BALLARD

Sul quotidiano di oggi, un ricordo di Ballard, scritto ieri sera.

  Settembre 2005. James Graham Ballard accetta di essere intervistato da Evelyn Finger per Die Zeit. Gli viene chiesto, naturalmente, un parallelo tra le apocalissi naturali (nel caso, l’uragano Katrina) e le catastrofi che aveva raccontato nei suoi libri. A cominciare dalla primissima, quel Vento dal nulla, pubblicato nel 1961, dove il vento nasce inspiegabilmente, cresce, si alimenta in ogni parte del mondo  e distrugge tutto quel che trova sul suo cammino. Ballard risponde: “Tutti i miei libri affrontano lo stesso problema: la civiltà umana è come la crosta di lava di un vulcano. Sembra solida, ma se la calpesti, trovi il fuoco”.

  E’ la definizione migliore, naturalmente, che libera l’opera di Ballard dall’annoso e noioso problema dello scaffale, che probabilmente si riproporrà con maggior forza ora, dopo la morte dello scrittore, avvenuta ieri a settantotto anni, al termine di una lunga malattia annunciata nella sua autobiografia, I miracoli della vita.

  Cos’era dunque Ballard?  Era, certo, l’autore di fantascienza che già nel secondo libro, Il mondo sommerso, affiancava la narrazione di una distruzione esterna (questa volta per lo scioglimento delle calotte polari) all’indagine dentro l’animo umano. Era il 1962: l’anno in cui uscì, sulla rivista New Worlds,  il suo articolo Which Way to Inner Space, che avrebbe aperto il varco al cyberpunk. Basta con lo spazio esterno, non più gloriose astronavi che sfrecciano nelle galassie, ma la discesa nella psiche degli uomini, e nel modo in cui la medesima interagisce con i mass media. Innesto che si sarebbe rivelato con forza nello straordinario La mostra delle atrocità, o in Condominio, che esplora la regressione alla barbarie nel microcosmo di un grattacielo. E poi, certo, in Crash, forse la sua opera più famosa, di sicuro quello che Ballard considerava la  più importante.
  Eppure, Ballard non era soltanto un autore di fantascienza. Intervistato da Valerio Evangelisti per XL, parlava di quell’esperienza al passato: “Molti anni fa scrivevo fantascienza. Ma non ho scritto fantascienza per trent’anni o forse più. Non mi vedo più come uno scrittore di fantascienza”.  Del resto, aggiungeva, la fantascienza non aveva più senso: “è morta il giorno in cui Armstrong ha messo piede sulla Luna, nel 1969. Penso che allora si sia messa la parola fine. Da allora molti dei sogni della fantascienza si sono avverati. I trapianti, la manipolazione genetica… Vuoi che tua figlia somigli alla Lollobrigida? Oggi è possibile”.
  Infatti, Ballard ha esplorato anche il proprio inner space, con romanzi autobiografici come L’impero del sole, divenuto film di Spielberg (su sceneggiatura di Tom Stoppard), dove raccontava la sua prigionia in un campo giapponese, durante la Seconda Guerra Mondiale. Era, anche, l’osservatore del contemporaneo, come in quello che è il suo ultimo romanzo, Regno a venire, del 2006. Era, leggendo le sue interviste, spietato e disponibile. Di sé, raccontava di non amare la musica, di non possedere dischi, di non navigare su Internet e di scrivere a mano. A chi gli chiedeva, come Evelyn Finger,  se davvero i mostri sanguinari dei suoi romanzi potessero materializzarsi, rispondeva di sì: “situazioni come quelle prefigurate in Crash o in Condominio siano ormai quasi moneta corrente. Non tanto però nella forma di esplicite esplosioni di violenza, come nei miei romanzi, quanto piuttosto di aggressività latente. Le persone continuano a svegliarsi al mattino, a salire in macchina e ad andare in ufficio. Le uniche cose eccitanti ormai succedono solo nella testa delle persone. Luogo assai pericoloso”.

