Mi scrive Vincenzo Trespolo, noto ai commentatori e frequentatori di questo blog.
Mi scrive perchè si è posto una domanda, questa: "perché, se il modello Wu Ming funziona, ed è ampiamente dimostrato, nessuno fra i piccoli editori e la stessa comunità degli scrittori è stato in grado di replicarlo?". Trespolo ha cercato le risposte fra i numeri e, come preannunciato nella discussione di qualche post fa, ha fatto due conti. Il risultato è qui sotto.
Taglio medio basso?
Esempio di dialogo occorsomi al lavoro:
X – Mi consigli un libro?
Tesen – New Thing, di Wu Ming 1.
X – Di cosa parla?
Tesen – Di Jazz e omicidi.
X – E chi l’ha scritto?
Tesen – Wu Ming 1.
X – E chi cazzo è? No, non mi interessa, consigliamente un altro
Tesen – Occidente per principianti
X – Ah, il titolo è bello, chi la scritto
Tesen – Lagioia
X – Di cosa parla?
Tesen – E’ bello devi leggerlo
X – Ma si trova in giro?
Tesen – L’ha pubblicato Einaudi
X – Ah, interessante, il titolo è interessante…
il dialogo si è svolto esattamente in questi termini, tranne per il fatto che X si chiama Chiara, molte delle cose di cui si discute, per il front-user della letteratura, semplicemente; il contatto tra lettore/rete/autore dieci anni fa era zero, quando acquistai NetGeneration credevo che tutto fosse vero, caso più unico che raro di Saggio Castelvecchi pubblicato da Mondadori 😉
GTesen
Ed ecco l’argomento che taglia la testa al coro:-)
Giulio Mozzi ha di recente dichiarato di vendere 5000 copie a titolo QUANDO VA BENE (= al massimo). E Giulio Mozzi passa in rete buona parte della sua vita.
Quindi: 1) Mozzi pubblica con GROSSI editori 2) il suo nome è superconsolidato in rete 3) è un bravo scrittore. Come mai il risultato commerciale delle sue opere è così deludente?
In editoria, purtroppo, previsioni e grande manovre spesso lasciano il tempo che trovano:-/
Riccardo, quello che sostieni per me è sensato, la riprova è che “i cento colpi di spazzola” han venduto più di tutti i Wu Ming messi assieme, ma la mia intenzione è diversa, voglio solo provare a capire come la rete possa essere fattivamente utilizzata per spostare i numeri di vendita e che “sforzo” si deve sostenere per riuscire a utilizzare la rete correttamente.
I numeri, in quanto tali, sono una provocazione (fino a un certo punto però) e hanno il pregio, rispetto alle singole opinioni, di essere misurabili da tutti e restituire un “ritratto della realtà” confrontabile. Così non è per le opinioni, altrimenti si chiamerebbero fatti…
Spettatrice: il tema fidelizzazione non ho alcuna intenzione di metterlo sul tavolo, ma ciò che fanno i Wu Ming con la newsletter e le altre iniziative si chiama “fidelizzare il cliente”. Francamente non capisco perché ti dovresti arrabbiare e non capisco perché gli “intellettuali” (o presunti tali) vedono sempre marketing e commerciale come due mostri da abbattere e che non li devono sfiorare mai.
Atteggiamento ipocrita: pure gli intellettuali campano di marketing e commerciale con un’unica variante (trascurabile): invece di vendere un prodotto vendono se stessi vestiti da prodotto.
Loredana: dal punto di vista economico (dell’editoria e degli autori intendo) il fatto che Wu Ming e De Michele abbiano venduto o vendano utilizzando la rete è un elemento marginale, in termini percentuali, rispetto alla totalità degli scrittori italiani e come tale va trattato. Il mio schema, provocatorio come tutti gli schemi che tentano di quantificare ciò che a torto o a ragione si considera inquantificabile, cercava solo di far partire una discussione che consentisse di evidenziare i passaggi e gli sforzi da sostenere perché la presenza in rete di un autore possa generare ricadute in termini di vendita e generare indicazioni utili per replicare l’esperienza. Letta dall’esterno l’esperienza De Michele potrei tradurla in termini molto meno enfatici: De Michele conosce Wu Ming, De Michele ha un buon libro da lanciare, Wu Ming conosce i “meccanismi” di lancio in rete, Wu Ming conosce Einaudi ergo De Michele vende. Perché è un buon prodotto, perché è stato supportato in fase di lancio dal nome Wu Ming, perché è stato pubblicato da Einaudi.
Non so a te cosa ricorda questa semplificazione estrema; a me una cosa sola: dovessi lanciare un libro in rete farei in modo di avere buoni rapporti con i Wu Ming.
Buona serata. Trespolo.
No, Trespolo, rivolgo anche a te l’invito (già rivolto a Beneforti) a documentarti prima di tirare in ballo a sproposito il caso De Michele. Il libro di De Michele è stato scoperto da iQuindici, i Wu Ming hanno precisato in più occasioni di non averlo mai letto prima che uscisse in libreria. Dopodiché, di sicuro ti risponde WM1 quando torna, ma io non capisco questo tuo attaccarti con le unghie e coi denti a numeri sballati e sbagliati, milionate di euro di investimento etc. Non te l’hanno già detto quanto spendono per usare la rete? Qualche decina di euro al mese! Il calcolo del valore delle ore di lavoro è totalmente campato in aria, non si può quantificare come hai fatto tu il monte-ore di uno scrittore o di un artista in genere, e soprattutto immagino che il ritorno economico non sia fisso, un’ora di lavoro può far guadagnare dieci euro come può farne guadagnare duemila, dipende da quello che scrivono, e da chi commissiona il lavoro.
