CONTRO IL '68

Anticipazione for blog only: estratto dal primo capitolo di Contro il ’68 di Alessandro Bertante. State bene.

Le donne
e gli uomini protagonisti della lunga stagione contestataria (in Italia sebbene
in forma assai mutevole e crepuscolare dura fino alla metà degli anni Settanta),
superata la soglia della maturità hanno più o meno consapevolmente castrato i
propri figli, tenendo sotto tutela le loro aspirazioni e impedendoli anche a
livello economico una reale emancipazione. Dal loro punto di vista noi saremo
per sempre giovani. Nostro malgrado, invecchiando naturalmente come tutti gli
altri uomini e donne prima di noi, ci mancherà il privilegio della maturità. E nonostante
una formazione scolastica dignitosa – sicuramente priva delle agevolazioni
politiche di cui hanno goduto i contestatori – non potremmo nemmeno contare su
di una casa nostra e su di un posto di lavoro sicuro. Saremo costretti a vivere
sotto tutela, all’ombra del perduto benessere dei nostri genitori. Come in una
sorta di purgatorio laico al quale si accede senza avere commesso peccati.

Per noi
non c’è benessere, non c’è proiezione immaginifica e soprattutto non c’è
conflitto. La prima conseguenza di questo mancato spirito di rivalsa
generazionale è la difficoltà di comunicazione. I trentenni italiani con
i sessantottini non si parlano e non si capiscono. Tendiamo a evitarci
cordialmente. Anche perché secondo una loro radicata, stravagante quanto
infondata convinzione noi non abbiamo ancora guadagnato la pari dignità
culturale, afflitti come siamo dalla sfortuna di aver trascorso la nostra
giovinezza in un epoca di grande disagio esistenziale. L’incomprensione
inevitabilmente genera spiacevoli equivoci. Guardando con sospetto qualsiasi
fenomeno avvenuto dopo la loro irripetibile giovinezza, gli intellettuali
sessantottini hanno cercato di etichettarci con delle categorie anonime e prive
di significato: generazione x, generazione y, generazione del disimpegno, generazione
dei mammoni, degli eterni adolescenti, degli inconcludenti che non se vanno di
casa.

È
umiliante. Manco fossimo dei bambolotti che non sanno camminare con le proprie
gambe. Questo atteggiamento misto di incredulità e paternalismo benpensante, si
è sviluppato nel tempo, si è rodato con gli anni e si è infine consumato fino
alla nausea.

In quanto
ultima generazione virtuosa dell’umanità, i sessantottini non si sono
preoccupati di chi sarebbe venuto dopo di loro. Hanno vissuto nel presente,
hanno lottato per il presente, creduto nel presente, bruciato il presente,
senza mai provare a indirizzare lo sguardo in avanti. Per la loro immediatezza
di vita “volevano tutto” e tutto hanno avuto. Anche meritoriamente, va detto
perché il puro sentimento di appartenenza come la innata capacità di
condivisione e di mobilitazione, furono risorse straordinarie, una forza d’urto
rara e invidiabile. Ma purtroppo breve e non sempre onesta, perché proprio mentre
ridicolizzavano aspramente l’aspirazione piccolo borghese del posto fisso e
della tranquillità economica, si sono presi cura dei propri interessi: assunti
a tempo indeterminato, garantiti al cento per cento, non licenziabili, molti
sono diventati perfino baby pensionati, una bizzarria surreale ma significativa,
esemplare per chi pensa di non avere eredi. E se lo Statuto dei lavoratori (promulgato
nel 1970, inseguito alle lotte operaie dell’Autunno caldo) rimane una delle più importanti
eredità politiche del Sessantotto, a noi nati dopo hanno lasciato in dote un
mondo del lavoro disgregato e persecutorio, nel quale l’oramai capillare e
consolidata diffusione del precariato è solo l’aspetto più appariscente di una
crisi in realtà etica ed esistenziale, cominciata proprio con la loro sconfitta.
Gramo destino il nostro. Fanalino di coda di una Europa ancora impalpabile,
viviamo alla giornata senza riuscire a immaginare un futuro, come figli
illegittimi di una nazione che rappresenta l’antitesi ideale e pratica di tutte
le battaglie politiche e sociali degli anni settanta, una nazione fiaccata dal
malcostume e culturalmente depressa. Nella loro illusione di eternità, hanno
vissuto come se non ci sarebbe mai stato un ricambio.

