LA RISPOSTA IDEALE

Era nei commenti, due post fa, e mi sembrava giusto darle spazio. E’ la risposta di Silvia Dai Pra’, autrice della recensione de Lo Sbrego su Lo Straniero, contestata da Valerio Evangelisti.

Ciao a tutti e scusate se mi intrometto.
Visto che, tra di voi, qualcuno ha rincarato la dose e qualcuno mi ha difeso, vi mando la risposta ideale (mica è facile rispondere a Carmilla…) che avevo pensato di scrivere.
Visto che non l’avevo scritto, però, lo dico qui: penso che per uno scrittore come Moresco sia impossibile separare "l’uomo" dall’ "autore", perché è proprio lui a non volerlo. Forse sarebbe stato possibile per altri libri più riusciti, non per questo.
Comunque, vi allego qui la risposta ideale a Evangelisti

Gentile Evangelisti,
mi scusi se mi avvalgo del diritto di replica. Non mi soffermo troppo sugli attacchi personali contenuti nel suo pezzo. In effetti, rileggendo ciò che avevo scritto – mi dispiace che manchi il link all’articolo, forse un eventuale lettore dovrebbe avere la possibilità di verificare ciò che viene detto – non ho trovato il livore che invece ho trovato in lei. Soprattutto mi è sembrato un po’ scorretto il modo in cui lei ha estrapolato alcune citazioni estraniandole dal discorso che stavo conducendo, magari tagliandole anche al punto giusto, in modo che, alla fine, non volessero dire nulla. Potrà dire che io ho fatto lo stesso con Moresco, ma non credo: infatti le citazioni da me riportate tendono ad essere smodatamente lunghe, e a riassumere prima il contesto da cui vengono estratte.
Quello su cui stavo ragionando, comunque, mi sembra un po’ diverso. Tempesta
Innanzitutto mi chiedevo se le modalità di attaccare il mondo letterario di Moresco non siano un po’ stucchevoli. In soldoni, se serva ancora a qualcosa ribadire ogni volta che il nostro panorama letterario è composto da “piccole schiere funzionarie e gregarie che si fanno del male, si leccano il culo per emergere dal pentolone pieno di merda. Tutti lì a quattro zampe, ad annusarsi, come i cani nei giardinetti. Vecchi scroti penduli che si allungano per mezzo metro in mezzo alle gambe”. Ha ragione a dire che, nello Straniero, non è difficile trovare invettive contro il mondo culturale che non suonano esattamente più gentili. Quello che le rende diverse, però, è che, in generale, o si fanno i nomi, o si discute sulle strutture dell’editoria, dei media, sulle connessioni tra letteratura e potere, cercando di condurre un discorso che vada un po’ più a fondo dell’immagine viriloide degli “scroti penduli”. Si sa che alcuni hanno il tic di replicare ad ogni critica con l’accusa di avere assimiliato “le logiche del dominio imperiale”. E’ uno slogan un po’ semplice, non trova? Era questo che intendevo quando scrivevo: “continuando a discutere in questi termini, non si andrà molto lontano. Se, alla fine, il postmoderno a qualcosa c’è servito, è anche perché ci ha insegnato a sospettare tanto dei saltimbanchi del potere quanto di quelli della contestazione. Siamo diventati scaltri nello smascherare le pose, le frasi ad effetto, gli inni alla rivoluzione troppo sbrigativi. E non riusciamo più a pensare che qualcuno, per presa di posizione, possa porsi in una condizione di purezza pregiudiziale”. Lei può pensarla diversamente, ma io sottoscrivo ciò che ho detto. Le garanzie rivoluzionarie che lei mi chiede, poi, non posso offrirle, visto che nell’ ‘89 stavo in prima media. Cerco semplicemente di trovare un punto di vista sul mondo odierno che si svincoli da prospettive non più attuali, e di riconoscere quegli autori che mi possano aiutare a costruirlo.
Ma la citazione che mi pare più estrapolata arriva verso la fine. Quella che lei definisce come un insulto e una pura cazzata, fa parte infatti di un discorso che cercavo di porre in termini ben diversi. “E’ inutile sfoderare gli anni del monolocale come garanzia di autenticità. Lo scrittore Moresco non è un extracomunitario arabo, non è un sudamericano accoltellato”. Che Moresco non sia un extracomunitario mi sembra cosa evidente. Nel pezzo, che immagino abbia letto, mi riferivo a un brano dello Sbrego in cui lo scrittore si dipinge solitario, notturno, con una birra in mano, mentre si va a sedere sugli scalini del Duomo tra arabi ubriachi e sudamericani accoltellati: “Io mi trovo bene seduto per terra, là in mezzo. Non mi sento diverso. Mi sento più diverso quando mi capita di stare in mezzo alle persone che circolano attorno ai libri”. Ecco, questo brano mi era sembrato sintomatico di quello che chiamavo “un fitto reticolo di maschere, di pose e di facili vie di fuga”. Lo scrittore Moresco può non sentirsi diverso dagli extracomunitari accoltellati e ubriachi, ma è oggettivamente diverso da loro. E’ troppo facile usare le sofferenze altrui per collocarsi immediatamente nel mondo degli oppressi. Condurre un discorso sull’oppressione, sulla politica, sulla letteratura richiede un’ analisi che va necessariamente oltre le belle immagini e le pose. Una depressione, delle ferite più che giustificate per i tanti rifiuti editoriali – quello a cui nell’articolo faccio riferimento come a “gli anni del monolocale”, su cui, secondo me, lo scrittore indulge un po’ troppo, fino a finire nel compiacimento – sono un dolore personale che va descritto con altre armi, credo, che quelle del compianto. Lei ha ragione, poi, a dire che Moresco ha fatto benissimo a seguire fino in fondo la sua passione. Bisogna però vedere se fa bene a edificarci sopra un monumento. E’ per questo che scrivevo che, forse, l’autore avrebbe potuto raccontarci tutte le sue “sofferenze autentiche” magari mettendole un po’ più in discussione, cercando di presentare anche qualche punto di vista un po’ diverso. Sarà una posizione personale, ma le autoesaltazioni non mi convincono, e neanche un certo vizio che esiste da sempre nella sinistra italiana, quella di rappresentarsi in veste di puri, costretti a combattere contro un mondo di mostri.
Ed ha perfettamante ragione anche quando scrive che il mio rischia di suonare come l’ elogio del minimalismo. Non era però questo che intendevo fare, visto che tra il minimalismo e il dannunzianesimo mi sembra che ci siano molte sfumature. Tutto qui. Non ho niente di personale contro Moresco, mi è sembrato semplicemente che il suo libro ci desse poco, anche nelle parti in cui parlava di letteratura, che non mi sono sembrate proprio illuminanti.
La casualità ha voluto che leggessi Lo sbrego proprio nel momento in cui stavo leggendo Elizabeth Costello di Coetzee, e il modo in cui quest’autore ragionava sulla sul potere, sul mondo, sul corpo, mi è sembrato un modo un po’ più profondo di condurre un discorso a metà tra narrazione e saggismo che partisse dallo spunto della letteratura. Magari il paragone potrà suonare stonato, a sproposito: ma mi sembra che ci siano molte persone che trovano Moresco in grado di gareggiare alla pari con i migliori nomi della letteratura mondiale. Io non lo penso. Così, ho cercato di ragionare sul perché l’ autore Antonio Moresco non riuscisse a convincermi, pur riconoscendogli un talento che appare specialmente nei Canti del caos.
Come si ricorderà, il suo racconto apparso su Patrie impure aveva sollevato un piccolo polverone: purtroppo ad attaccarlo era stato un editorialista del Giornale, e questo aveva fatto sfumare ogni possibilità di analisi sincera, anche da sinistra. Ma non credo di essere stata l’unica a pensare che riesumare Alfredo da Vermicino, che si rifiuta di uscire dal pozzo perché ciò che è fuori gli fa schifo, fosse un atto di cinismo un po’ gratuito: e fosse anche una via semplice, che permette di rifugiarsi in un “grido di dolore” (altrui, tra l’altro), invece di provare ad analizzare la realtà odierna in modo più complesso, con tutto il suo carico di caos e contraddittorietà. Realtà in cui uno scrittore è immerso e con cui convive, e con cui forse un po’ si sporca, ben diversamente dal modo in cui può farlo un bambino caduto in un pozzo. Non c’è nulla di male nel fatto che io pensi questo, e non credo che non stracciarsi le vesti per uno scrittore che viene attaccato da un forzaitaliota sia un atto poco di sinistra: piuttosto, come scriveva Fortini nella Difesa del cretino, è proprio tra persone che, sommariamente, hanno le stesse idee che deve esercitarsi il diritto di critica, altrimenti si finisce nella logica di clan. Critica fraterna, ovviamente, come forse non è stata la mia: ma, nonostante tutto, continuo ad essere convinta che la mia recensione allo Sbre
go non contenesse un decimo degli insulti che invece ho trovato nella sua replica. Con questo chiudo, sperando che ciò che ho detto non suoni come l’ennesimo sfogo isterico di Antonella Elia. Ma, se il panorama deve essere questo, bisogna pur sempre vedere a chi spetta il ruolo di Walter Nudo, a chi quello di Pappalardo.
Cordialmente
Silvia Dai Pra’ (scusi se preferisco usare il mio nome per esteso)