No, Trespolo, rivolgo anche a te l’invito (già rivolto a Beneforti) a documentarti prima di tirare in ballo a sproposito il caso De Michele. Il libro di De Michele è stato scoperto da iQuindici, i Wu Ming hanno precisato in più occasioni di non averlo mai letto prima che uscisse in libreria. Dopodiché, di sicuro ti risponde WM1 quando torna, ma io non capisco questo tuo attaccarti con le unghie e coi denti a numeri sballati e sbagliati, milionate di euro di investimento etc. Non te l’hanno già detto quanto spendono per usare la rete? Qualche decina di euro al mese! Il calcolo del valore delle ore di lavoro è totalmente campato in aria, non si può quantificare come hai fatto tu il monte-ore di uno scrittore o di un artista in genere, e soprattutto immagino che il ritorno economico non sia fisso, un’ora di lavoro può far guadagnare dieci euro come può farne guadagnare duemila, dipende da quello che scrivono, e da chi commissiona il lavoro.
L’esempio di giuliomozzi non dimostra nulla. Al massimo può dimostrare che wuming ha ragione quando afferma che tutti, wumingfoundation inclusa, non stanno sfruttando in pieno le potenzialità della rete.
Mi permetto di farvi una domanda: Posto (non da me) che il lettore va “educato” ad apprezzare certi libri di “elites” (nel senso in cui intendeva giuliomozzi)esistono alternative alla rete? Detto in altro modo, se il lettore medio non va alla montagna (e i numeri dimostrano che non ci pensa proprio) non sarebbe il caso che sta montagna si desse una mossa? Se si vuole allargare un bacino di utenza quali sono le strade percorribili?
Trespolo, non hai risposto ai punti 5, 6 e 7 della replica di WuMing1, e invece a me interesserebbe sapere come la pensi.
Melloni: prendo atto che Wu Ming non è intervenuto per De Michele (mai seguita la questione quindi riprendevo, sbagliando, alcuni commenti precedenti; la lettura alternativa non cambia comunque: sponsorizzato dai quindici e dalla qualità del suo racconto, grazie delle precisazioni); però non riesco a capire questa tua ossessione contro i numeri. Il tempo “speso” per un’attività ha comunque un costo e, rifacendomi all’ultimo commento di Lucis, se si vogliono intraprendere strade diverse per promuovere i buoni libri anche dei piccoli editori e di tutti quelli che, per motivi diversi, non hanno la fortuna di pubblicare con i grandi, la rete può essere un’opportunità importante.
Ma qual è l’impegno (tolgo costo così forse ti raffreddi un attimo) richiesto affinché la presenza in rete dia risultati? Quale sono le linee guida alle quali appoggiarsi?
Wu Ming, e non mi sembra di averlo mai negato, hanno sicuramente tracciato una strada innovativa (anche se all’epoca riuscirono a sfruttare, merito loro, l’effetto sorpresa di una rete inesistente…): è possibile, fatte salve le loro peculiarità, estrarre delle indicazioni per chi li volesse imitare? Non generiche magari, ma utilizzabili…
Melloni, posso una domanda OT? ma tu che lavoro fai? PR on the network? 🙂
Buona serata. Trespolo.
Veramente, nella vita mi occupo di tutt’altro 🙂 Però, siccome sono iscritto a Giap! da tre/quattro anni, so un po’ di cose che forse a te sfuggono, tutto qui, e tendo a puntualizzare quando una cosa non mi convince. I tuoi conti non convincono me e non convincono diverse altre persone.
Giovanni, a quali punti ti riferisci? Prima o seconda replica di Wu Ming?
Buona serata. Trespolo.
Lucis. Direi che le iniziative di promozione della lettura non mancano. Spesso, però, l’autore visto da vicino fa passare la voglia di aquistarne l’opera…
Bisognerebbe promuovere la lettura in astratto, svincolata dai singoli titoli e dai singoli autori… anche attraverso ben architettate o ben orchestrate campagne pubblicitarie. Sempreché a qualcuno non stia bene farla restare quello che è: un piacere “esclusivo”, riservato a pochi eletti.
Melloni, fai un piccolo sforzo e trasforma il termine conti in “sforzo”.
Ti quadra ora che il vil denaro è stato rimosso?
Mi sa di no…, però mi fa piacere sapere che leggi Giap da tre/quattro anni. Ma sono tre o quattro? Una bella differenza direi 🙂
Buona serata. Trespolo.
Seconda. Non hai ancora risposto, almeno non mi pare.
Lipperini, per dirla tutta non mi riferivo ad alcuno degli autori che hai nominato. Confesso di non averli mai letti (ho letto solo Q e credo di aver capito che i Luther Blisset non siano esattamente gli stessi di WuMing. O no ?). Qualcuno ha fatto il nome di un altro autore/trice che potrebbe fare al caso. La realtà è che non avevo in mente nessuno in particolare, ma rimango del mio parere e lo ribadisco: la rete è come la pubblicità: puoi fare una campagna sensazionale, ma se il prodotto non ingrana (o perché è fatto male, o perché è un progetto sbagliato, o per pura e semplice sfortuna) non c’è niente da fare. Si potrebbero fare fior di esempi, ma il discorso che voglio fare è di metodo, e del resto ognuno di noi ne conosce qualcuno.
Qui, almeno mi pare, stiamo dando tutti per implicita e scontata la buona qualità di un libro. Il dilemma è come far conoscere al pubblico un libro di qualità. Della spazzatura ipercommerciale possiamo parlarne un’altra volta, no? Anche perché promuoverla non necessita strategie fantasiose. Sbaglio?
