IL CATTIVO VETRAIO

Dopo aver esaminato con curiosità tutte le sue lastre di vetro, gli dissi: «Ma come? Non ha vetri colorati? Niente vetri rosa, rossi, blu, niente vetri magici, o del paradiso? Impudente che non è altro! Osa andarsene in giro per i quartieri poveri senza nemmeno un vetro che faccia sembrare più bella la vita!». E lo spinsi con forza giù dalle scale, che scese barcollando e brontolando.
Andai al balcone e afferrai un piccolo vaso di fiori, e quando l’uomo riapparve sbucando dal portone lasciai scivolare perpendicolarmente la mia arma di guerra sul bordo posteriore del suo carico; cadendo all’indietro per lo spavento, finì per mandare in frantumi sotto la schiena tutta la sua povera fortuna di ambulante, con lo schianto di un palazzo di cristallo colpito dal fulmine. E io, ebbro di follia, gli gridai furioso: «Faccia sembrare più bella la vita! Faccia sembrare più bella la vita!».

Il Baudelaire de Lo spleen di Parigi è stato utilizzato da Alex Shakar in apertura de La Selvaggia, appena uscito per Fanucci (è un romanzo di esordio dedicato ai trendspotter, i cacciatori di mode). Ma, non so come, mi sembra in tema con quanto si discute in questi giorni.

43 pensieri su “IL CATTIVO VETRAIO

  1. Ormai per Genna tutto è “ultrapsichico”. Eppure da piccolo prometteva così bene! Nota comunque marginale, di nulla importanza.
    Saludos
    Iannox

  2. Sto ancora ridendo, tra le altre cose ho scoperto:
    …….Nasce così, per la prima volta nella storia, l’editoria di massa. A dire il vero, Dio aveva contato su quattro o cinque libri sacri, non di più. Invece ne vengono scritti a centinaia….
    anche se non e’ l’argomento principale, leggetelo: vi divertira’ e…non solo.
    http://www.carmillaonline.com/archives/2005/04/001324.html
    Iannox, figliolo, che dire, a volte mi coalizzo con le fidanzate, soprattutto quando sono considerate (con una certa supeficialita’) interscambiabili.
    Visto che sei tu faro’ eccezione e, per stavolta, non prestero’ alla pulzella i miei scarponi:-)
    besos

  3. …però questo scassatore di vetri è anche un po’ uno stronzo (un restauratore, per Moresco), e allora Dickens lo avrebbe fatto essere anche o: drogato (Edwind Drood) avaro (uno dei Nickleby), tirchio di sentimenti ( Dombey padre)… E invece quello coi vetri scassati, un “buono”, come peraltro secondo me ce n’è ancora: Nicolas Nickleby, o Pip nella casa di Dickens.

  4. …e appunto non si starebbe meglio tutti se nessuno si autoelegesse più “artista”, se nessuno si ostinasse a volere vedere il mondo secondo i suoi desideri? Ma certe volte pare che il mondo continui ad andare solo perchè qualcuno possa autoeleggersi. Perchè qualcuno possa vedere e celebrare il mondo secondo quello che è nella sua testa. Saggia, eh, il posto? Attenzione, che non mi faccia prendere la mano.

  5. Be’, Severus, i vetri erano del vetraio, che non a caso non aveva scelto – saggiamente – di fare l’artista – non lo so, non ho letto il romanzo, ma così mi pare – e di tutta la rabbia del rompitore, non è che debba farsene carico “l’artigianello” – direbbe Saba – no? Per quanto ignorante, poco fantasioso e simile a un mulo col suo carico il portatore di vetri possa essere, che il rompotore voglia vedere “il mondo a colori”, cazzi suoi, no? ma chi se ne frega? mettiti gli occhiali cn le lenti rosa!

  6. @ Genna, WuMing & Co
    Su Donna di repubblica c’è un intervista a Tom Wolf che fa un intelligente ritratto del vostro tipo umano.
    ps potete sempre consolarvi con Marias nelle prime pagine della stassa rivista.
    Ola

  7. Perchè, Ola, che cosa dice? Fra tutti i difetti che ho – oltre al fatto di essere come si sa attaccabrighe notevole – c’è preponderante, quello della curiosità, seguito a ruota da quello del rimpianto. Siccome io l’inserto l’ho regalato, adesso voglio sapere che cosa c’era scritto e rimpiango di non averlo più. Mai regalare niente! Puoi farmi un riassuntino?

  8. @ il postodellacuriosità
    Più o meno.Javier Marias continua a sostenere che l’America di Bush va verso il Nazismo, Wolf parla dell’elite di sinistra come ridicoli il cui pensiero non è progredito dal 1945 ,racconta un gustoso episodio su Allen Ginsber che gia 40 anni fa urlava al nazismo prontamente rimproverato da Gunter Grass che il nazismo sapeva cos’era e altre cose divertenti.
    Se sei anche tu imperofoba ed imperoparanoica ti darà fastidio.

