SOGNARE UN ALTRO SOGNO: SULLA RESPONSABILITA’ E SULLE POSSIBILITA’ DELLA PAROLA PUBBLICA

Certamente, è anche una questione di formazione. Non solo per i libri letti, ma per le persone che ci sono state compagne di strada nel tempo. Da questo punto di vista sono stata fortunata, e in effetti lo sono ancora: perché in varie tappe ho incontrato amiche e amici, o comunque donne e uomini con cui confrontarmi, che mi hanno insegnato una cosa. Anzi due: si costruisce un’alternativa di pensiero e azione con le proprie parole. Ed è uno spreco usarle per delegittimare gli altri, magari, che so, usando la sua età anagrafica o il suo aspetto fisico, e men che meno sostituendo il suo ragionamento con il proprio.
Buonista, eh?
Se a qualcuno piacciono le etichette, faccia pure. Per conto mio, non mi sento buonista né buona, commetto una valanga di errori e cado anche io nella tentazione del sarcasmo (l’ironia è sempre, sempre, altra faccenda, e non voglio citare per la millesima volta David Foster Wallace).
E’ che sono stata abituata male.
Sono stata abituata a credere nell’intelligenza dei gruppi, nella diverse età della mia vita (sono vecchia, eh, magari la scrittrice che attribuisce il pensiero di un noto storico alla sua età potrà attribuire queste righe alla mia senescenza: ho tre anni più di lui, guarda un po’)  E ho potuto far parte più volte di gruppi luminosi per intelligenza: nella mia giovinezza, al tempo del partito radicale, negli anni Novanta, quando ho conosciuto gli attuali Wu Ming, negli anni Zero, quando ho conosciuto scrittori e scrittrici che sono ancora fra le mie amicizie. Uno su tutti, morto esattamente tre anni fa, era Valerio Evangelisti, che è stato davvero un compagno di via indimenticabile, non solo come autore, ma per  lo sguardo ai deboli, ai non garantiti, ai contadini, a coloro cui abitualmente non si guarda. E per il modo in cui ha saputo creare una comunità letteraria (Carmilla) e una che si attivava quando era importante farlo: dall’appello del triangolo nero, quando in Italia c’era la caccia al rom (venne firmato da decine e decine di autori), alla battaglia contro la censura dei libri e l’espulsione dalle biblioteche venete di tanti autori italiani. Ho potuto farlo, ancora, negli anni Dieci, con l’avventura magnifica del Salone del Libro insieme a Nicola Lagioia e al gruppo editoriale, quando non si trattava solo di metter su un programma ma di immaginare qualcosa di diverso da quanto si era conosciuto fino a quel momento.
Ecco, con tutte queste storie alle spalle e peraltro ancora vive nel presente, proprio non riesco a capire come si possa mettere insieme pensiero politico, e letterario, e giornalistico usando l’arma  della delegittimazione. Davanti a questa sempre più ampia tendenza, mi viene in mente ancora una volta Mark Fisher, quando parlava di salute mentale e diceva che “la depressione è il lato oscuro della cultura dell’autopromozione”. Credo sinceramente che siamo tutte e tutti, se non depressi, nella terra che lambisce la depressione stessa. Perché “la nostra immaginazione”, ha scritto Fisher in The Only Certainties are Death and Capital, “è ancora dominata (o stordita) dal lavoro che emerge da questa mistione dopata di edonismo, cinismo e pietà che hanno governato l’arte e la politica negli anni Novanta e nei primi anni Zero”.
E come se ne esce? Lo diceva proprio Evangelisti: costruendo un immaginario attraverso le storie, che ci aiuti a “evadere dai sogni imposti ed eterodiretti”. Sognando un altro sogno, insomma.
Dovremmo, tutte e tutti, essere consapevoli di questa possibilità che è anche una responsabilità. Anche quando scriviamo un post. Anche quando commentiamo. Ogni volta che prendiamo parola pubblica e sprechiamo l’occasione, contribuiamo a quel cinismo che ci sta schiacciando da anni.
E Buona Pasqua.

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