COMPARTIMENTI

Valerio Evangelisti recensisce “Seven” su Carmilla e fa una premessa. La premessa mi sembra molto interessante e la riposto.
Esiste una solida narrativa italiana “di genere” che, senza essere in alcun modo egemonica nel mercato librario, come alcuni hanno preteso con allarme, si è conquistata una buona quota di lettori. Ha i propri festival, i propri luoghi d’incontro, le proprie riviste. Talora conosce trasposizioni cinematografiche e televisive. Per lo più, salvo importanti eccezioni (Camilleri, Carofiglio, in parte Lucarelli), conduce una vita del tutto separata da quella della letteratura generale. Quest’ultima guarda al “genere” con disprezzo e lo accusa in toto di essere paccottiglia. Peggio, di rappresentare un fenomeno pericoloso, perché toglierebbe spazio nelle librerie all’editoria di qualità, dalle piccole tirature, dalla scrittura raffinata e dai contenuti “alti”. La narrativa di genere, definita in toto di consumo, parteciperebbe quindi attivamente all’attuale trasformazione delle librerie in supermercati, destinati a ospitare prodotti di rapida e facile fruibilità, condannati a un veloce oblio.
Dal canto loro, gli scrittori di “genere” sono di norma indifferenti a simili giudizi, e al disprezzo e alle contumelie periodicamente riversati sul loro lavoro. La maggior parte di essi non appartiene alla categoria “bestseller”, né aspira a entrarvi. Nelle librerie figura su scaffali certo folti, ma ben delimitati, a cui si accosta solo chi manifesta un non generico interesse per la loro opera. Puntano, più che a un riconoscimento letterario complessivo (salvo alcuni, ma sono minoranza), alla fidelizzazione di un determinato pubblico. Non sono interessati a premi di prestigio, si chiamino Strega, Campiello o altro. I più consapevoli di loro considerano quel mondo in maniera beffarda: si sono formati su autori – Salgari, Lovecraft, Conan Doyle, Asimov ecc. – sopravvissuti intatti attraverso i decenni, mentre il vincitore di un premio di fama, al di là dei vantaggi immediati che la vittoria procura all’editore o all’autore, cinque o sei anni dopo è spesso totalmente dimenticato. Il loro è un mondo letterario parallelo, retto rispetto all’altro da diversi scopi, da diversi modi di essere, da diversi comportamenti.
E’ sempre stato così, da molto prima che la libreria si trasformasse in “megastore”. C’è voluto un secolo e mezzo perché Dumas fosse riconosciuto un autore importante, e la sua salma traslata al Panthéon. Salgari conviveva con Fogazzaro e D’Annunzio, ma in un universo separato. Ancora oggi moltissimi critici, persino statunitensi, sono restii ad accordare a Stephen King, o quanto meno a una parte della sua opera, un qualsiasi significato culturale. L’ambito della letteratura è stato compartimentato fin quasi dalla nascita della narrativa come oggi la concepiamo. E’ uno stato di cose di cui va preso atto perché, a parte contaminazioni “pulp” relativamente recenti, non si modificherà tanto presto.
(segue qui)

27 pensieri su “COMPARTIMENTI

  1. Ho l’impressione che spesso ci lamentiamo della ‘ghettizzazione’ del genere come un fenomeno solo, o almeno, tipicamente Italiano.
    La questione è un po’ più complessa; di certo ha a che fare con la ristrettezza (anche mentale) del nostro mercato, ma non solo.
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    In proposito trovo interessanti le parole di Jonathan Carroll, uno scrittore inclassificabile secondo gli schemi degli editori italioti (New Weird? maybe Old Weird). Carroll è sui generis anche per la sua posizione geografica: è americano e pubblica con editori americani, ma vive a Vienna da più di 25 anni.
    .
    Comunque, due le affermazioni che mi interessano:
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    JC: “Penso che i critici definiscano il mio lavoro come fantastico perché a loro piace infilare le cose in scatole comode (per loro)”.
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    e
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    JC: “In molti mi chiedono se c’è differenza tra un romanzo americano e un romanzo europeo. Penso piuttosto che siano i lettori a fare la differenza. Quelli europei sono più aperti e apprezzano diversi generi senza problemi. Gli americani amano particolarmente incasellare i libri, la musica, la pittura. Gli europei sono molto più liberi e trasgressivi”.
    .
    Ipse dixit.
    Il resto qui:
    .
    http://kaizenology.wordpress.com/?s=carroll