  9. @ SPETTATRICE
    Ma Darling, la vita è sempre una scommessa che si rinnova, giorno dopo giorno, cercando possibilmente di restare in piedi. Perché in orizzontale è cattiva vita se non si fa bum-bum. ^____^”’
    Ma davvero saresti solidale con la mia fidanzata? Ma non è che io sia superficiale, piuttosto direi che amo approfondire le conoscenze. ^____^”’ Poi, l’isoletta cubana è una tentazione forte assai, devi ammetterlo…
    Ma per me fai l’eccezione, e ti ringrazio di non dar via i tuoi scarponi alla mia ragazza, perché lei c’ha già su i tacchi a spillo, e ovviamente me li batte in testa dalla parte del tacco. Ahio, che male tremendo! ^____^”’
    Besos
    Iannox
    Iannox, figliolo, che dire, a volte mi coalizzo con le fidanzate, soprattutto quando sono considerate (con una certa supeficialita’) interscambiabili.
    Visto che sei tu faro’ eccezione e, per stavolta, non prestero’ alla pulzella i miei scarponi:-)
    besos

  10. “stiamo risalendo?”
    “no stiamo perdendo quota”
    J. Verne-l’isola misteriosa
    (una mia vecchi conoscenza,in codeste condizioni,avrebbe chiesto la chiusura del mondo per lassismo manifesto)

  11. OT ultimo e…chiedo scusa a tutti anche per le puntate precedenti.
    Iannox
    si, sarei solidale con la fidanzata e non per semplice spirito di corpo al femminile (non solo), ma per una reazione infantile.
    Da sempre avrei voluto mollare un calcione negli stinchi (peccato per i piedi troppo piccoli) a quegli adulti che la menavano con il fatto che il bambino del vicino era piu’ verde.
    Provavo lo stesso impulso anche quando quella piu’ verde ero io.
    Per cui capisco che le relazioni affettive/sessuali/fidanzative ecc… finiscono, da un po’ di tempo lo accetto come parte del ‘divenire’ (Genna scusa se mi addentro in spazi di tua competenza), ma riallaccio gli scarponi davanti a affermazioni del tipo:
    le fidanzate son fatte anche per esser cambiate, quando un uomo ne trova una migliore…
    Un po’ di rispetto per le fidanzate, perdinci!!
    besos

  12. @ SPETTATRICE
    Mah, guarda, discorso che (ti) fa tanto cattolica. Morale cattolica, in pratica chiese vestite in viola, altro che verde altrui ed amori evergreen. Comunque – lasciando il Genna dov’è. probabilmente ad inseguire un piatto di maccheroncini ultrapsichici, o una scatolina di profilattici alla fragola ma che siano ultrapsichici ovviamente – l’isoletta cubana l’ho occupata con la mia ragazza che m’è accanto mentre scrivo e se la ride… perché lo sapeva che non eri fatta per me.
    Oh, dove quei giorni dei “magnifici perdenti”? Oh oh oh, dissolti sono. Dissolti..
    Besos
    Iannox

  13. OT e poi lascio…. intravvedo colline verdi nel mio futuro.
    Iannox,
    da soli nell’isola cubana io te non saremmo mai sopravissuti: troppa morale, troppo cattolica:-) (cosa mi tocca sentire!!)
    Pero’ potremo restare buoni amici. Il mio manuale della ‘morale cattolica’ non lo vieta. lo sto leggendo da un po’, serena e rilassata dopo il nuoto, e sembra che la cosa sia consentita:-) In caso di nuove direttive episcopali mi regolero’ di conseguenza 🙂
    Besos

  14. O “La Selvaggia” (dickensiana) è un libro vecchio, o Spettatrice e Ienax sono poco “inquadrabili”. Che sia la “morale” (cattolica, o altro) a dare caratteristiche da vetraio e da spaccavetri? O semplicemente sono loro due – beati loro! – ad essere poco dickensiani? Però – e su questo non ci piove – a guardarsi intorno, in giro di vetrai e di spaccavetri ce n’è ancora tanti. O no? Sono dickensiana anche io a pensare questo? Ho la stessa malattia di Moresco (con caratteristiche mie proprie, tengo a specificare)? E se invece fosse che le categorie (vetrai e spaccavetri) valessero solo quando di mezzo ci siano “i soldi”, il lavoro, e non valessero invece quando si trattasse di sfere “gratuite” dell’esistenza, quali la simpatia, l’affetto, l’amore? Propendo per questa seconda ipotesi. Quando si tratta di lavoro e soldi non ci si può esimere dal considerare che si potrebbe essere vetrai o spaccavetri (Dickens vale!). Quando “si ama”, (che palle!), o si prova affetto, si è fuori dalle suddette categorie. ma, sarà vero? No, non è vero neanche questo! C’è chi anche in amore è capace di fare lo “scassavetri”, e chi è disposto a farseli rompere in testa (i vetri). Complicato!