133 pensieri su “CONTRO IL '68

  1. Un giorno ero in treno, da solo, raggiungevo degli amici in Sicilia per le vacanze. Leggevo un bel tomo di svariate centinaia di pagine, Einaudi. Di fronte a me, forse a Bologna, si siede una coppia di eterni ragazzi sui 45. Tempo due secondi per capire che o avevano fatto il 68 o lo avevano mitizzato, o tutte e due le cose. Lui mi guarda, forse riconoce la casa editrice e mi chiede in tono complice, informale, da compagni di classe: “Sei studente?” Io: “Sì, Filosofia”. “Dove?” “Statale di Milano”. Lui: “Cosa leggi?” Io: “L’Iliade”. Lui, totalmente spiazzato: “Ma ancora queste cose vi costringono a studiare??”. Io: “Veramente lo faccio perché non l’ho ancora letta tutta e mi sento ignorante”. Lui mi guarda come si guarda un marziano. Da quel momento non mi ha più rivolto la parola. Se la sarà presa?
    Morale: che li si guardi da destra o da sinistra, la stragrande maggioranza dei sessantottini non ha studiato e crede pure che sia stata una grande conquista. Imperdonabile, per chi vuole cambiare il mondo.

  2. Vincenzo, però non banalizziamo: un 68ttino ha, oggi, circa 60 anni, non 45. E loro studiare hanno studiato, le cose le sapevano, imposte dalla vecchia scuola che hanno voluto contestare. Quelli intorno ai 50 hanno fatto il ’77.
    Quelli intorno ai 40, come me, non hanno fatto un cazzo (a meno che non si voglia parlare della “Pantera”), se lo sono solo presi nel culo! 😉

  3. Esatto, Biondillo, purtroppo hai ragione, siamo vecchi, e della vecchia scuola quelli di cui si parla non contestavano la qualità e quantità, ma la baronia, che purtroppo è gattopardescamente sopravvissuta a se stessa.
    Studiavamo, sì, e non solo quello che ci costringeva a studiare un’università non ancora di massa, almeno nei contenuti, ma molto altro che interessava a noi, tanto che alcuni ne sapevano, su certi argomenti, più dei professori e ne conosco un paio che manco s’è laureata, perché si annoiava della troppa banalità.
    Il fatto che venga chiamato sessantottino un quarantacinquenne, la dice lunga.

  4. A me par vero quello che dicono le sorelle Rambach.
    Quanto a quelli che secondo Alcor hanno fatto il Sessantotto a partire dal basso per poi rimanerci, come i impiegati delle poste, gli insegnanti di scuola media o gli operai – ma siamo sicuri che siano stati effettivamente loro a farlo, il Sessantotto, e a formalizzarne gli effetti in sede esecutiva? Io non ero ancora nato, ma Pasolini, per esempio, me l’ha raccontata diversa. Certo, Pasolini da solo è pochino – ma allora insegnatemi voi…

  5. “Le donne e gli uomini protagonisti della lunga stagione contestataria … hanno più o meno consapevolmente castrato i propri figli, tenendo sotto tutela le loro aspirazioni e impedendoli anche a livello economico una reale emancipazione.”
    Mi fa male, ogni volta, leggere frasi contenenti errori di grammatica grossolani.
    Gli errori mi danno fastidio nell’espressione parlata, ma nelle frasi scritte mi fanno proprio male.

  6. Brevemente, per dire anzitutto che ho trent’anni e che coloro che invitano i trentenni a farsi il loro sessantotto (cercando con ciò di colpevolizzarli e consolidando implicitamente l’etichetta di generazione Xmidollata) dimostrano “tutta la loro oziosità” e la loro mancanza di (per dirla con Mills) immaginazione sociologica. Il processo organico di lungo periodo avviato negli anni 80 ha portato alla totale mancanza di condizioni per la restaurazione di una qualche forma di dialettica politico-sociale (fenomeno talmente radicato e profondo da chiamare in causa un’antropologia, non solo una sociologia). E ce l’ha spiegato bene anche Genna. In queste condizioni sociali, se un trentenne costruisce una buona mistica dell’assurdo e della storia come teatro del Male, è già un gran successo; altro che rivoluzioni.

  7. questi clichès assai generalisti, i “sessantottini”, i “settantasettini”, non servono ad alcunchè, men che meno a fare un minimo di analisi storica seria, e a trarne le lezioni necessarie (se ci sono e se servono), purtroppo è un vizio già denunciato a suo tempo da Moroni e Balestrini, ma che te lo dico a fare…

  8. a parte gli scherzi, a me il libro sembra interessante – vedi solo il dibattito che si è scatenato qui – e dare tutta questa importanza a un refuso mi sembra un capovolgimento dell’ordine delle priorità, nell’insieme non mi sembra certo un libro trasandato!

  9. ma noi, i trentenni di adesso – mi rivolgo alla mia generazione, ho ventott’anni – vogliamo davvero una liberazione o aneliamo ad avere gli stessi comfort che hanno mamma e papà? diamo addosso agli ex sessantottini perché
    vogliamo anche noi poterci comprare la villa e la barca? oppure davvero saremmo disposti a una rivoluzione sulla nostra pelle???

