GLI SCRITTORI DI FANTASCIENZA E IL CROLLO DEL PENSIERO DI THATCHER

Nel 2002 Kim Stanley Robinson, scrittore americano di fantascienza, pubblica “Gli anni del riso e del sale”: dovendo proprio trovare un’etichetta, è storia alternativa, laddove, nel romanzo, la peste nera del Trecento ha fatto ancor più morti della realtà, il 99% della popolazione europea (invece del 30%) è scomparsa e a prevalere sono altre culture: islamica, cinese, indiana. Ora, Robinson è intervenuto un mese fa sul New Yorker a proposito del coronavirus: ci richiama a quel che eravamo prima della pandemia, al nostro vivere nel mondo senza sentirlo, e al momento storico che attraversiamo, spiega che il paragone con l’11 settembre regge fino a un certo punto, perché quello fu un singolo, drammatico giorno, ma non cambiò più di tanto le nostre vite (lui, per esempio, è un altro che ricorda molto bene l’invito dell’allora presidente degli Stati Uniti per superare la crisi: andare a fare shopping). E soprattutto ci dice che, anche se tutto dovesse tornare magicamente com’era, non dimenticheremo questa primavera.
Finalmente, aggiungo io. Perché continuo ad aggirarmi smarrita fra le plurime dichiarazioni, non solo scientifiche o politiche, di normalità recuperata, come se non avessimo vissuto, e vivessimo ancora, un momento davvero storico, qualcosa che rimarrà indelebile nella nostra memoria, nel nostro immaginario, nella nostra quotidianità. Non troviamo le parole per dirlo, perché le nostre parole sono state sgretolate: le troveremo, certo, ma quel che è spaventevole è credere di poter cancellare tutto con uno schiocco delle dita, come una delle solite polemiche sui social, che oggi le segui e domani te le scordi, qualunque sia l’argomento.
Robinson dice un’altra cosa importante, e non la dice perché è di parte: dice che la fantascienza è il realismo dei nostri tempi. Gli scrittori di fantastico non sanno tutto, non predicono il futuro: ma mettono insieme i puntini, diciamo così, e magari aiutano chi legge a orientarsi meglio nella mappa del nostro presente (non il futuro, il presente).
Per esempio sanno qualcosa che dovremmo sapere tutti, e lui la ricorda: che gli “stupidi slogan” di Thatcher (“la società non esiste”) e Reagan, che ci hanno segnato negli ultimi quarant’anni, stanno finalmente, forse, mostrando la corda: “siamo individui, come le api, ma esistiamo solo in un corpo sociale più ampio. La società non è solo reale, è fondamentale, e non possiamo vivere senza. E ora stiamo cominciando a capire che questo “noi” include molte altre creature  nella nostra biosfera e persino in noi stessi”.
Possiamo e dobbiamo anzi cambiare, insomma. Ma davvero, non pensiamo più di poter dimenticare. Certo che abbiamo voglia del mondo di prima, del mare, della pizza con gli amici, delle feste e delle cene. Ma il prima appartiene a un’altra epoca. Proviamo a immaginare quella che verrà. Questo è quello che dicono gli autori di fantascienza, che mai entreranno nella cinquina del Campiello, ma, a volte, vedono lontano.

Un pensiero su “GLI SCRITTORI DI FANTASCIENZA E IL CROLLO DEL PENSIERO DI THATCHER

  1. Siamo entranti nella crisi del Coronavirus con la stessa fiducia dei tedeschi all’inizio della seconda guerra mondiale. Certi che sarebbe finita e certi che sarebbe stata breve. Anche quando alla crisi sanitaria si manifestava quella economica, anche di fronte allo crescere dei morti. La fiducia è ancora alta, verso lo Stato, verso la collettività il timore è che deve ancora giungere la Battaglia di Stalingrado (o forse è adesso, negli Stati Uniti?)

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