COME DARE RAGIONE A BAUDRILLARD E PREOCCUPARSENE

“Telematica privata: ognuno si vede promosso al comando di una macchina ipotetica, isolato in posizione di perfetta sovranità, a distanza infinita dal suo universo originale”.  1987: così scriveva Jean Baudrillard in un testo famoso (ma non famosissimo), “L’altro visto da sé”.

Prima, in piena epoca postmoderna, una parola, quintessence, aveva sostituito l’aura perduta degli oggetti d’arte di cui parlò Benjamin: la quintessence è quel che carica momentaneamente le cose di significati e  le trasforma in espressioni del proprio tempo, in grado di attraversare contemporaneamente più gruppi sociali, di portare lo stesso messaggio, con le dovute varianti, a persone diverse.
Baudrillard e i teorici del postmoderno hanno molto a che spartire con una discussione importante che è nata ora, nei giorni della catastrofe (perché i nostri tempi hanno questa caratteristica, né buona né cattiva, semplicemente, appunto, figlia del tempo: che l’astrazione nasce negli stessi momenti della cronaca, prima ancora che questa abbia avuto modo non dico di sedimentarsi, ma di terminare). Si è parlato di come l’emergenza abbia portato al punto più alto la moltiplicazione delle fonti di informazione e la caduta di barriere fra chi all’informazione stessa è deputato per titolo e collocazione e chi no. Ne trovate esempi sui blog di Zetavu e di Mario Tedeschini Lalli.

A quella discussione mi piacerebbe aggiungere un corollario che riguarda l’uso delle immagini. In questi giorni ognuno di noi ha visto filmati e fotografie impressionanti per puntualità, angolazione, potenza, dovute a semplici turisti e non al Capa che si trovasse in quei luoghi per fissare nella storia un evento, rischiando la propria stessa vita. In molti, credo, ci siamo chiesti se il turista che fissava la sequenza dell’onda lo facesse con la consapevolezza di star compiendo un gesto informativo di grande importanza. Mi viene da dire no, non è così.

Perché l’uso di telecamere, camere digitali,  videofonini sta diventando qualcosa di assolutamente connaturato con il vedere. Un’estensione del vedere stesso, anzi. Guardatevi intorno, in situazioni minime e quotidiane: una visita ad un museo, una recita scolastica, una gita, un concerto, un viaggio. Prima si fotografa o si filma, poi si guarda. E’ qualcosa di più della perdita dell’aura: è il fissare il presente prima (o invece) di viverlo. Rimandare l’emozione al momento del rivedere. Porre una distanza dall’emozione in favore del conservare.

Non ho mai amato particolarmente Baudrillard, ma a volte mi torna in mente la domanda con cui concludeva quel breve saggio di sette (otto, quasi) anni fa: “E se la realtà, sotto i nostri occhi, si dissolvesse? Non nel nulla, ma nel più reale del reale, il trionfo dei simulacri?”. Anche questo, non è né un bene, né un male. E’ un fatto, ma sempre più evidente, sempre più potente.

18 pensieri su “COME DARE RAGIONE A BAUDRILLARD E PREOCCUPARSENE

  1. Direi che manca una considerazione: se la nostra coscienza della memoria si disfà, tutti gli ausili, i simulacri, le memorie esterne perdono significato ugualmente, confermando la centralità insostituibile della mente per interpretare e comprendere.

  2. La mia risposta a questo topic è quella di rifiutare un discorso filosofico sull’aura dell’opera d’arte e sulle immagini perché ci sono cose più basse e fondamentali di cui parlare.
    Oggi leggo un link postato da Loredana, (esattamente qui: http://www.einaudi.it/einaudi/ita/catalogo/scheda.jsp?isbn=978880616743&ed=87 ) dice che “Skill” di Alessandra C è “Il primo romanzo che porta il lettore, con assoluta naturalezza, direttamente dentro il Game elettronico.”
    Io sono un consumatore di libri e consumarli significa leggerli.
    Tolgo un libro dall’ultimo scaffale a sinistra della mia libreria, cioè la zona italiani. Apro a pag. 34, leggo:
    “Dovrò inserire anche lui nelle articolazioni di guerra del mio videogame. Dovrò fare in modo che non possa intercettarla sulla sua strada, nonostante io debba dare a chi giocherà a questo videogame tutte le opzioni perché ciò possa avvenire. Lavorando negli interstizi dei piani inclinati, sulle soggettive falsate, prima che i giocatori prendano in mano i pulsanti di fuoco del joystick, operando nel turbine luminoso dei pixel, inserendo virus di sicurezza, nemici di fine livello dappertutto.” e poi si va avanti così, si entra nel videogioco nel romanzo nel caos. Il libro è “Canti del Caos – seconda parte” di Antonio Moresco, è uscito nel 2003, un anno prima di “Skill”, ma per il compilatore di quella scheda, per le persone che l’hanno segnalata, “Skill” esiste, “Canti del Caos” no. Eppure Moresco è uno dei più grandi scrittori oggi in Italia.
    Questo è il modo in cui si lavora da Einaudi.

  3. sono d’accordo con Adrix. se si affida a strumenti esterni la coscienza della memoria questi servono a ben poco e invece noi stiamo facendo questo. non è affatto una stupidaggine, è vero. a capodanno sono stata a una festa dove invece dei bicchieri per brindare si alzavano i videofonini.

