubblicità, o spam, vabbe’: certo fanno maggiormente piacere i commenti che sono in tema, ma ad ogni modo questo mondo non è ancora perfetto. E quello che è in rete è appena alla sua alba, appena nato. Dico appena nato perché l’evoluzione dell’informazione in rete è all’inizio, sta cercando ancora gli accordi giusti quasi si avesse a che fare con una chitarra, con le sue corde e la capacità di creare una melodia.
L’intervento di Carla lo devo ancora leggere. Oggi sono un po’ nelle curve. Ho letto quello di Herzog. L’ho trovato un po’ ironico, un po’ velenosetto, ma niente di che. Chiaramente Loredana – che è chiamata in causa -, solo lei può dire se è stato pesante per Lei o se l’ha preso sul ridere.
Boh, per il momento è tutto.
Baci et abbracci.
Iannozzi
E siamo al punto. Bravo Niccolò. Pronto per un’intervista di approfondimento? 🙂 (appena finisco di restaurare me e il monolocale).
non capisco perchè carla benedetti si ostini a rifiutare la rete come luogo di comunicazione. non condivido affatto l’idea che l’uso di un nickname, di un alias, sia una forma de-responsabilizzazione, non del tutto, almeno. in una comunità virtuale si dispiega in maniera lampante ciò che comunque avviene in un qualsiasi altro processo comunicativo, due individui non sono mai faccia-a-faccia, la comunicazione è sempre mediata, vi è sempre un’interfaccia, ci sono io – c’è l’altro – e c’è la mediazione di ciò che io ritengo sia il desiderio dell’altro…lacan lo chiamava schema ad L.
per me, carla benedetti è un alias come un’altro.
è chiaro che l’impossibilità di stabilire coordinate fisse, di cogliere ciò che è extra-testo di identità in continuo movimento può frantumare il tentativo di costruire un dialogo e sfociare in un monologo autoreferenziale, ma la sfida è proprio quella di riuscire in una forma sincronica e reticolare di comunicazione.
la de-responsabilizzazione non è caratteristica esclusiva della rete, è qui che si palesa, ma essa è propria della macchinizzazione della società, l’ineluttabilità dell’ingranaggio.
lo hanno capito bene i militari, che grazie al concetto di chain-of-command si assolvono dagli orrori peggiori.
“… una società
designata a perdersi è fatale
che si perda: una persona mai.”
(Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci)
Che poi si ha un bel dire “Biondillo”
Altro che biondillo,
lei è un omone bruno e ricciuto anzichenò.
Alla Fiera volevo quasi fargliela, la domanda sulla pizza.
Poi mi è venuta fame, e dalle parole sono passato ai fatti.
e hai fatto bene, EFFE. l’unica cosa è che se me lo dicevi, mangiavamo insieme! 😉 G.
Ciao, Loredana. Ti va di scrivere anche tu chi è per te Suzanne? http://www.ilcontesto.org/dentroefuori/index.asp?id=2
oppure leggi prima qui: http://www.iojaco.splinder.com
Ciao.
Salve a tutti. Volevo solo dire che ho provato, sul mio blog, a dare un modesto contributo alla discussione sulla Restaurazione. Contributo che credo non sarà simpatico ai più: ma è ciò che penso.
E’ qui: http://www.scrittors.splinder.com
Un saluto,
Marco
ma non sarà che nazione indiana sta diventando un po’ la riserva del lamento? gli interventi di moresco e benedetti sembrano quelli dei blog e siti dedicati agli scrittori “emergenti”, eppure loro sono emersi: basta con con questo è tutto un magna magna, ridateci i pezzi di montanari sui gusti sessuali delle donne, i reportage di biondi’ a quartoggiaro (meno male che c’è saviano). invidiosi di piperno? e scrivete un romanzo come il suo, che magari al vostro manoscritto una sbirciata la danno…
Completamente d’accordo.
Arianna, però Moresco e altri hanno messo in piedi “Aspettando Genji” che mi sembra una bella cosa.
interessante, importante non lo nego.
ma in qualche modo può essere percepita come elitaria. può accadere che all’incontro non ci vada molta gente. e allora che si fa? si dà addosso a jovannotti che riempie la feltrinelli alla stessa ora? i migliori jazzisti italiani per guadagnare suonano anche musica leggera e non fanno questo continuo lamento, questione di stile?
Arianna, vai tranquilla, il “loro” Teatro I finisce sold out molto spesso: la gente ha bisogno di qualità.
meglio, meno scuse per lamentarsi : – )
E tu, piccina, sarai fuori, col naso schiacciato contro un’intercapedine per vedere, per sentire qualcosa, al freddo, pensando Eh, se avessi prenotato il posto per il Genji monogatari invece di andare al terzo massaggio dell’estetista, eh se avessi mandato quella benedetta mail, eh le stelle del giez a suonare il pop, eh putanassa vacassa, eh ora sarei al calduccio, dentro il Teatro I, in poltronissima, ad ascoltare Raos che legge magistralmente il principe splendente nella lingua originaria… Tiè! 🙂