  2. Sono dei linguaggi e non ci stancheremo mai di affermarlo..
    Quello “genere” solitamente si basa sull’estetica dell’azione, pertanto si muove in orizzontale, sul piano del fare, dell’intreccio e dell’attrazione.
    La letteratura “intimista” mainstream, alta o come si tenti di chiamarla invece ha il suo baricentro sull’interiorità e usa la realtà esterna per fare un tuffo verticale nel di dentro.
    Il conflitto riguarda comunque l’io.
    La narrazione comunque passa per una tensione, tenta di rispondere a delle domande perchè lo scrittore comunque è immerso in una realtà e quando è sincero sta cercando risposte che non trova altrove, di seguire un filo unico e proprio se no sarebbe lettore e leggerebbe solo risposte di altri.
    Ognuno cerca linguaggi consoni alle proprie orecchie, l’idea che esistano linguaggi alti e bassi è un terribile apartheid della mente.
    Temo che la realtà sia molto più banale ogni generazione giudica degno quello che si confà ai propri modelli e alla propria formazione ed estraneo quello che si discosta, la generazione che comanda mette la sua musica, e così via.
    Leggerò l’antologia: trovo interessante prendere lo spunto dal film, trovo invece banale e squallido copiare anche il titolo. Bastava tradurlo con SETTE, era già meglio.
    D.

  3. Nella Letteratura la Letteratura è la realtà. Nella narrativa definita “orizzontale” la realtà determina la narrazione. Certo che nelle librerie possono stare accanto Camilleri e Arbasino! L’importante è distinguerli sul piano culturale.

  4. Io anche voglio leggere l’antologia. Ammetto però che non sono il soggetto migliore. Mo dico sta cosa: la Lipperina mi fulmineràPPP ma io non mi taglio le vene nè co Salgari, nè co King, e nimanco con Asimov che ho letto lui e la fantascienza parecchia con vero piacere – ma è piacere, non stima profonda ed entusiasta…. E’ proprio una scelta di fondo che mi fa arricciare il naso. E’ quella scelta di fondo che ti condanna al genere, e io forse non sono brava a individuarla e a circoscriverla. Ma Macondo sta sempre altrove. Anche quando si sovrappongono i piani in termini di plot di circostanze etc, scrivere con l’obbiettivo del genere ecco, ha qualcosa di castrante.
    Il che l’ho evinto anche da una serie di consigli per giovani scrittori proposti dall’ottimo e persona intelligente e adorabile Sandrone Dazieri sul suo blog. I consigli cominciavano da – o aspirate a essere dei geni e tanti auguri oppure meglio che fate questo questo e quest’altro.
    Io posso gradire con piacere un prodotto che vola basso come partenza – ma stimarlo alla grande no.
    Scusate oggi sono stanca e può essere che scrivo male.
    Se trovo il link del post di sandrone lo linko.

  5. Cara Zaub, intanto ti mando qualche tuono io.
    Posso solo dirti che l’altroieri ho terminato “It” di King.
    E non mi pare che possa assolutamente considerarsi un prodotto (già il fatto che utilizzi questo termini è indicativo) che vola basso come partenza.
    Neanche “Il signore degli Anelli”. So che ti farà storcere il naso, ma anche l’Iliade all’epoca era né più né meno che un’opera di “genere”.
    Questo non mi impedisce di adorare follemente anche Macondo e i Buendia.
    Non può essere sic et simpliciter una questione di gusti?