  10. Ma li avete visti i collages che ci sono nel libro? Fanno morir dal ridere… un po’ di demistificazione secondo me ci voleva

  11. L’anticipazione data su Lipperatura dell’incipit del saggio ha creato un prevedibile dibattito: acceso nei toni e che necessiterebbe sedi cartacee adeguate. Ancora uno sforzo, compagni!

  12. “I sessantottini autosconfitti sono stati sistemati nell’industria culturale, da dove era più facile svolgere il ruolo che i vincitori gli avevano assegnato, cioè riscrivere la storia.”
    dalla prefazione di Marco Philopat
    Fin nella prefazione la scrittura e’ grammaticalmente trasandata.
    Del libro ho solo letto gli stralci riportati qui e nella presentazione
    http://www.agenziax.it/?pid=14
    Cio’ e’ pero’ sufficiente per alimentare, e non poco, il mio dolore.

  13. Gianni, in effetti ho tralasciato un dettaglio non da poco: la data del mio viaggio. Era verso il ’97-’98. Dunque direi che se l’età era 45, forse i miei eterni ragazzi erano tra quelli che ai tempi d’oro erano poco meno che diciottenni. Cioè l’età ideale per mitizzare il fratello maggiore che contestava tutto e tutti, e imitarlo di lì a pochi anni. Magari estremizzando ancora di più le sue idee (vedi ’77, come dici tu).
    Sul fatto che abbiano studiato prima di contestare, temo di no. Per molti, anzi, il 68 fu proprio il modo di arrivare fino in fondo aggirando la fatica. Il famoso 6 politico… che tristezza 🙁
    alcor, la baronia andava giustamente eliminata, è sacrosanto. Purtroppo, non è che ci siano proprio riusciti, sei d’accordo? Per me andrebbe eliminata, ma forse facendo un 48, più che un 68. 🙂

  14. @Vincenzo, l’ho detto, infatti, non è stata eliminata.
    @harz
    lo hanno fatto, certo, erano lì, il sessantotto è stato, per poco, anche un grande crocevia in cui si incontravano le classi sociali, che negli anni ’50 e ’60 erano separate. Ma qui non si parla del sessantotto, si parla di una mitologia sul sessantotto e di un gruppetto di persone che ne ha saputo cavare una visibilità personale che avrebbero saputo cavare comunque, anche se forse con modalità differenti.
    Pasolini non l’ha fatto il sessantotto, lui era un padre, e quei figli non gli stavano bene, qui però lo lascerei fuori altrimenti diventa tutto un altro discorso.
    Buona continuazione.

  15. Su “Carmilla” c’è una bellissima risposta di Valerio Evangelisti alle considerazioni di “Contro il ’68”.
    Mi sembra che inquadri bene il fenomeno storico e culturale del 1968, in tutta la sua complessità, ed evidenzi bene i pregi (pochi e fondati su dati ormai scontati) e i limiti (molti e puntigliosamente messi in discussione) del discorso di Bertante.
    Buona lettura.

  16. il 68 l’ho vissuto: come figlio di un operaio. avevo 11 anni.
    qualcuno ha scritto che bisognerebbe ricordare il pre-68.
    lo faccio io, parzialmente.
    allora, nella busta paga di mio padre c’era una voce: il malsano.
    ti pagavano per respirare merda, veleni. per beccarti il cancro. e se stavi troppi giorni a casa per l’ulcera, se eri comunista, se stavi sulle palle alle guardie (quasi tutte del sindacato cisnal, costola della fiamma tricolore) poi, magari, quando uscivi dalla fabbrica c’era una sorpresa per te: non trovavi più la cartolina da timbrare.
    era un modo per dirti fanculo stronzo, fai battere tua moglie se vuoi campare.
    poi c’è stato il 69, ché il 68 l’han fatto in Francia, poi è arrivato lo Statuto dei lavoratori.
    e qualcuno oggi dice che la rovina dell’Italia sono i sindacati.
    che i sindacati si siano paraculizzati non ci piove.
    ma del 68 vanno ricordate anche le belle conquiste:L niente più cottimo, malsano, licenziamenti ingiustificati.
    io, che ho fatto il 77, ricordo semmai la grande contraddizione: il 68ttino che non sa parlare, non sa comunicare con l’operaio, con la gente. ha letto Stato e Rivoluzione, lui.
    quelli senza dubbi: il 68-69 ed il 77 ne ha partoriti tanti, troppi.