  4. Solo per chiarezza: Andrea, io non ho “postato” quel link e non lavoro presso Einaudi. I miei rapporti con la casa editrice si limitano alla famigerata antologia. E, come per altri editori, alle recensioni di alcuni libri (fra cui Skill, che mi fa piacere che tu possegga). La pubblicazione di un libro non fa della sottoscritta nè la compilatrice delle schede Einaudi nè la curatrice del sito web della medesima.

  5. Solo per chiarezza Loredana:
    1) il link era poco tempo fa sul tuo blog, me lo ero tenuto in mente perché non avevo il tempo per leggerlo bene, ed è una scheda ufficiale di Einaudi;
    2) non ho detto che lavori per Einaudi, ho detto che avalli postando quel link un certo modo di fare mediazione nella cultura;
    3) indipendentemente da tutto questo la scheda einaudi riporta una notizia falsa quindi, tu potresti chiedere che sia corretta, oppure potrebbe chiederlo direttamente Alessandra C dietro tua segnalazione, lei lo saprà chi ha compilato la scheda no?
    Tra qualche giorno mi collegherò di nuovo per verificare che sia stata corretta, se non è così romperò ancora le scatole.
    4) non ho espresso alcun giudizio su “Skill” ma solo sul modo di proporlo al pubblico a scapito del lavoro di altri scrittori, che, se mi permetti, valgono qualcosa più di Alessandra C.
    4) detto tutto quello che ho detto sopra, mi sembra di avere a che fare con dei bambini sottosviluppati. E poi ti chiedi perché la gente cerca le recensioni nei blog invece che nelle sacre pagine dei quotidiani comprate dalle sacre case editrici.

  6. Da brava ex bambina sottosviluppata continuo a non capire, infatti: io ho linkato il sito personale di Ale C, http://www.kinakuta.it, nel quale la medesima ha riportato la scheda di Einaudi (ad esser pignoli, caro Andrea, il link presente nel mio post non coincide affatto con quello da te riportato, infatti). E’ un suo sacrosanto diritto, mi pare. E, per cortesia, non tiriamo fuori il discorso “con il link tu avalli etc.etc.” perchè sa di studio legale 🙂
    Linko una scrittrice che stimo, liberissimo tu di rivolgerti ad Einaudi per chiedere un’errata corrige se la cosa ti fa felice, liberissimo Antonio Moresco, probabilmente, di farsi quattro risate sull’intera faccenda. Personalmente, in questo caso, non intendo fare da mediatrice 🙂

  7. Lipperini mia,
    veda, queste storiche ed emblematiche e confuse parole che Lei qui ci volle apporre quale memento:
    “E se la realtà, sotto i nostri occhi, si dissolvesse? Non nel nulla, ma nel più reale del reale, il trionfo dei simulacri?”. Anche questo, non è né un bene, né un male. E’ un fatto, ma sempre più evidente, sempre più potente.”
    Tutto ciò è una finta, una gran bella figata, a parole, solo parole, che di questo si tratta, poi il reale è qui è là, è sotto è sopra, altro che simulacri gettati qui tanto per sbalordire: non diveniamo adoratori di parole, per piacere.
    Il reale è in questo momento nel mio muover le dita per scriverLe, è nel leggere di ciascuno, in questo nostro morire giorno per giorno, in pezzi andiamo, ci maceriamo ed andiamo parlando di simulacri.
    Non facciamo come alcune generazioni di di alcune scuole buddhiste che andavano cianciando ed elucubrando che il mondo fosse solo illusione.
    Pare che così sentendo ed intendendo la sofferenza sia meno profonda. Anestetici.

  8. Continuiamo il gioco dei bambini: collegarsi al sito di Alessandra C, e questo fino a cinque minuti fa, significa aprire automaticamente quella scheda (è la prima cosa che appare), quindi se non vogliamo fare gli azzeccagarbugli linkare kinakuta.it è linkare la scheda di Einaudi che riporta una notizia falsa. Della reazione di Moresco a me non interessa, ne ha viste sicuramente di peggio per non ridere in faccia a chi ha scritto la scheda. Quello che mi importa, so che ti potrà sembrare strano ma anche i lettori le hanno, è la MIA reazione per aver letto quella baggianata.

  9. Mi piace quest’approccio: non è un bene, ne’ un male, è semplicemente un’aspetto del tempo che viviamo. Fa pensare al fatto che siamo del tutto impotenti di fronte a un cambiamento il cui tempo sia giunto.

  10. Mi piace quest’approccio: non è un bene, ne’ un male, è semplicemente un’aspetto del tempo che viviamo. Fa pensare al fatto che siamo del tutto impotenti di fronte a un cambiamento il cui tempo sia giunto.

  11. Francamente non capisco il nesso (o quanto stretto sia il nesso) fra il rimandare l’incontro con il reale, e il conservare invece di vivere, e la dissoluzione della realtà nei simulacri. Non ogni modificazione del reale o del suo incontro con esso comporta la dissoluzione o la vanificazione del reale stesso. Se qualcosa cambia, non per questo cessa. Puoi continuare tranquillamente, credo, a non amare in modo particolare Baudrillard. Ciao

  12. Mi piace quest’approccio: non è un bene, ne’ un male, è semplicemente un’aspetto del tempo che viviamo. Fa pensare al fatto che siamo del tutto impotenti di fronte a un cambiamento il cui tempo sia giunto.

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