Che ci fosse una dicotomia in atto è cosa risaputa da cinque anni, ed è nata e si è sviluppata nel momento in cui dicevamo di noi stessi che saremmo stati migliori. Invece, non abbiamo mai fatto i conti con gli effetti della pandemia e, prima ancora, di un certo uso dei social che ha scavato la divisione profondissima fra “voi e noi”. Non è la prima volta che scrivo di questo, ma ci torno perché in questi anni, e poi in questi giorni, sto constatando quanto sia diventato difficilissimo dialogare.
Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin (atto spaventoso, diciamolo prima che qualcuno alzi il ditino e dia della putiniana a me, a me che ancora fremo di rabbia per l’assassinio di Anna Politkovskaja), non è stato più possibile parlare di pacifismo senza ricevere insulti. Tocca ricordare un episodio, ovvero la mail di Ricardo Franco Levi, allora commissario governativo per la presenza italiana alla Fiera di Francoforte 2024, al fisico Carlo Rovelli. Nella mail si annullava l’invito alla Buchmesse dopo il suo intervento dal palco del 1 maggio (sulla pace). Dopo le polemiche, è andata diversamente.
E però.
Avendo la buona memoria che Michela Murgia definiva “inferno”, ricordo benissimo la valanga di persone che contestarono non solo le posizioni di Rovelli sulla guerra, ma quelle di coloro che gli esprimevano solidarietà con tutto l’armamentario sprezzante ormai in uso: pacifinti, figli dei fiori, imbecilli, complici di Putin (!). E a nulla vale controargomentare: la dicotomia di cui siamo prigionieri non tollera dialogo, ma solo scherno. Addolora, certo, specie quando nella schiera di chi piomba a urlare “complice di Putin” ci sono persone che conosco da anni e che ho stimato, e che a forza di dirti che il mondo è bianco e nero rappresentano ai miei occhi l’avverarsi di un incubo. La fine di un pensiero complesso, in poche parole. Questo, comunque la si pensi, perché ogni posizione ha la sua legittimità, purché venga argomentata.
Accade qualcosa di molto simile su Alessandro Barbero. Laddove chiunque abbia contestato l’uso del falso video “in quanto falso video”, e non per le posizioni che venivano espresse, è putiniano, fango, fan accecato, altro.
Ci sono ovviamente decine di altri esempi sul modo in cui ci si divide e ci si sbrana vicendevolmente, ma non fa ben sperare il fatto che persone stimabili e stimate, intelligenti, colte, attente a quanto succede nel mondo, mostrino sempre più quello che, se non sbaglio (potrei) Elias Canetti chiamava “duro cristallo di rancore”.
E ancora, allora, qual è il compito di chi scrive? Secondo il mio umilissimo parere è esattamente auspicare altri discorsi, altri confronti, altre parole. Che non eliminino il conflitto, ma anzi lo accolgano nei termini in cui possa essere costruttivo. E ancora, auspicare di poter camminare per le strade, cercando di afferrare la coda della cometa, sfuggente e in apparenza luminosa e sempre mortale nel momento in cui si avvicina troppo. Diventa sempre più difficile, gli spazi si restringono sempre di più. Non so se il centro non regga più, come scriveva Yeats: ma dobbiamo provare almeno a reggere noi, finché è possibile.
Girando e girando nella spirale che si allarga
il falco non può udire il falconiere;
le cose cadono a pezzi; il centro non regge più;
sul mondo dilaga mera anarchia,
l’onda fosca di sangue dilaga, e in ogni luogo
sommerge il rito dell’innocenza;
i migliori difettano d’ogni convinzione, i peggiori
sono colmi d’appassionata intensità.