Irrilevante da un punto di vista commerciale l’esperienza del sito che cogestico, dedicato essenzialmente alla poesia; ma confermo -in scala assai assai ridotta- quanto dice Wu Ming 1: i costi sono davvero prossimi allo zero. Non credo esista una *massa critica* o punto di pareggio che possa far considerare un’esperienza simile fallimentare: dal punto di vista degli obiettivi nostri di partenza, aver raggiunto quella “minima visibilità di nicchia” che frutta di tanto in tanto inviti e proposte di collaborazione da parte dell’ *establishment consolidato* è ciò che ci serve per continuare nella strada (silenziosa, giocata sulle poetiche e sui testi) senza essere per questo isolati; interagisco col mio portatile di lavoro (pagato 285 euro su ebay), ho una adsl da casa a 19.95 euro al mese, sto in rete molto tempo per esigenze di lavoro/studio; gli altri membri del sito sono in varia misura collaboratori (a tempo perso) e non hanno alcun obbligo, comunque ricavando beneficio nelle loro singole *carriere*. Capisco peraltro il discorso di Ferrazzi sulla qualità, che ci vede molto attenti; siamo però partiti dal nulla più completo (anzi ponendoci alternativamente alla “società-dei-poeti”) e facciamo della discrezione la nostra regola aurea: abbiamo sostenuto come gruppo una sola presentazione, peraltro ridicola essendo negati. Se questo poco-tanto l’abbiamo fatto noi, chiunque, partendo da presupposti fondati e non essendo un perfetto sprovveduto, può trovare maniera di *farsi vedere* a costo quasi nullo mediante un modesto computer e una connessione adsl flat; penso anche ai numerosi blogger o a webzine che arrivano alla carta, se questo è lo scopo; difficile emulare Wu Ming (anche come soldi e gente potenzialmente mossi), ma delle strade si aprono e il conto non è in passivo. Noi facciamo poco, in questo senso, anzi: pochissimo, eppure non siamo messi male, niente affatto. Forse nei conti puramente economici manca qualcosa, o qualcosa è messo male, come già detto in commenti di chi mi ha preduto.
Sempre per Lipperini (e chiedo scusa a tutti gli altri): una esposizione un po’ più dettagliata di come la penso in materia l’ho postata tempo fa su Uffenwanken sotto il titolo “Postrecensione” (è uno degli ultimi pezzi nel malloppo che ti inviai).
Giovanni, non credo che le cose siano così semplici. La gran parte della “spazzatura ipercommerciale” fa flop (grazie a Dio !). Io credo che non sia producente promuovere un libro (quale che sia) sparando nel mucchio. Il mercato dei lettori è segmentato e le strategie di promozione, in rete e no, devono tenerne conto. Poi esistono mille fenomeni reali ed effettivi dei quali non c’è modo di tener conto in anticipo. Insisto nel non far nomi, ma di flop ne conosciamo tanti. Ognuno fa storia a sé, ma il più delle volte è mancata la “furbizia”, la individuazione di una precisa fascia di lettori, e anche semplicemente la fortuna.
vabbuò, tolte le precisazioni per chi legge troppo alla svelta, il nocciolo della discussione è andato a farsi benedire. amen
Perché gridare allo “scandalo” se i WM non vengono imitati? Perché i WM devono essere imitati? Osservazione banale: ma lo scrittore non è per caso quel tipo che traffica da mattina a sera con la sua creatività? e allora? I WM, come giustamente sottolinea WM1, devono servire da esempio non credo abbiano mai ambito ad essere come la settimana enigmistica: giornale con il più alto numero di tentativi di imitazione. Presumo che i WM siano partiti per la loro avventura sulla base di un progetto che non può banalmente essere unicamente ricondotto alla vendita di copie. Certo promuoversi è impegnativo, chi lo nega, ma quale lavoro non ha le sue tribolazioni? Semmai, spesso, noi sbranaparole abbiamo un atteggiamento snob convinti di essere, ingiustamente, privati di onore e gloria che dovrebbero esserci elargiti più o meno a piene mani. Nei giorni scorsi Livio Romano mi ha detto di essere stupito dalla mia determinazione che mi ha permesso di imporre il mio librettino pur partendo dalla profonda provincia. Mi è costato lavoro e fatica, ho tempestato di mail saccheggiando a man bassa qualsiasi indirizzo mi sia capitato a tiro. Mi è capitato di ricevere risposte infastidite, ma nella stragrande maggioranza dei casi si sono stretti rapporti e confronti. Ho aperto un sito che è molto visitato (almeno dal mio punto di vista) dal 30 giugno ad oggi più di mille visite e spero possa diventare una sorta di salotto letterario virtuale aprendo il forum all’intervento di altri scrittori, appassionati, intellettuali ecc. Certo è vero che l’editore se non è importante e se tu non sei importante non ti si fila, ma di questo se ne parla anche troppo! è il caso che ognuno creda in se stesso e si rimbocchi le maniche. Questo è quel che mi son detta, questo è quel che faccio girando in lungo e largo l’Italia.
Giovanni, arrivo ora: al punto 5) Wu Ming mi fa l’elenco della spesa di… spese note a tutti (una magia direi). Messa così parrebbe quasi che con un investimento minimo sia possibile vendere bene libri utilizzando la rete. Risposta furba che elude, nemmeno tanto elegantemente il tema principale: qual è lo sforzo necessario per far sì che la rete diventi uno degli elementi in grado di aumentare le vendite dei libri?
Con quella risposta Wu Ming ci lascia capire che basta la lista della spesa, nei commenti di un paio di post precedenti affermava che i Wu Ming hanno investito 15 anni in incontri, confronti, discussioni etc… Ma la verità dove sta?
Ops: Melloni mi raccomando verifica!