  15. @ SPETTATRICE
    Ma certo che si rimane buoni amici, è sicuro: un diamante va bene pure per una sincera amicizia.
    Io sono sempre il solito: per me la migliore filosofia di vita è quella espressa da Bertrand Russell, e tutto il resto che vada alla malora. ^___^ Non ce la faccio a leggermi la bibbia o un suo sunto – anche se a suo tempo l’ho fatto, per conoscere, per dire, per criticare con la ragione e non col cuore che troppe volte è mesteriante di sé stesso e dice labirinti ed universi oscuri.
    Io credo che finirò un paio di cose, poi me ne farò una ragione della ragione e prima di perdermi in un labirinto, tenterò l’impresa di raggiunger a nuoto Cuba o una sua isola. Starò attento alle sirene e al loro canto, non ti preoccupare. La mia Penelope m’aspetta, è già lì, sull’isola che solo aspetta me. Fedele a me così come io a lei.
    Besos e buona domenica
    Iannox

  16. Discutendo con il mai troppo lodato alderano (peccato che egli non possa prestarmi le attenzioni di amante che da uomini di tale statura ogni puledra come me in età da marito sognerebbe) sulla querelle di Nazione Indiana, siamo giunti a consideare un’altro aspetto della questione, a mio avviso basale, su cui poi si innesta e radica prospero il garbato terrorismo editoriale anti-letteratura. Questo aspetto è il pubblico: mi interrogavo infatti su quale fosse la fons honorum da cui potessero trarre legittimità i canoni abberranti della vendibilità editoriale, e, avvalendomi anche dell’esperienza diretta di alderano e in parte mia della vita liceale italiana, ci è apparso abbastanza evidente che la mediocrità del pubblico, causata da un inetto sistema scolastico, determini gran parte del gioco. La stragrande maggioranza del pubblico non è in grado di confrontarsi con la Letteratura, perchè non ha i mezzi, i metodi per comprenderla, e fisiologia insegna che ciò che non si assimila, si elimina. Lei cosa ne pensa?

  17. Cara Spettatrix, volevo dire che siete “leggeri” e quindi, “bravi”. E però, questa lggerezza è possibile solo perchè è tutto “virtuale”? Perchè riguarda i “vetri rosa”? C’è qualcuno che se sente parlare di “rosa”, scappa come il toro col rosso. Che poi povero toro, magari se uno lo abituasse a collegare il rosso col cibo, magari scondizolerebbe a vedere il rosso!

  18. cara Posto, io e Iannox siamo il vetro rosa, la telenovela che ottunde (i protagonisti in primis). Siamo consapevoli? non so, di sicuro vi stiamo regalando un vetrino rosa in cui inquadrare la realta’. Poi magari questa storia ormai arrivata a un punto morto potra’ continuare con un cambiamento di personalita’ da parte mia che abbranco il fanciullo, lo faccio mio e distruggo la sua quiete isolana. Oppure io trovo quello delle colline verdi, le due coppie si incontrano e, in maniera tragica e/o comica, i componenti si scindono, costruiscono nuove coppie e vanno a vivere su isole collinari. A voi decidere cosa fare del vetro rosa. I vetrai, essendo virtuali, in qualche modo se la scamperanno. I tempi cambiano 🙂
    Baci a tutti

  19. Oh, i tempi di cambiamento! Ricordate la “Fiera delle Vanità” e gli amori lì consumati? E Dickens che geloso quasi moriva, perché vedeva la sua fama offuscata da quel William Thackeray. Magari siamo sì ad un punto morto, o forse è vero che un nuovo capitolo di questa telenovela virtuale sta già per iniziare. Però ai vetri preferisco i vasi: come ne “La Caverna” di José Saramago. I vasi fan male, soprattutto quando dati in testa, soprattutto quando prodotti in serie. No, correggo il tiro: quelli prodotti in serie durano poco, si rompono come niente. Bisognerebbe sempre rivolgersi ad un vasaio che sappia l’arte e che lavori in maniera assolutamente originale, artigianale.
    Tra Dickens e Thackeray, m’invento Lady Oscar. La cerco, la cerco oltre lo schermo delle vanità. Cerco la sua spada e i suoi occhi, per un amore nuovo. Per una rivoluzione che è stata troppo presto dimenticata. “Non avete pane? Ma ci son sempre le brioches, mon Dieu!”
    Spettatrice Cara, t’invito a prender un cappuccino in una zona tranquilla, agreste, francescana. Perché sì, di San Francesco l’insegnamento lo seguo. E bene s’aggrada allo spirito mio. Anche se fede non ho nell’eternità.
    Kisses
    Iannox

  20. @ ilpostodell’innamoratoedellascuola.it
    Ma com’erano belli gli innamoramenti a prima vista sui banchi di scuola. Persino la poesia sembrava importante davvero per la vita, per un bacio. Eran la letteratura quei banchi di scuola.
    Ma che dici mai? Manco so chi è Spettatrice. ^___^ O forse lo so. ;-D
    Saludos
    Iannox/Ienax in love ^___^”’

