QUANDO SI GRIDA AL LADRO

   Quali sono i canoni, qui ed ora, per definire cosa è letteratura e cosa no? Per meglio formulare: come va a definirsi una scrittura che scardina il reale e rende fertili le menti dei lettori?  Perché dalla discussione, importante, che si è svolta su Nazione Indiana, mi piacerebbe che infine si rispondesse a questa domanda. Ma se la risposta ci fosse, mi chiedo anche, non sarebbe pericolosa? Non formulerebbe un’idea dogmatica, più che forte, della letteratura stessa?

   Nel suo ultimo intervento in risposta a Giuseppe Caliceti, Carla Benedetti attribuisce non poche responsabilità al postmoderno come affossatore di un’idea, appunto, forte di letteratura. Ora, non da oggi, il postmoderno è sotto accusa. E spesso con ragione. Però: quando il postmoderno parlava di fine delle grandi narrazioni si riferiva, se non ricordo male, alla fine di una interpretazione univoca e totalizzante del reale. Parlava di perdita di centro più che di perdita di senso.  Parlava della possibilità di più visioni in luogo di una visione forte e unica.
Questo, a me, continua a sembrare liberatorio e non cinico. Perchè permette la coesistenza di più poetiche, di più visioni della letteratura che possano contribuire, nella loro diversità, a rappresentare (ma anche a scardinare) il reale: io continuo a credere che chi si oppone a quella che Antonio Moresco chiama la Restaurazione possa farlo in modi diversi. Tornando a scrivere di lavoro. Rappresentando il precariato intellettuale. Ma anche, sì,  il ritorno della famiglia borghese.
  Non significa che tutto è uguale a tutto: significa che le strade sono diverse, se stiamo parlando di scrittura e non di massmediologia (ovvero, del perché giornali e televisione si occupano di uno scrittore anziché di un altro, e del perché alcune pagine culturali identificano la discussione letteraria sotto la casellina polemiche in corso). E, da come la vedo io, non significa AFFATTO che tutto va meravigliosamente bene: solo che non riesco a vedere, e sarà miopia, l’appiattimento totale della forma e del testo in favore della banale fruibilità in anni in cui comunque si pubblicano testi che appiattiti non sono (non tutti, maledizione!). I testi piatti e destinati ad appiattire non sono quelli che vengono messi sotto accusa in questi giorni, sono semmai i filoni che non muoiono e che fanno presa sui lettori debolissimi: i non-libri dei comici, la chick lit d’accatto, la manualistica da talk show, le biografie finto-storiche. Bersagli meno trendy di Piperno, ma ben più temibili.

   Perché a forza di leggere interventi di uno come Massimiliano Parente che sostiene che la sottoscritta, Mozzi, Genna e Wu Ming rappresentino una sorta di banda dei quattro letteraria che agisce in connivenza con i grandi editori, la pazienza viene meno. E viene da citare un autore e un libro giustamente segnalati in occasione simile da un’amica. Lo scrittore è Rolo Diez, il romanzo è Il ritorno di Vladimir Ilic. La frase, sacrosanta: “Quando gridate AL LADRO! fatemi vedere le vostre mani”.

61 pensieri su “QUANDO SI GRIDA AL LADRO

  1. Oh Andrea C. te tu devi avere delle raganelle parecchio allegre nì cervello… ì copia e incolla gli è dì sifossifoco-pensiero… d’accordo che tu lo capisca poco, ma aìmméno leggere t’avranno ‘nsegnato anco a te!

  2. bene, allora invece di chiedere venia per l’errata attribuzione mi limiterò a ricarare la dose.
    ho confuso il roq col sifossifoco, e allora, fa schifo uguale.
    i complotti, le cricche, tutti peccatori, non si scrive per il pubblico, ecc. ecc. ecc.
    apocalittiche sentenze comprata ai mercatini domenicali, parafrasando carmelo bene.
    per voi il discorso sulla cosa è solo una forma di onanismo…il problema non è che siete fuori moda, il fatto è che, proprio voi che vi ammantate di cultura accademica (dai, quella cosa su chi ha fatto il ginnasio te la potevi risparmiare) mancano gli ultimi 30 e passa anni di riflessione sulla letteratura. neo-umanisti di questa cippa di cazzo!
    @salvatore – se pensavi di stupirmi con effetti speciali sei capitato male, sono bilingue.
    ti propongo, in alternativa questo gioco di parole:
    me, myself an eye.
    (in inglese, stavolta)

  3. @ salvatore – grazie, adesso è tutto più chiaro.
    illuminato sono, e pensare che i miei selfportrait sono solo foto del cazzo.

  4. @ anonimo – il giorno che mi vedrai umiliato porta la macchina fotografica, ti trovi e ne scatti un paio all’asino che vola.