6) Non ho alcuna intenzione né ho mai detto di voler spiegare io come funziona la rete, chiedevo a chi di rete ne capisce più di me. Mi arrogo un diritto di “esperienza” sulla rete autostradale: quello sì 🙂
7)Al punto 7 Wu Ming risponde facendo l’elenco dei fatti: “centinaia di persone”, “passaparola telematico”, “presentazioni pubbliche”, “8200 iscritti”. Non capisco la risposta. Non ho mai messo in dubbio la bontà della loro strategia (anche se ad alcuni pare il contrario, che volete possa fare un piccolo trespolo di provincia a confronto del nome Wu Ming?), solo chiedevo: “Quali criteri utilizzate per identificare i volumi di vendita ottenuti tramite il marketing dell’editore e quelli ottenuti tramite rete?” Non mi pare che elencare i fatti, noti e stradetti, sia raccontare quali sono i criteri utilizzati.
O sbaglio?
Giovanni, sicuramente mi sono spiegato male, ma quello che fanno i Wu Ming e hanno fatto, mi trova d’accordo; chiedevo solo perché nessuno sia, fino ad ora, riuscito a copiarne con lo stesso effetto finale, le idee. Perché?
Forse e ingenuamente, pensavo che esistesse una risposta e tentavo (ora ho qualche informazione in più e rifarò i conti) di capire lo sforzo necessario per raggiungere un tale obiettivo 🙂
Buona serata. Trespolo.
Maddalena, e chi ha mai gridato allo scandalo?
Cerco solo di capire (sono ingenuo? può essere…) perché nessuno ha ancora tentato seriamente di copiare una cosa che funziona e fa vendere.
Buona serata. Trespolo.
tra l’altro, manca una voce, nel conto: quelle azioni provocatorie (reali, non in rete) di Luther Blisset che hanno dato al gruppo la prima notorietà sulla stampa. non so se abbiano un costo rilevante, ma io credo abbiano avuto un peso rilevante sul ‘risultato finale’.
Uffa Trespolo, io non penso che i WM siano ignari di Mktg o tecniche di
comunicazione solo che se ne servono per creare un universo in cui sia i loro
lavori che loro stessi non fanno esattamente la fine di una scatola di pomodori
pelati o di un libro (mi pare che ormai queste cose siano state parificate :-).
Prima di parlare del fenomeno Blisset/WM come un mero quantitavo di
cifre al consumo (di libri/autori) e ridurre la loro dignità a merce e
l’intelligenza dei lettori (molti tra noi) a quella di consumatore acritico,
docile e perennemente influenzabile, ti chiedo cortesemente di visitare il loro sito,
leggere qualcosa rispetto a quello che pensano e la corrispendenza
con i lettori, visitare i Quindici.
Forse l’hai fatto, ma ti sei limitato a cercare l’elemento tecnico e ‘di
calcolo’. E’ un approccio alla realtà. Un approccio che non amo, ma a cui riconosco
una parte di verità. Non lo amo perchè sempre finalizzato al soldo e alla ragioneria, lo riconosco vero perchè coglie degli aspetti importanti anche se lascia completamente fuori il fattore ‘umano’ e relazionale o , meglio, quantifica pure quello e svilisce, non dico gli aspetti ‘romantici’, ma quelli di empatia, idee, relazione, comunità, creatività,
gratuità e via. L’uomo, da un certo punto di vista, è meccanicamente merce
o consumo o entrambe le cose. Solo alcune fedi religiose o idelogiche hanno avuto
visioni altrettanto miopi, riduttive, meccaniche e svilenti.
Ho a che fare anche con persone che del mktg hanno fatto professione e fede:
quando parlo con loro (da evidente posizione di inferiorità visto che spesso
loro sono ‘Padroni del Mondo’ o aspirerebbero a) mi chiedo sempre se stanno
contabilizzando le mie parole o monetizzando il loro tempo. Una riduzione
della vita a relazioni di questo tipo è quello che rende la nostra epoca
quello che è e le relazioni tra di noi quello che sono: in una buona parte dei
casi aridità allo stato puro.
Ho chiarito la mia non semplice posizione e adesso mi chiedo cosa ho trovato o
trovo di interessante nel lavoro WM.
La prima cosa che mi viene in mente sono le loro prese di posizione rispetto a
diversi problemi del nostro presente o a aspetti irrisolti del nostro passato
(scelta di mktg? alcuni vedono le loro pubblicazioni per una delle case ed.
del sig. B. come segno di collusione con una realtà che dichiarano di
contrastare: non è la mia opinione) e l’onestà di cercare una loro strada e
percorrerla accettando e ribattendo alle critiche.
Possono piacere o no, ma non sono solo merce. O, forse, sono io a non volere vivere nessun essere umano (ma spesso anche animale) in quel modo, tantomeno persone con cui si stabiliscono scambi di opinione e un minimo di rapporti umani.
Il fatto che il sistema WM sia ‘espandibile’ e non a loro diretto e
immediato vantaggio economico (vedi i Quindici che di certo non fanno quell’attività per soldi o per arricchire i WM) per me è qualcosa che non ha precedenti (nuova variante di
‘nepotismo’ letterario? forma evoluta di qualche viale del tramonto
markettaro? applicazione della fisica quantistica in ambito webbico?
annunciazione divina di una nuova via promozionale?) nel campo della scelta e
proposta ‘libraria’.
Quando dici che visto che viene dai WM una cosa viene pubblicata io
correggerei spostando l’ottica dalla volontà dei WM alle aspettative delle
aziende: le case editrici sanno che i WM hanno un certo ‘pubblico’ e
pubblicano sperando che questo bacino di potenziali utenti compri. Non sono
scemi: noi utenti compriamo, ma abbiamo anche la possibilità di non farlo, di
leggere in rete o stampare in proprio. Alcuni provvedono, io l’ho fatto poche
volte.