  21. Oh, lo sanno tutti chi è Spettatrix, fuorchè io!! La solita dickensiana! A proposito del “pubblico”. Appunto. Sarà forse un po’ diversificato? Bisognerebbe comunque o no, migliorare le “strutture scolastiche”, non foss’altro perchè un paese ad elevato tasso di industrializzazione ne ha bisogno, al di là dei “ritorni” che ci possono ricavare gli scrittori – in termini economici e di gratficazione – e gli editori? Leggevo oggi (messaggero) che i peggio pagati sono gli insegnanti e i bidelli. Sono o no quelli che trascorrono più ore in assoluto – dopo i genitori – coi ragazzini? Sarà un controsenso o no? Quanto prende un manager? A che serve un manager? Se un insegnante o un bidello se ne fregano, possiamo rimproverarli troppo? Dire loro “Non lo far per piacere tuo! ma per fa piacere a Dio!”. Quante volte glilo si potrà chiedere? Ardaje. Quanto guadagna un manager? Quanto sono tassati – diciamo solo in percentuale – i “grandi patrimoni”? Ai bidelli, che gliene importa – e anche a noi – della “crescita del paese”, se a crescere sono solo i capelli?

  22. Sparare a zero sul pubblico, motore invisibile del mercato librario, mi pare esagerato. Che poi una parte sempre più copiosa incappi in scelte sbagliate, è altra cosa. Ma chi siamo noi per stabilirlo? Quelli che ben pensano?