20 pensieri su “BALLARD

  1. Mi scusi ma…Perchè mai deve inventarsi che Ballard “avrebbe aperto il varco al cyberpunk”? E perchè mai Repubblica deve titolare il suo pezzo su Ballard “il padre del cyberpunk”? Ma sapete di cosa si parla oppure usate schemi e definizioni a casaccio?
    Il cyberpunk è una corrente letteraria nata più o meno a metà anni Ottanta, nell’oceano della fantascienza. Il suo nome deriva dalla fusione di cibernetica e punk. Lo inventò Bruce Bethke, usandolo come titolo a un suo racconto omonimo (Cyberpunk). Il sottogenere cyberpunk si muove nell’immediato futuro, in ambienti di tecnologie avanzatissime e degrado urbano, narrate con storie di ribelli individuali e di radicali mutamenti della società, mescolando giallo e politica, noir e visionarietà, computer e yakuza, con uno stile spesso barocco.
    I più famosi autori sono William Gibson (a partire da Neuromante), il suo amico Bruce Sterling (il principale teorico del cyberpunk), Pat Cadigan, Paul De Filippo (esponente dello steampunk, a sua volta sottogenere del cyberpunk), John Shirley.
    Gli “antenati” si possono individuare in Philip Dick e William Burroughs. Anche Ballard (per certi, remoti, versi). Ma il suo “inner space” degli anni Sessanta non c’entra quasi nulla col cyberpunk.
    Insomma, non capisco perchè (quando si scrive di fantascienza o di giallo) si debba ricorrere a schematismi così approssimativi: va di moda il cyberpunk? E allora Ballard ne diventa un ispiratore, addirittura il “padre” (stando al titolo in prima pagina su Repubblica). Ma non è così.

  2. Luciano: che Ballard aprì il varco al cyberpunk mi pare assodato, mi perdoni. Aprire il varco non significa FONDARE, e non significa neanche trovare il nome. Significa avanzare i presupposti per.
    E questo, mi perdoni, è innegabile.

  3. Ribadisco che l’inner space ballardiano diede vita ad altro: alla cosiddetta new wave inglese. Però dei rapporti tra Ballard e il cyberpunk si potrebbe discutere a lungo (e, se interessa il tema, in modo affascinante). Ma il punto centrale è un altro: è la banale schematizzazione. E questa (gliene do atto) è responsabilità del titolo scelto da Repubblica. Avendo diretto un gionale, lo so: chi scrive l’articolo NON ne scrive il titolo. Accade però (è il caso di Ballard) che da varie parti del Web italiota sia spuntata questa pigra e sbagliata definizione di Ballard (il padre o l’inventore del cyberpunk). E cioè è (se non “falso”) almeno inesatto.
    Sarebbe come (per fare un esempio musicale) dire sic et simpliciter che Bob Dylan (avendo inciso nel 1965 SUBTERREAN HOMESICK BLUES) fu il padre o l’inventore del punk. Si tratterebbe di una forzatura, di un’inesattezza. E se questa definizione azzardata la riprendessero i giornali, schiacciando Dylan a quel ruolo protopunk, mi ribellerei. Così come mi sono ribellato alla definizione di Repubblica a proposito di Ballard.

  4. Il tema è affascinante, infatti. E insisto sulle parole: “aprire il varco” non è “dare vita”. Perdona l’insistenza, ma sono puntigliosa anche io.
    Quanto al titolo e al web italiota, non ne sono responsabile. Ad ogni modo, la discussione in questione è molto meno interessante rispetto a quella sui rapporti tra Ballard e la fantascienza a lui successiva.

  5. “Ballard aprì il varco al cyberpunk”nella stessa maniera in cui Henry Miller era considerato la madre dai beatnik.Non mi sembra sia il caso di sollevare eccezioni di paternità col corpo ancora caldo.”25 agosto 1988.Da dove comincio?”

