GLI SCRAUSI, VERONESI E LO STREGA: SCRIVE MEACCI…

Avviene questo: quelli dell’Accademia degli Scrausi hanno aperto un blog. Con una motivazione: candidare Caos Calmo di Sandro Veronesi al Premio Strega. Di più: alcuni di loro hanno scritto-stanno scrivendo- interventi da diffondere via web per motivare la motivazione.

Alla vostra eccetera giunge quella di una stimata vecchia conoscenza: Giordano Meacci. Tutta vostra.

“I ragazzi sono tornati”. E un romanzo è un romanzo è un romanzo è un romanzo. Prendete questa citazione e la parafrasi successiva come un blocco unico. Anche perché tutto si concluderà con un’altra parafrasi e un’altra citazione. Giusto per trovare un po’ di armonia indotta in questa buffa somma di parafrasi e di citazioni che è la vita che si scrive.

E visto che alla fine, come insegnano i personaggi di Fiesta, ci si arriva prima un passo per volta, poi tutt’insieme, andiamo con ordine. Dunque.

Nel 1996, di questi tempi, avevo ventiquattro anni e mezzo, consideravo Hemingway un dio, Orson Welles il mio modello estetico (a fatica, falstaffianamente raggiunto caloria dopo caloria) e mi reputavo rigorosamente monogamo. Ora, dieci anni dopo, ho – evidentemente – trentaquattro anni e mezzo, Hemingway è sempre un dio, sono dimagrito di una ventina di chili e mi reputo, tuttora, sconsideratamente monogamo. La domanda successiva alle mie affermazioni, tra i lettori – se sono persone sensate – è – anzi: se sono persone educate – è: “… E allora?”. Allora c’è che sono passati dieci anni, un numero imprecisato di guerre, Rushdie ha infilzato un capolavoro dietro l’altro, mio nonno Adriano è diventato leggenda, ho scritto tre libri e una manciata di pagine sparse, sono stato testimone in quattro matrimoni, ho cambiato indirizzo a sbalzi. Alcune cose, in sostanza, sono cambiate; altre sono invecchiate. Alcune sono totalmente nuove. Quindi. I ragazzi sono tornati, ma non sono più ragazzi.

I più sani di mente tra voi, se non hanno abbandonato la lettura dopo la parola Fiesta, si chiederanno ora – almeno – chi sono questi ragazzi di cui parlo. Sono io a vent’anni. E l’“Accademia degli Scrausi”.

A vent’anni-più-o-meno, in quindici-più-o-meno, ci siamo riuniti, una sera, in una birreria che non esiste più ma che si chiamava come una canzone di De André, e abbiamo deciso di chiamarci “Accademia degli Scrausi”. Scrauso, per chi non è romano, significa ‘brutto, scadente, di poco conto’. E il primo uso attestato è nelle carte della confessione (estorta) di Bellezze Ursini, condannata come strega nel Cinquecento. Poi più niente, per secoli. Fino ad Amore tossico, nel 1981. E ci piaceva, chiamarci con le parole di una strega burina e di un manipolo sgangherato di tossici della nuova Ostia. Quella parola là, ci apparteneva. Eravamo tutti studenti di storia della lingua italiana, allora. E – visto che non se ne occupava nessuno, più o meno – pensammo di rivendicare la nostra appartenenza scrausa studiando le periferie della lingua. La lingua della canzone, la lingua del calcio, la lingua del Murena – che «vive da prima del tempo e ci sarà dopo di esso» (parole sue) – e di tutti gli altri writers murali della città di Roma.

Nel 1995 (un anno prima di dieci anni fa, evidentemente), noi quindici-più-o-meno Scrausi abbiamo ereditato il voto di Lucia Alberti al premio Strega. E nel 1996, dieci anni fa, abbiamo candidato Live di Sandro Veronesi allo Strega del cinquantenario.

Quest’anno, dieci anni dopo, sempre in quindici-più-o-meno (con o senza la bottiglia di rhum dei pirati), dieci anni prima dei moschettieri di Dumas e con la consapevolezza di essere cinque volte loro (più o meno, e D’Artagnan a parte), candidiamo Caos calmo di Sandro Veronesi allo Strega del sessantenario. Il che dimostra della poesia algebrica dei numeri, anche. 

E dato che un gioco (lo Strega) è un gioco, ma un romanzo (Caos calmo) è un romanzo (e visto che mentre si gioca la lettura va condivisa), c’è sembrato normale (sempre in quindici-più-o-meno, sempre davanti a una bottiglia di rhum, uh uh uh) raccontare alla rete e agli irretiti tutti perché candidiamo Caos calmo di Veronesi allo Strega. Ora: ogni lettore trova quello che vuole – si sa – in quello che legge. E quello che onestamente si può fare, quando si prova a condividere un libro con altre persone, è raccontare ciò che si è visto.

Vi dico cosa ho letto io, in Caos calmo. Cosa ci ho visto.

