CALICETI E IL CADAVERE DELLA LETTERATURA

Da sfogliare in rete: il secondo numero di sacripante!, nonché l’iniziativa di booksblog.
Da meditare: difendere o no “Il codice Da Vinci” dall’attacco del cardinal Tarcisio Bertone che, considerandolo il frutto di una strategia anticattolica, invita al boicottaggio? (attenzione: non è una domanda sul valore del libro)
Da leggere, questo intervento di Giuseppe Caliceti pubblicato domenica sull’inserto letterario monografico di Liberazione “Queer – Contro la lingua italiana”:

Tra lingua orale e lingua scritta c’è da sempre un’osmosi profonda, il più delle volte feconda. Come tra la lingua orale e la lingua scritta per eccellenza: la lingua letteraria. Basta guardare un bambino che impara a scrivere. O osservare le storie letterarie di differenti lingue e Paesi. Eppure, ragionare di lingua letteraria – o di lingue letterarie, se preferite – nell’Italia di oggi, è insolito e fa sorridere. Come scomodare Dante Alighieri per ricordare lo scandalo che suscitò l’aver scelto di scrivere la Divina Commedia in volgare – la lingua parlata, la lingua del “volgo” – e non in latino, la lingua letteraria del tempo. Perché in Italia capita che tra lingua orale e scritta, in alcuni periodi storici, si creino solchi profondi, distanze, differenze, diffidenze. Tanto è vero che ancora, nelle scuole, una delle regole numero uno rimane quella di “non scrivere come si parla”. E anche, volendo, di “non parlare come mangi”.
Uno scrittore, pur non essendo necessariamente un imbonitore, prima ancora di raccontare una storia, sceglie e costruisce la propria lingua letteraria, lo stile nella quale raccontarla. E quella lingua fa già parte integrante della storia. Perché la sua realtà prima – “la sua materia prima” – è innanzitutto la lingua in cui scrive. Eppure, girando oggi per le librerie italiane, il sospetto è che il problema della lingua in cui si scrive non sia così “centrale”. Regna infatti una calma e piatta uniformità. La lingua letteraria messa in scena, in larga maggioranza, non è lo specchio di una realtà complessa. Chi scrive opta per scelte linguistiche “semplificanti”, il più possibile “comunicative”. Probabilmente è di uno dei tanti effetti collaterali trascurabili di una democrazia.
A ogni modo, le lingue letterarie più in voga assomigliano sempre più a lingue-giornalistiche, lingue-copyraiter, lingue-pubblicitarie, lingue-politicanti, lingue-da-sceneggiato-tv, lingue-da-cartone-animato. Più che a rappresentare e indagare sul mondo in cui ci troviamo a vivere, tendono a fargli il verso in una sorta di “realismo più reale del re”. Imitando cioè il gergo, le sintassi e gli stilemi linguistici dei media più in voga come la tv. “Comunicare!”, questa è la parola d’ordine imperante. Quasi a prescindere da come, dove, che cosa e a chi comunicare. La lingua letteraria celebra se stessa, insomma. Le vendite di un libro ne decidono la letterarietà.
Non so perché oggi accade questo, ma non è sempre stato così. Nel 1936, in Francia, la Francia del 1936, con una breve lettera scritta al “Figaro”, Louis-Ferdinand Céline parla di argot e lingua letteraria francese. “Non posso leggere un romanzo scritto nel linguaggio tradizionale. Sono abbozzi di romanzi. Non sono mai romanzi. Il lavoro è ancora tutto da fare… La loro lingua è impossibile. E’ morta. Perchè prendo tanto a prestito dalla lingua? Dal “gergo”? Dalla sintassi argotica? Perchè me la formo da me secondo il mio momento? Perchè, l’avete detto voi, questa lingua muore subito, dunque ha vissuto, dunque vive intanto che la uso”. Continua Cèline: “Una lingua, come il resto, muore continuamente. Deve morire. Bisogna rassegnarsi. La lingua abituale dei romanzi è morta, sintassi morta, tutto morto. Moriranno presto anche i miei, senza dubbio. Ma almeno avranno avuto una piccola superiorità su tanti altri, quella di essere vissuti per un anno, un mese, un giorno. Tutta qui la faccenda. Il resto è solo grossolana, imbecille, rincitrullita vanteria. In tutta questa ricerca di un francese assoluto, c’è un’ottusa, insopportabile pretesa all’eternità della forma scritta”.
Una dimostrazione che la lingua nasce e muore continuamente? Il nuovo “Dizionario storico dei linguaggio giovanile “Scrostati, gaggio!”, scritto da Renzo Ambrogio e Giovanni Casalegno per Utet. Non è una superficiale e impressionistica raccolta di termini orecchiati qua e là da sedicenti “giovani”, ma un interessante resoconto del continuo corpo-a-corpo tra scrittura e oralità, nonché della vitalità e della ricchezza espressiva della lingua italiana. Il metodo di lavoro: indagare su un ricchissimo corpus di romanzi e racconti, di testi di canzoni, di articoli delle riviste “giovanili” (da quelle storiche alle fanzine), e sul ricchissimo materiale ormai disponibile in rete. Nelle stesse pagine vediamo così alternarsi “voci” documentate con esempi tratti da Calvino, Pavese, Pasolini, Arbasino, ma anche da Tondelli, Ballestra, Ammaniti e i cosiddetti “Cannibali”. O ancora da gruppi musicali e rapper. Viene così alla luce un repertorio pieno di parole curiose, spesso con un proprio sapore d’epoca: da ‘tamarro’ (di periferia, burino per modi d’essere e di vestire) a ‘cinquantino’ (ciclomotore da 50cc), da ‘spinello’ (sigaretta di marijuana) a ‘beat’ come ‘neonazi’, ‘matusa’ (persona non più giovane), dark (riferito a abbigliamento e musica) o ‘tagger’ (autore di graffiti).
Per concludere, un esperimento: osservate e ascoltate attentamente la lingua utilizzata da un imbonitore. La sensazione è questa: tranne rare eccezioni, più una lingua è semplice e diretta e comunicativa, più sembra uno strumento utilizzato, magari anche sapientemente, per venderti qualcosa (magari anche solo un’idea del mondo). E per vendere se stessa assieme a quel qualcosa. E questa vendita, avviene negando a se stessa la consapevolezza manganelliana di essere anche e soprattutto “menzogna” e pretendendo poi di porsi, più o meno strumentalmente, come vera e unica lingua letteraria: spesso sinonimo di lingua-verità, lingua sacra, perché di maggioranza.

