LA MINACCIA FANTASMA: GENNA RISPONDE A LA PORTA

Avviene questo: sul Corriere della Sera di oggi Filippo La Porta “si schiera per la schiavitù della letteratura alla cosiddetta "realtà" e contro l’immaginario”. Cito fedelmente dalla premessa ad un lungo intervento di Giuseppe Genna che appare su 24/7 e che vi riporto in integrale. Anche perché sul rapporto fra letteratura e realtà ci si continua, mi sembra, a confrontare. E molto spesso ad incagliare.

Poiché la critica vera è quasi morta, rappresentata ormai da grandissimi intellettuali come Citati Cordelli Siciliano Canali Mengaldo, dovremmo accontentarci della critica giornalistica? Su questo punto non ho il minimo dubbio: sì. La critica letteraria, sui giornali, accenna, grazie alla capacità di lettori professionali, a suggestioni intorno a un libro, e divulga affinché il libro venga letto. La critica vera, invece, non è critica: è teoria della letteratura o non è. La teoria della letteratura non ha praticamente rappresentanza sui quotidiani o sui mezzi di comunicazione e, da scrittore di ormai lunga navigazione nel cosiddetto "àmbito editoriale", è circa un ventennio (diciamo dalla fine di Alfabeta) che ravviso la pubblica assenza di teoria della letteratura su media massivi (discorso altro, ovviamente, per i libri: ne escono, e di ottimi). Soltanto gli intellettuali di cui ho fatto i nomi sopra sono recentemente intervenuti (e recentemente vale qui per un periodo, diciamo, di cinque anni: il che è tutto dire) con potenza e profondità, per aiutare gli scrittori a chiarire le tenebre in cui sono immersi nell’affrontare il presente.
Ogni tanto, però, non si sa come, qualche eccezione sfugge al monolitico discorso del presente mediatico: appaiono brevi pareri che hanno tutto il tono di dettami iscritti nell’ordine di una teoria della letteratura. Come il pezzo di spalla, oggi su Corriere, alla recensione entusiastica a Luoghi comuni di Pino Corrias. Un libro che esce in questa collana, 24/7, e che, va detto, ha tratto in inganno il titolista del prestigioso quotidiano di via Solferino. Il titolo del pezzo sul libro di Corrias è infatti Il romanzo italiano si rimette in viaggio, mentre a rimettersi in viaggio è un giornalista e un narratore come Corrias, che non ha scritto nessun romanzo, bensì una raccolta personalissima di reportage letterari e per questo assai significativa e interessante, capace di coniugare l’occhio clinico di Capote e la pietas di Piovene. Il titolo dà comunque la stura a un brevissimo elzeviro di Filippo La Porta, che non è un teorico della letteratura, bensì un critico direi generalista, il quale stende un non tanto orfico decalogo (anzi: un monologo secco) il cui sunto è: che gli scrittori italiani contemporanei scrivano faction, la letteratura è avulsa dalla realtà, si metta a inseguire la realtà e la racconti. E’ una posizione bennota di La Porta, soprattutto per chi nei mesi scorsi ha frequentato la Rete e le polemiche letterarie esplose nella blogosfera. Posizione da cui mi permetto di dissentire e alla quale rispondo, con tutta la stima che porto per un intellettuale intelligente come Filippo La Porta.