Ho visto l’incolumità dalla morte per acqua, finalmente, dopo quasi un secolo di terrore ratificato; e però l’incomparabilmente grottesca efficacia della morte, delle morti in genere, quando ti sorprendono comunque, all’improvviso o annunciate che siano, e ti lasciano implodere come risucchiato da un buco nero che – attenzione – non è mai quello su cui ti eri affacciato, girellando sicuro di te attorno all’orizzonte degli eventi. Ci ho visto una promessa mantenuta fino alle sue estreme conseguenze, fino al ridicolo e al dolore che un rigore imposto si trascina con sé, inevitabilmente: e proprio per questo ci rende umani, goffamente umani e fragili, con l’orgoglio straordinario e intrattabile di chi sa di essere indifeso. Ci ho visto quarantenni che si portano con sé il rancore inestinguibile di un suicidio, la frattura di cui si sentono colpevoli senza la possibilità di ottenere nemmeno la grazia risentita di un «sì, è colpa tua»; e per questo la domanda gli pesa, perché non c’è più nessuno a cui poterla rivolgere. Ci ho visto la banalità distruttiva del potere, quando si espone; e le risate cui la tragedia ti costringe, quando – superata una certa soglia – non c’è più un confine certo tra quello che poteva e quello che non poteva essere. Questo è – in parte – quello che ci ho visto. E su questo ho divagato.

(E tutt’insieme.)

Il grande scherzo del tempo agli esseri umani è sempre stato quello di convincerli che esiste attraverso le date. E allora, paradossalmente: dimentichiamoci delle date, delle occasioni, degli appuntamenti; usiamoli come pretesto, sì, magari per il rhum, per stupirci della magrezza nuova di Athos; ma che Godot non arrivi, alla fine, a chi interessa? Consideriamo le date per il pretesto che sono, come i numeri di pagina in un romanzo. Se cambia l’edizione e le pagine, le stesse, si muovono: e il passo incerto dei ricordi si confonde con lo stupore per un’aggiunta, o un taglio, o la correzione di un refuso, o un nuovo refuso, quello che alla fine resta sono le pagine. La scrittura, dice – più o meno – Troisi, non è solo di chi la fa, ma serve a chi la legge: per innamorare o sopravvivere, poco importa.

Che poi – forse – chissà che non servano proprio a scriversi nel tempo e a denunciarne il grande scherzo, i romanzi. Ti giri un attimo, sono passati dieci anni e te li ritrovi lì, nelle pagine che hai con te a imbolsirti le tasche della giacca grigia; indispensabili e precise come gli anni che raccontano. Forse. Sempre “ammesso che una cosa bella debba necessariamente servire a qualcosa”.

Giordano Meacci

(L’Intronato, per l’Accademia degli Scrausi)

5 pensieri su “GLI SCRAUSI, VERONESI E LO STREGA: SCRIVE MEACCI…

  1. Invece Antonella Cilento, sull’ “Indice”, ha scritto: “… Ma, come lui stesso dice, la mazzata di questa morte, il lutto che dovrebbe bene iniziare a farsi sentire prima di essere elaborato, non arriva. Misteriosamente. Non arriva fino a una conferenza in cui una psicologa parla di come comunicare la morte ai bambini e Pietro, dopo le pagine migliori del libro insieme a quelle iniziali, sviene. Sviene continuando a non darsi ragione del perché. Sviene dopo aver visto una macchia di sangue sotto la narice di una sua vicina il cui viso gli ricorda ogni cosa di cui abbiamo paura nella vita, dai vampiri agli zombi.
    Ma allora, mi chiedo, cosa manca a questo libro per essere all’altezza di uno dei romanzi di McEwan o di Amis? Me lo domando con rimpianto, perché questo libro aveva (ha) dentro tutte le potenzialità e la densità e le ambizioni per essere un grande romanzo, e io sono stata una lettrice felice, fino a un certo punto. E l’unica risposta che riesco a darmi è che in questo caos calmo manca il ritmo, la frenesia si disperde, l’ossessione diventa ragionativa, la narrazione indulge alla chiacchiera e per questa perdita d’equilibrio la storia naufraga prima di averci fatto soffrire, fino in fondo, per il drammatico mistero della morte che cade nella nostra vita senza ragioni e sull’assenza di senso che traspare dalle relazioni che Pietro intreccia.
    Non si dimentica Caos calmo per alcune sue pagine, ma purtroppo non si arriva a vedere l’insieme. Del resto, questo è il rischio, raramente corso in Italia, di tentare un romanzo sulla complessità.”

  2. violenza di stato!
    Il sergente e i suoi protettori sostenevano cose terribili sul mio conto, ma sapevano che, non potevano confermare quello che dicevano, per questo hanno deciso di non decidere, nonostante 500 mila euro, che spendevano ogni giorno per pedinarmi, spiarmi, umiliarmi e torturarmi e tenere questo scandalo tra gli amici come si faceva negli ultimi 16 anni usando il piano A-B-C-D!
    Vedi:www.lemin.blog.kataweb.it

  3. Gesù! L’ultimo commento è pazzoide! Caro Giordano, l’unica eredità cui terrei sarebbe proprio un voto allo Strega! Come fo a candidarmi a una simile eredità? Bellissimo racconto, questo, di un’avventura vera, nata già come epopea favolosa sotto l’egida di una delle astrologhe più formidabili che ci siano mai state. Un abbraccione.

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