  23. INTERVISTA A WOLFE
    Caustico, elegantissimo, pro Bush e nemico degli intellettuali di sinistra, l’inventore del new journalism racconta il suo nuovo libro. E la sua passione per tutto ciò che dell’America non piace all’Europa
    di José Manuel Calvo
    Dalle finestre dell’appartamento di Tom Wolfe sul Central Park, al quattordicesimo piano, si vede la linea di grattacieli di Manhattan. “Guardi, l’Empire State Building. E laggiù c’erano le Torri Gemelle. L’11 settembre del 2001, io vedevo il fumo da qui. Scesi subito in strada. Una folla di persone arrivava da laggiù, in un silenzio quasi assoluto. Non lo dimenticherò mai”.
    Lo scrittore veste di bianco immacolato, come sempre dal ’62. Camicia azzurra; cravatta bianca a pois blu, che si abbina ai calzini, scarpe bianche e nere. Orologio con cinturino bianco. Tom Wolfe, elegantemente vestito da Tom Wolfe, ha compiuto all’inizio di marzo 75 anni. Si vede, tranne che negli occhi, azzurri e vivaci. L’uomo che rivoluzionò il giornalismo negli anni Sessanta e oggi è una delle grandi voci della narrativa americana, non ha mai smesso di essere un provocatore. Osserva ciò che lo circonda fino all’ultimo dettaglio, ascolta la gente e vuole che i suoi romanzi siano lo specchio dell’America, “un Paese molto strano, ma meraviglioso”.
    Nella sala piena di luce ci sono un pianoforte blu a coda, foto di sua moglie e dei suoi due figli, e un tavolino – da cui saluta uno stilizzato e sorridente Mao Tse Tung di bronzo – circondato da un divano e alcune poltrone. Accanto, nel suo studio, libri dappertutto: letteratura, saggistica, arte, scienza. “Quando mi chiedono quali sono i miei hobby, mi piacerebbe dire: volare in deltaplano, scalare le montagne, qualcosa di interessante… In realtà la cosa che preferisco è sedermi alla mia scrivania e leggere. Sono appassionato di neuroscienza, mi affascina la divulgazione scientifica. Faccio altre cose: non so se conosce un programma televisivo che si chiama Pimp my ride… Si tratta di prendere un’automobile di serie e trasformarla in qualcosa di speciale. È un mondo interessante. La prima cosa che ho scritto per una rivista riguardava le modifiche che la gente fa sulle proprie auto”. Era The Kandy-Kolored Tangerine-Flake Streamline Baby, oggi considerato il primo reportage del new journalism. “Ebbene, ora ho deciso di modificare la mia automobile, una Cadillac 2003 DeVille; è bianca, e adesso voglio che anche l’interno sia bianco, e pure le ruote. Vede, ho 75 anni e, davvero, se non lo faccio adesso, quando lo faccio?”
    D: Quando non si dedica a queste cose, quanto tempo dedica alla scrittura?
    R: “Una volta che ho il materiale – e posso impiegare un mese o anni per metterlo insieme -, cerco sempre di mantenere lo stesso ritmo e scrivere dieci cartelle al giorno, a spazio 3. Quando le finisco, mi fermo; a volte, anche a metà di una frase. Questo ha il vantaggio di accelerare la ripresa del lavoro il giorno dopo, perché sono a metà della frase! “.
    D: Però il suo ultimo romanzo I am Charlotte Simmons (in italiano uscirà a ottobre da Mondadori) anziché al computer ha finito per scriverlo a mano.
    R: “Sì, il computer era un modello nuovo e mi faceva diventare matto. Ho ripiegato sulla mia vecchia macchina da scrivere, ma mi sono fatto male a un dito e non potevo schiacciare i tasti, così ho scritto gran parte del libro a penna”.
    D: La riuscita di un libro può dipendere dal fatto che sia scritto al computer o a mano?
    R: “No, credo di no. Non è questa la cosa difficile quando si tratta di scrivere. Il difficile è farsi venire in mente un’idea, cercare di darle musica, darle parole…”.
    D: Parlando di musica, il suo nuovo romanzo, come i precedenti, contiene un’enorme quantità di linguaggi, di accenti: i giocatori di pallacanestro, gli universitari, la gente danarosa dell’Est, quelli delle montagne del North Carolina…
    R: “Per i romanzi faccio le stesse ricerche dei reportage. Per la maggior parte della mia vita ho scritto su argomenti che non erano finzione. Sono stato giornalista, e ancora mi considero un giornalista che ha scritto qualche romanzo. Per scrivere ci vuole lo stesso sforzo che per informare: lo sforzo di tenere la bocca chiusa e ascoltare esattamente come parla la gente, e ciò che dice”.
    D: Che cos’è I am Charlotte Simmons?
    R: “Forse è un po’ presuntuoso, ma io vedo in questo libro una linea orizzontale e un’altra verticale. Quella orizzontale è un panorama della vita universitaria statunitense, con il mondo studentesco. Quella verticale è la psicologia di questa giovane, Charlotte, e delle persone con cui si rapporta, e come il suo comportamento sia determinato in buona parte da loro. Questa ragazza di 18 anni pensa sempre: va bene che mi vedano fare questo? Cosa penserà X? Cosa penserà Y? Vuole innamorarsi di Adam, ma Adam è considerato un secchione, e lei non vuole che la vedano con un secchione, così inizia a gravitare proprio intorno alla persona che meno fa per lei. In ogni momento, anche nei più intimi, sta sempre pensando nei termini della sua immagine sociale”.
    D: In tutto il romanzo il sesso è molto presente, ma in diverse occasioni è assai sgradevole.
    R: “Sì, c’è molto sesso, fin dall’inizio: dalla scena, tanto famosa negli Stati Uniti, di un politico importante che si gode una fellatio. Il sesso domina anche l’ambiente dei giocatori di pallacanestro, o la compagna di stanza di Charlotte. Ma nessuna di queste situazioni è erotica. Non credo possano eccitare nessuno. In generale, il sesso nelle università è molto meccanico, poco più di una serie di massaggi”.
    D: Charlotte è una ragazza molto brillante che atterra all’università e si trasforma per adattarsi al paesaggio.
    R: “Quando Charlotte va all’università, sua madre le dice: non devi far nulla che tu non voglia fare, perché tu sei Charlotte Simmons. Ha un ego enorme, perché ha frequentato con ottimi risultati le scuole superiori; ma decide di cambiare, di trasformarsi completamente, per ragioni di prestigio sociale. Ed è felice quando si rende conto che tutti sanno che è la ragazza di un giocatore di pallacanestro molto famoso, anche se la pallacanestro non le interessa affatto, non ne capisce nulla e niente ha a che vedere con le grandi aspirazioni con cui aveva iniziato”.
    D: È un percorso difficile.
    R: “Bè, avrebbe potuto fare diverse cose: diventare un personaggio da ammirare, qualcuno che ha capito e inizia una campagna contro il sesso selvaggio nei campus… O sarebbe potuta finire completamente distrutta, con la vita rovinata. Ma ciò che mi interessava erano le grandi sfide che devono affrontare gli studenti in alcuni campus molto chiusi, con scarsa conoscenza di cosa sia il mondo esterno. Cosa probabilmente meno sentita nelle università europee, perché gli studenti vivono nelle città, tra la gente. Qui è diverso”.