I WM sono quindi perfetti e ‘candidi’? no, e spesso hanno l’intelligenza di dirlo. Sbagliano, a mio avviso, quando si intrippano cercando di spiegare i meccanismi della rete e riducendo agli occhi di molti la loro attività a livello di tecnica: imparata quella si dovrebbe riuscire a farne dei cloni. Non è così, non è possibile neanche se si volesse o se loro volessero. Loro stessi sono il frutto di scelte precise che hanno cambiato in corso d’opera. Una delle ultime quando hanno detto ai giapsters che non erano in grado di leggere, pur volendo, i manoscritti altrui e da lì sono spuntati i Quindici. Attenzione: non sono stati i WM a proporre ai giaps di svolgere quell’attività, c’è stato uno scambio di proposte e di disponibilità tra le persone in lista. I quindici sono una costola autonoma, non vanno in giro a proporre i libri che piacciono dicendo: mi manda WM o piace ai WM.
E’ bello vedere che crescono, che De Michele pubblica online i suoi libri e che si accettano e si sviluppano prese di posizione condivise. Dove lo trovi un piano di Mktg che preveda tutte le variabili dei giaps o delle persone che inviano i manoscritti o di quelle che pubblicano?
Sarò idealista, ma a me piace pensare che non si tratti solo di dati di vendita e di numeri che sintetizzano, ma di persone che cercano i loro spazi, li vivono, li coltivano e li aprono agli altri.
D’altronde quanti di noi sono quì in funzione di profitto? quanto guadagnate, o sperate di, leggendo o commentando su lipperatura? come monetizzare tutto il tempo speso a cazzeggiare o a incazzarsi in luogo così virtuale? chi sta fidelizzando chi?
Vi lascio che devo fare un sacco di cose …..non retribuite, ma piacevoli.
Besos
Spettatrice, ma Wu Ming non ha mai preteso di creare degli imitatori o di tracciare una via: semmai spiegano qual è la via che hanno seguito e se ne dichiarano, giustamente, convinti. E’ diverso.
Loredana, ok, lo fanno con ‘le migliori intenzioni’, ma non credo che riescano a cogliere tutte le sfumature che loro hanno mutato e che li hanno mutati nel tempo. Il problema quando spiegano le potenzialità della rete non è loro, ma di chi pensa che si tratti di tecnica (scrivevo:…..i meccanismi della rete e riducendo agli occhi di molti la loro attività a livello di tecnica) pura e semplice applicabile senza contenuti e senza una diversa ‘visione’ delle cose. Non sono certo quantificabili in tecnica o soldoni le campagne dei WM o le ‘beffe’ dei Blisset, non ai miei occhi, ma se si riduce tutto a tecnica allora sembra possibile pianificare una ‘campagna di beffe’ quinquennale a nome anonimo e poi campagne di critica sociale o altro a secondo nome collettivo con cui pubblicare tomi di ‘racconti storici’ che richiamano temi sociali del presente. Al tutto si aggiunge una mailinglist, un pizzico d’aglio e quattro pummarole pugliesi e il gioco è fatto.
A questa seconda interpretazione non mi voglio rassegnare pur non avendo il santino dei WM sul caminetto 🙂
Besos
La carica “ideale” dei wuming non è riproducibile, uno certe cose o le ha dentro o non se le può dare. Inutile dire “wuming sono questo”, chi non è come loro non può esserlo.
Questo però non vuol dire che quello che fanno non è “imitabile”.
Come la vedo io. Non capisco alle volte che razza di definizioni date. La definizione o è utile o inutile. La bellezza è “bella”, ma non sempre utile. Mozzi parlava di scrittura di elites. Ripeto, non capisco il senso di questa definizione. Per me la Letteratura è parlare all’uomo. E’ inevitebila che per comprendere sia necessari certi presupposti. Più presupposti ci sono meno lettori si avranno. E’ normale, cosi dovrebbe essere e cosi è. Per cui le strade sono due: o cambi i presupposti (cioè non si scrivono più certi libri) o cambi i lettori. Non ci sono terze strade, non ci sono scorciatoie, se non temporanee.
Posto che io abbia capito (e se sbaglio non svegliatemi)Wuming non è solo internet, è un lavoro fatto su di una comunità. wuming NON crea solo scrittori, ma anche lettori. Lo fanno in un modo peculiare, specifico lo ammetto. Ma questo NON vuol dire che non possa essere fatto in altro modo. Il punto NON è come lo fanno loro o gli ideali che hanno loro ma la nuova mentalità. In sintesi, se è cosa buona e giusta che “certi” libri vengano letti perchè non educare, aiutare, dialogare con il lettore? In parte questo lo fa anche giuliomozzi, in modo diverso. NON è vero che giuliomozzi ha fallito, e vero che da solo può fare poco. Perchè questo lavoro per produrre frutti deve avere un diffusione maggiore.
La strada indicata da wuming è quella giusta, anche se non saprei immaginare la direzione che prenderà. Anche perchè, di grazia, qualcuno mi saprebbe indicare UNA ALTERNATIVA CHE SIA UNA? Per chi ritiene che la scrittura di elites è bene questa è l’unica via percorribile. Non combattare il mercato (che è follia) ma creare il mercato.
Spettatrice: rifaccio la premessa prima di rispondere: “Quello che i Wu Ming hanno inventato e fanno mi trova assolutamente d’accordo; avessi considerato il loro agire una stronzata mi sarei limitato a dirlo oppure, più semplicemente, ignorarli.