  6. Non mi nascondo dietro un dito Ekerot. Dietro ai gusti ci sono giudizi di valore. Si io do un giudizio di valore. E per me, una certa canonizzazione del genere vincola l’ispirazione e il linguaggio di chi vi aderisce – e il risultato è meno interessante di chi a quel genere approda per caso, perchè altri ce lo hanno infilato. Oppure quelli che invece forzano il genere e se scappano fuori. Ma se li ti ispiri e li rimani – aho per me non è sta gran figata.
    Confortati – per me il signore degli anelli è un gran libro. Indubbiamente mi avrebbe sfracassato la uallera oltre ogni dire se avessi proseguito dopo pagina 30.PPPPP

  7. Caro Valerio,
    ma quale” scrittura raffinata e dai contenuti alti”! Le letteratura di genere è
    semplicemente la flatulenza della monnezza editoriale italiana. E se ci fossero scrittori di strada, scrittori scalzi? Più fantasiosi e con una lingua più indigesta, diacronica, folenghiana? Ma no!! … Con questi lettori analfabeti?! Che fanno tutto lo “strano” e l’intelligenza eccessiva di nicchia,bislacca?! Sì, questo nell’era del capitalismo della conoscenza e dello Spirito in eurodollari.

  8. Tralasciando Sterco che si commenta da solo.
    Zaub guarda che per molti versi concordo con te.
    Ci sono tanti autori che si approcciano al genere dicendo “Toh, oggi voglio scrivere un bel fantasy”.
    Questi, nel 90% dei casi, non vanno lontano. E altro che sfracassamento della uallera.
    Qualcuno sì, perché poi per strada si rende conto dell’errore fatto in partenza.
    Ma King e Tolkien non hanno approcciato il genere con queste intenzioni, semmai lo hanno creato – in qualche modo.
    Pensa ad un film che amiamo entrambi, “Inside Man”. Ce lo vedi Spike Lee dire “Mi va di girare un film su una rapina?”. Non penso proprio. Eppure è classificabilissimo come film di genere, altrettanto che come film di Spike Lee.
    E’ il motivo per cui molti racconti di Asimov dopo 2 giorni te li scordati. Ma non tutti. Perché quando ha voluto raccontare una storia, in un certo senso urgente, beh in quel caso ti emoziona e non te la dimentichi.
    Non è ovviamente il tuo caso, ma questa faccenda del genere l’hanno inventata i critici. I critici che dovevano dimostrare che i loro gusti erano superiori a quelli del pubblico. E allora, zacchete. La serie A e la serie B.
    Col rischio di perdersi il meglio.

  9. E. sostiene che l’Iliade, ai suoi tempi, era un opera di ‘genere’. Quindi, mi sa che c’erano dei letterati che la disprezzavano e le preferivano una letteratura ‘seria’. Mi piacerebbe sapere qualcosa di loro. Del resto E. pensa che la Bibbia e la Divina Commedia siano letteratura ‘fantastica’. Alla fine comunque è una questione di ‘gusti’ e si sa ‘i gusti non si discutono’, si disprezzano quelli altrui – inferiori – e si ammirano i propri – superiori. Cosa vi sia di più spregevole, in campo artistico, di gente che ammira i propri gusti, non lo so. Gente che sente il bisogno di sentirsi superiore e che, a differenza dei critici, non vuole perdere tempo a spiegarlo: è superiore e basta. Tutta una faccenda di emozioni: loro ce l’hanno e gli altri no.
    Beh, pazienza, ce ne faremo una ragione, noi che non ci sentiamo superiori solo perchè ci piacciono [inserire nomi di scrittori, romanzi, film, canzoni etc preferiti]. I gusti sono utili per orientare gli acquisti (non si può vedere-leggere-sentire tutto) ma farne un feticcio, com’è carattere della nostra epoca, è solo deleterio.

  10. Piena cittadinanza ai libricini di Camilleri, Carofiglio, Lucarelli, De Cataldo, e poi su altre sponde Ammaniti, Scarpa, Scurati, Evangelisti, Patrignani, e poi su altre aree Mazzantini, Avallone, e poi sui martoriati fogli Piperno, Tamaro, Moccia, Faletti, e poi sulle terrazze Tabucchi, Maraini, e poi su scogli lontani i sentimentalisti edificanti e cioè Coelho e Veltroni, e poi i vendutoni tutti uguali, stessa lingua standard, stesse metafore (King, Cornewell, Don Brown) ecc. ecc. NON E’, però, LETTERATURA. Anche nella mia biblioteca c’è un’imbarazzante promiscuità fisica, superata dopo che la vista lascia spazio all’elaborazione cerebrale. Non è questione di sere a e serie b, o di “purismo”, ma di Letteratura e non letteratura. La moda e la vendita non possono spazzare via una gerarchia estetica.

