CARLO GINZBURG, IL NEGAZIONISMO, UN APPELLO DEL 2007

Qualche giorno fa i Wu Ming hanno ripubblicato su Giap un appello che risale al 2007 contro il negazionismo e per la libertà della ricerca storica: in questo momento di clamori mediatici istantanei, era prontamente sfuggito alla memoria giornalistica, e non solo. Tra i firmatari dell’appello (i maggiori storici italiani) c’era Carlo Ginzburg. Che oggi rilascia questa intervista a Simonetta Fiori. Da leggere, anche pensando agli altri casi (il femminicidio) in cui si ritiene che una legge possa più delle parole.
«Quello contro il negazionismo è un disegno di legge inaccettabile. Reputo grave il modo dilettantesco con cui la classe politica l’ha riproposto, senza tenere conto delle serie obiezioni mosse in passato su questo tema».
Carlo Ginzburg è lo storico italiano più conosciuto all’estero. Figlio di due ebrei illustri, Leone e Natalia, ha intercettato nelle sue vaste ricerche il tema del complotto e della persecuzione.
«È una materia scottante e molto dolorosa. Ma proprio per questo non ho paura dell’aggettivo “freddo”: è mancata un’analisi distaccata, fredda, razionale su un provvedimento che rischia di produrre effetti gravi».
La nuova legge è ora affiorata in Parlamento in coincidenza di due fatti incrociati: la morte dell’aguzzino Priebke, seguita dalla vicenda tempestosa della sua sepoltura, e il settantesimo anniversario della razzia del Ghetto, con gli oltre mille ebrei condotti a morire.
«Sì, questo duplice contesto ha creato una forte emozione pubblica. Ma le emozioni non sono mai consigliere di buone leggi. E allora la prima operazione che dobbiamo fare è recidere il legame tra questo nuovo disegno di legge e i contesti immediati in cui è stato proposto».
Perché il disegno di legge non la convince?
«Vanno fatte due valutazioni diverse: una riguarda il principio e l’altra l’opportunità. Dico subito che a mio parere entrambe portano a giudicare in maniera negativa questo disegno di legge. Sul piano del principio, è inammissibile imporre per legge un limite alla ricerca. È un punto di principio che prescinde dal contenuto. Le tesi dei negazionisti sono ignobili dal punto di vista morale e politico e non costituiscono in alcun modo una provocazione sul piano intellettuale. Nessuno storico può essere indotto a rivedere le proprie argomentazioni sulla base di queste tesi. Però sul piano del principio non si possono porre dei limiti alla ricerca. E non sono ammesse eccezioni».
E le ragioni di opportunità?
«I negazionisti sono farabutti in cerca di pubblicità. Cercano un “martirio” a buon mercato e colgono ogni pretesto per farsi propaganda. Nei paesi in cui è stata adottata la legge, i tribunali sono diventati una formidabile cassa di risonanza delle loro tesi. Ma poi si aggiunge una seconda ragione di opportunità, e qui entriamo in un terreno più delicato».
Quale?
«È quello che investe la ricerca storica. Parlo per esperienza diretta. Mi sono trovato, in un contesto accademico non italiano, a discutere un lavoro che ho definito, con un giudizio messo agli atti, “un caso di negazionismo felpato”, morbido. In esso non venivano formulate tesi negazioniste esplicite: però, attraverso una serie di distinguo, si avanzava una conclusione che andava implicitamente in quella direzione. Portare un caso del genere in tribunale sarebbe una follia. Se ne possono immaginare molti altri: la ricerca è fatta di argomentazioni che non s’identificano sempre con l’alternativa tra bianco e nero».
Poi quello del genocidio è un tema di discussione continua tra gli storici. Si fatica a trovare una nozione condivisa.
«Cosa distingue lo “sterminio” dal “quasi sterminio”? Sembra la traduzione tragica di un problema logico posto dai greci: il sofisma del sorite (o del mucchio) detto anche dell’uomo calvo. Se ti strappo un capello, diventi calvo? E se te ne strappo due? O tre? Ora, nel caso del genocidio, non si tratta di capelli immaginari ma di vite umane. A che punto scatta la nozione di genocidio? Mi fa orrore pensare che questo tipo di discussione possa finire in tribunale. Se poi qualcuno arriva a sostenere che quello che è successo in Europa tra il 1941 e il 1945 non è stato un genocidio, allora è inutile discutere: chi pronuncia queste affermazioni si autoesclude dalla comunità storiografica. Ma non si porta alla sbarra».