    D: Questo isolamento è lo stesso che rimprovera agli intellettuali, quelli che lei chiama “élite di sinistra” e che tanto critica?
    R: “Bè, il fatto è che sono ridicoli. Così reazionari, ma così reazionari, Dio mio! Il loro pensiero non è progredito dal 1945. La figura dell’intellettuale ha un secolo di vita. Il termine fu creato da Clemenceau per designare gli scrittori, gli artisti, i creativi. Ora la parola si è svincolata da ciò che suppone un obiettivo intellettuale: un intellettuale è un consumatore di idee, non più, necessariamente, un creatore. In realtà, essere creativo è un ostacolo. L’esempio perfetto è Noam Chomsky”.
    D: In che senso?
    R: “Bene, è l’esempio perfetto. Prima della guerra del Vietnam, Chomsky era il grande linguista degli Stati Uniti. Inventò la rivoluzionaria teoria di come si crea il linguaggio e di cosa si può fare con esso. Ma non era considerato un intellettuale, perché un intellettuale è uno che conosce un argomento ma che, pubblicamente, parla d’altro. E quando Chomsky iniziò a criticare pubblicamente la guerra, all’improvviso diventò un intellettuale! Qui un intellettuale deve sempre indignarsi per qualcosa. Come disse McLuhan, l’indignazione morale è la strategia adeguata a rivestire di dignità l’idiota. E questo è ciò che fa la maggioranza di coloro che si definiscono di sinistra: invece di pensare – cosa complicata, richiede tempo e letture – si indignano per qualcosa, e questo li riveste di dignità. Hanno sempre fatto le scelte sbagliate. Adoro avere il presidente Mao qui, sul mio tavolo; Mao fu considerato fino alla fine una grande figura dalla gente di sinistra. Molti pensarono lo stesso di Pol Pot, che sterminò mezza Cambogia. Vabbè, non mi faccia andare avanti…”.
    D: Lei ha votato Bush?
    R: “Sì. Non credo che l’11 settembre sia stato un attacco qualsiasi; qualcuno doveva reagire, e Bush l’ha fatto. Anche sapendo che si sarebbe andati incontro a un sacco di problemi, Bush ha fatto quel che doveva fare”.
    D: In Europa è molto diffusa l’opinione che George W. Bush sia un “cowboy”.
    R: “Io ho avuto l’occasione di stare con Bush per qualche minuto, di parlare con lui di letteratura, e mi è parso intelligente come il direttore di The New York Review of Books, considerata la principale pubblicazione letteraria. Non che il direttore della rivista non sia intelligente, certo che lo è; ma Bush non è affatto idiota. Provi a ricordare Eisenhower, che fu presidente durante due mandati. Dicevano fosse un idiota: nei comunicati stampa la sua sintassi era orribile, iniziava le frasi e non le terminava. Era veramente tonto; l’unica cosa che aveva fatto era stato vincere la II Guerra Mondiale. Bè, se è quello che ci vuole per vincere una guerra simile, forse avremmo bisogno di qualche idiota in più. Io parlo con la gente in Europa e anche qui a New York, intellettuali convinti d’aver tutte le ragioni a dire che gli americani sono stupidi, che non hanno nulla in testa, si lasciano solo ingannare”.
    D: E invece…
    R: “Io credo che questo Paese sia una democrazia, e che a volte sicuramente non abbia eletto persone con il massimo quoziente intellettuale. Ma non mi pare che sia poi andata tanto male, ha ottenuto parecchie cose. Se pensiamo all’invenzione e allo sviluppo dei computer, dobbiamo tutto a questa stupida gente del West, perché nell’Est, quando uno ha un figlio molto intelligente, non è ben visto che si dedichi all’ingegneria, che è considerata poco più di un lavoro manuale. Io non ho vergogna a dire che gli Stati Uniti sono un Paese meraviglioso, ma dire questo mi trasforma automaticamente in un paria. Nessuno con una certa reputazione letteraria dice certe cose. Qui, come sa, la bandiera è ovunque e io, a volte, indosso un papillon con la bandiera degli Stati Uniti: è come mostrare un crocifisso a un vampiro: gli scrittori subito gridano: “No, che orrore, via da qui!””.
    D: Lei è considerato uno scrittore conservatore.
    R: “Non c’è politica in quanto tale, nel mio ultimo libro. Né nei precedenti, per lo meno nei più lunghi. In La stoffa giusta, che parlava dei primi astronauti, dov’è la politica? Il falò delle vanità era conservatore o progressista? Mi chiamano conservatore, ma nessuno sa dirmi cosa penso, cosa voglio. Me lo dicono perché mi burlo della gente che dà valore all’indignazione morale per se stessa. È ciò che si deve fare quando si è progressisti: bisogna essere sempre indignati per qualcosa. Una volta, negli anni Sessanta, assistetti a una conferenza in un’università. C’erano diversi intellettuali contro la guerra in Vietnam. Allen Ginsberg insisteva a spiegare che questo Paese stava diventando fascista, che tutto presagiva un’epoca come quella di Hitler. Io all’improvviso non ce la feci più e scoppiai: “Ma di cosa sta parlando? Siamo in piena esplosione di felicità in questo Paese”. Ed era vero: la gente guadagnava bene, era l’epoca del twist, la Borsa continuava a salire… Evidentemente, il Vietnam era orribile; ma, a parte questo, il resto del Paese viveva bene. E allora, Günter Grass, che non era precisamente un conservatore, disse: “Se fosse veramente uno Stato fascista, questa scena sarebbe molto diversa. Lei sta parlando da mezz’ora contro il Governo. I nazisti non le avrebbero dato questa mezz’ora”. Tutti rimasero impressionati, perché, in fondo, lui sapeva di cosa stava parlando”.
    D: Qual è l’America che lei vuole raccontare nei suoi libri?
    R: “La mia unica missione è scoprire. Questo è un Paese molto strano, e non voglio che si creda che io conosca e capisca tutto quello che accade qui. Per questo mi piace andare in giro, parlare con quelli che non sono come me e cercare di capire ciò che fanno. C’è molta libertà in questo Paese, puoi mettere in piedi quello che ti pare. Dei gangster hanno creato Las Vegas; è interessante non che fossero gangster, ma che fossero istruiti, pochissimi gangster finiscono il liceo. Avevano la libertà e il denaro per costruire Las Vegas, ed è questo che mi interessa, non l’esistenza di Las Vegas”.
    D: Cos’ha in preparazione? Continua a considerarsi come Hernán Cortés, alla ricerca di terre nuove da scoprire?
    R: “Mi piace Cortés, anche se non ho nessuna spedizione da fare. Ho qualcosa in testa, ma non so come andrà a finire. Sono molto interessato ai nuovi immigrati che arrivano negli Stati Uniti. Quegli angoli del Bronx in cui incontri cambogiani, vietnamiti, gente di altri Paesi asiatici in un quartiere che cambia a tutta velocità. Mi pare affascinante, come ciò che accadde ai cubani a Miami: in mezza generazione, si sono impadroniti della città… Non so se ci sia un altro Paese al mondo dove possano accadere cose simili. L’America è davvero un Paese meraviglioso. Ma non mi crei altri problemi, questo non lo scriva”.
    (Traduzione di Paola Tomasinelli)

