LA COSA- 1

Croce  D’accordo, la parola di moda da oggi dovrebbe essere “cosificazione”, ma ve la risparmio.

Celie a parte: come ciclicamente avviene, si torna a discutere del ruolo e della funzione della critica letteraria. E’ quanto accade da diversi giorni su Vibrisse : qui nel già segnalato intervento di Giulio Mozzi, e poi qui, con la replica di Giacomo Sartori (Che cosa chiedo ai critici dei critici).

Ora: in discussioni come queste, peraltro giuste e importanti, si innesta un altro elemento ciclico. Quello di chi, alla parola critica, estrae la spada dal fodero e mena fendenti del genere prezzolati-conniventi-ignoranti e via variando. Può darsi che alcune, o magari persino tutte queste accuse possano in alcuni casi essere vere. Però “cosificare”  il mondo  collocando il bene di qua e il male rigorosamente di là non mi sembra esercizio utile.

Ergo, piccolo contributo a puntate: che parlino i critici. Avviene nella già citata e lodevole inchiesta di Davide L. Malesi e Michele Infante  “La critica è morta, viva la critica!” che appare nell’ultimo numero di Origine.
Inchiesta lunga, di cui evidentemente posterò, a puntate, solo qualche stralcio (per l’integrale, procurarsi la rivista). Gli intervistati sono Riccardo De Gennaro, Benedetta Centovalli, Andrea Cortellessa, Giovanni Tesio, Giulio Ferroni, Carla Benedetti, Tiziano Scarpa, Mario Fortunato, Jacopo De Michelis, Filippo La Porta, Emanuele Trevi e la sottoscritta. Comincio dalla prima domanda, e dalle prime tre risposte, in rigoroso ordine di apparizione. Pazientate, su.

Da molti anni si sente parlare di “morte della critica”: eppure, di critica letteraria si discute ancora. La critica è davvero morta? Sta morendo? Se è moribonda, quanto ci vorrà perché si estingua definitivamente e arrivi il momento di seppellirla? Può essere che quella di “morte annunciata” sia oggi la condizione normale di esistenza della critica letteraria? O, diversamente, può darsi che l’annuncio di morte sia falso e tendenzioso, niente più che un luogo comune ormai trito?

Riccardo De Gennaro

Io penso che sia morta la letteratura. Mi chiedo chi, oggi, faccia ancora letteratura, intendendo per letteratura una forma “alta” di espressione dello spirito. Pochi, forse neppure i Premi Nobel. Il problema è che dobbiamo scalare di una marcia o due, parlare al massimo di “narrativa” e riparametrare giudizi e valori. Di qui la morte della grande critica letteraria. D’altronde, i migliori critici non sono mai stati i critici di professione o i docenti universitari, ma alcuni tra i più importanti poeti e scrittori: Baudelaire, T. S. Eliot, Proust, Montale, Savinio, Pasolini, per fare qualche nome. Oggi siamo in una fase di recessione letteraria, i romanzi di intrattenimento hanno vinto la partita, l’editoria asseconda le quote aggiuntive di lettori, recensire non richiede più alcuna specializzazione.

Benedetta Centovalli
Dal punto di vista dell’esercizio critico chiunque scriva di libri dovrebbe rispettare almeno due funzioni, una informativa e una di orientamento del giudizio. Spesso quello che leggiamo è un soffietto editoriale, la copia dei testi usati dagli editori per la promozione.

Il fatto è che la critica militante in tempi fiacchi di pensiero come il nostro batte in ritirata.

Baldacci scriveva: “Il critico militante dovrebbe distinguere tra l’opera che s’inserisce in una situazione nascente e quella che è l’esemplificazione di una situazione già nota e descritta. Ma questo tipo di critico, che guarda il presente in un cannocchiale rovesciato, è quasi sempre un’utopia”. Aggiungerei come aggravante all’oggi il livellamento assoluto sul successo commerciale, il prestigio di un autore che si misura sulla sua apparizione nella classifica dei libri più venduti. Alla letteratura si chiede dunque di confermare l’esistente, di rassicurare, ratificare, consolare. Ecco perché il romanzo “di genere” ha tanto successo. Incluso il genere “letteratura che scala orgogliosamente le classifiche”. La critica militante dovrebbe essere in controtendenza, lanciare allarmi, provocare riflessioni, mettere in guardia sui libri “desunti”, aprire al nuovo.

