Ho finito di leggere un libro che mi ha fatto decisamente arrabbiare. Ne parlerò molto presto. Nel frattempo, posto qui l’articolo su Donald Westlake uscito sul quotidiano di sabato: mi ha appassionato scriverlo, così come mi appassionava quel che scriveva Richard Stark.
Il necrologio più bello per Donald Edwin Westlake, il maestro americano del noir stroncato da un infarto durante il cenone di San Silvestro, si trova nell’ultima raccolta di racconti di Stephen King, Al crepuscolo. Per essere precisi, nella storia numero quattro, Rest Stop: laddove un tranquillo e sbiadito insegnante che scrive noir sotto pseudonimo si ferma in un’area di sosta, va in bagno, e assiste terrorizzato e non visto al pestaggio di una donna che avviene nel locale attiguo. Terribile: ma il professore è troppo timido per intervenire. Finché non si ricorda che il suo alter ego non lo è affatto: allora, prende il cric.
L’apoteosi della metà oscura letteraria sarebbe il modo giusto per ricordare Westlake: non soltanto perché una storia densa di tenebre costituisce un omaggio perfetto per chi tanto ha dato alla letteratura noir. Ma soprattutto perché il settantacinquenne Westlake conosceva bene i misteri della personalità multipla, e fin dagli esordi ha attraversato il mondo come un Fregoli della scrittura. Così, insieme a Donald Edwin, nato a Brooklyn e morto in un locale di San Tacho nella notte di capodanno, si sono congedati dalla vita e dai libri anche Richard Stark e Tucker Coe, due degli pseudonimi più noti usati da Westlake. Nonché Morgan J Cunningham, Curt Clark (utilizzato per i romanzi di fantascienza), Timothy J. Culver, Alan Marshall, Edwin West e Judson Jack Carmichael.
Una messe di nomi per una valanga di libri (oltre cento) e per diversi stili di scrittura. Un frazionamento di personalità che avvicina Westlake non soltanto allo stesso Stephen King (che affida la sua parte noir a Richard Bachman, e che ad uno degli alter ego di Westlake dedicò la famosa frase “se volete conoscere il noir cominciate con Richard Stark”). Ma anche ad un altro maestro del genere scomparso recentemente: Ed McBain, alias Evan Hunter, alias Curt Cannon, Ezra Hannon, Richard Marsten, Hunt Collins.
Ma se per Evan Hunter lo pseudonimo di McBain era l’esperimento di uno scrittore già famoso, per Westlake gli alter ego letterari sono stati soprattutto ricerca di un territorio da percorrere. “Si va dove si è apprezzati”, raccontava. Vagò a lungo prima di trovare il terreno giusto.
Prima di iniziare a scrivere, il giovane Westlake studiò infatti per diventare architetto, secondo la volontà paterna (“l’unica cosa che ho imparato – ricordava in un’intervista del 2006- era che bagno e cucina non dovevano essere vicini”). Poi, dopo essere stato trovarobe, assicuratore, impiegato al collocamento, approdò in un’agenzia letteraria. Capì che voleva scrivere, ma non sapeva ancora cosa.
Cominciò con i western. Tentò con la fantascienza, prima di decidere che le persone erano più interessanti dei pianeti. Provò con racconti mainstream. Gli vennero respinti. “Per i primi dieci anni di carriera, mi dissi Sono uno scrittore scambiato per uno scrittore di mystery. Alla fine mi sono detto: bene, forse, dopotutto, sono uno scrittore di mystery”. In un’intervista del 1996 definiva la prima parte della sua carriera come una sparatoria dove si fa fuoco in direzioni diverse: “solo gradualmente imparai a sistemizzare i miei tentativi di far centro e a fermarmi su un obiettivo il tempo necessario -diciamo una settimana- per essere riconosciuto come la stessa persona. Man mano che gli pseudonimi che ho usato e i generi che ho inventato si sono consolidati, certo, mi sono scavato una nicchia specifica – o una tomba- nel complesso campo della mystery fiction”.