  24. Mia cara Unione il troppo stroppia
    Cinque consigli per stroncare sul nascere gli atteggiamenti sbagliati: da Bertinotti a Lerner
    Come ci hanno insegnato, nella vita non bisogna mai dire mai. E in politica è ancora più importante non dire mai più. Ossia sostenere con fretta incauta che un ciclo elettorale, un leader, un blocco di partiti hanno finito per sempre la loro corsa. Ricordo come un incubo la copertina dell”Espresso’ che Claudio Rinaldi e io decidemmo di fare nella primavera del 1996, dopo la sconfitta di Silvio Berlusconi e la vittoria dell’Ulivo. Presentava il faccione affranto del Berlusca, disegnato con sadismo da Kruger. Il titolo strillava: ‘The end’, la fine. Certo, la fine del berlusconismo, del suo dio in terra, dei suoi vassalli, dei suoi leccapiedi.
    Quell’errore non me lo sono dimenticato. E adesso, dopo il boom dell’Unione nelle regionali, sto bene attento a non bruciarmi le dita. Ma mi accorgo che non tutti nel centro-sinistra si muovono con la stessa prudenza. Così, allo scopo di aiutare dei cari amici a non fare brutte scivolate sul tappeto rosso della vittoria, indicherò alle Loro Signorie unioniste cinque atteggiamenti sbagliati che bisogna stroncare sul nascere.
    Punto primo: troppa euforia. Certi titoloni definitivi stampati dai giornali ulivisti fanno pensare che Romano Prodi stia già a Palazzo Chigi, il che non è. Lo stesso dicasi per molte cronache partigiane, altisonanti, retoriche: roba da Minculpop rosso invece che nero. Anche Prodi deve stare attento a non eccedere. Leggo su ‘Repubblica’ del 10 aprile il commento del Prof alla notizia che Berlusconi guiderà la campagna elettorale del 2006: “È una buona notizia, così vinco di sicuro”. Urca, tocchiamo subito ferro!
    Punto secondo: troppa voglia di mettere al bando gli avversari prima ancora di averli sconfitti. Un esempio? L’editto del ‘Piotta’, ossia del deputatone verde Paolo Cento. Il 9 aprile ha spiegato al ‘Corriere della sera’ che, dopo l’immancabile vittoria del 2006, verranno cacciati dalla Rai questo, quello e quell’altro. Nella lista degli epurandi ci ha messo pure Antonio Socci, che è già stato epurato dai suoi amici del centro-destra. Il quale Socci ha giustamente sparato a Cento una precisazione: in tivù sono fuori da tutto. Guai a seguire il ‘Piotta’: la smarronata è garantita.
    Punto terzo: troppa fretta nel disegnare il futuro governo dell’Unione e dire questo sì e questo no. Sta battendo tutti in velocità il Parolaio Rosso. Mentre non ha ancora contato i voti persi da Rifondazione, ha già deciso che Mario Monti non potrà sperare in nessun ministero, Prodi si schiodi questa idea dal cervello. Fausto Bertinotti ha concesso, con degnazione (‘Repubblica’ dell’11 aprile): “Monti può anche rimanere fuori dall’agone politico ed essere ugualmente rispettabile”.
    Com’è generoso, lei, buana Fausto! Ma qui siamo già ai prodromi di una tragicommedia politica che, nei prossimi mesi, occuperà a fondo il Bestiario. I lettori mi daranno atto di aver sempre consigliato a Prodi di mollare Rifondazione al suo destino. Questo partito sarà il verme che si mangerà la mela dell’Unione. Qualcuno mi ha affibbiato del menagramo. Mi limito a rispondere: lo vedete?, il verme è già all’opera. Aspettate e piangerete.
    Punto quarto: troppa furbizia nell’adulare il possibile vincitore. Volete un esempio? La sera di sabato 9 aprile, su La7, nel talk show chiamato ‘L’Infedele’, Gad Lerner si è prodotto in una chilometrica intervista a Prodi. Che tipo d’intervista? Nel vederla, mi sono detto subito: intervista seduta, in ginocchio, iper-amichevole verso uno zione molto amato, interpellato con il tu e chiamato per nome, Romano, caro Romano. L’esatto contrario di come si dovrebbe interrogare un politico in tivù. Gli odiati giornalisti americani usano ben altro stile. Viene definito ‘del cane da guardia’, che mostra i denti nell’interesse di chi ascolta.
    Lì per lì ho pensato di essere prevenuto contro Lerner, ormai mezzo giornalista e mezzo politico (dell’Unione). Poi ho visto che altri hanno reagito come il sottoscritto. Sul ‘Corriere della sera’, Daniele Capezzone, segretario dei radicali, è stato velenoso: “Gad Lerner? È il nuovo Emilio Fede del centro-sinistra”. Fede ha replicato: “Assolutamente no. Io sono più bello, più simpatico e meno fazioso”. Quindi ha aggiunto, al curaro: “Quello che mi assomiglia di più è Giovanni Floris, di ‘Ballarò'”.
    E qui siamo al punto quinto: troppa voracità nell’immaginare la futura occupazione delle poltrone. Occupazione che si progetta totalitaria, così come sarà certamente totalitario il trionfo unionista nel 2006. Emerge una tentazione che fu già del famoso, e jellato, Cesare Previti: “Non faremo prigionieri!”. Tutto ai vincitori, niente agli sconfitti. Per restare alla Rai, il modello non sarà più Tele-Kabul, bensì Tele-Ballarò, con la moltiplicazione dei Floris. La tivù di Stato diventerà un’immensa Rete Tre, pessimo rimedio allo strazio berlusconista attuale. Ma il troppo stroppia, amici dell’Unione. Attenti a non esagerare, soprattutto prima del tempo.