  17. Oso intromettermi. Letto lo stralcio pubblicato da Loredana devo dire che sono d’accordo con Bertante, ma anche con Remo Bassini.
    Io sono nata nel ’63. Del ’68 ricordo la nascita di mia sorella. Del ’69 il primo uomo sulla Luna. Del ’77 il totale straniamento approdando dalle scuole medie in un liceo classico estremamente politicizzato (a sinistra, of course). Del ’78 la morte di Aldo Moro. Ho cercato di capirci qualcosa come ho potuto. Partecipando ai collettivi, ai monteore, alle assemblee, qualche volta perfino alle manifestazioni. Ma quello che non capivo era il perché essere ideologizzati corrispondesse, per i miei compagni di scuola, nell’evitare di sudare sui libri. Negli anni ’80 ho studiato, preso una laurea, cercato un lavoro. Non l’ho trovato, nonostante decine e decine di concorsi pubblici e ricerche affannose di raccomandazioni da parte dei miei genitori. Sono una precaria che morirà precaria. La pensione cerco di conquistarmela con i versamenti integrativi e non mi va giù che qualcuno si permetta di dire che la baby-pensione se l’è guadagnata sul campo, perché chi è andato in pensione in età da lavoro ha commesso, e commette, un furto nei confronti della società. Io dovrò continuare a lavorare ben oltre i 65 anni, se la salute mi aiuta. Se non mi aiuta finirò in un ospizio, perché non ho più un marito (ma se me lo fossi tenuto avrei dovuto lavorare anche per lui), non ho figli (perché non li ho voluti). Sono responsabile di me stessa e non mi sta bene sentirmi inserire tra la generazione xyz. Non ho avuto dai miei genitori i soldi per una casa, perché loro erano poveri ed hanno sempre pagato l’affitto. Ancora oggi non riesco a mettere insieme l’anticipo ed ho deciso che anche al sogno delle quattro mura rinuncio, per puro realismo. Ho votato sempre e sempre secondo coscienza, sempre a sinistra. Ho cercato di promuovere intorno a me una certa coscienza civile, mi sono presa la responsabilità delle mie azioni. Sono anch’io un’eterna “giovane scrittrice” senza un grande editore e senza distribuzione. Mentre i sessantottini radical-chic sono entrati nei giornali (sono giornalista, ma precaria da sempre), qualcuno lo dirigono pure, sono entrati in politica, sono pubblicati a destra e a manca, sono omaggiati dai grandi editori. Dice che se lo sono guadagnato sul campo. Ma io devo ancora capire come.
    Laura

  18. “quello che non capivo era il perché essere ideologizzati corrispondesse, per i miei compagni di scuola, all’evitare di sudare sui libri.”
    Laura, anch’io.
    “sono pubblicati a destra e a manca, sono omaggiati dai grandi editori. Dice che se lo sono guadagnato sul campo. Ma io devo ancora capire come.”
    Laura, anch’io.

  19. Una malignità:
    E se fosse il premio per i servizi resi a chi conta?
    Ad esempio nel ’77 a Milano scoprimmo che molte iniziative culturali (anche Macondo) e protestatarie a sinistra del PCI erano sponsorizzate (inelegante parlare di denaro) dall’entourage craxiano.

  20. il testo riportato mi sembra che dica delle sciocchezze terribili.
    a riprova del fatto che allora sono davvero dei bambolotti?
    non credo.
    è un pezzo che sa di lamento, sa di fratello piccolo che invidia i grandi.
    pare il solito atteggiamento immaturo-passivo.
    vagamente deprimente.

  21. fortunatamente si può essere di sinistra avendo un altro momento storico di riferimento.Quello relativo al movimento sindacale che a cavallo tra 800 e novecento ci fece meritare il rispetto dei solitamente schifiltosi padroni delle ferriere.Senza quello saremo quasi tutti(tranne i soliti stronzi bravi a galleggiare a vista qualsiasi atmosfera si respiri)a crepare di tubercolosi o analfabeti catechizzati a dovere pronti a consumare vite brevi in fabbrica (ma sto parlando di prima che si concepissero i principi cardine relativi al marketing e alle strategie per la raccolta differenziata del consenso.Davvero troppo tempo fa.Scusate)