102 pensieri su “LA RISPOSTA IDEALE

  1. L’articolo di sdp è vergognoso. sono pienamente in sintonia con Evangelisti e mi meraviglio che si possa prendere in seria considerazione un ammasso di sciocchezze come quelle che sono state scritte su Lo sbrego. Che si può dire? continuiamo! Non ci arrerndiamo!

  2. BABSI io non mi scandalizzo se non ami checov, o se non ami la ortese, o se seia dice (come ha detto) che “wuthering heights” è un romanzetto gotico :-), io non sono mai riuscita a finire la “Montagna incantata” e non “me” ne faccio un dramma, però non per questo la ritengo una cosa da vecchi e da rottamare nella discarica dei morti.
    Quindi lunga vita ai libri di cechov e di biondillo 🙂 e di mille altri.
    Però ….poveri scrittori che vengono sempre usati come bandiere di cause pATRIOttiche* che non appartengono loro.
    *pATRIOtticare = ragionare nell’ottica dell’atrio, cioè della portineria, del tinello, dell’entrata dello stagno (luoghi angusti insomma) che poi ha come quasi sinonimo “POSTribolare” cioè “tribolare intorno ai post”
    L’oceano distrugge ogni cancello e atrio e io vorrei una rete-oceano invece della solita rete-crambe-riscaldata 🙂
    Ripeto lunga vita a cechov e a biondillo e a schiere di altri scrittori, ai critici invece metterei per legge l’obbligo di avere il visto di entrata;-) perchè mi sembra che, al momento, tentino di immettere in rete i viziacci ormai dilaganti nella carta stampata. E’ normale che lo facciano, serve per il possesso del mezzo (oltre che dell’atrio), ma è anche naturale che si senta il bisogno di resistere 😉 e in fondo pubblicizzare anche una difesa della ortese è una delle tante forme di minima moralia resistente.
    Cerchiamo di non mettere anche noi il cuore in freezer;-)

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