Andrea Cortellessa
Ha scritto una volta Paul De Man, e poi l’hanno ripetuto un po’ tutti (non tutti citandolo), che la critica è in crisi per definizione, non congiunturalmente, perché l’ètimo stesso del termine ha a che fare con la crisi. Ma del resto ogni forma di lettura, se è autentica, mette in crisi da un lato chi legge e dall’altro ciò che viene letto: pone entrambi in stato di tensione, di stress, sino – nei casi estremi – a scompaginare l’uno, l’altro o entrambi (come ha scritto René Char di Rimbaud, mi pare: che leggerlo equivale a lacerarsi, e insieme lacerarlo). Più sottilmente, una volta Jean Starobinski ha scritto che il sapere critico dovrebbe essere assimilato a quello clinico, in senso propriamente diagnostico (ma anche, eventualmente, prognostico): giorni critici sono quelli in cui una patologia evolve verso la sua soluzione (guarigione oppure degenerazione), ed è la crisi il momento che “decide del futuro”. La crisi implica insomma un passaggio temporale e, insieme, un’alternativa, un bivio. La critica è il sapere che s’interroga, talora rispondendo, su queste alternative: come si riscontrano, nella fattispecie, nelle opere letterarie. Volendo fare una battuta, si potrebbe ricordare il perfido Lautréamont: che di quanto gli piaceva davvero diceva che era “bello come lo sviluppo di una malattia polmonare”. Ma parlando di Critica e clinica non si può non ricordare un grande protagonista di tutte le forme di critica (non solo filosofica), uno dei massimi pensatori del Novecento del quale sono appena ricorsi dieci anni dalla scomparsa: la dittologia appena formulata è infatti il titolo dell’ultimo libro da lui licenziato, nel 1993. Parlo ovviamente di Gilles Deleuze (un grande malato ai polmoni, proprio…). Il quale scriveva dunque, in extremis: “lo scrittore in quanto tale non è malato, ma piuttosto medico, medico di se stesso e del mondo. Il mondo è l’insieme dei sintomi di una malattia che coincide con l’uomo. La letteratura appare allora come un’impresa di salute: non che lo scrittore abbia necessariamente una salute vigorosa […], ma gode di un’irresistibile salute precaria che deriva dall’aver visto e sentito cose troppo grandi, troppo forti per lui”.

Dunque abituiamoci ad avere a che fare – strutturalmente e congenitamente – con un sapere traballante, incerto, tentative. Non mi pare male averne coscienza, in un tempo in cui i guai – a livello mondiale – provengono da chi ha, od ostenta, solo certezze (salvo trovarsi smentito, tragicamente, dai fatti): si tratti di quale sia il vero dio o di dove stiano nascoste le armi di distruzione di massa.

Altro discorso va fatto, e l’ha fatto Mario Lavagetto nel pamphlet recente Eutanasia della critica, circa le condizioni materiali nelle quali questo sapere, pur tentative, si esercita. I discorsi sugli spazi concessi alla critica letteraria, sui tempi, sulle committenze e le loro motivazioni sono, evidentemente, discorsi politici. Ma da questo punto di vista non è solo in crisi la critica letteraria, bensì il pensiero critico in generale. Finché continuerà (e non potrà più farlo molto a lungo, come da ultimo pare che ovunque si stiano accorgendo tanto i liberali che i socialdemocratici) il dogma del mercato come unico metro della società, questa crisi non potrà che peggiorare. Ma in questo senso tocca affrontare problemi ben più seri di quelli che riguardano la letteratura.

22 pensieri su “LA COSA- 1

  1. Centovalli scrive “Alla letteratura si chiede dunque di confermare l’esistente, di rassicurare, ratificare, consolare. Ecco perché il romanzo “di genere” ha tanto successo”
    Ci risiamo? Quando mai il buon genere è consolatorio e ratificante?

  2. dal blog di Angelini:
    “chi scrive libri”, ammonisce Karl Kraus, “lo fa soltanto perché non trova la forza di non farlo.”
    Probabilmente lo stesso succede per i critici e anche per i lettori.
    Siamo tutti compresi in una mancanza di coraggio e abbiamo il solo ardire di cercare domande e risposte nella letteratura. A me, come semplice lettrice, succede, agli scrittori e ai critici non so.
    Babbioneggio, ma non troppo. Lo faccio da ignorante, ma non troppo. Per me che ho la mancanza di coraggio di chi ha solo il coraggio di leggere testi altrui la critica, se vera e fatta ‘bene’, è una forma diversa di ‘letteratura’. Ci sono persone (non necessariamente critici di professione) capaci di parlare di libri medriocri tirando fuori delle bellissime immagini o teorie o visioni che poi il libello, se letto, smentirà prontamente.
    A volte proprio mi manca il coraggio di schivare certi articoli su sport che non capisco (e che mi interessa poco capire) se scritti bene e se ci trovo dei rimandi che vanno fuori dal pallone o dalla racchetta .
    Leggerli è un pretesto per mie personali elucubrazioni che risparmio a chiunque. Però è bello non avere coraggio e permettersi queste innocue vacanze mentali. Per i critici di professione quelle che chiamo vacanze sono cose serie e come tali a discuterne si rischia l’apologia. Per me le recensioni migliori sono quelle in cui si capisce che la persona che scrive usa il libro come pretesto per integrare con parole proprie (come chiedevano i vecchi maestrini), parlare d’altro o dare una chiave di lettura da punti di vista soliti o insoliti (a patto che il tutto sia scritto bene). Se proprio si manca del coraggio di non scrivere (recensire) che almeno si abbia l’ardire (il coraggio) di non essere noiosi, scontati, spot pubblicitari o risuolatori di manoscritti. Forse la morte della critica non è altro che la morte di questo coraggio. I lamenti dei critici, di conseguenza sono il coro di prefiche al capezzale della loro stessa mancanza di vita, non della mancanza di vita (o della possibilità di) in assoluto. Che la smettano di far colare il rimmel sui loro bianchi colletti inamidati e si diano da fare. Anche se l’aplomb e la puzza sotto il naso avessero a soffrirne potrebbero guadagnare in autenticità, attualità e, appunto, vita.
    besos

  3. Pure Cortellessa ce l’ha col dogma del mercato. Oh, ma allora chi decide di cosa parlano i critici, direttamente il Berlusca, tutte le volte?

  4. Mi colpisce la frase di Paul de Man che non conoscevo: questo aiuterebbe in effetti a chiarire perchè interrogativi come l’attuale tornano con tanta frequenza. Se dunque la critica abbia o meno una ragione d’essere, o anche, seguendo i link, che cosa sia e quali obiettivi si debba porre la letteratura.
    Con umiltà, chiedo anche se almeno da una di queste discussioni sia infine scaturito un invito operativo all’azione. Saluti.

  5. Senti Bloggerlippa, io ti voglio tanto bene. Però non fare la furba. Mo’ ce devi dì la Verità:
    Come sta, come vive, come passa le sue giornate, la Signora Critica sul pianeta di Bloggerlippa? Come legge i romanzi un abitante tipico di Bloggerlippa quale lei è? Da dove viene il modo bloggerlippiano ( quali sono i Maestri in quelle contrade, quali le Strade Principali e quali le Secondarie)? E’ ancora nel pianeta di Bloggerlippa (che fa un po’ a sè) è necessario leggerli i romanzi, lo è mai stato? Che si pensa a Bloggerlippa della parola ‘mercato’? Che cosa fanno i Blggerlippiani quando sentono questa parola? Gridano? Si toccano le palle (sotto o sopra), inveiscono, sorridono? E a lei, rappresentate del pianeta di Bloggerlippa, che le fa venire in mente questa parola, m-e-r-c-a-t-o? e il colore Giallo? E il colore Nero? Si passa o no, con questi colori, lì da voi? Dicci. Facci una mappa di Bloggerlippa, e famola finita, dai.

  6. Spettatrix adoro quel rimmel che cala sui colletti dei critici. ma credo e temo, per tutti noi, che la tua sia una visione estremamente ottimistica della realtà. per mettersi rimmel e farselo colare sul colletto ci vuole, sai no? una gran bella dose di coraggio.

  7. Angela? Ma che è, un interrogatorio? 🙂
    Ps. per adesso rispondo solo a “è necessario leggere i romanzi?”.
    Beh, mi pare il minimo!

  8. Beh, Angela: c’è una seconda parte di risposte alla stessa domanda, e là c’è anche la mia. Pazienta (poi, a ben vedere: mi sembra di aver già risposto alla maggior parte dei quesiti in tredici mesi di blog). 🙂

  9. Sì, Bloggerlippa, lo so che devo aspettare. Intanto davo un po’ di colore. Sai i Rimmelaspiranti (non hanno il coraggio di metterselo, n.d. R) rendono tutto così tetro, pesante, noioso. A domani, allora.

  10. Marina, se pensi che ad avercela col dogma del mercato sia Cortellessa, dovresti leggere le esagerazioni che tira fuori la Benedetti, quando – più avanti – si scaglia contro “la dittatura del mercato, il tentativo di normalizzazione della scrittura, il ricatto populistico delle classifiche di vendita, l’enorme spazio dato alla cultura anglofona, l’audience che sostituisce il giudizio, la promozione pubblicitaria travestita da recensione, i testimonial televisivi e i book-jockey che hanno preso il posto dei critici, le grandi macchine di ottundimento, la colonizzazione dell’immaginario…”.

  11. Io non sono un critico ma uno che fa lo scrittore di libri per ragazzi. E soprattutto un lettore avido e onnivoro. Vorrei distinguere due figure “professionali”: il critico e il recensore. Il primo fa sedimentare i testi, li analizza con calma, li studia. Il secondo dà opinioni a caldo e può beccare delle cantonate (dire NO a un capolavoro oppure SI a una cosa evanescente), ma lo fa perchè quello è il suo compito: fare una specie di cronista dal fronte, raccontare i suoi incontri con i libri. Penso che, in questi tempi così sovraccarichi di informazioni, per me lettore sia importantissimo stabilire un rapporto di fiducia con un recensore, che mi consiglia, mi suggerisce, mi invita a conoscere, mi presenta dei testi che se no mi scapperebbero. C’è il rischio della pubblicità occulta? Certo che c’è. Per questo parlavo della fiducia, che si conquista sul campo. E poi la lettaratura esisterà sempre. Perchè l’essere umano ha fame e sete di storie. E forse perfino Dio ha creato l’uomo per sentirsi raccontare delle storie. Luciano / Il ringhio di Idefix

  12. Gilles Deleuze (giustamente tirato in ballo da Cortellessa ), che è stato un grande critico letterario senza aver mai pensato di volerlo essere (c’è del metodo, eccome!, nei suoi scritti sulla letteratura e sulle arti figurative) pensava della filosofia qualcosa che credo possa valer anche per la critica: è noioso, e molto, fare la storia del pensiero e dei pensieri. Molto più interessante è prolungare un pensiero oltre il limite al quale l’ha portato un pensatore, aggiungere, concatenare un pensiero ad un’altro per prolungamenti. mettere la barba ad Hegel e tagliarla a Marx, infilare Spinoza nella camicia di Masaniello ed Hjelmslev nel costume di Amleto. La critica è viva quando riesce a fare questo, e finché riesce a farlo (si parva licet, a me sembra che lo sappia fare benissimo Evangelisti, anche come stile).

  13. Lucio wrote:
    Spettatrice, sei la mia critica preferita:-)
    Lucio, mi preferisci con o senza rimmel? e se il collo della camicia urla vendetta, come la mettiamo?
    Angela Wrote:
    ….per mettersi rimmel e farselo colare sul colletto ci vuole, sai no? una gran bella dose di coraggio.
    non era letterario quel modo di dire sul coraggio che: chi non lo possiede non può darselo?
    credo di essere solo in parte letteraria e quindi penso che il coraggio uno può anche darselo a patto che trovi valide motivazioni in se ( o fuori di sè) per farlo. Per quanto mi riguarda so di non essere buon esempio, ma non vado a stracciare gli organi genitali del mondo piangendo sul fatto che le condizioni del
    medesimo (o dei suoi prodotti, letteratura compresa) non sono tali da rendere
    brillante la mia modica quantità di coraggio.
    Spero che queste parole non siano intese come un invito al tacere, non mi permetterei mai di inibire le prefiche di qualsiasi veglia funebre. Però sono stufa e quindi non eviterò i problemi nè editoriali nè autoriali (che ci sono, esistono e non risparmiano nessuno, critici-criticanti-criticissimi compresi), ma mi libererò dei patetici apocaliticintegratissimi con un (in questo caso) salutare snobismo. Echecaz.. almeno ritorno alla libertà di intossicarmi da sola senza la dose supplementare quotidiana (e solo quella poi, mai una ricerca o pratica alternativa che sia una).
    besos..anche a quelli col rimmel…che, credo, ne hanno bisogno….e se la loro fosse solo una sindrome da abbandono? e se poi me li ritrovassi sulla coscienza?
    ahiahiahi 🙂