Il testo della legge è molto generico: punisce chi nega l’esistenza del genocidio ma anche dei crimini di guerra e di quelli contro l’umanità. Indro Montanelli, che ha a lungo negato l’uso del gas iprite in Etiopia, sarebbe finito in galera.
«Sul livello morale di Montanelli rinvio al libro, molto documentato, di Renata Broggini:
Passaggio in Svizzera. Certo quello che lei cita è un caso che avrebbe dato origine a un contenzioso giuridico assurdo. Non sono queste le cose da portare in tribunale. Ho l’impressione (ma posso sbagliare) che oggi gli storici italiani siano abbastanza compatti contro la legge. Non c’è unanimità, ma quasi. Anche per questo colpisce la quasi unanimità, ma di segno contrario, della classe politica».
Il dissenso grillino ha riguardato più la modalità di approvazione che il contenuto della legge. Qualcuno tra gli storici si domanda se il negazionismo vada penalmente condannato perché servirebbe a contrastare la possibilità della discriminazione e della persecuzione.
«Non c’è dubbio che l’antisemitismo dichiarato sia oggi molto più presente, in Italia, rispetto a dieci anni fa. Un antisemitismo complesso, in cui confluiscono sia una componente neonazista sia una componente di sinistra, che identifica il capitalismo con la finanza ebraica. Un libro recente di Michele Battini ci ricorda che questo antisemitismo di sinistra ha radici nell’Ottocento, tra i seguaci di Proudhon. E poi c’è una terza componente, più recente, che si nutre dell’ostilità alla politica di Israele nei confronti dei palestinesi. È una politica che mi ripugna: ferocemente ingiusta e (nel lungo periodo) tendenzialmente suicida. Ma l’antisionismo è stato ed è, molto spesso, una maschera dell’antisemitismo».
Questa pericolosa miscela agisce anche in altre parti d’Europa.
«In Italia però l’antisemitismo s’inserisce in un panorama più ampio, caratterizzato da un razzismo vergognoso che, diversamente da quanto succedeva in passato, è entrato a far parte del discorso pubblico. Basti pensare agli insulti contro la ministra Kyenge, che hanno fatto il giro del mondo. Oggi l’immagine dell’Italia nel mondo include anche questo. Potrebbero verificarsi episodi di razzismo ancora peggiori di quelli ai quali assistiamo: ma una che punisse il negazionismo non servirebbe a impedirli».
Adriano Prosperi ha sostenuto che sia la propaganda negazionista sia le leggi improvvide per combatterla sono sintomi di un problema italiano: non aver fatto i conti fino in fondo con la Shoah.
«I crimini compiuti dal nazismo sono stati di gran lunga superiori, per entità, a quelli compiuti dal fascismo. Ma anche il processo di elaborazione si è svolto, nei due paesi, in modo molto diverso. In Italia la Resistenza è stata usata come un alibi per rimuovere il passato. Anche in Germania, nel dopoguerra, c’è stata continuità col nazismo, in alcuni settori: l’università, la burocrazia. E il Sessantotto ha rappresentato una vera cesura: una resa dei conti con la generazione dei padri, compromessa col nazismo. Oggi, un fenomeno ripugnante come quello che si è verificato in Italia – un vero sdoganamento del razzismo – sarebbe impensabile in Germania».
Al di là del giudizio morale, un tratto che colpisce nel negazionismo è l’aspetto paradossale: a essere negato è uno degli eventi più documentati della storia umana.
«Il negazionismo si alimenta di molte cose: per esempio, del mito del complotto degli ebrei. Da quando in Francia, nel 1321, circolò la voce che i lebbrosi, istigati dagli ebrei, avevano cercato di avvelenare i cristiani, le versioni del complotto sono state innumerevoli, fino ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion e oltre. È un elemento che differenzia l’antisemitismo da altre forme di razzismo: nessuno ha mai parlato, credo, di complotti dei neri americani contro i bianchi. Ma dietro il fantasma del complotto si legge l’ambivalenza, il timore della superiorità attribuita agli ebrei. E di un complotto della lobby ebraica, ricca e potente, abbiamo sentito parlare anche di recente ».
Forse è anche per la sua ambivalenza che la teoria del complotto ebreo trova oggi terreno fertile tra i giovani impauriti di realtà depresse, sul piano economico e culturale. È un fenomeno che vediamo anche in Italia.
«Questo è vero. Basti vedere quel che succede in Ungheria. In una situazione di crisi profonda la proposta di un capro espiatorio preconfezionato può avere successo. Ma a questo pericolo non si risponde con una legge. Il terreno privilegiato per contrastarlo è la scuola».