Quando si prendono posizioni come quella pronunciata da La Porta, si deve essere cauti, perché si è nel regno della teoria della letteratura, che ha il suo cominciamento nella Poetica di Aristotele e non può scendere al di sotto dell’asticella fissata dallo Stagirita. Altrimenti, si tratta di opinioni: e non è che le opinioni non costituiscano realtà – la realtà essendo fatta di opinioni, anche, e non soltanto di fatti sociologicamente trattati dal regime mediatico, che sarebbero il cerchio di realtà a cui La Porta si ispira, suggerendo a me e ai miei colleghi di inseguire tali fatti e metterci tutti allegramente a inventare il meno possibile, perché l’invenzione è una fola, un immaginario, capace di farti espellere da viscere ambigue romanzi fluviali a ogni stagione. Magari ci fossero più romanzi fluviali a ogni stagione, caro La Porta! Romanzi fluviali alla Wolfe, alla Mailer, alla Roth quando è fluviale, alla Ellis, alla Houellebecq! Gente che, la faction, l’ha fatta quarant’anni orsono (Mailer e Wolfe, soprattutto – dico il Wolfe non tradotto in Italia) e che si è convertita al romanzo puro, al romanzo che, attraverso l’immaginario, scruta le pieghe della storia. E quando fa faction, come il Houellebecq di Lanzarote, è chiaro che la usa come prodromo per la grande narrazione, in questo caso de La possibilità di un’isola.
Per fare teoria della letteratura bisogna avere una solida conoscenza della filosofia, che, in quanto solida, ha talmente saturato i processi sinaptici, da costituirsi in visione del mondo: in visione della realtà. Il problema della posizione enunciata da La Porta è infatti di ordine filosofico: a quale realtà dovrebbero ispirarsi gli scrittori? Che realtà ha in mente La Porta? Dovrebbero i narratori inseguire crimini o grandi fatti? Non insegna nulla il fatto che nessuno tra i grandi scrittori americani si è messo a scrivere un romanzo esplicitamente dedicato all’11 settembre? La Porta sembra convinto che la realtà sia mediata: una falsità filosofica, perché nulla media la capacità d’essere e, quand’anche la rappresentazione mediale influenzasse la capacità di sentire e pensare, resta il fatto che gli scrittori non seguirebbero questa strada: non giocherebbero la partita mettendosi a rincorrere, sul piano del racconto, la realtà che altri mezzi, cronachistici o analitici in maniera indecente e superficiale, sanno raccontare con immagini e retoriche preformattate (come la tv che, rubata la retorica alla letteratura, va in crisi perché, dopo un po’, la retorica non basta più: serve l’immaginario). La realtà non è quella a cui pensa La Porta e sfido l’amico Filippo a elencarmi una lista di dieci autori nel mondo che fanno quanto dice lui che dovrebbero realizzare gli italiani contemporanei. Forse Ellroy con il suo ultimo, splendido, Jungletown Jihad? Ma lì siamo ad altezza Burroughs, se non ce ne fossimo accorti. Quali sono le faction che stanno costruendo l’immaginario? Non certo quelle di Carlo Lucarelli, che va a mettere le mani nel fango per portare alla luce un immaginario storico di cui non si sapeva nulla (o se ne sapeva, ma in pochi) e che riesce nel miracolo di compiere l’operazione non con furia, ma calma oratoria. E non certo la congiuntura settantina di Romanzo Criminale di De Cataldo o dell’ultimo Arpaia: romanzi, per l’appunto, fluviali, ispirati certo a una realtà storicizzata (e la storicizzazione è comunque una mediazione mentale: non tanto diversa dalla catodizzazione dell’evento…), ma devianti secondo canoni di cui solo la letteratura vera dispone.
Però, forse, quelle poche righe di spalla in una pagina del Corriere sono quello che sono: un riassunto troppo limitato di quello che negli elzeviri della Gazzetta dello Sport si definirebbe "il La Porta-pensiero". Bisognerebbe concedere a La Porta uno spazio maggiore, per giustificare a dovere cosa pensa che sia la realtà e per difendersi dall’amichevole accusa che gli muovo: cioè che la realtà a cui lui pensa è già di per sé il nemico della letteratura, l’ostacolatore – la realtà mentalizzata e mediata, non la possibilità infinita dello scatenamento a cui conduce l’immersione della storia nell’immaginario della letteratura.