  11. Dinosauro: usare maiuscole è tipico del fantasy. Il passaggio da letteratura a Letteratura è, tipo, il passaggio da una semplice scrivania alla Scrivania, che una volta dotata di maiuscola diventa magica. Tu quindi sei un commentatore di genere. Benvenuto!

  12. dinosauro, dire – come fai tu – che King usa la stessa lingua standard e le stesse metafore di Cornewell e Dan Brown vuole dire che o non li hai proprio letti, o li hai letti in pessime traduzioni.
    La lingua di King e’ talmente curata e falsamente semplice da fare tremare quando la si legge in inglese. E non bisogna essere kinghiani di ferro per capirlo. Basta leggerla in inglese. Altrimenti si dicono fregnacce.

  13. Giusto ieri s’è conclusa una maratona di lettura a Milano, dove ho aprtecipato anch’io. Cent’anni di solitudine in due giorni.
    Alal solita domanda del solitog iornalista (cosa le è rimasto di quel libro) ho risposto: GGM ci ricorda una cosa semplice: che la divisione fra narratore e scrittore è artata. L’idea che da una parte c’è un produttore di narrazioni pure, di plot, di racconto (dallo stile piatto e di servizio), e dall’altra c’è la scrittura pura, lo stile, indifferente alla narrazione è una fregnaccia.
    “Cent’anni di solitudine” è una narrazione avvincente scritta con una lingua straordinaria. E riesce ad essere assieme culto e popolare.
    I capolavorti sono (anche) queste cose qui. “Tutto il resto”, per dirla col Califfo, “è noiaaa”.

  14. Sasha vai pure a riguardarti qualche buon manuale di letteratura greca.
    L’Iliade apparteneva all’Epica. Un genere. Essì, proprio un genere.
    Che si scriveva in esametri.
    Sai cosa disse uno dei primi “critici” del periodo?
    “Del fiume assiro grande è la corrente, ma molte sono le impurità
    e molto fango trascina nell’acqua.
    Non da ogni parte a Demetra portano acqua le api,
    ma quella che pura e incontaminata sgorga da una sacra fonte,
    piccola stilla, limpidezza estrema”.
    E’ Callimaco.
    Fa’ pure, continua a cantartela e a suonartela.
    Quando avrai voglia di esporre qualche tua idea in maniera chiara e distinta, possibilmente argomentandola, ne riparliamo.
    E’ già la seconda volta che mi pare di averti richiamato su questo punto.

  15. biondillo, artato è il tuo concetto di letteratura. Leggendo cent’anni di solitudine non t’accorgi di ricevere una molteplicità di segni interpretativi della realtà? Per sostenere la tua tesi (bislacca) hai utilizzato il libro sbagliato. Che significa l’aggettivo “avvincente” nel contesto di questa discussione? Anche le storie di Camilleri sono appassionanti, per questo le puoi inserire nel solco della LETTERATURA? La noia viene fuori quando si vuole, con tutti i mezzi, piallare i concetti riducendoli a sottili e fragili considerazioni.