16 pensieri su “CARLO GINZBURG, IL NEGAZIONISMO, UN APPELLO DEL 2007

  1. Intervista molto bella, ma non mi persuade del tutto.
    C’è sempre questo attrito di gerarchie morali tra discipline e polis. Per cui per esempio l’etica della ricerca storiografica deve essere superiore all’etica di una democrazia che deve proteggere se stessa, così come l’etica di una ricerca scientifica, per esempio sull’uso dell’energia atomica deve essere superiore all’etica di un pianeta preoccupato per se stesso. L’argomentazione classica poi è sempre quella: se tu li osteggi quelli poi fanno i martiri.
    Non sono del tutto convinta di questa cosa. Questa cosa poi ha davvero a che fare con il piano della storiografia e non della politica attuale? E’ una cosa così lontana? non stiamo leggittimando l’opinabilità della testimonianza? E non stiamo annacquandoci nella rendita di diversi anni di pace, nell’idea purila per cui la democrazia è un contenitore vuoto dove tutti possono dire e fare tutto? Ma non è vero che è così. E mi chiedo piuttosto se l’aumento dell’antisemitismo in Italia che io stessa osservo e più che mai a sinistra, non derivi dalla legittimazione a certe posizioni che anche intellettuali prestigiosi come questo avvallano.

  2. E non potrebbe essere che quello che l’aumento di quello che definisci “antisemitismo” derivi da certe posizioni assunte da alcuni ebrei (es. alcuni governanti israeliani) nel loro paese e fuori, al loro disprezzo per il diritto internazionale e all’uso improprio che continuano a fare dell’olocausto per giustificare i loro crimini?
    Me lo chiedo da ebrea.
    Se lo chiede anceh Ginzburg, credo, ebreo anche lui.
    E con lui la quasi totalità degli storici: alcuni esempi? Se lo sono chiesti qualche anno fa anche lo storico inglese Tony Judt (ebreo) e uno dei più autorevoli storici dell’olocausto, Raul Hilberg.

  3. @Zauberei
    Posso porre una domanda sincera? Lei è per caso ebrea? Nel caso lo fosse la invito a considerare la possibilità che lei soffra di una forma di ossessione. Dove sarebbe oggi l’antisemitismo in Italia? Nelle statistiche zero virgola zero del centri documentazione ebraico contemporaneo (CdEC)?
    Nutro il sospetto che il problema sia una truffaldina nozione deviata di antisemitismo – proposta e caldeggiata da organizzazioni filoisraeliane – che vi includa l’antisionismo, e nello specifico lo identifichi con la politica Israeliana nei confronti dei palestinesi.In questo caso anche io risulterei antisemita.
    Mi dispiace ma a questo ricatto non ci sto.
    Loredana Lipperini ci potrebbe illuminarci?