  22. In genere le Università assolvevano al loro dovere fino al 68, dopo di che non rimane quasi più traccia di ciò che dovrebbero essere.
    Di fatto l’Università non ha un compito così sottile e indefinibile , come sarebbe rendere intima una cultura. L’università dovrebbe insegnare nozioni e fornire esempi di applicazioni. Esigenze più alate sono stolide ed eversive.
    Ma, appunto, dopo il 68, non riescono neppure a fare quello che facevano prima. Quella svolta tolse di mezzo l’asse sul quale era fondato il funzionamento delle società civili: soltanto un’istituzione capace di trasmettere le conoscenze necessarie all’amministrazione statale permette, da Bisanzio in poi, una vita pubblica ordinata. Il retto funzionamento dell’Università esigeva un’indipendenza del docente pari a quella del magistrato e una gerarchia esclusivamente fondata sulla cooptazione fra i docenti. Introdurre l’idea di democrazia nell’Università significò smantellarla e scavare un abisso incolmabile nella vita statale. Non vedo come si possa rimediare: la trasmissione accertata del sapere è stata spezzata; ristabilirla esigerebbe un’opera paziente di generazioni capaci d’intendere i significati che nel 68 furono spenti.
    Luminamenti

  23. se vale quanto scritto da lilli, che il post di Bertante è *vagamente deprimente*, allora gli interventi di Genna e Biondillo sono chiaramente istiganti. quanto a Luminamenti, suppongo che per lui ben fecero a cicutare Socrate.

  24. Perchè mai dovrei pensare quanto dici su Socrate?
    Aggiungo. L’arma che consentì di scaraventare torme nel Sessantotto fu una scoperta dei medici di guerra americani, che durante il secondo conflitto mondiale si trovarono alle prese con il trauma di battaglia, da risanare mercé la terapia di gruppo, alla quale si può allenare un animatore. Egli deve togliersi di dosso ogni apparenza autorevole.
    Quando in un manicomio svizzero si decise di applicare il metodo si cominciò a dire: “venite a discutere insieme” invece di rivelare il vero invito: “fatevi manipolare”.
    Nel manicomio svizzero, l’animatore ebbe la via spianata da un episodio fortunato. Doveva far discutere gli infermieri e li riuniva in una sala che un giorno fu negata. Sfruttò l’occasione: dimostrava che lui era uno come gli altri, senza potere. L’animatore deve eccitare l’emergenza della psiche di gruppo e dovrà farla riaffiorare a ogni incontro. All”inizio semplicemente solleciterà qualche intervento e provvederà ad allontanare, se può, i pochissimi pericolosi.
    Mi sono stancato di scrivere, salto quindi il resto che sarebbe tutto in sequenza, su come si arriva a creare il “cattivo maestro” e un manipolo di discepoli che si sentono tutti alla pari tra loro e con lui.
    Uno dei primi trattati sull’arte uscì dalla Fre Press di Glenco nel 1962: Group Psychotherpy.
    Il manipolo di animatori addestrati che si formò in tutte le città del mondo, specie nelle università, potè scatenare l’immensa deflagrazione.
    Luminamenti

  25. Su carmilla Leggendo Philopat sono riuscita a capire il suo modo di vedere e pubblicare il libro di Bertante. Leggendo l’ultimo intervento di Genna (sempre su Carmilla) non riesco a capire cosa vuole fare oltre a uno sfogo contro chi ritiene responsabile di una serie di disavventure personali o speculazioni ai danni della comunità. Filo conduttore il fatto che questi poco ‘amabili’ (per non andare oltre) individui abbiano partecipato (anche se loro dicono ‘fatto’) al 68′. Niente da obiettare, i soggetti di cui parla non sono persone difendibili nè umanamente nè per episodi che risalgono alla loro infanzia politica.
    E poi?
    se veramente questa gente, come Philopat sembra sostenere, si è resa disponibile per una ‘riscrittura’ dilavata, mitico-consumista del ’68 esiste solo una cosa, semplice, da fare. Bisogna fare quello che fa Evangelisti non una ma innumerevoli volte. Con insistenza, costanza, eleganza, bisogna ridare voce alle lotte operaie agli scioperi alle manifestazioni alla discordanza con i dettami di partito ecc.
    Storia, insomma, non propaganda per i loro ego.
    Il piagnucolio che nasce (o nasconde) da personali frustrazioni è sterile perdita di vitali energie oltre che perpetuazione dei miti costruiti e gestiti da quel manipolo che si vuole contrastare.
    Affossare sempre, comunque, ogni nome di quei soggetti ricordando le lotte reali, dal basso (senza nomi di capetti, possibilmente) che ci furono in quegli anni e quello che possono suggerire anche al nostro presente mi sembra l’unica strada percorribile.
    Il discorso vale anche per il ’77 laddove con il terrorismo (vero o artamente facilitato) si cerca di nascondere le condizioni del periodo e le ragioni delle lotte oltre che le diverse sfaccetature dei movimenti.
    In questo modo si può fare utile (contro)informazione per le nuove leve e per quelli che c’erano e si sono abituati a un narcisismo interessato e mistico/mitico.
    Se si insiste nella strada ‘Bertante/Genna e tanti altri’ di contrapposizione ‘tra generazioni’ temo un pessimo epilogo. Temo la riconferma della tesi Da Empoli e dei narcisi da ‘aver fatto il ’68’.
    Per favore se avete dei conti da regolare con quei soggetti/capetti regolateli raccontando la realtà storica e facendo loro pesare il fatto che del ’68 ricordano giusto la propria immagine riflessa in uno specchio.
    Spernacchiare loro e ricordare i tempi e le lotte di molti, suvvia, si può fare.
    besos