  5. Andrea C., Carmelo Bene ti avrebbe osservato per la pochezza, che è cosa affascinante. Così era abituato a dire al pubblico plaudente: “Vi invidio, signori”. Tu hai sostituito il battimani con triviali *puns* da traduttore fallito e quiz Mediaset-ish, e la massima espressione del tuo pensiero è stata, fin qui: “1 a zero per me”. Postmodernismo, suppongo: ci sta dentro tutto, dalle salamelle alle ragadi anali di tua nonna.

  6. ma dove le leggete tutte queste notizie su di me?
    e pensare che se provo a googlearmi non viene fuori altro che un mio omonimo, scultore napoletano, e tale che ha composto le musiche per un corto vincitore di un’edizione del sacher di moretti.
    sbaglio proprio tutto, sconfino nella dimensione ludica senza accorgermi di aver accolto le maniere del diavolo.
    cito il titolo di una composizione di charlie mingus e non mi accorgo di averne infangato la memoria riducendo parole cariche di senso a mero *pun*.
    da traduttore fallito, per giunta, così giovane, che disdetta.
    e poi, mea culpa, uso un linguaggio calcistico.
    ma sono davvero curioso su dove abbiate trovato le notizie sulle dolorose ragadi anali di mia zia, sempre infiammate da quelle salamelle al peperoncino. questi sono fatti privati, segreti di famiglia.
    e poi ho avuto il coraggio di parafrasare carmelo bene, del quale, finalmente beatificato, si dimenticano gli anni in cui veniva liquidato in quattro righe da, mi cito (sono postmoderno), bofonchianti batraci del puro stagno dell'(in)esistenza.
    la minima espressione del mio pensiero la trovi nel mio primo intervento, dove propongo alcuni interrogativi, a molti dei quali io stesso non ho ancora dato una risposta, che trovo fondamentale affrontare prima di liquidare il post-moderno come una fugace evacuazione favorita da un clistere. ma, ahime, mi rendo conto che se si soffre di ritenzione anale è difficile immaginare altro modo.

  7. A) Le ragadi anali sono di tua nonna, Andrea, segui il labiale: non-na. Tu non sai leggere, Andrea C., come già t’ha spiegato il toscanaccio. Un buon oculista? B) Le risposte che non hai ancora trovato (oh così giovane, così commovente) non cercarle nei quiz da giovin cinefilo. Esci dalla rete, Andrea, c’è un mondo che t’attende: il troll è un brutto mestiere, e neppure retribuito.
    Comunque, visto che giocavi a fare il Dottor Scotti, il tuo genere di postmodernismo è da Full Metal Jacket, anzi, da The deer hunter: se ti leggesse Vattimo si sparerebbe un colpo in testa. E se il tuo problema è il self-Googling, se continui così fra breve sarai davvero *celebre*. Una vita ad arrampicarsi sui motori di ricerca: Carmelo forse ti avrebbe amato.

  8. a) le ragadi erano di mia zia, questa l’unica notizia imprecisa che ti ha passato il tuo investigatore privato.
    b) non capisco se il peccato sta nell’esser giovine o nell’esser cinefilo, o, ancora, nel combinare le due cose insieme.
    il dottor scotti a cui mi piace giocare non è quello mediaset-tish (n.d.t. la consonante in questo caso va raddoppiata), ma quello star trekkiano dell’enterprise, quello che spinge al massimo le macchine per arrivare a velocità di curvatura. il “macchinista” dello spazio, a far girare motori, anche quelli di ricerca, sarà una deformazione da postmoderno, ma il googleare, come verbo, lo ha introdotto in letteratura william gibson (e qui mi do la zappa sui piedi, immagino che quello vi dà davvero i brividi).
    ma torniamo a noi, l’essere messo in qualche modo in relazione con due dei grandi capolavori contemporanei è per me un onore, si tratta di due classici, ma che, evidentemente, si offrono a incursioni trasversali.
    come quella che proponi tu con vattimo che finisce come il soldato palla di lardo, ossia, secondo una lettura zizekiana dell’opera, col porre fine alla propria esistenza a causa della totale sovraidentificazione col meccanismo super-egoico del potere che condurrebbe necessariamente ad un passage-à-l’acte. e me nei panni di matthew modine, distante e cinico fino a quando non finisce la cecchino vietcong costisuendosi, sì come soggeto, ma soggetto del potere (militare, nella messinscena del film) costituito.
    io dunque sarei il cinico conduttore di corruzione, l’untore involontario, abbagliato dal cinismo che infetta il tuo mondo incontaminato.
    ci sarebbe ancora da dire molto, ma a me serviva solo un’occasione per mostrare la mia coda di pavone vanitoso.
    pigliati questa milletrecento-e-rotti.

  9. Lipperini, vuoi smetterla di dedicare il riquadro centrale de La Repubblica a Gianni Biondillo? Sei così presa di lui?

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