  4. Ecco… dopo il commento di PO direi che quoto Zauberei in pieno, i suoi dubbi riguardo alla questione del negazionismo sono anche i miei. L’antisemitismo dei nostri tempi (soprattutto quello di sinistra) è anche questo, pur essendo PO convinto di non essere antisemita. Comunque il post è sul negazionismo.

  5. @PO, non mi pare che qualcuno qui usi l’antisemitismo in modo ricattatorio per rivalutare in qualche modo le politiche di Israele.
    Ginzburg per primo nell’intervista le definisce ripugnanti, ferocemente ingiuste e suicide, e dice che l’antisionismo spesso è una “maschera” per l’antisemtitismo.

  6. In effetti, come si dice nell’intervista, il sentimento che gli ebrei costituiscano una casta da disprezzare è tuttora diffuso. Si è citato, sempre nell’intervista, il 1321 e si può anche citare la bolla di quel Papa che, quando Avignone fu colpita dalla peste e perse tre quarti dei suoi abitanti, chiese ai sopravissuti di “non bruciare gli ebrei poiché essi si ammalano come noi”. Allora era superstizione, ma non vedo così tanta differenza con la contemporaneità, dove ancora dodici anni fa si è fatto il conto di quanti ebrei fossero presenti nelle Torri Gemelle.
    Questo significa che quel sentimento di disprezzo è ancora presente.
    Non posso che trovarmi d’accordo con quel che si ribadisce: educazione scolastica. Ma un’educazione mirata non soltanto a superare le superstizioni, ma pure a non reagire in modo avventato e spesso emotivo di fronte a quel che succede. Perché si fanno degli errori che finiscono col costare caro, certo non caro quanto il prezzo pagato dagli ebrei e dagli zingari, ma egualmente sinonimo di inciviltà e di incomprensione. Questo lo scrivo perché vedo avventatezza sia da parte di coloro che si interrogano sulle questioni storiche senza averne le conoscenze, in modo insensibile e doloroso (specie se l’interrogazione appare sugli scenari pubblici), sia da parte di coloro che vorrebbero riscattare o almeno far comprendere quanto dolore sono costate e costano ancora quelle questioni pagate sulla propria pelle.
    Di questa avventatezza, da ogni parte coinvolta, mi piacerebbe che si trovasse un rimedio.
    Non sono però d’accordo sul fatto che il negazionismo non debba essere perseguito legalmente. Perché se si prova con documenti effettivi che si falsificano vicende storiche per perseguire un proprio regime politico e queste falsificazioni, che potrebbero rientrare nelle negazioni, non vengono perseguite, non è possibile l’attuazione di una vera democrazia. Si commetterebbe un danno prodotto dalla diffusione di informazioni false, che è forse uno dei danni maggiori fatto alla creazione di un mondo libero.

  7. “Il terreno privilegiato per contrastarlo è la scuola.”
    Questa mi sembra la risposta migliore, di gran lunga preferibile a leggi imposte dall’alto che difficilmente arginerebbero il problema.
    P.S.
    Visto che nel post compare un accenno al “livello morale di Montanelli”, mi permetto di rimandare a questo link. Però non voglio far deragliare la conversazione (il focus dei commenti deve rimanere orientato sul tema principale, il negazionismo), quindi aggiungo un “fine OT”.
    http://www.youtube.com/watch?v=QGSQ_ZEgViU

