Facciamo un esempio: perché ho come la sensazione che la discussione sul “guardare indietro” della letteratura abbia preso una direzione diversa da quella che immaginavo (sicuramente per poca chiarezza della sottoscritta).
C’è un libro che ho appena finito di leggere: si chiama Né giusto né sbagliato, è uscito per Adelphi, lo ha scritto Paul Collins, che vive in Oregon e che, se non vado errata, è alla sua prima traduzione in Italia. Collins racconta due storie: una è settecentesca, ed è quella del misterioso Ragazzo Selvaggio che affascinò l’Inghilterra colta e no. Succede che nel 1725 viene trovato e catturato un dodicenne nudo e sporco che vive sugli alberi e succhia latte dalle mucche. Nessuno riesce a comunicare con lui, anche se il ragazzino sembra ascoltare e persino comprendere quello che gli viene detto. Sua Maestà Giorgio I vuole incontrarlo, ne resta affascinato, lo conduce a corte e lo affida alle cure del dottor Arbuthnot, in pratica uno dei capifila della cultura londinese insieme a Jonathan Swift e Alexander Pope, nonché buon frequentatore di Defoe, Addison e Steele. Il Ragazzo Selvaggio, battezzato con il nome di Peter, diviene oggetto di studio e spunto per elaborazione di saggi, romanzi e libelli. Più o meno, fine della prima storia.
Vicenda numero due: è quella presumibilmente autobiografica di Collins. Il quale scopre, quasi per caso, che suo figlio Morgan, tre anni, è un bambino autistico. Come Peter e come non pochi altri di cui risparmio l’elenco (non solo geni riconosciuti del passato, però: un bel giorno Collins si trova a chiacchierare con una dipendente della Microsoft che così definisce i programmatori dell’azienda: “E’ come se bisognasse insegnargli a rapportarsi con gli esseri umani in carne ed ossa. Loro non sanno come si fa”).
La faccio corta. Se si analizza il libro di Collins applicando alla lettera i criteri del passeismo di cui parlavo due giorni fa, questo è un libro passeista: guarda ad una storia vecchia di secoli e la utilizza per rapportarla ad una propria privatissima esperienza. Eppure non è così. Perché quello che narra coinvolge, emoziona e rapporta, per vie dirette e no, al mondo di oggi, anche se non si condivide la stessa esperienza.
I libri passeisti sono come quelle amiche che quando riescono ad artigliarti per un pomeriggio sciorinano meticolosamente la propria situazione sentimentale e lavorativa del momento, arricchendola di analisi, mettendosi da sole in contraddizione e dandosi subito dopo una risposta senza che tu possa non soltanto timidamente interloquire, ma soprattutto senza che ti sia possibile farti toccare da quello che ti viene narrato. Non è ciò che ti viene richiesto: questo tipo di amiche ha solo bisogno di un pubblico, coinvolto o meno non importa. Ci sono libri che funzionano allo stesso modo. Viceversa, ci sono libri, e scrittori, che trasportano in letteratura quello che un grande autistico, Glenn Gould, desiderava per la musica in una videocassetta ad uso interno dei tecnici della Cbs, nell’estate 1982:
« Ciò che mi sforzo di descrivere è, in mancanza di termini più adatti, un ascoltatore creatore — un ascoltatore le cui reazioni, a causa della solitudine che le ha generate, sono possedute da una intelligenza unica di quel che ascolta. Questa intelligenza non corrisponderà necessariamente a quella dell’interprete, del direttore artistico o dei tecnici… ma è un’intelligenza che si pone all’origine di un nuovo legame nella catena degli avvenimenti…questo legame, una sorta di benevolo boomerang susciterà delle idee che, in quella sede, in quel mondo allo stesso tempo vicino e lontano dell’ascoltatore creatore, prenderanno una forma e un’esistenza proprie.»
e quali sono i libri autistici che hai in mente?
Lippi, sei divina! Una sola cosa.
Tutti hanno bisogno di un pubblico. Genn Gould ci riesce a trattenerlo (oddio, se una è tua amica fa finta: tipico ascoltatore di seconda classe, non me la presentare mai!), perchè è un genio (ma io qui sono d’accordo con wu: i geni non esistono). La tua amica poverina, forse riesce a farsi ascoltare solo da te. Ma (detto fra noi, Lippi, lei non lo saprà mai!) non le dai una mano trattandola così!
L’ascoltatore creatore di cui parla Gould e il lettore creatore dipendono anche dal prodotto.
Come si fa a creare leggendo Alberoni o ascoltando Toto Cutugno?
Credo che se la qualità del passeismo la fai dipendere dal maggiore o minore grado di ” coinvolgere, emozionare e rapportare, per vie dirette e no, al mondo di oggi, anche se non si condivide la stessa esperienza.” in fondo tu stai misurando il talento. Un libro ben scritto non potrà mai essere passeista e viceversa.