Se tomba fu, fu sicuramente dorata. Tre volte vincitore dell’Edgar Allan Poe Award, insignito nel 1993 del titolo di Grand Master dall’associazione Mystery Writers of America. Ancora. Una nomination all’Oscar per la sceneggiatura di Rischiose abitudini. Una quindicina di film tratti dai suoi romanzi (La pietra che scotta con Robert Redford e Payback con Mel Gibson, solo per ricordarne due). Infine. Traduzioni in venti paesi. In Italia viene pubblicato da Mondadori, Feltrinelli, Marco Tropea e Alacran. Fra i titoli più noti a firma Westlake, I mercenari, Tempo di uccidere, Gli ineffabili cinque, Un bidone di guai, Come ti rapisco il pupo ( divenuto anche film italiano di Lucio De Caro, con Umberto Smaila, Stefania Casini, Massimo Boldi, Walter Chiari, Franca Valeri e Teo Teocoli). Più, naturalmente, la lunga serie che ha per protagonista l’enigmatico Parker, a firma Richard Stark
Perché, come spesso avviene, cambiare nome significa cambiare stile, e spesso anche anima. Le storie di Westlake sono ironiche, leggere, decisamente umoristiche, specie nelle avventure del ladro Dortmunder. L’idea di innestare il divertimento nel noir è del 1965, con il sesto romanzo, Tiro al piccione. “Il primo che sento veramente mio – raccontava Westlake – Quando l’ho cominciato, all’improvviso, mi sono accorto che mai più avrei potuto affrontare il genere con la serietà che avevo avuto fino ad allora. Mi sono detto: questo deve essere divertente. Ho cominciato a metterci dentro dell’umorismo e mi sono reso conto che, descrivendo personaggi non di per sé pericolosi, ma perennemente in pericolo, se le loro azioni e i loro comportamenti avessero fatto ridere, la minaccia sarebbe diventata più reale e,finalmente, avrei potuto giocare con le emozioni,invece di cancellarle dalle mie storie” .
La differenza, secondo lo scrittore, è tutta qui. Il buffo Dortmunder è realistico, il cinico Parker di Richard Stark è decisamente romantico. Westlake amava fare un esempio chiarificatore: quando un criminale“romantico” va a rapinare una banca, trova immancabilmente parcheggio proprio di fronte all’ingresso. Quando è il suo Dortmunder a compiere la rapina, riesce a infilare l’auto solo a parecchi isolati di distanza. E deve andare in banca a piedi.
A Parker, e al suo creatore Richard Stark, non avverrebbe mai. Parker, rapinatore professionista e implacabile, deve molto ai numi tutelari del noir, Dash Hammett e Raymond Chandler: come si conviene, insinua dubbi sui confini fra bene e male, confonde le fattezze gelide del villain e quelle amabili del protagonista positivo. Un antisociale, lo definiva il suo creatore. Un cinico. Un personaggio insopportabile. Ma con una forte individualità e soprattutto con un proprio codice, se non etico, professionale. “Parker rappresenta il mio desiderio di essere competente”, dichiarò una volta l’autore. Desiderio realizzato: è stato protagonista di quasi trenta libri, anche se, nella mente di Westlake- Stark, doveva vivere per un solo volume. A salvarlo fu, come è facile immaginare, l’insistenza di editori e lettori.
Questo, raccontava Westlake, è il motivo per cui di Parker si sa poco: nemmeno il nome di battesimo. “Se avessi saputo che doveva andare avanti tanto a lungo, un nome glielo avrei dato. Probabilmente sarebbe stato Frank. Sicuramente, però, non lo avrei mai chiamato Parker. Avete idea di cosa significa scervellarsi per ventisette libri per trovare un altro modo di dire Parker parked the car?”
“Ho finito di leggere un libro che mi ha fatto decisamente arrabbiare. Ne parlerò molto presto”
Ho una vaga idea che farai arrabbiare anche me…
(non avevo mai commentato, ma ti seguo da tempo…)
Bellissimo l’articolo sugli pseudonimi… ho avuto spesso la tentazione di provare anche io – aspirante scrittrice – cosa si prova a scrivere sapendo che si è un altro…
“Ho finito di leggere un libro che mi ha fatto decisamente arrabbiare. Ne parlerò molto presto”
questo è il classico “non pensate all’elefante”. Non riesco a pensare ad altro, ora!
😉
Oddio quanti aspiranti scrittori!