  8. L’antisemitismo in Italia c’è, sdoganato insieme al razzismo e presente in forme ora striscianti, ora conclamate. Non basta un ordinamento giuridico non discriminatorio per affermare il superamento del problema; non c’è necessariamente allineamento tra sentimento comune e normativa, altrimenti non sarebbe mai nata una nozione come quella di “costituzione materiale” che non si capisce cosa significhi, se non che gli italiani non hanno interiorizzato nemmeno la propria legge fondamentale e preferiscono praticarne un’altra – diciamo così – meno impegnativa. Figuriamoci le leggi a contrasto delle discriminazioni, che tanto generosamente abbiamo sempre praticato.
    Però sul reato di negazionismo io concordo in toto con Ginzburg. Zauberei, hai ragione quando fai notare che l’etica pertinente a un certo ambito non deve necessariamente prevalere su quella che emerge da altri campi del nostro agire: è un’idea rozza di democrazia, quella di chi sostiene che in questo regime politico tutti debbano essere liberi di dire ciò che vogliono e di organizzarsi politicamente come meglio credono, negando di fatto alla democrazia qualsiasi strumento di autodifesa. Un po’ come quelli che pensano che la democrazia coincida con il suffragio universale, che molto spesso fa emergere leadership che di democratico non hanno niente (vedi Hamas). Le democrazie sono tali se le libertà, che necessariamente entrano in contrasto tra loro, sono incanalate in un alveo definito da una legge fondamentale e da altre norme. Nella nostra democrazia, per dire, è (diciamo sarebbe, e stendiamo un velo pietoso) vietato ricostituire il partito fascista; e quindi non viene (giustamente, dico io) riconosciuta la libertà di espressione di chi quella stessa democrazia vorrebbe sovvertire. Qui però non stiamo parlando di un’organizzazione politica, cioè di un’azione manifestamente ostile allo stato democratico, ma di soggetti che ritengono di poter dimostrare storicamente l’esistenza o l’inesistenza di qualche cosa, e che utilizzando indagini e strumenti storiografici possono essere e sono adeguatamente confutati. Secondo me questo basta, perché credo che la legge non dovrebbe intervenire a tutela di interessi, diritti e sensibilità che possono essere difesi con strumenti meno invasivi. Si potrebbe e si dovrebbe vietare e perseguire qualsiasi organizzazione di queste persone in forma politica, questo sì, perché in quel caso si configurerebbe una minaccia reale per lo stato e per i cittadini che lo stato tutela, tra cui, nel caso specifico, quelli ebrei. Si pone anche un altro problema, poi, che è quello della possibilità di far effettivamente rispettare quella legge: in un caso come questo non sarebbe facile, potendo il reato articolarsi in forme hard e facilmente distinguibili, sì, ma anche in modalità di non immediata evidenza e connotate da ambiguità. E introdurre un divieto che non si riesce a far rispettare può essere pericoloso, perché tra norme e valori c’è una retroazione: non sono solo i valori a venir codificati nelle norme, ma anche le norme ad esercitare un valore segnaletico della sensibilità di una certa comunità; una norma disattesa rischia quindi di segnalare l’impotenza di quella collettività rispetto al valore che si vorrebbe difendere, e di conseguenza la sua scarsa rilevanza di fatto. Inoltre, mettere sotto tutela legislativa una certa verità storicamente acclarata comporta il rischio di sterilizzarla, quella verità, scoraggiando eventuali studiosi che vogliano arricchirla di ulteriori particolari, per l’evidente rischio politico a cui i loro lavori sarebbero esposti. Questo non implica, a mio avviso, consentire azioni come l’adozione di un testo scolastico a connotazione negazionista, o mandare in prima serata una fiction in cui gli americani costruiscono le camere a gas per screditare i nazisti; ma penso che siano sufficienti strumenti di vigilanza diversi dalla legge, e già esistenti, per prevenire questi abusi. Non sottovaluterei neanche il diritto di tribuna che si conferisce implicitamente a questi soggetti, regalando loro il palcoscenico di un processo pubblico; anni fa erano considerati dei mentecatti, personaggi quasi pittoreschi nel loro squallore; ora un ventennio di caduta libera delle coscienze li ha sdoganati, come si dice, e le polemiche gli hanno fornito la cassa di risonanza che andavano cercando: non penso sia opportuno dargli ulteriori occasioni di ribalta.