  16. alla fine mi sembra che la discussione dimostri molto di quello che ho detto prima.
    dinosauro davvero non ti accorgi, leggendo, poe, tolkien, king, philip dick, howard, myazaki, pratt, salgari, ellroy, gaiman, alan moore, moebius, watterson, schultz, miller della molteplicità e dell’intensità di segni interpretativi della realtà? mi dispiace. è una lingua che si potrebbe imparare.
    I beatles, Michael Jackson sono il pop, veramente diresti che sono inferiori a chopin, o tchaikovsky? o che si potrebbero misurare con lo stesso metro?
    sono linguaggi diversi che toccano corde diverse.
    per questo diresti che lennon e mcartney non hanno scritto Musica? Che ‘Billy Jean’ o ‘Man in the Mirror’ è una canzonetta?
    la Letteratura è un podio dove le generazioni collocano le opere in grado di resistere e parlare attraverso i tempi e le culture, non è una realtà, un aggettivo, le opere che dventano classici lo diventa per una sintesi di motivi, mica per un valore intrinseco, opere potenti smettono di parlare a una o due generazioni di distanza, a volte il pubblico ti spinge con amore per secoli altre ti lascia cadere quasi subito.
    Altra cosa è la complessità e la profondità e l’intensità e l’efficacia.
    Queste sono caratteristiche concrete che si possono dibattere, la razzialità no.
    A mio parere l’opera è un incantesimo e sperare di misurare le dosi di arte e artigianato che ci sono dentro è una grave ingenuità.
    D.

  17. Marotta, tanto per non chiarire mettiamola sul piano banalizzante delle diverse sensibilità, dei diversi linguaggi. Sono tentativi vani che nulla aggiungono alla crescita culturale. Anche nel mondo della filosofia si sta cercando di fare la stessa cosa con la pop-filosofia. Declinare il pensiero all’esigenza diffusiva e popolare, compromettendo la ricerca teoretica. Meglio leggere che non farlo, però non diamo spazio al nomadismo interpretativo.

  18. Meglio il nomadismo interpretativo del Monadismo interpretativo.
    Letteratura in maiuscolo non esiste, è un’idea di merito.
    Davvero credi di avere il ricettario per misurare un valore che non sia emozionale e soggettivo? Che vada al di là della coerenza interna o storica dell’opera?
    Davvero credi che la strada per l’arte sia in fila per uno? O semplicemente che esista un’arte patrizia distinta da una plebea?
    Tu, dinosauro, volgi le spalle al reale, ammetti Picasso, ormai lontano come Omero, ma neghi Andy Wharol che ha vaticinato il nostro presente: il mercato, il pop è la scatola che ci contiene tutti, dall’ultima scopiazzatura fantasy al ‘cargo cult’ della tribù aborigena della papuasia, pensare di starne fuori è illusione, basta guardare la materia di cui sono fatti i nostri sogni.
    La ricerca di un oggettualità, di un metro universale è preistoria.
    L’idea di una crescita culturale incontaminata, globale in senso evoluzionistico è idealismo d’altri tempi.
    Provami che esiste un Vero canone Letterario universale, e non limitarti alle opere che tu ritieni tali, perchè come ho scritto, rispecchiano i modelli e i canoni della tua formazione.
    Borges ha apprezzato autori di genere come il fantasy di Lord Dunsany, Dumas scriveva a puntate, Poe ha inventato il racconto breve contemporaneo, Baudelaire adorava Poe. Di cosa stiamo parlando?
    La ricerca teoretica deve mutare col mutare della realtà se no conosce solo ombre morte, forse sei tu che puoi darti una mossa e rimanere sull’onda della pop-filosofia. Il presente è pop, frammentato in distese da esplorare, modelli sociali, micro economici, religiosi, artistici si accavallano e si intersecano, la realtà è contaminazione, questo è pacifico ovunque, in tutte le forme espressive e culturali, tranne che in letteratura.
    Tu puoi ascoltare la Mmusica fino a Bernstein e considerare tutto quello che è successo dopo come trash indegno., credendo che la logica produttiva espressiva e artistica dei classici fosse più pura e santa di quella dei pop di oggi.
    Buon per te.
    Ti ricordo che tutta l’arte sacra dei capolavori eccelsi nasceva perchè gli unici che pagavano erano i preti, da queste ‘sacre’ ricerche nascono l’ultima cena, la cappella sistina o la cappella degli scrovegni, ti sembra più nobile e puro dell’ultimo tour di madonna? a me no?
    più efficace, complesso e intenso e profondo forse ma non più alto come categoria.
    Ti perdi molto, in primis la possibità di vivere il tuo tempo, e ti condanni a riconoscere le cose solo anni dopo quando le dirà qualcuno da cui l’accetti, quando sarà entrato nei dibattiti colti, peccato che il mondo sarà già altrove.
    D.