Detto questo, ho letto con attenzione il tuo commento e sono d’accordo. Anche a me dà fastidio essere trattato da “oggetto che consuma” (per evitare tentazioni ho abolito la tv in casa da 14 anni), ma se vuoi imparare dall’esperienza altrui è necessario riuscire a capirla, a pesarla; insomma: mettersi nella condizione di avere dei criteri di valutazione che consentano un dialogo paritetico. Una metrica. Senza quella difficile confrontarsi e se ti dico che Milano dista da Roma 600 km entrambi sappiamo cosa vuol dire, senza ulteriori spiegazioni, perché entrambi possediamo il concetto di km.
Il mio, forse maldestro tentativo, è orientato solo a cercare di capire quanto “sforzo” si nasconda dietro la scelta dei Wu Ming e su quali pilastri sia poggiata.
Non mi è chiaro invece, o forse sì, perché la reazione prevalente, sia stata quella di recepire il post come un attacco per smontare la strategia dei Wu Ming.
La “conoscenza” è necessaria per tentare di capire se, al di là delle opinioni personali, e come giustamente suggerisce Lucis, esistano o meno altre vie percorribili. Magari più redditizie, magari più semplici oppure semplicemente sedersi e arrivare all’unica possibile: ora mi verso del cognac, mi fumo un sigaro e mi leggo un buon libro.
Ho giusto un romanzo di Trevanian sul tavolo da finire 🙂
Buona serata. Trespolo.
PS: Loredana, quando scrivi “spiegano la via che hanno seguito” l’affermazione non mi pare del tutto corretta: raccontano. Almeno nelle risposte che ho ricevuto. Ma raccontare e spiegare è ben diverso, credo.
Trespolo, ogni tanto ti invidio le cene e i momenti di relax. Sono vegetariana e avrei da ridire sul menu’ (inoltre non fumo e non bevo), ma mi piace la tua attenzione a picccoli piaceri che io faccio passare in secondo piano. Prima o poi dovrò prendere spunto. Lucius ha iniziato un discorso che tu continui e che potrebbe portare a qualche risultato. Il mero conto economico non mi tornava e non mi torna. Guardare invece alle peculiarità del lavoro WM potrebbe essere di qualche utilità per chi intende servirsi della rete. Se però provi a entrare nel loro sito e in quello dei quindici ti accorgi che le persone che li seguono, non sono indifferenti ne’ al lavoro di gruppo nè alla collettività. Questa credo che sia una costante nel lavoro WM, non ripetibile a richiesta o ottenibile via mktg. Per ottenere quei risultati bisogna credere (in) e praticare attivià collettive, cercarle, coltivarle e espanderle, non solo in termini economici, produttivi e di ricchezza, ma soprattutto di scambio e reciprocità altrimenti l’idillio finisce presto.
besos
Lucius? Cioè una via di mezzo tra me e Lucis?
A proposito di strategie wumingo-webbiche, sentite cosa scrive Giu-Genna nella suanewsletter:
”
Carissimi Miserabili Lettori & Lettrici,
mentre l’e-zine è in sonno, ho dato inizio a un work in progress abbastanza bizzarro. Connettendovi a http://www.miserabili.com , osserverete che L’ANNO LUCE esplode in decine di sottolink con estratti, suggestioni multimedia (da non perdere il file audio dell’emissione sonora di Saturno, captata dalla sonda Cassini), animazioni in flash, canzoni di Battiato. Cliccando in basso a destra, sulla faccia dell’inquietante demone di Hellraiser, si accede alla seconda pagina di questo patch-work-in-progress, http://www.miserabili.com/annoluce2.html . Qui sono attivi solo pochi link. Per l’appunto, si tratta della costruzione di un labirinto i cui il testo dell’ANNO LUCE rientra nel suo amnio: che è la Rete. Progressivamente, decine di pop up si aggiungeranno a quelli già presenti (a voi cercare cosa si può cliccare), per un totale circa di 250 oggetti narrativi e polimediali.
Un caro saluto a tutti Voi, sperando che l’ANNO LUCE PROJECT Vi interessi,
giuseppe genna”
250 oggetti… aiuto!, chi ne ha voglia?:-)
Lucio Angelini, ma hai trovato il tempo di postare qui senza neppure cliccare un link (di una newsletter di ieri, per di più)? Sei un genio, senza ombra di dubbio.
Grazie, sono d’accordo con te.
Trespolo si è preso la briga di fare uno studio, da economista quale immagino che sia. Adesso, è naturale che si sia posto delle domande rispetto a Wu Ming; chi si occupa di economia è questo che fa, analizza un processo (specialmente quando funziona) e cerca di capire quali siano le ragioni del suo successo (o anche perchè ha dato risultati deludenti). Il fine è esattamente quello di capire per poter poi riprodurre. Non c’è nulla di strano. Wu Ming è in rete, quindi si può dire che è come se avesse una sua bancarella in mezzo ad un mercato, cosa c’è di male se coloro che frequentano quel mercato si chiedano perchè quella bancarella funziona?
Voler riprodurre è il fine verso cui tende ogni tipo di studio. Molti di noi, scoprendo Wu Ming, si saranno chiesti: ma questi perchè fanno così? Vale la pena fare così? E se lo facessi anche io, mi converrebbe?
Dovremmo piuttosto ringraziare trespolo, non dargli addosso, indipendentemente dalla veridicità dei suoi dati, almeno lui si è posto un problema. E grazie anche a Wu Ming1 per essersi prestato a dare delle spiegazioni: non a tutti avrebbe fatto piacere sentirsi fare i conti in tasca.
laura
Ospite da un’amica in un’altra città, approfitto della sua ADSL.
Mi sembra che il discorso continui stancamente, tra fraintendimenti-valanga e interventi che, anziché chiarire, confondono le acque.
L’impostazione di Trespolo (che è in buona fede e anzi credeva di fare qualcosa di utile) è solo in apparenza *concreta* e *logica*, in realtà di concreto (cioè di attinente ai processi reali di cui in teoria staremmo parlando) e di logico ha pochino.