  6. Quel che mi fa restare basita è che, appunto, a corpo caldo di uno dei più grandi, straordinari autori che ci siano toccati in sorte, parta la sollevazione sull’etichettina, la definizioncina, il sottogenere, eccetera eccetera. Scusate, ma a che pro? Stiamo parlando di un autore senza il quale non sarebbe stata possibile la rifondazione della fantascienza che fu del cyberpunk, TRA LE ALTRE COSE. Se poi risulta gradevole e gratificante per il proprio ego la polemichina sul fatto che i giornali sbagliano a prescindere e che solo il vero nerd ha ragione, auguri.
    Ps. Wikipedia.
    “Nel contesto della letteratura di fantascienza, la linea che porta al Cyberpunk è quella che parte da Aldous Huxley e da 1984 di George Orwell e che passa per i maggiori modelli di James Ballard e soprattutto di Philip K. Dick.”

  7. Loredana, Diamonds: avete ragione a lamentarvi per l’insistenza.
    Aggiungo solo il mio profondissimo fastidio a veder (spesso, spessissimo) la narrativa fantastica, sf, fantasy, poliziesca, horror, o i fumetti, trattati con supericialità dai giornali della carta stampata (per non parlar della televisione). Al di là del testo completo della Lipperini, ciò che per tanti lettori (la maggioranza?) resterà è “Ballard padre del cyberpunk”.
    Sul rapporto tra lui e la fantascienza successiva, la mia opinione è che Ballard sia emblematico di quato è accaduto alla sf letteraria. Per certi versi si è andata svuotando, illanguidendo, sofisticandosi troppo, staccandosi dal suo pubblico (che era ANCHE, non solo ma anche, un pubblico popolare). E allora, a mio avviso, la sf ha paradossalmente vinto quando è entrata in agonia: perchè la fantascienza ha invaso tutto il suo vicinato. Pensiamo al cinema, dove la sf si è sempre più insinuata di soppiatto (un esempio: Truman Show di Peter Weir). Oppure la narrativa mainstream, dove i temi e gli stilemi sf hanno fatto irruzione (un esempio: Il complotto contro l’America di Philip Roth). Ma anche la pubblicità, la musica, la grafica, l’intero immaginario contemporaneo (alro esempio: trasmissionacce come Il Grande Fratello). In sintesi: la science fiction si sta estinguendo perchè ha dato sangue, innervando di se tutta la cultura che le stava attorno.
    E (in questo senso) Ballard è emblematico: nel corso della carriera si è sempre più staccato dalla sf vera e propria, però contaminando progressivamente cinema e letteratura.

  8. Luciano: questa discussione sembra il bis di quella su una copertina di graphic novel, nel corso della quale, invece di stare al punto, i polemisti sostenevano che veniva attaccato il fumetto tutto. Adesso siamo arrivati alla lamentazione su quanto i giornali ignorano la narrativa fantastica: che è accusa che certo non può fare alla sottoscritta, che della medesima si occupa da anni. Oltretutto: Repubblica ha smontato l’apertura di cultura alle nove di sera, proprio per dare il dovuto spazio alla morte di Ballard. Questo significa essere disattenti e superficiali?
    Quanto ai lettori: fa loro torto. Chi è interessato a un articolo non si ferma al titolo.
    Ultima cosa: il sospetto espresso poco fa (si fa polemica per giocare a fare Davide contro Golia) viene confermato da quanto scrivi nel tuo blog, riferendosi a questa discussione. Testualmente:
    “LO SO: la Lipperini è una critica abbastanza potente e io non sono furbo a inimicarmela così rozzamente e sfacciatamente. Però, cosa volete farci, non sono furbo.”
    Nessuna paura. Non mordo, non mangio bambini e non mando neanche a quel paese, abitualmente.

  9. Ah. Quanto al concetto espresso sulla fantascienza: è quanto ha sostenuto Valerio Evangelisti in Distruggere Alphaville. Una ricerchina negli archivi di questo blog, così superficiale e disattento, confermerà.