  9. Ma la cosa si ferma al negazionismo dell’Olocausto (che in questo caso diventerebbe un ‘unicum’ nella storia dell’Umanità) oppure si estende a tutti gli eventi storici, per cui la differenza d’opinione viene sostituito dalla ‘verità’, cioè il giudizio unanime di storici competenti, così se uno, per esempio, ritiene che gli Usa abbiano fatto bene a intervenire in Iraq o in Vietnam, oppure l’Urss in Ungheria e Cecoslovacchia, non esprime un’opinione sbagliata da confutare ma un reato da perseguire? Se uno esprime dubbi sulla ricostruzione ufficiale del rapimento e uccisione di Aldo Moro può essere perseguito ufficialmente in quanto ‘negazionista’?
    Credo sia questa la preoccupazione di Ginzburg e altri storici.

  10. @ Sacha – sulla necessità della legge ho idee e sentimenti contrastanti – tuttavia tu confondi i piani: negli esempi da te forniti ci sono persone che si dividono sull’interpretazione dei fatti senza negarli. Non c’è nessuno che nega l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss o degli Stati Uniti in Vietnam. Si discute tra persone con idee anche opposte avendo come punto come un fatto: per esempio l’invasione dell’Ungheria. I negazionisti dicono che lo sterminio non è mai esistito. E’ diverso non trovi? Come si possono avere opinioni differenti con qualcuno che nega l’esistenza di un fatto?

  11. credo che Ginzburg si preoccupi anche di un altro fenomeno.
    La paranoia e il suo uso strumentale (politico, pubblicitario, propagandistico).
    Se c’è uno che non apprezzo, complessivamente, è Odifreddi. Credo che il ritratto che ne ha fatto Grasso sull’Espresso sia piuttosto calzante, almeno per quanto riguarda i suoi tratti cultural-caratteriali. Ma è stato definito da tutti i giornali “negazionista” per avere usato l’olocausto (in modo poco opportuno e provocatorio, per farsi pubblicità – è il suo stile “impertinente”) per fare un discorso su scienza e verità, logica matematica e compagnia bella. Non è un negazionista. Eppure…
    Un altro è Norman G. Finkelstein, ebreo figlio di sopravvissuti ad Auschwitz, e autore di “L’industria dell’olocausto”. Non è un “negazionista” – come potrebbe esserlo, se le intere famiglie dei genitori sono state sterminate? – ma dopo la pubblicazione del libro (apprezzato da grandi storici ebrei come Hilberg e Judt, appunto – vedi sopra) non ha mai più trovato una università disposta a dargli un incarico di insegnamento. Nonostante la stessa università che lo ha estromesso (di fatto) negandogli la cattedra che gli spettava (DePaul, IL) dopo anni di insegnamento, abbia ammesso in un comunicato ufficiale che F. aveva tutte le carte in regola per avere il posto: numero e valore delle opere pubblicate (sottoposte a peer review), gradimento degli studenti, dedizione al lavoro, ecc. Il corpo insegnante dell’Università e gli studenti hanno protestato per sostenerlo, e per sostenere la libertà di espressione, appelli sono stati firmati da storici e intellettuali, come quelli citati sopra, Noam Chomsky e molti altri. Ma niente: dal 2007 Finkelstein è disoccuppato.
    Oggi vive in un monolocale a Staten Island, e dice: “Ormai sono vicino ai sessanta, non credo che avrò mai più un lavoro. Googlate il mio nome su internet e vi usciranno diecimila pagine sul negazionismo. Con queste credenziali, quale board universitario accetterà anche solo di verificare le mie credenziali? Di aprire – non dico leggere – uno solo dei libri che ho scritto?”
    CHi non lo ha visto, proprio su questo tema del negazionismo – vero o presunto – può guardare il bellissimo documentario: “American Radical – The Trials of Norman Finkelstein”. (con sottotitoli italiani)
    Siccome ho un po’ paura di essere definita negazionista anch’io, solo per averlo ricordato, torno a firmarmi: Diana Corsini, figlia di un’ebrea. Quindi io stessa ebrea.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto