INSALATA MISTA (DA ZINCONE AD ALBERT)

Potevano
mancare le anticipazioni de La pagina della sfinge? Naturalmente no, e
per chi non lo sapesse la medesima è la rubrica che Daniele Brolli firma
su “Pulp” (per chi non sapesse neanche questo, la vostra eccetera ne è
fedelissima lettrice da tempi non sospetti).
Nell’augurarvi buon divertimento rilancio quanto segnalatomi privatamente dal preziosissimo Fogliedivite: ovvero, un numero niente male di The Paris Review, che contiene fra l’altro un’intervista a Laura Albert (la donna che visse due volte, una delle quali nei panni di J.T.Leroy) e una a Stephen King.
Update: da leggere assolutamente Giuseppe Genna-insider-giurato veneziano su Carmilla: specie le conclusioni:
"

Cosa emerge, in definitiva dalla Mostra di Venezia? Emerge a mio parere che l’attuale
finzione è finita, che l’occidente è incapace di narrare, che esso
concepisce le storie come puro racconto lineare e non coglie l’immensa
profondità (mitopoietica, allegorica, di semplice incanto) che è
racchiusa negli scrigni delle storie stesse. Emerge che o si cambia
marcia – non solo al cinema, ma in qualunque arte – oppure ci troveremo
nella situazione di osservare lo zoo piccolino degli artisti resistenti
che si beano dello Stile e cincischiano con il narcisismo di chi a
torto si autopercepisce come "resistente" rispetto a una realtà che è
totalmente incapace di includere nelle sue retoriche. Perché non si
tratta di un problema di realtà, anche se c’è un problema di realtà:
l’occidentale, e l’artista occidentale medio e mediocre soprattutto,
non coglie più il tragico perché ritiene il proprio presente un tempo
non tragico (al massimo, la tragedia è la crisi dei
quaranta-cinquantenni…), mentre in verità siamo nell’occhio del
ciclone tragico. Si tratta soprattutto di un problema di immaginario da
ricostruire completamente. Sarò più radicalmente bologico: qui bisogna
rialfabetizzare rispetto alla semplice percezione: il benessere ha
permesso che la percezione delle cose e dell’umano si volatilizzasse, a
vantaggio di una melma che si regge su finti canoni tradizionali, su ipse dixit che
vengono apparentemente negati e poi sono bellamente spiattellati in
faccia a chi cerca nuovi sentieri, a chi prova a fare (cioè rifare) la Nuova Cosa che
attende di essere trascinata nel mondo per immagini, parole, suoni,
voci, sguardi, ritmi, pensieri, silenzi, assenza di pensieri".

Ed ora, finalmente, la parola a Brolli:

Tutto
fatto in casa

Sul “Corriere della Sera” del 21 agosto si svela un
mistero che ci teneva tutti col fiato sospeso… “Giuliano Zincone: ‘Confesso,
sono io Paolo Doni, quello di Bar
Biturico’
” strilla il titolo, taglio basso della cultura a firma Enzo
d’Errico.
Come direbbero a Milano:
ciumbia
!
“Uno dei più famosi inviati del ‘Corriere’, ha seppellito
pubblicamente il suo pseudonimo, svelando il gioco che ha alimentato il gossip culturale di questa estate. È lui
l’autore di Ci vediamo al Bar Biturico,
il romanzo pubblicato da Guanda che la recensione di Antonio D’Orrico, sulle
pagine di Magazine, ha trasformato in un ‘caso’ editoriale. Ambientata a Capri
(con una descrizione tanto puntuale da rendere il libro, come ha sottolineato
lo stesso D’Orrico, anche ‘una splendida guida pratica dell’isola’), la trama
si snoda tra le fantasie erotiche di un maturo professore e di una sedicenne,
raccontate ‘in presa diretta’ durante un’estate che sembra sciogliere al sole
l’inutile decenza in cui, troppo spesso, s’impiglia la vita.”
Splendida elegia della stronzata fatta a uso e
consumo di un collega con la sindrome di Pinocchio. Leggete come prosegue il
pezzo: “’Ho scritto il romanzo anni fa, ma mi sono subito reso conto’ spiega
Zincone ‘che la descrizione precisa dei luoghi rischiava di far passare per
vere anche le cose raccontate. Di autobiografico, invece, non c’era nulla, ma
decisi che sarebbe stato meglio lasciarlo nel cassetto per evitare equivoci. Fu
un soprassalto di rimorso che mi spinse a inviare il manoscritto a D’Orrico,
che fra l’altro conoscevo appena (…) Ho letto critiche dove balenavano
insinuazioni del tipo ‘è una furbata orchestrata a tavolino da due amici’,
nonostante D’Orrico e io non ci fossimo mai frequentati più di tanto”.
Non
sarò Nero Wolfe, ma ci vuole poco ad accorgersi di un passaggio quantomeno
equivoco: Zincone manda a D’Orrico il manoscritto, dissolvenza incrociata, il
romanzo è pubblicato e la relativa sbrodolata di D’Orrico esce sul “Magazine”
del “Corriere”…
Ma la domanda è: perché
al “Corriere” cultura fa rima con spazzatura?

En
passant

Sul
Village Voice” del 24 marzo scorso, nel suo pezzo “Chain Reaction”, Paul
Collins affronta il tema della sparizione delle piccole librerie negli Stati
Uniti. E Collins fa notare come le grandi catene librarie (Barnes & Noble,
Borders…), insieme alle aree dei grandi magazzini in cui si vendono libri,
abbiano potenziato gli editori maggiori e la loro logica del best-seller,
relegando sempre di più gli indipendenti ad aree di sopravvivenza.
La risposta dei librai indipendenti americani è in alcune
iniziative di mutua promozione, anche in rete, e la creazione di software
dedicati alla gestione di piccole imprese librarie.

10 pensieri su “INSALATA MISTA (DA ZINCONE AD ALBERT)

  1. L’ho sempre detto, il grande nemico è la grande compagnia, la grande catena, la grande concentrazione. Sono infestanti e togliendo ossigeno alle piccole tolgono ossigeno a noi.
    Invece di prendersela con ogni singolo libro e personaggio o fenomeno dovremmo orchestrare campagne di consumatori, scegliere le piccole librerie, le piccole compagnie,i piccoli organismi. Sempre e ovunque
    Ma non siamo capaci.
    L’ho sempre detto tra me e me, perché neppure io ne sono capace.

  2. “Nei festival del cinema, si sa, il vero cinefilo si distingue perché al
    cinema occidentale tradizionale, scioccamente narrativo, preferisce
    senz’altro il nuovo cinema del Burundi, o della Corea del Nord, o delle
    isole Figi. La critica è tutta con lui. Nel primo caso parla di “cinema
    della chiacchiera, del fracasso, della banalità”, nel secondo di “potenza
    evocativa delle immagini”. E’ successo anche con “Hei yanquan” (“Non voglio
    dormire da solo”), del regista malese Tsai Ming-Liang. Il film non ha
    bisogno di essere tradotto in nessuna lingua, perché il dialogo è totalmente
    assente. Si vedono visi catatonici, corpi sofferenti, mani che li lavano con
    rituale, ipnotica lentezza. Dopo circa due ore di potenza evocativa delle
    immagini, finalmente un omaggio a Chaplin: la canzone “Eternamente” dal film
    “Luci della ribalta”, che in italiano faceva “Dovunque tu sarai, con te
    sarò. Dovunque tu vivrai, con te vivrò… ” ma in malese parla di primavera
    in cui gli orioli (così nei sottotitoli) tornano a cantare. Lo spettatore
    medio (cinofilo) si rompe tremendamente i coglioni, quello più raffinato
    (cinefilo) si fa impagabili seghe con la potenza evocativa delle immagini.
    P.S. Ho scherzato. Il film è bellissimo. Ci ha una potenza evocativa delle
    immagini da restarci secchi:-)”
    (da “TSAI MING-LIANG A VENEZIA”, nel mio blog)

  3. L’intervento di Lucio Angelini è intelligente, acuto, pieno di ironia e comprensibile. Quello di Genna, come al solito, oscuro e supponente. Ma perché lo scrittore di dies irae non comincia a parlare – e a scrivere – come mangia?

  4. Loredana, per fortuna che ci pensi tu! perchè pure io ci penso ma poi mi attardo e…
    Tutto cio’ per dire che ho “sentito” il pezzo di Genna come una riflessione di cui si ha veramente bisogno da noi (da voi) da loro.
    bazi
    et
    abrazi
    effeffe

  5. Il dottor Luca Angiolino, a ritmo di marcia turca, non perde MAI l’occasione, ubicumque, di farci notare che ha un qualcosa su cui scrive. Perché, anche solo per una volta, non lo fa sulla carta iggienica e poi la usa?

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