CITIZEN CRITICISM

Ogni tanto mi chiedo perchè il citizen criticism, la critica letteraria dal basso attuata soprattutto in rete, venga considerata così poco dai media mainstream. Su aNobii, per esempio, mi capita di leggere recensioni eccellenti da parte dei lettori. Di contro, mi capita di rimanere spesso basita davanti a certe autorevoli considerazioni su carta.
Per esempio, quella di Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera di ieri, nella sua rubrica “Il piccolo fratello”. Di Stefano traccia un parallelo fra Alda Merini e Roberto Saviano, basandosi sulla “rappresentazione, opposta e speculare, della letteratura che volenti o nolenti restituiscono al pubblico. Una rappresentazione ingenua, priva di sfumature e molto popolare”.
In sintesi, dice Di Stefano, Merini ha compiuto un’identificazione fra vita, poesia e follia, perpetuando il concetto di trance pseudoromantica dell’artista necessariamente “maledetto”.
Quanto a Saviano,  “finisce per assecondare un cliché diffuso quanto superficiale dello scrittore in aperto agonismo con il mondo: anche per lui la letteratura non basta a se stessa”. Di Stefano cita lo spot della serata televisiva di questa sera (su Rai Tre, lo speciale di Che tempo che fa, guardatelo), e virgoletta le parole di Saviano: la letteratura deve essere al servizio della società immergendosi nella realtà,  e lo scrittore deve avere un ruolo attivo, a differenza di quello che aspetta il tempo in cui si realizzino le sue fantasie.
“Saviano – scrive Di Stefano – sembra scommettere sull’ispirazione del basso, condannando gli altri veri scrittori alla sua stessa condanna: realtà e impegno. Come se bastasse un travaso dal piano civile a quello estetico per fare vera letteratura. E come se l’etica non si trovasse altrove che nella realtà. Ambedue, Merini e Saviano, propongono il loro tragico destino come principio universale e capolavoro in sé: Lo scrittore, per essere tale, deve immolarsi alla vita e alla società. Ma secondo questa prospettiva (molto telegenica anche se uscita da un dolore indiscutibile), non sarebbero letteratura i capolavori della letteratura: da Omero a Proust da Kafka a Pessoa a Svevo a Montale”.
Ora, si dovrebbero confutare le affermazioni di Di Stefano. Di cosa racconta Omero se non di vita e società? E che significato viene dato alla parola etica e a quale piano di realtà andrebbe applicata? E, soprattutto, cosa sarà mai la vera letteratura e chi, di grazia, ne ha dato la vera definizione?
Ma non è questo che mi interessa (pazienza, fornirò agli arguti scrittori satirici di Cabaret Bisanzio ulteriore motivo di sghignazzo: ben venga). Mi interessa, e mi lascia ogni volta stupefatta, il ribollire di veleni che Saviano ha suscitato nell’asfittica “società letteraria” di casa nostra, dove sul giudizio che viene dato a proposito di un libro si allunga quasi sempre l’ombra dell’opera – più o meno negletta – del recensore. A volte il recensore medesimo la cita (“io ho scritto un capolavoro e nessuno ne parla!!!”), con una faccia tosta e una mancanza di pudore incommentabili. Altre volte la sottintende, lasciando che il lettore intuisca (il senso è: bisogna essere perseguitati dalla camorra per avere spazio sui giornali e in televisione?).
Intendiamoci: è umano anteporre quel che esce dalla propria tastiera a tutto il resto, considerando se stessi autori immortali e per questo non abbastanza compresi dal crudele mercato monopolizzato da altri. Ma non è etico, appunto, questo continuo borbottio nei confronti di uno scrittore che non ha semplicemente scritto un best-seller: ha scritto un  libro che ha segnato uno spartiacque nelle vicende letterarie  italiane.  E che continua a rivelarne, alla bisogna, le miserie.