  26. luminamenti, mi sembra molto interessante il tuo punto di vista. Non so ancora bene se sono d’accordo, soprattutto perché devo pensare bene alla tua definizione della funzione dell’università come passaggio di nozioni e loro applicazioni. Però mi fa riflettere, perché punta l’attenzione sulla figura del “maestro”, che per me nella formazione è fondamentale.

  27. caro Vincenzo dato che sei interessato alla figura del maestro potrei permettermi di suggerirti due volumi molto interessanti di george steiner. Uno, che è tra gli ultimi di questo gigante, è la Lezione dei Maestri (2004 Garzanti), l’altro è la sua vecchia autobiografia Errata 1997.
    Poi potresti provare a mettere al confronto certe idee con un testo recente di paolo mottana “Caro Insegnante amichevoli suggestioni per godere la scuola (Franco Angeli), di cui però sospendo il giudizio.
    In quanto alla differenza tra formazione e apprendimento anglosassone c’è nella collana bompiani La Bildung ebraico-tedesca.
    Infine leggere in che cos’è la filosofia di deleuze e guattari, libro che apprezzo e non apprezzo, quanto dice nelle parti iniziali su come è concepita oggi la formazione.
    Non ho purtroppo molto tempo per esplicitare a fondo (parola che i miei detrattori temono per la mancanza di sintesi, mancanza necessaria dico io però)come tutto ciò ha avuto la sua genesi nel 68 e si stia compiendo il suo perfectum (passato) oggi, in un mondo abitato da parole come opinione, soggetto, punto di vista, informazione, facendo del sapere qualcosa di annacquato per masse di lettori insofferenti allo sforzo cognitivo, perchè già nati stanchi!

  28. Gli interventi, qui e su Carmilla, sul libro “Contro il ‘68” si moltiplicano e aiutano a ripensare anche il ’77.
    Mi sembra che nei brani di Bertante, queste due date vengano troppo legate, e che nell’intervento di Philopat (Carmilla) vengano messe una contro l’altra.
    Philopat “Insomma non ci fu alcun parricidio, il ’77 attentò alla vita del sessantotto e fallì”.
    Anche se nel ‘76/7 molti tra gli sconfitti del ’68 si ponevano contro la nuova ondata di contestazione non ho mai pensato che il ’77 volesse uccidere il ’68. C’erano sessantottini contro, ma anche con il ’77. Però contro il ’77 non c’era solo una parte del ’68, c’erano lustri e quarti di secolo.
    “La notte, i ragazzi tornavano in quartieri che già si stavano riempiendo di masse amorfe e teledipendenti che chiedevano più sicurezza e di cui proprio oggi, almeno a Milano, vediamo dispiegarsi i cortei bipartisan. Erano braccati, ma non volevano arrendersi a un futuro così di merda”.
    Ecco “non volevano arrendersi”, e ci hanno provato. Questa mi sembra una differenza pesante con l’attenggiamento che secondo Bertante hanno i trentenni di oggi. Philopat, e non solo lui, ricorda il grido “No Future”; i settantasettini non vedevano un futuro, rifiutavano quello che gli si prospettava, e tentavano qualcosa nell’immediato; se i trentenni di oggi vedono un futuro peggiore di quello avuto dai loro genitori, sembra che per Bertante, non ne teorizzino neanche uno diverso, e ancor prima di tentare qualcosa si dichiarano sconfitti e allo stesso tempo soffrono la mancanza del conflitto.
    Beh, per fortuna non sono tutti così. Credo che momenti di dissenso organizzato ci siano ancora, e il contro G8 di Genova 2001, e l’anti TAV più attuale, dovrebbero significare qualcosa per chiunque.
    L’intervento di Genna (Carmilla) poi, nonostante chiarisca che “Contro il ‘68” è “contro un preciso blocco generazionale e culturale” mi rinnova i dubbi sul vero soggetto chiamato in causa dal libro. I sessantenni di oggi, i sessantottini “riassorbiti”, quelli passati dalla parte dei vari berlusconi.
    Non mi sembra possibile che “questo ’68 di cui ricordo è composto di gentaglia che è un pugno di persone” sia/no i/l solo/i “colpevoli, ben più moralmente colpevoli di una generazione falcidiata” cioè quella dei settantasettini. Un pugno di persone che falcidia una generazione.
    Mi sembra importante, invece, e sottoscrivo “Ricordo che il ’68 non è gli anni Settanta e tantomeno il ‘77”.
    Infine, non so se il rischio è di beccarsi una causa da Bocca, ma personalmente una cosa tra le più interessanti l’ho trovata alla fine del brano di Debord, del ’79, quando parla degli operai che contestavano sindacati e PCI. Personalmente più che alla teoria del complotto per cui la “brigata rossa” è stata lanciata dallo Stato, credo alle infiltrazioni avvenute nel tempo, che hanno determinato una sorta di condirezione e cogestione delle brigate rosse da parte di organi istituzionali. Organi a loro volta condiretti e cogestiti.
    E ricordo in uno slogan, le difficoltà, le settimane e i mesi di dibattiti su un problema affrontato ancora prima, e poi inquadrato definitivamente nell’immediatezza del rapimento Moro.
    Né con lo Stato né con le BR!

