Marino Sinibaldi interviene sui premi letterari, in un articolo per Il Mulino.
Il discorso sulla bulimia mi sembra molto interessante, e molto vero. Ecco.
C’è qualcosa di serio nelle polemiche intorno ai premi letterari? Forse no, forse sono solo le fibrillazioni di un sistema mediatico che ha bisogno di rendere tutto spettacolare e possibilmente scandaloso per riempire le prime pagine. E come volete che il mondo dei libri e della letteratura arrivi nelle prime pagine se non perché qualcuno insinua, qualcuno trama, qualcuno tradisce? Solo lo scrittore che abbandona, l’editore che denuncia, il giurato che allude possono rendere appetibile una realtà altrimenti tenacemente resistente alle volgarizzazioni. È un degenerazione, d’accordo, ma è la patologica funzionalità del nostro sistema di informazione. E dunque varrebbe la pena di fregarsene, continuare a leggere libri e a discuterne nelle forme vecchie e nuove che la comunità del lettori magari a fatica ha ormai imparato a praticare.
Forse è però possibile intravedere qualcosa di più interessante dietro queste noiose controversie, specie se si prova ad allargare lo sguardo e a intrecciare fatti diversi. Per esempio insieme alla vergogna svelata del premio Grinzane (il più ricco) e alla disputa accanita intorno al premio Strega (il più noto), i tagli agli investimenti culturali. Allora il fastidio istintivamente diffuso e il discredito sparso a piene mani su quelle iniziative non possono che apparire funzionale a “banali” scelte economiche. E ci si può persino spingere a ipotizzare che si tratti dell’ennesima tappa dell’attacco a cittadelle vagamente ritenute di sinistra in un sistema sociale e istituzionale ormai di destra. Ma il problema è che quel fastidio e quel discredito sono ampiamente fondati.
So bene che bisognerebbe fare delle distinzioni, rendere onore a iniziative benemerite, citare i tanti che nelle istituzioni letterarie e politiche lavorano con onestà. Ma è vero che gran parte dei premi letterari sono frutto di calcoli, strategie, accordi. Anche quando premiano la qualità, l’evento sembra accadere quasi per caso. Non è questione di destra e sinistra (come mostra la storia del premio Grinzane, nato dal cuore dell’editoria cattolica). È la struttura elitaria e autoriferita di giurie e consorterie a generare inevitabilmente una rete di favori e di scambi. Ed è la bulimia di enti locali e associazioni culturali ad alimentare una specie di pulviscolo letterario-spettacolare che soffoca ogni alternativa e chiude a ogni novità. Così, ai vecchi limiti di una società letteraria tradizionalmente asfittica ed egoista si sono sommati difetti nuovi, come la frivolezza consumista della cultura di massa.
Il problema allora non sono i premi. È il sistema. Sono i giornali e il mondo dell’informazione, oggi così solerti nello svelare manovre e manipolazioni, i primi responsabili della chiacchiera che strangola la scrittura e la sua forza potenziale. Sono le università e le accademie che nutrono anche le più futili tra queste iniziative (e se ne nutrono, persino lautamente, come si è visto). Sono le politiche culturali che a livello nazionale e locale prediligono la spettacolarità esibizionistica delle cerimonie e trascurano le scuole, le biblioteche, la lettura. È per non parlare di questo che si parla tanto del premio Strega.
L’intervento è così lucido che Sinibaldi non ha nemmeno bisogno di specificare quanto questo alla fine danneggi i cittadini, lettori e non lettori…
Quindi: da dove si può ripartire?
… ma che bello questo articolo! Perfetto. Soprattutto la chiusura, che ricorda i luoghi deputati – senza snobismi – della cultura: scuole, biblioteche. Ho la sensazione che anche un certo tipo di spettacolarizzazione della cultura abbia la sua crisi e il suo scandalo (Grinzane) in parallelo con la crisi economica. Finiscono modelli, certi slogan ora ci sembrano antiquati (quando non ridicoli), alcuni signorotti locali della cultura mostrano tutta la loro vacuità, l’arroganza, e i disvalori che nutrivano le loro ambizioni.