13 pensieri su “LA MINACCIA FANTASMA: GENNA RISPONDE A LA PORTA

  1. Direi anche che l’immaginario (filosofico o letterario che sia – sto pensando a Deluze), le intuizioni che si condensano in un immaginario, possono dirci della relatà qualcosa di più e a un tempo di meno rispetto alla semplice “realtà dei fatti”, e che senza questa immaginazione il romanzo, seplicemente, non ci può essere.

  2. (Che poi è quel che dice Genna stesso, in modo più articolato, riferendosi non solo al romanzo traguardando Aristotele, nel suo ultimo post in Centraal Station).

  3. quando si auspica per il poeta, che inventa per definizione, l’attenzione alla realtà, non lo si fa certo in termini “letterari” (cioè di fare letteratura “realista”), ma politici, cioè di costruirsi un immaginario meno tarato su realtà fantasmatiche (giacché anche i fantasmi mentali sono ben reali) di comodo, di autocompiacimento, in cui si recita una parte facile, ma su altre ugualmente mentali ma meno “im-mediatamente” ideologiche – il passaggio al letterario è appunto la capacità di mediare con la propria ideologia e posizione (bachtin), cioè di mettere in scena “involontariamente” il punto cieco del proprio (un proprio collettivo) essere-guardare, “ciò che tra tutti non incontrerò mai”, e non certo di rimediare ai torti, e tantomeno di “scoprire della realtà o addirittura della storia – bum – qualcosa di più” o di “produrne di nuova e migliore” (mitologema come produzione di senso ergo di realtà), come con superficialità e contraddizione con la premessa qualcuno pensa.

  4. La cosa che mi conquista di Genna (ma devo smettere di parlarne bene!) e di Evangelisti è che pur vivendo consapevolmente l’attenzione alla realtà politica, non si fermano appunto al realismo, ma invocano in questo scenario altre potenze. E che queste altre potenze siano vicine alla letteratura più di ogni paradigma materialistico è una posizione opinabile, ma interessante e molto “poietica”: più con Benjamin che con Bachtin…

  5. La Porta
    la letteratura è avulsa dalla realtà, si metta a inseguire la realtà e la racconti
    Genna
    Per fare teoria della letteratura bisogna avere una solida conoscenza della filosofia, che, in quanto solida, ha talmente saturato i processi sinaptici, da costituirsi in visione del mondo: in visione della realtà.
    io
    non ho la fortuna di essere avulsa dalla realtà, talvolta mi piacerebbe (essere avulsa), ma proprio non c’è verso. In questa dimensione d’esistenza sembra che mi debba accontentare di esserci, per l’irrealtà il percorso è mortale e al momento (spero) rimandato. Tiè.
    Ho anche la ventura di non conoscere bene la filosofia anzi, direi che in tema sono particolarmente ‘gnurant.
    Epperò vuoi per realtà vuoi per ignoranza non posso fare a meno di far muovere un pò le meningi dopo questa istruttiva lettura. Non proporrò una teoria, ma una stupidissima domanda: si può fare qualcosa nell’irrealtà? qualcosa tipo la letteratura?
    A me sembra di no e quindi nel mio modesto filosofare resto convinta che tutto quello che facciamo è realtà, anche qualsiasi cosa scritta detta e, forse, pensata. Rimproverare uno scritto di mancanza ‘di realtà’ per il semplice motivo che non cronacheggia lapalissianamente sui fatti che ci accadono (e in cui noi accadiamo) è semplicemente fuori senso. La cosa che invece potrebbe mancare è la capacità del critico o del lettore comune di dare un senso di ‘realtà’ a quello che si legge. Ovverossia, se qualsiasi cosa è realtà (compreso il peggiore manoscritto) il problema per chi voglia dargli un senso oltre l’analisi grammaticale è avere un’idea della (sulla) realtà e inquadrare in qualche modo la lettura. In questa operazione di dare senso al letto (non quello con cuscini e materasso in cui sto per appisolarmi) si possono manifestare molte reazioni che toccano anche degli, ehm, estremi …dal lancio nel cestino della spazzatura alla religiosità più spudorata 🙂
    Trovare le ragioni di uno scritto e delle storie, anche quelle più ‘di cronaca’, non è semplice e implica farsi un’idea di come gira il mondo e di qual’è il nostro binario oltre che quello del tizio che ci ha raccontato la storia di una zia di cartone che se la faceva con un gelataio geloso e forse avrebbe preferito un divo di telenovela che però se la faceva con il gatto del suo vicino.
    Scherzo, mi sembra che la cosa che manca di più e che rimandiamo o occultiamo dietro le richieste di trame ad hoc sia proprio il senso della nostra realtà, quella che ci sta sotto i piedi, in cui camminiamo ogni giorno e che spesso ci fa troppo comodo non vedere o non vedere nella sua complessità. Che gli scrittori ci dicano cosa ci accade quando andiamo a cagare, please, (questa è una realtà, nevvero?)noi non siamo più in grado di vederlo da soli, ci mancano un pò troppi elementi e nello stesso tempo ci sarebbe scomodo averli (quegli elementi). Lo scrittore dovrà accortamente descrivere il fenomeno evitando l’avulso dalla realtà, l’ideale sarebbe per punti, così tutti possono capire e realizzare. Se invece un tizio bussasse alla porta con una storia di un uomo che si trasforma in scarrafone, buttatelo fuori, credo si chiami Franz ed è un rompicoglioni, anche quello di nome Italo che continua a blaterare di baroni rampanti e corazze vuote, sono avulsi, sono avulsi, che diamine.
    Come sapete a quest’ora, dopo la mezzanotte, la mente di molti si affloscia, la mia non fa eccezione. Spero di non avere detto un mucchio di castronerie:-) se si scusatemi, non è stata una bella giornata 🙁
    besos