TESI DI FONDO: il modello Wu Ming non è riproducibile.
OBIEZIONE: non esiste alcun modello Wu Ming, i Wu Ming non hanno mai detto che il loro esempio fosse replicabile.
RIBATTUTA: Ma se ogni volta che si parla della rete vengono citati i Wu Ming!
CONTRORIBATTUTA: Certo, ma perché loro hanno un’esperienza di utilizzo della rete che forse vale la pena esaminare, ma non per questo esiste un “modello”.
MODIFICA DELLA FORMULAZIONE DELLA TESI (qui parafraso, cerco di cogliere il succo): Va bene, allora limitiamoci a dire che è una strategia non tesaurizzabile da altri, perché l’investimento fatto dai Wu Ming non può permetterselo un piccolo editore.
OBIEZIONE: La strategia dei Wu Ming è autogestita, l’editore investe quello che investirebbe comunque, il lavoro in rete dei Wu Ming è un “di più” che all’editore non costa niente.
RIBATTUTA: Va bene, allora diciamo che nessun altro scrittore può permettersi un simile investimento.
DOMANDA: Quale investimento, di grazia?
[Quale sarebbe questo investimento, tolti dal ragionamento gli errori marchiani come quello sulle trasferte e dando comunque per buoni i criteri discutibili segnalati da Biondillo, Lucis, Melloni, Mongiò e Spettatrice?
RISPOSTA: un monte-ore di lavoro paragonabile a un investimento di un milione di euro e rotti.
CONCLUSIONE: chi cazzo ce li ha quei soldi?
REPLICA: ma perché, tu credi che i Wu Ming ce li avessero?
RIBATTUTA: va bene, allora non parliamo di soldi, parliamo di “sforzo”. Duecentocinquanta presentazioni in tre mesi chi mai riesce a farle?
REPLICA: ma de che? sono 250 presentazioni in sei anni!
RIBATTUTA: vabbe’, ipotizziamo comunque 4 ore di lavoro giornaliero per quindici anni.
PREMESSA SOTTACIUTA, DETTA NELL’ORECCHIO CON LA MANO A CONCA A COPRIRE LE LABBRA: i Wu Ming devono essere dei figli di papà, nessuno può investire così tanto tempo a fondo perduto per tutti quegli anni in una strategia che non si sa nemmeno se funziona. Ergo, il modello non è riproducibile
CHIARIMENTO NECESSARIO:
Post sopra: stesura provvisoria rimasta in draft e partita per sbaglio. Quella vera, scritta nel frattempo, la posto tra un momento.
Ospite da un’amica in un’altra città, approfitto della sua ADSL.
Mi sembra che il discorso continui stancamente, tra fraintendimenti-valanga e interventi che, anziché chiarire, confondono le acque.
L’impostazione di Trespolo (che è in buona fede e anzi credeva di fare qualcosa di utile) è solo in apparenza *concreta* e *logica*, in realtà di concreto (cioè di attinente ai processi reali di cui in teoria staremmo parlando) e di logico ha pochino. Infatti, tutto il suo discorso ha perso pezzi per strada man mano che si discuteva, benché pochi se ne siano resi conto.
TESI DI FONDO: il modello Wu Ming non è riproducibile.
OBIEZIONE 1: Non esiste alcun modello Wu Ming, i Wu Ming non hanno mai detto che il loro esempio fosse da riprodurre.
RIBATTUTA: Ma se ogni volta che si parla della rete vengono citati i Wu Ming!
CONTRORIBATTUTA: Certo, ma perché loro hanno un’esperienza di utilizzo della rete che forse vale la pena esaminare, non per questo esiste un “modello”. Un conto è fare patrimonio delle esperienze fatte da altri, un conto è imitare.
MODIFICA DELLA FORMULAZIONE DELLA TESI: Va bene, allora limitiamoci a dire che è una strategia non tesaurizzabile da altri, perché l’investimento fatto dai Wu Ming non può permetterselo un piccolo editore.
OBIEZIONE 2: La strategia dei Wu Ming è autogestita, l’editore investe quello che investirebbe comunque, il lavoro in rete dei Wu Ming è un “di più” che all’editore non costa niente.
RIBATTUTA: Va bene, allora diciamo che nessun altro scrittore può permettersi un simile investimento.
DOMANDA: Quale investimento, di grazia?
[Esatto, quale sarebbe questo investimento, tolti dal ragionamento gli errori marchiani come quello sulle trasferte e dando comunque per buoni i criteri discutibili segnalati da Biondillo, Lucis, Melloni, Mongiò e Spettatrice?]
SPIEGAZIONE: un monte-ore di lavoro paragonabile a un investimento di un milione di euro e rotti. Chi cazzo ce li ha quei soldi?
OBIEZIONE 3: Ma perché, tu credi che i Wu Ming li avessero? Cos’è che intendi dire?
[INTERMEZZO 1: chiarimento necessario. La strategia dei Wu Ming in realtà costa poco perché la rete costa poco. Quanto alle trasferte, sono rimborsate da chi organizza le presentazioni. Fine intermezzo.]
RIBATTUTA: Va bene, allora non parliamo di vile denaro se vi da fastidio, parliamo di “sforzo”. Duecentocinquanta presentazioni in tre mesi chi mai riesce a farle?
OBIEZIONE 4: Ma de che? Sono 250 presentazioni in sei anni!
RIBATTUTA: Vabbe’, vedo che ne sai più di me… Ipotizziamo comunque quattro ore di lavoro giornaliero per quindici anni.