55 pensieri su “CALICETI E IL CADAVERE DELLA LETTERATURA

  1. Ma no, Andrea. Anche perchè sono sicura che il nostro si manifesterà in un nuovo mirabolante travestimento. E Iannox vincerà il Viareggio raccontandone le gesta
    🙂

  2. Wow! A leggere tutti ‘sti commenti, uno potrebbe tirar su un romanzetto niente male che potrebbe persino vincere il premio Urania o almeno piazzarsi giù di lì. Uno scrittore tra i pinguini (!), poi una salvatrice in stile femme fatale, oppositori, filologi, omerici, incursori, ecc. ecc. Insomma, di materiale ce n’è pure per un Segretessimo. E pure per un romanzo dickiano con questi simulacri. Colpa della coscenza che non me lo permette, altrimenti sai che romanzo scriverei. ^___^
    Saludos e buon divertimento.
    Iannox

  3. vuoi vedere che qualcuno si dispiace che incursore si mortifica e se ne va?
    e magari mi danno dell’antidemocratico, del fascista, fallologocentrico per chè ho citato lacan, e poi sono stato cattivo…

  4. Caliceti, dammi ascolto, lascia perdere. Genna è al di là del bene e del male. E’ aggressivo come un industrialotto del Nord Est, intimamente reazionario, letterariamente fesso col botto. Il fatto che tanti (pur bravi e intelligenti) diano credibilità a tale intrico di boria, svetatezza critica, superficialità letteraria è segno dei tempi che viviamo. Wat Izza Comin’? avrebbe detto Ezra.
    meno male che se ne è andato in Antartide e speriamo che gli orsi bianchi siano più saggi di tanti letterati rossi
    The ass Spoke

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