  6. A proposito di scrittura & realtà, cito un frammento all’arsenico di Massimiliano Parente: “Mauro Covacich scrive romanzi leggendo i giornali, anzi spremendone un succo con cui inchiostrare libri che dopo sei mesi, con i nuovi palinsesti televisivi, sono già scaduti.
    Sui giornali si parla di Unabomber e scrive una storia su Unabomber, sui giornali e in tivù ci sono i reality e scrive la storia di un reality il cui autore, già che c’è, sarebbe Unabomber…”:- )

  7. Questo articolo di Genna è il classico esempio di come si possa scrivere una lunghissima pagina per dire ciò che si potrebbe dire in dieci righe.
    E forse, se non si scrivessero nemmeno quelle dieci righe, il mondo andrebbe avanti benissimo ugualmente.
    Ma bisogna pur campare.
    E allora anche fare la critica del critico che critica un testo…è sempre meglio che lavorare.
    O no?

  8. Concesso, ma il mio commento non è livoroso, è una semplice constatazione.
    E nessuno mi paga per lasciare commenti nei blog.
    Quindi, comunque, bisogna lavorare.
    Buona giornata 🙂

  9. Con tutto quello di gratuito che Genna scrive da anni su internet, mi pare abbastanza fuori luogo il commento di Giano.

  10. Sono per un’ecologia della scrittura, ha ragione giano, Genna scrive troppo ed effettivamente i suoi discorsi meriterebbero una accurata sinossi.

  11. L’Illiade è un’opera realistica, così come Il gattopardo è un’opera fantastica. Insomma, un testo parla sempre della realtà. E’ la realtà che so offre a diverse lenti cambiando forma. Credo…

  12. Più di un vizio nel commento di La Porta.
    Innanzitutto, credo abbia frainteso Scurati (spero di non essere interprete approssimativo del pensiero di quest’ultimo). Quando il buon Antonio si lamenta dell’”immaginario mediatico imploso in mille frammenti” non intende lamentarsi della mancanza di un “mondo condiviso da raccontare”, ma denuncia la qualità degradata di tale immaginario. L’immaginario mediatico è la realtà, realtà che dunque esiste e viene già raccontata dai romanzieri italiani –anche da quelli che –scandalo!-producono “romanzi fluviali”.
    Secondo appunto: quale miopia (o conservatorismo) impedisce a La Porta di cogliere che in Italia sono proprio alcuni romanzieri i migliori interpreti della realtà, e che sono loro a mettere in circolo nel discorso pubblico un surplus di senso che metabolizza questa stessa realtà?
    Mi riferisco ad alcuni romanzi come 2005 dopo Cristo di Babette Factory, Occidente per principianti di Nicola Lagioia, e soprattutto a Dies irae e ai romanzi precedenti dello stesso Genna.
    Si tratta qui di romanzi veri e propri che arrivano ad essere tali “in forma mediata”: il loro ‘materiale di coltura’ è proprio la realtà, i fatti storici contemporanei e recenti che si intersecano in maniera inestricabile con l’immaginario mediatico, che diventa personale.
    E’ proprio quest’intersezione la strada attualmente più produttiva e meritoria della letteratura italiana, ma credo che questa poetica vada presa come contingente, e non assolutizzata in maniera normativa come l’unica desiderabile.
    Così come non credo, al contrario di Genna, in una teorizzabile supremazia della creazione di storie sul riferire la realtà, né viceversa. Questa questione si presentò anche in occasione della polemica fra Genna e Aldo Nove su Piperno, in cui, secondo me sbagliando, Genna indicava come preferibile la narrazione di Piperno alla referenzialità di Nove, ingiustamente sminuendo il lavoro di Nove a causa della premessa sbagliata.
    ((Pubblico questo intervento anche sul mio blog http.//stefanocastelli.blog.kataweb.it, scusate la spudorata pubblicità e grazie a chi vorrà leggermi.))

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