  19. «Gli scrittori di “genere” sono di norma indifferenti a simili giudizi, e al disprezzo e alle contumelie periodicamente riversati sul loro lavoro. La maggior parte di essi non appartiene alla categoria “bestseller”, né aspira a entrarvi». Ecco, per me Valerio Evangelisti ha già detto tutto. L’unica cosa che mi verrebbe d rimproverare a qualche collega de-genere è di perder tempo a discutere con i critici laureati: ci sono cose più appassionanti, persino cercare di capire il senso di una partita a cricket lo è. Ma lasciateci divertire, come diceva Palazzeschi!
    (PS: Gianni, lo so che il Califfo ormai crede che sia roba sua, ma “tutto il resto è noia” è in una lettera di Leopardi, vedi mai dove va a finire l’unica pagina di letteratura imparata a memoria per l’interrogazione “dentro o fuori” della tua carriera scolastica)

  20. Dinosauro, non so di cosa parli. Di certo non mi leggi ( dici: “Leggendo cent’anni di solitudine non t’accorgi di ricevere una molteplicità di segni interpretativi della realtà?” ho mai detto il contrario?). Tra l’altro NON tutte le storie di Camilleri sono appassionanti. Alcune sono pure noiose.
    Detto ciò, dovremmo ridare cittadinanza alla passione in letteratura, Gacia Marquez insegna. Ma che te lo dico a fare?
    Giro: ma il nostro amato gobbo la cantava pure? 😉

  21. Nelle ultime due settimane ho letto due mainstream italiani, “Hanno tutti ragione” di Sorrentino e “Fare scene” di Starnone. Entrambi aspirano alla zona alta della letteratura, ma secondo me il secondo ci arriva con splendida naturalezza, il primo abbozza e si sfinisce prima del traguardo.
    Eppure il primo è già un best-seller, il secondo difficilmente lo diventerà.
    A decidere se un libro diventa un best-seller non è come scrive Evangelisti, l’aspirazione dell’autore, e nemmeno la qualità del testo, ma l’investimento editoriale, che vale per il mainstream e per il romanzo di genere.
    Sarebbe più interessante chiedersi se veramente il “genere” è un mondo parallelo e secondario rispetto al romanzo mainstream o se, fin dalle origini, ne rappresenta la più autentica vocazione come emanazione dell’epica (cosa che io credo), seguita semmai da quell’epica dell’antieroe che è il romanzo d’ambiente borghese e piccolo borghese dell’ottocento. Sta di fatto che dove manca la palestra del “romanzesco”, come in Sorrentino ma anche nei famigerati resattori di Nuovi Argomenti (Piperno, Pacifico, Desiati), escono belle pagine autoriali che strappano gridolini agli amanti dello stile e della maniera, ma narrativamente traballanti e in ultima analisi noiosi.

  22. binaghi, si Starnone con il suo ultimo libro fa letteratura, è la buona prosa che caldeggia il dettaglio eloquente e brillante nella prospettiva di un’interessante storia. Speriamo che il libro abbia successo. Quello di Sorrentino, aldilà delle aspirazioni dell’autore, non ha lo stesso ampio respiro, però sta vendendo molto, perché?

  23. dinosauro, chiedere a Feltrinelli quanto ha investito in promozione (che vuol dire tiratura, visibilità pubblicitaria, recensioni orchestrate, passaggi televisivi) per questo libro sarebbe un primo passo.
    Dopodichè, se il libro non c’è, la promozione da sola non fa il best seller. Qui il libro c’è. Tony Pagoda è ruffiano al punto giusto, il terrone filosofo di destra che piace a sinistra, la scrittura colta che fa un bozzetto proletario e consente anche al lettore piccolo borghese di ridere di se stesso senza farsi male (un po’ come “Parenti lontani” di Gaetano Cappelli, più riuscito di questo come romanzo, ma meno pompato editorialmente)

  24. Il dato delle vendite non è indicativo dell’apprezzamento, è un indice che si ferma a prima della lettura.
    Cero anche il nome di sorrentino è una grande attrattiva, se non grande magari media.
    D.

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