  25. Assai sollecito, anonimo, grazie.
    Ho alcune cose da dire sul vetraio e sul perchè l’ho postato. Domani lo farò, perchè non sono pochissime.

  26. Chiedere al vetraio vetri diversi che, in trasparenza, possano fare sembrare la vita più bella non significa soltanto cercare un’illusione che faccia sopportare meglio una vita vissuta nell’ingiustizia. Può significare il contrario. Considerare la complessità della vita e delle situazioni e farne oggetto di narrazione (o di opera) implica la possibilità di un’informazione ricca quanto più inattesa rispetto ad una base culturale divulgata. Ed è proprio la possibilità di intravedere un valore altro, nell’area degli interscambi umani, che può fornire la possibilità di concepire un altro sguardo alla vita, più complesso, come lo è ancora la realtà, e non un certo tipo di finzione. Ed è in nome ed in difesa della complessità che non ci si rassegna.

  27. I vetrai oggi vendono solo vetri rosa, colorati e …lo diceva pure l’ottico di De Andre’:
    ….Non più ottico ma spacciatore di lenti
    per improvvisare occhi contenti,
    perché le pupille abituate a copiare
    inventino i mondi sui quali guardare…..
    gli spacciatori di vetri se ne sono inventati tanti di varie forme e qualita’ tra cui uno potentemente catodico. La lezione del calcio e del vaso al vetraio e’ stata interpretata e risolta in codesto modo.
    Forse non saremmo piu’ capaci di buttare il banale vetraio dalle scale e lanciargli successivo vaso, piu’ probabilmente ci bastera’ mostrargli uno qualsiasi dei cataloghi che abbiamo in casa e sperare di aggiornarlo e convertirlo. Sono cose a cui e’ difficile resistere 🙂
    Baci e ‘notte a tutti
    Iannox la nostra storia proseguira’ come da copione: il Divenire incombe, le lenti colorate pure 🙂
    Besos

  28. Gentile Loredana, il pezzo è bellissimo e spero di non essere off topic, ma desideravo segnalarle una cosa, a proposito di “cacciatori di mode”. So che non è un tema che le sta particolarmente a cuore ma si parla spesso della letterarura erotica come di una moda, di una tendenza anche produttiva e premiante sul piano editoriale. Su questo tema ho scritto alcune considerazioni in un e- book scaricabile gratuitamente qui
    http://www.kultvirtualpress.com/opere.asp?book=980
    che si intitola “Corporeità dell’oggi:fra arti visive, merci e letteratura, i fondamenti di una scrittura erotica del contemporaneo”. Dove, ho provato a pensare a un tracciato diverso, per questo genere per aluni di moda e di tendenza, per altri sorpassato. Come linguaggio, come stile e stili. Spero possa avere tempo e modo di dargli uno sguardo. Scusi l’off topic parziale

  29. Mi permetto questo OT solo perché se n’era parlato qualche giorno fa: il libro di Andrea Bajani “Cordiali saluti”. L’ho letto tra ieri e oggi (un paio d’ore scarse) e mi ha profondamente emozionato: mi sembra uno dei romanzi più poetici degli ultimi anni. Lo consiglio a tutti.

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