È il momento giusto per rivedere il sistema. Secondo me (ma so benissimo che non si tratta soltanto di questo, per carità) partendo da una semplice formula (parafrasi kantiana): la cultura come fine, non come mezzo.
La cultura deve essere tolta dalle mani di politicanti, amministratori, organizzatori, uffici eventi-stampa-marketing, che la vedono come strumento di promozione di sé, dei loro fini. I quali esulano dai valori, spesso, trasmessi da quella stessa cultura che promuovono a livello di massa.
La cultura deve tornare ad essere spudoratamente no-profit. Un volontariato attivo, con anche dei professionisti, ma non al centro del sistema. Il sistema deve dare somma zero.
Giustissimo, e detto bene.
scrive questo perchè ancora non conosce “Il Piano del Governo per la cultura”,o forse perchè lo conosce fin troppo bene
p.s. a proposito,a me questa faccenda che il premier con la sua schiera di ministri precedentemente trattati col cloroformio abbia sempre un Piano e mai un progetto comincia a turbarmi.Forse era meglio tenerci l’indecisionismo scientifico del centrosinistra che prelomeno non tangeva le regalie,intese come poteri propulsivi per l’isitituzione e il mantenimento di presidi atti a favorire lo sviluppo del senso critico,che i padri della patria hanno voluto farci giungere
Non ho capito perché, soprattutto nel mondo letterario, si deve sempre stare in attesa (critica o speranzosa) dell’intervento del Potere. Per amor del cielo, il Potere può (per definizione). Regala prebende, favorisce questo o quello; ma alla fine le cose valide restano e quelle che hanno fatto il loro tempo marciscono. Mi par di ricordare che l’opera omnia di Leonid Breznev aveva tirature leggendarie in Russia. Allo stesso modo, gli editori più importanti possono pure monopolizzare i più famosi premi letterari. Ma poi, come al festival di Sanremo, la canzone che vende di più non è quella premiata. Dunque, gloria ai premi letterari (che resteranno in piedi solo finché resterà qualcuno che crede al responso delle giurie, cioè ancora per poco).
Condivisibilissimo quello che dice Sinibaldi (che, sia detto per inciso, mi è sempre sembrato sexyssimo: fine della parte pop). E occorrerebbe, prendendo lo spunto dalla fine del suo intervento, operare sui meccanismi materiali che influiscono sul mercato dei libri. Insomma, essere un po’ marxisti per una volta (lo dico da anticomunista sfegatato). Qualche suggerimento normativo: 1) approvare un provvedimento che offra autentici e non fittizi sgravi fiscali ai privati che finanziano i libri (non l’arte in generale: spesso gli interventi a favore dell’editoria di libri vengono schiacciati tra quelli a favore dell’editoria dei giornali e quelli a favore di una generica “arte”); 2) finanziare parzialmente le spese vive delle PICCOLE librerie (affitti e bollette) 3) approvare una legge che faccia divieto o scoraggi le concentrazioni tra editori e distributori (che stanno spazzando via le piccole librerie e che rendono impraticabile l’apertura di queste nei piccoli centri: vedasi il danno apocalittico compiuto dalle varie Feltrinelli d’Italia e il silenzio assordante intorno ai provvedimenti presentati in Parlamento: siamo informatissimi dei problemi del Terzo Mondo ma ci dimentichiamo con disinvoltura i nostri); 4)usare nel pomeriggio i locali delle scuole per promuovere gruppi di lettura, magari facendo collaborare gli studenti degli ultimi anni che preparano gli esami di maturità (sono previsti crediti scolastici a chi fa un corso di vela, non si capisce perché non dovrebbero essere accordati a chi fa della propria scuola un centro pulsante di cultura/lettura). Ovviamente ci sarebbero tanti altri suggerimenti ma bisogna ponderarli per bene. L’unico rischio FINALE, quello vero, già in corso, è quello di arrivare a considerare i libri come le carceri, cioè un bene necessario ma improduttivo. Vostro, BetteDavis