  14. Ma ci sono dei critici “che contano” che hanno libertà di espressione?
    Ci sono di quelli che il direttore del supplemento lett. gli dice non recensire ‘sto coso e loro dicono invece sì?
    Ce ne sono di quelli che “criticano davvero” e non danno pareri soffietti o anodini consigli?
    A volte Pacchiano lo fa, tira giù duro.
    Io mi ricordo di Paolo Milano, di critici così non ne ho visti più.
    Delle critiche sui blog non fo conto, anche se rare volte sono di alto respiro, essendo spesso, dico spesso, tutto un gira gira di amici che non si lodano per imbrodarsi ma perchè si vogliono bene.
    Comunque io vedo che la letteratura, e con essa la critica, ha cambiato livello, non tanto di qualità, quanto come oggetto di stima e credibilità essendo divenuta oggetto di fruizione di molti milioni di persone, mentre un tempo era oggetto di consumo e conversazione di augusti salotti, le persone che sapevano leggere e potevano comprarsi i libri.
    Uscivano pochi libri in pochi li leggevano ne parlavano per anni.
    Si sfornano migliaia di libri ogni anno ed anche in fretta ed uno in breve i precendenti deve soppiantare affinchè si consumi e consumi e via.
    E’ una società così.
    Anche se talvolta c’è la qualità, sparisce poi nel marasma universale di pubblicazioni e prestissimo dimenticata.
    E’ tutta colpa della bomba atomica delle primavere che sembrano inverni e dei terroristi che una volta si stava così bene che ti dico io….
    MarioB.

  15. Fair play
    Tutto questo parlare!?!
    Tutto questo citare a destra, a sinistra e al centro; o su e giu!!!
    L’arte, la cultura, attira si coinvolge, certo, ma fa principalmente sognare.
    Io che non sopporto i maghi resto ammaliato ( ammaliato?!? lo posso dire? ) dai prestigiatori e come loro tirerei fuori il coniglio da dentro il mio cilindro e lo lascerei correre libero per i prati!
    Fair play

  16. Scipione, potrei persino concordare: ma nel momento in cui si viene chiamati ad intervenire su un argomento che comunque rappresenta un nodo irrisolto (altrimenti non si ripresenterebbe con tanta frequenza), o ci si nega o si parla, che ne pensi? 🙂
    Dhalgren: sulla parola “critico”, come credo sia noto, io nutro non una ma milioni di perplessità. E comunque non la rivendico affatto per me. Però questa è la definizione con cui gli intervistati stessi, biografie alla mano, vengono presentati e si presentano, o sbaglio?
    Mario: come al solito la risposta è “dipende”. Sei libero di credermi o no, ma a me nessuno ha mai detto “non recensire questo”. Al massimo, come a molti altri, sono state opposte ragioni di spazio (peraltro, se posso, reali: verifica tu stesso quanto occupano le pagine culturali di un quotidiano).Q uanto al discorso sulla stroncatura, facciamo qualche distinguo: quelle di Pacchiano sono vere e proprie pagelle, con tanto di sottolineature rosse e blu. Servono davvero? Personalmente io credo che valga più la pena di occupare i pochi spazi disponibili segnalando quel che c’è di buono piuttosto che autocompiacersi di come si è bravi a menar le mani: ma non pretendo di elevare il mio parere a filosofia della critica.
    Quanto ai blog, permettimi di dirti che non è così, o non sempre: se un amico scrive un libro che non mi piace, non ne parlo, per i motivi di cui sopra. Ma qui bisognerebbe interrogarsi sul concetto stesso di amicizia, forse, e di stima, e di affinità, eccetera. Non facciamola sempre così facile, che dici?

  17. Non facciamola così facile, o lippa, ma come tu stessa dicesti, non sei una critica ma una cronista letteraria e mi sta oltremodo benissimo, però non bisogna ignorare i silenzi di comodo di molti, la critica non critica di colui che per definizione fa il critico ma in verità fa il cronista/ammodo per non crearsi attriti ovvero per tenersi spianata la strada.
    Per Pacchiano, io sono con lui, matita rossa e blù e va bene, ed almeno dice quello che pensa e giudica, molto meglio dei capovolaristi che prima si atteggiano a gran radicali del giudizio e poi si sdilinquiscono tra i di lor libbriccini e pubblicazzioncelle.
    Oh, come son belle!
    MarioB.

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