PREMESSA SOTTACIUTA, DETTA NELL’ORECCHIO CON LA MANO A CONCA A COPRIRE LE LABBRA: I Wu Ming devono essere dei figli di papà, nessuno può investire così tanto tempo a fondo perduto per tutti quegli anni in una strategia che non si sa nemmeno se funziona. Ergo, il modello non è riproducibile perché funziona solo per i figli di papà.
[INTERMEZZO 2: chiarimento necessario. Mentre, di progetto culturale in progetto culturale, il gruppo di lavoro che poi si è coagulato nei Wu Ming allargava reti e costruiva comunità, i suoi membri hanno svolto i seguenti lavori: magazziniere notturno e scaricatore di camion all’SDA; lettore dei contatori dell’acqua nelle case IACP; ausiliario sanitario all’Ospedale maggiore di Bologna; postino a Baricella (BO); buttafuori al circolo ARCI Candilejas di Bologna; istruttore di arti marziali nelle palestre Regis e Sempre Avanti di Bologna; educatore in un gruppo-appartamento per tossici che hanno appena smesso a Sasso Marconi (BO). Il Sottoscritto è figlio di una bracciante e di un metalmeccanico. Chiuso intermezzo.]
OBIEZIONE 5: Ma secondo te esistono progetti culturali che non richiedano investimenti a lungo termine e a fondo perduto? Cos’è la sindrome della pappa pronta? Credi forse che i Wu Ming siano gli unici in grado di farsi il culo in questo paese?
OBIEZIONE 6: Fatto salvo che non esiste un modello Wu Ming da riprodurre, se il loro “sforzo” è stato compiuto mentre facevano tutti quei lavori, non si capisce perché simili “sforzi” debbano essere fuori dalla portata di altri scrittori. Certo, loro sono un gruppo e hanno potuto dividersi compiti e fatica, ma anche un quinto del tempo che loro hanno speso a costruire la rete e un quinto delle presentazioni che hanno fatto loro, è comunque molto più di quanto facciano certi segaioli. Inoltre, formare un gruppo non è una scorciatoia, fa parte del lavoro, ma qui ci fermiamo altrimenti parte tutt’altra discussione.
[APPENDICE: *Questa* discussione non solo è priva della benché minima utilità, ma è anche dannosa perché alimenta disfattismo intorno alle potenzialità reali della rete. Non basta aprire un sito o un blog o spedire qualche mail informando che è uscito il proprio libro. Questo è un uso che non tiene in alcun conto la peculiarità della rete come “mezzo che si fa mondo” e crea comunità. Non ha senso lamentarsi che “la rete non smuove copie” se non si capisce che l’attenzione del lettore/visitatore va *meritata*. Mai nessuno che si interroghi sull’effettiva qualità della proposta web che fa. Può darsi che certi libri non vengano smossi dalla rete perché sono noiosi. Può darsi che certi utilizzi della rete non inneschino passaparola perché sono piatti. Può darsi che lo scrittore che dice tutti i santi giorni “Me tapino, non mi pubblicano!” scriva stronzate. E’ ora di finirla con la sindrome nazionale del dare sempre la colpa ad accadimenti esterni e a malvagi complotti ai danni della Cultura. Questo discorso neo-disfattista sulla rete agisce in modo perverso: ogni esempio di utilizzo fantasioso e positivo trova l’immancabile risposta: “Ma quello non fa testo! E’ atipico! etc.”. In questo modo si impedisce all’esperienza di germogliare. Questa perversione del discorso si ammanta comunque di intenzioni positive: “Ma dai, cerchiamo di capire tutti insieme cosa va e cosa non va!” e in realtà si sta facendo l’esatto contrario, si sta pregiudicando la diffusione degli esempi contagiosi: De Michele non fa testo. Evangelisti non fa testo. I Quindici non fanno testo. Niente fa testo, la rete è una delusione, i libri vendono poco, c’è la Restaurazione, piove governo ladro, ah se al governo ci fossi io etc. etc. etc. Scusate, lo dico papale papale: mi sono rotto la minchia! Questi sono discorsi REAZIONARI e deresponsabilizzanti (altroché nickname!). E adesso l’ipotetico editore X che sta anche in rete: X non è uno che lavora poco. X è sempre in giro per rassegne, festival e presentazioni. X è in rete da dieci anni. X ha un’esperienza di blogger/editore che data ormai da un lustro. Allora perché le strategie di X – a suo stesso dire – non funzionano e i suoi libri non vendono? Questo dovrebbe essere il quesito su cui ragionare, non l’inutile quesito: “Perché nessuno imita i Wu Ming?”, che è una non-questione perché “imitare i Wu Ming” non avrebbe alcun senso.]
Laura: il fatto che “esista un fenomeno” non significa che il fenomeno sia analizzabile secondo uno schema matematico e quindi riproducibile a tavolino. Quello che si chiede a Wu Ming mi sembra quasi un algoritmo per il successo editoriale, e si scansa il fatto letterario come se fosse trascurabile (algoritmo in senso stretto: un numero finito di passi e il procedimento sicuro, indipendente dal substrato, quasi che fosse sufficiente il metodo. Se poi leggi Wu Ming pare che il metodo non esista).
IL testo estatto dell’intervista rilasciata da pasolini: che cercando su internet si trova. Mi spiace per tutti i laureati…
Quelle che che amo di più sono le persone che possibilmente non abbiano fatto neanche la quarta elementare, cioè le persone assolutamente semplici. Non lo dico per retorica, ma perché la cultura piccolo borghese, almeno nella mia nazione(ma forse anche in Francia e in Spagna), è qualcosa che porta sempre a delle corruzioni, a delle impurezze. Mentre un analfabeta, uno che abbia fatto i primi anni delle elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la cultura. Poi si ritrova a un altissimo grado di cultura, ma la cultura media è sempre corruttrice.
PS: sono laureato io (110, Lettere)