  29. io feci il 68 e non per questo mi contaminai con il potere, né subito dopo né a distanza di lustri. infatti non ho alcun potere e ho sempre avversato le ingiustizie sociali. immagino che, come me, ce ne siano tantissimi altri. trovo che ste equazioni tipo ‘sessantottini = masanielli dei nostri tempi’ riguardino solo qualche caso. certo, si sa, invecchiando ci si pompierizza inevitabilmente, da incendiari che si era, ma questo fa parte della normale parabola di ogni vita. secondo me bertante a sessant’anni sarà una merda assoluta:- )

  30. Io ho fatto gli 80. E son contento. Cadono le ideologie e travolgono quei tipi che oggi vagano derelitti dicendo “io ho fatto il 68”. Cadono le ideologie e lasciano spazio al pensiero libero.
    Io ho fatto gli 80. E vesto molto meglio. ‘A paleorivoluzionariii!!!

  31. Finito il tempo dei maestri sembra essere cominciato quello degli amici. «Nella migliore delle ipotesi sono consorterie amicali, persone che si stimano e sentono di avere se non un progetto, delle idee in comune – dice Cortellessa -. Nella peggiore sono veri e propri gruppi di pressione basati sullo scambio di favori, sulla pura convenienza. L’ ideologia è anche un sistema di veti e di vincoli che ti dice che tu non puoi stringere la mano a chiunque. Oggi nessuno parla male di nulla, lo spirito dell’ utile è l’ unica cosa che tiene insieme persone agli antipodi. A me pare sorprendente che Antonio Scurati, con le posizioni che esprime, inviti nel suo festival milanese Pietrangelo Buttafuoco. Se metti insieme Baricco, Buttafuoco e Piperno è difficile dire che è una comunanza di poetica. E il sospetto che ci sia qualcos’ altro è legittimo».

  32. così, per noia, ho provato a vedere se il ’68 è stato raccontatato da qualche ‘sconosciuto’. In rete.
    Mi è apparsa anche questa testimonianza.
    http://www.fondazionecipri
    ani.it/storia.html
    Non ha l’aura degli studi alla Normale di Sofri, ma la preferisco, di gran lunga, a certe sue divagazioni. Sulla guerra, per esempio.
    Mai sentito nominare prima questo Cip.
    Besos

  33. Un altro ’68 ancora è LA STRAGE DI STATO, curato da Di Giovanni, Ligini e poi Pellegrini, istant-book romano di controinformazione su piazza fontana (rifiutato da feltrinelli e pubblicato a metà ’70 da Samonasavelli: 500.000 copie in 4 anni). Erano trentenni all’epoca, ora defunti (il libro intero è disponibile in rete: ci sono arrivato googlando Pulsatelli, autore dell’articolo odierno su Carmilla).

  34. Mi piace e condivido l’intervento di Pulsinelli (su Carmilla). Invito tutti a leggerlo e ne riporto una parte che avrei voluto scrivere io.
    “Qual è il senso di evocare e fustigare i tristi presenti delle vedettes sessantottine? Lo sguardo dovrebbe dirigersi dove i riflettori non illuminano, e scrutare dove sono assenti microfoni e telecamere. Scrutare i molti, quelli che sicuramente erano più numerosi della élite che li rappresentava, […] Scrutare quelli che non hanno rinnegato nulla, perché non c’era niente da rinnegare, né da biasimare,…”.
    Quanto al rapporto/raffronto col 2001, però, credo che anche questo, più recente e ancora vivo (sempre su Carmilla ci sono le notizie di nuove operazioni preventive della polizia in vista del contro g8 imminente, in giugno ad Heiligendamm) sia già configurabile come “un punto di snodo”, un “momento di rottura” seppure non generalizzata. E la cosa che vorrei evidenziare è proprio “l’arco in un baleno: dei nonni, dei padri e dei bimbi” già presente nelle vie e nelle piazze di Genova nel 2001. Senza dimenticare i tentativi fatti anche a Vicenza, pochi mesi fa.
    Insomma, per “quelli che, dopo aver divelto i pavé, non avendo trovato la spiaggia, hanno continuato a desiderarla” è sempre possibile cercarla. Certo, bisogna volerlo veramente.