57 pensieri su “CITIZEN CRITICISM

  1. Scusate il ritardo con cui intervengo (alla faccia delle teste di c***o che dicono che un insegnante non lavora: ieri sono entrato a scuola alle 8.00 e ne sono uscito, (salvo un panino al volo al bar, alle 19.00).
    In sintesi:
    1. degli inteventi di WM4 io, se avessi un blog, ne farei un post permanente. E non solo di questi: mi scappello davanti a tanto fosforo, e come faceva Fortini prendo nota.
    2. Con buona pace di Di Stefano: sì, la letteratura non basta a se stessa. Chi pensa che basti a se stessa è un paraculo che guarda la parete, o lo specchio del bagno prima di farsi la barba. Nessuno degli esempi citati da Di Stefano corrobora la sua asserzione, e in tutta franchezza piuttosto che spiegare perché Omero, Montale, Kafka, ecc. non sono “letteratura che basta a se stessa” e confliggono col mondo circostante preferirei spiegare che la combustione non è causata dal flogisto, che tra Terra e Marte non c’è l’etere, che non esiste un disegno intelligente che governa l’evoluzione, o che i treni che superano i 40 Km orari non faranno crollare le gallerie sotto cui passeranno.
    3. Di Stefano e Garufi sono un esempio adeguato, esaustivo e autosufficiente di cosa significa passare il tempo a cercare di inculare le mosche: ma che glielo dico a fare?
    4. Siccome tutto torna: la critica alla non-autosufficienza, o non-autoreferenzialità della letteratura nella pratica e nella manualistica scolastica (vedi, uno per tutto, “Il materiale e l’Immaginario” di Ceserani-De Federicis come oggetto polemico) è uno dei cavalli di battaglia di chi ritiene che la letteratura (e il suo insegnamento) debbano ritornare indietro di 50 anni. Nei curricoli per l’insegnamento dell’italiano preparati dal ministro Moratti (e tutt’ora sul tavolo del ministro Gelmini) la teoria letteraria si arresta là dove finisce l’elenco degli autori italiani del Novecento: a Riccardo Bacchelli.

  2. ai tempi dell’università lessi un saggio che credo s’intitolasse “storia di un’iniquità”. l’autore era un’ispanoamericanista, e il libro trattava del più grande e terribile genocidio che sia mai avvenuto, quello degli indios precolombiani da parte dei conquistadores spagnoli. pare che ne morirono 50 milioni, anche se per la maggior parte di malattie importate dall’europa e alle quali non erano preparati. di quel testo ricordo solo una frase che mi colpì, e che potrebbe servire anche qui, illustrando quel concetto secondo cui disumanizzare l’altro, in positivo o in negativo, è sempre sbagliato. diceva che la tragedia scoppiò soprattutto perché gli spagnoli videro negli indios degli animali, e gli indios videro negli spagnoli dei semidei. nessuno riconobbe nell’altro l’uomo.

  3. Cristiano ok! Purtroppo esprimere civilmente una critica, un’opinione su Saviano che non sia nel solco apologetico, è ignominioso, oppure fascista, per usare una categoria cara alla Lipperini. Discutere, con argomenti, l’interpretazione di Saviano sulla letteratura non è reato. Soprattutto quando si sostiene che la lotta sociale e culturale è il fondamento della letteratura.

  4. Mi permetto di dire che, a mio avviso, l’ultima cosa che interessa a Saviano è essere considerato un buono o un pessimo scrittore. Credo che il suo impegno vada ben oltre la critica becera di chi pensa di potergli affibbiare un voto. Mi sconvolge l’assoluta mancanza di rispetto verso una persona che sta pur sempre cercando di rappresentare un paese in balia dell’omertà estesa a ogni campo, azione, angolo di Italia. E c’è chi ha ancora il coraggio di dirgli che siamo costretti a pagargli la scorta. é una cosa indegna. e se questo Cristo ha voglia di dire che la sua voce è al servizio della società lasciateglielo fare, ma che fastidio vi da? Non capisco.

  5. Un’altra cosa che mi fa sorridere è questo tentativo estremo e disperato di voler ingabbiare Saviano in una definizione a tutti i costi. Questa necessità purigiginosa di definirlo martire o eroe. Questa sorta di sociologia applicata all’effetto Saviano. A che pro? Quale è la ragione?

  6. l’impegno sociale/civile dello scrittore come obbligo morale è un concetto che mi fa pena. cioè provo pena per chi propugna idee così inutili. l’impegno sociale/civile come obbligo morale del giornalista, al contrario, è una cosa auspicabile, ammirevole, sexy.
    non ho letto ‘gomorra’ perché per adesso non mi attira. magari un giorno lo leggerò. anzi di sicuro lo leggerò, ma solo quando mi sarò solipsisticamente convinto che si tratta di un reportage e non di un romanzo. se lo penso come romanzo, così, tout-court, non mi interessa.
    (le opinioni espresse in questo commento sono frutto dell’esperienza personale dell’autore e non hanno intento pedagogico. ogni riferimento a fatti e cose realmente accaduti ad altri è casuale e, per l’autore del commento, irrilevante)

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