Forse la discriminante dovrebbe essere un altra. Magari il grado maggiore o minore di soggettività, “la larghezza dello sguardo” per così dire.
scusate, il commento sopra è il mio
Insomma hai voluto rimetterti a discutere del sesso degli angeli (Beneforti), anziché di quello, assai più attuale, dell’Angelini:-/
Passeista!
E quanti sguardi larghi si incontrano, Lucis? A me sembra pochi.
A proposito di autismi. Filippo Laporta sul Corriere della Sera:
“La frase incriminata della mia intervista («sono anticomunista») va letta per intero («sono anticomunista e il capitalismo mi fa più orrore di prima»). Non l’ho pronunciata solo per l’ovvietà che ai comunisti il capitalismo non fa orrore per niente, e anzi ne condividono troppe cose. Né pensavo minimamente di compiere un gesto esemplare. Ma perché sono convinto che nel nostro Paese il comunismo rappresenti ancora una mitologia invadente, con la assurda pretesa di essere il pensiero unico della sinistra radicale. Mentre altri filoni di pensiero, anche limitandoci al ’900, nella critica dell’esistente ci appaiono assai più immaginativi e oltranzisti. Il fatto è che oggi il comunismo è vissuto perlopiù come fatto estetico, una elegante retorica capace, tra l’altro, di regalare una patina eccitante di estremismo. Ma il vero problema parafrasando Nicola Chiaromonte, è un altro: si esibiscono idee senza però le ragioni per averle. Ci si può impunemente dichiarare, che so, pacifisti, anche se i propri livelli di vita e di consumo spingono fatalmente verso guerre di conquista… E qui allora vorrei riaffermare il primato della letteratura sulla politica: non solo perché non aspira a controllare eventi e persone, ma perché ci mostra esattamente la relazione, in una esistenza concreta, tra le idee e le loro ragioni”.
non ho capito cosa si intenda per autistico nell’articolo.
un bambino autistico, ok, è quello.
il ragazzo selvaggio autistico, boh.
glenn gould autistico, mah (la sindrome di asperger assomiglia all’autismo quanto un raffreddore al colera).
riguardo alle amiche rompicoglioni invece ho capito.
@paolo
nel libro, Collins cita proprio le parole di Asperger: “L’autistico è solo se stesso e non un membro di un organismo più grande”. Tra l’altro è lo stesso Collins, nelle sue ricerche sul Ragazzo Selvaggio, a interpretarlo come primo caso di autismo conosciuto, e a citare, fra gli altri, Gould.
Quanto all’accezione- ovviamente non scientifica- in cui ho usato io il termine, si potrebbe ricalcare la frase di Asperger: esistono libri che sono solo se stessi, autori che si rivolgono solo a se stessi e non hanno alcuna intenzione di rapportarsi con chi li legge. Nel caso a tutto ciò si aggiunga un grande talento, avremo comunque un gran libro. Ma avviene raramente.
Acqua fresca, o sesso degli angeli, certamente: ma dal momento che mi sembra in incremento l’uscita di titoli autoreferenziali e, a mio modestissimo parere, sì, autistici, mi è venuta voglia di parlarne.
E i libri non autistici e non passeisti sono come le amiche che non si sa come ti telefonano quando sei di cattivo umore per tirarti su?
emoziona e rapporta… tu parli di tutto come fosse un deodorante… sul resto, che dire… non è mica un argomento, al quale si può ribattere… è un’impressione generica, come quelle amiche, hai presente, che ti parlano un pomerigio intero senza ragione.
Artifiziale, non sottovalutare il deodorante: in Guida galattica per autostoppisti era stato inventato prima della ruota, hai presente?
🙂
A me gli autori austistici, autoreferenziali non interessano. Come dice un mio amico, Luca Guerneri, l’IO che batte come un basso in un’opera letteraria è soltanto un’interferenza. Io adoro gli autori non autoreferenziali. Qualche nome: Lodoli, Lucarelli, Piersanti, Wu Ming… tanto per entrare nel concreto. Non hanno niente in comune tra loro ma li adoro proprio perché non sono autistici. Tuttavia, ci sono in Italia anche molti autori autistici. Proviamo a fare una lista? Fuori i nomi.
Sandro Veronesi
Veronesi autistico??? Ma che dici? Non sono d’accordo. Forse non ci intendiamo su cosa si intenda per scrittura autistica. Per me Veronesi non è affatto autistico.
@cippa lippa:
ora ho capito, grazie.
non so se sono usciti ultimamente più libri ‘autistici’ del solito. posso notare che il romanzo che vado consigliando or come ora a tutti (“The people of paper”, Salvador Plascencia, McSweeney 2005) decisamente rientra nella categoria. decisamente.
cosa dunque lo rende interessante (escludendo che l’autore sia un genio)? mumble.
mumble.
mah, direi per un verso il gioco quasi teatrale dei meta-livelli (uno dei protagonisti è l’autore stesso nell’atto di scrivere il suo libro; gli altri personaggi si ribellano all’autore e minacciano persino il lettore); e poi la gran qualità di scrittura con la quale dal parlare della sofferenza dei personaggi tiranneggiati dall’autore si allude alle minoranze etniche in USA.