  35. Non capisco. Per me che l’ho fatto, prima c’è stato il sessantasei e il sessantasette, e poi tutti gli altri anni.
    Il 68 io lo vedo come uno slogan, una cifra mediatica, e non ci penso mai se non assieme a tutto quello che è successo prima e dopo, non mi si è raggelato nella mente.
    E mi pare strano che ci sia invece gente più giovane che invece di guardare avanti (o guardare indietro in modo complesso) possa scrivere dei pamphlet su questo, si raggrinzi in questo modo puntando l’attenzione su un gruppetto di giornalisti in vista, domenticando tutto quanto, non vedendo le ragioni storiche economiche complessive per cui in quegli anni è saltato un tappo.
    Dopo che il tappo è saltato si beve dalla bottiglia e se ne aprono altre, non si sta sempre lì a odiare o rimpiangere quel tappo. Forza, voi che siete nati dopo, guardate avanti.

  36. loro anno iniziato e noi dobbiamo continuare…quello che volevano i sessantottini non è quello che vogliamo noi percio’ inutile è parlare…ci vuole materialismo storico!un’altro 68 è possibile,per cambiare quello che non va bene a noi!l’oro l’hanno fatto ora è il nostro momento se ne avremo le palle!

  37. Il cumulista odierno italiano è uno che è passato per i seguenti stadi: 1) comunismo: 2) socialismo; 3) quattrinismo; 4) tradimento; 5) incontro con Dio; 5) cumulismo. Il cumulismo è il nemico più forte e pericoloso per il comunismo. Perché il vero cumulista conosce e adopera la dialettica marxista (come un vecchio maestro di ginnastica artritico per gli sports) meglio di un comunista. La dialettica è sangue del suo sangue. Il cumulista non molla: non può e non sa mollare. Il comunista puro, o è povero
    o impoverisce: e il cumulista si accanisce imbestialito contro la povertà. Il comunista ricco può diventare da un momento all’altro un cumulista, se non impoverisce. Parimenti, il comunista intellettuale che frequenta ambienti con la domestica. Il
    cumulismo sta al comunismo come il satanismo al cristianesimo. Con questa
    differenza: che il cumulista difende il cristianesimo, e il comunista difende il
    satanismo. Il cumulismo sta conquistando il mondo, vestito talvolta da comunismo. Mentre non conosciamo nessun comunismo che sappia vestire da cumulismo. E’ una
    dannata, mostruosa e tragica battaglia che troverà purtroppo il cumulismo vincitore. Sarà la vittoria del demonio vestito da madonna. Sarà, in definitiva, la più oscena e stupida oligarchia che regnerà sulla terra, e noi speriamo di non fare in tempo a gustarne gli effetti.

  38. Temo che diamonds abbia ragione. quella generazione ha combattutto violentemente la generazione precedente. E’ il caso, per questa, di fare altrettanto, senza sconti e senza prigionieri. La conquista della loro libertà ha detetrminato automaticamente la compressione della generazione attuale, dunque non era vera libertà ma vera e propria prepotenza. la autentica libertà è solo quella che rispetta quella altrui.
    Quella generazione, ora sbandiera flessibilità e competizione, ma non certo per sè stessa, solo per gli altri. E’ il caso che qualcuno apra gli occhi.

  39. Smettiamola con la storia del 68 o del 78 e delle conquiste civili e sindacali. Ovunque, in Europa e nel mondo, sono giunte autonomamente, cioè per naturale evoluzione del sistema produttivo e senza bisogno di ideologie ottocentesche o movimentismi giovanilisti e piccoloborghesi.
    Anzi posso solo immaginare l’imbarazzo e la perplessità degli operai braccati dgli sbarbatelli saccenti.
    Detto questo mi pare ovvio che si possa naturalmente affermare che le conquiste civili di cui ho detto si sono ottenute nonostante quei fenomeni mediocri che sono stati il 68 e ancora di più il 78.
    Oltretutto dall’altra parte c’era Fanfani, Rumor e Donat Cattin, mica Pinochet.
    D’altro canto, lo ripeto quei movimenti erano, e devono considersi semplicemente volti a combattere una forse giusta battaglia generazionale, ma per favore lasciamo stare lo statuto dei lavoratori e tutto il resto.

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