  10. Sul mio blog intendevo dire che, con questa discussione, non mi faccio certo “piacione” per ingraziarmi il critico.
    E che assai difficilmente uno dei romanzi per adolescenti che scrivo per la El e la Einaudi Ragazzi finirà su Repubblica.
    Su Davide e Golia: io sono valdese e trovo che Davide sia un personaggio molto molto interessante (complesso e contradittorio).
    Sul pressapochismo nei confronti dei “generi”: leggo Repubblica dal 1976 e le omissioni o i veri e propri errori del quotidiano sono stati innumerevoli. Per non parlare di altri giornali. Spesso li ho segnalati all’autore dell’articolo (e solo una volta mi venne risposto per ingraziarmi della segnalazione).
    Distruggere Alphaville: non l’ho letto. D’altra parte la mia opinione sulla “sf donatrice di sangue” non è certo originalissima.
    Sui lettori di giornali: chi conosceva Ballard avrà letto tutto il pezzo, senza fermarsi al titolo. Ma quanti lettori non vanno oltre il titolo?
    Non ho nè scritto nè detto nè pensato che questo blog sia superficiale e disattento: ne conosco l’attenzione nei confronti delle vie meno frequentate della letteratura.
    Adesso che ci siamo scambiati alcune opinioni (per la qual cosa la ringrazio), riformulerei l’attacco del mio primo commento, scritto di getto. D’altro canto, i blog sono così: opinioni e idee buttate giù in presa diretta, nel bene e nel male, senza la possibilità di rimodularle. E allora (potendo) me la prenderei con la troppo frequente discrasia che si riscontra tra articolo e titolo. Dove accade con eccessiva frequenza che il secondo non rispetti o addirittura tradisca il primo.

  11. Ballard lavorò come copy, poi venditore di enciclopedie nelle Midlands, poi pilota per la Raf. La pubblicità di massa, la tecnica, le macchine, tre ossessioni che lo pervertiranno fino alla fine. C’è chi è convinto che La mostra delle atrocità, pubblicato nel ‘69, in piena psichedelia, risenta di un qualche uso di droghe, e sia comunque il suo capolavoro, il Vietnam, la psicopatologia, la pornografia, le mutilazioni seguite agli incidenti stradali, la forza equivoca dei media, le false icone del mito americano. In quel libro arrivò persino a profetizzare l’elezione a presidente Usa di un attore. Ronald Reagan verrà dopo. I Joy Division, nel pieno del post-punk, ci scrissero sopra una canzone.
    Fonte. La Stampa
    La bella canzone dei Joy Division si intitola Klaxons

  12. Non si intitola atrocity exhibition anche la canzone?
    L’ho appena ascoltata, linkata in memoria di Ballard, da un amico, su Facebook.
    Ed e’ bellissima, come tutte quelle dei Joy Division. (Ma io sono di parte).

  13. Mi schiero con Luciano. La linea che da Omero porta al cyberpunk passando per Ballard siste sicuramente, ma appicicare assieme cyberpunk e Ballard è una scorciatoia sciatta e pigra che ho letto solo nei coccodrilli dei giornali italiani, e che mi ha infastidito parecchio. E, Loredana, non si fa torto al pubblico a dirgli cose esatte.

  14. Infatti. Sostenere che l’inner space di Ballard sia stato, sia pure in modo diverso, rielaborato dal cyberpunk è esatto.
    E, una volta per tutte, IO non sono i giornali italiani: anche questa è una generalizzazione, Adrix.

  15. La discussione sulla paternità del cyberpunk è interessante, l’argomento da cui parte meno. Mi pare che quando c’è da fare una commemorazione è costume dei giornalisti affibbiare al trapassato un’ etichetta qualunque per attirare l’attenzione, “il padre di” è una delle più usate e proficue.
    “E’ morto J.G. Ballard” Ah sì, e allora?
    “E’ morto J.G. Ballard, il padre del cyberpunk” Ecco, ora anche i più sprovveduti, (che non solo non conoscono Ballard, ma neanche il cyberpunk) capiscono che il defunto è importante.
    Con Ballard il sottoscritto si fermò (esausto) alla tetralogia: vento, acqua, siccità, cristalli, chi l’avrebbe detto che poi gli sarebbero venute delle idee oltre a quella prosa barocchina e intrigante…

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