Di Erica Jong si parla quasi sempre come fenomeno di costume, facendola rientrare fra le autrici di best-seller “una botta e via” che hanno vissuto il resto della carriera sulla scia del primo grande successo. Nei fatti, Jong è un’autrice che ha continuato ad occuparsi, libro dopo libro, della questione femminile con grande serietà (e ironia). Oggi viene intervistata da Susanna Nirenstein su Repubblica. Ve ne riporto alcuni passi.
Mrs Jong, cosa resta del femminismo? Camille Paglia, che molti accusano di essere un´eccentrica conservatrice ma in realtà ha votato per Obama, dice che è morto e sepolto. E lei?
«No, non sono d´accordo con Camille, non penso sia esaurito. Si muove in modo oscillante, a fasi alterne e ora sta solo dormendo. Le nostre nonne dopo aver ottenuto il diritto di voto pensavano fosse finita lì, ma non era così. Procede a zig zag, direi».
A volte però è andata d´accordo con Camille Paglia. Ad esempio, ce l´avevate tutte e due col politically correct che ha caratterizzato le femministe più radicali.
«Erano ridicole, per andare bene a loro dovevi essere lesbica, non usare il rossetto, considerare uno stupro ogni rapporto con un uomo. Io e Camille, me l´ha detto anche mia figlia, capivamo che era necessario essere possibiliste, cercare alleanze con gli uomini quando era il caso».
E le femministe di destra? Quando guarda Sarah Palin, la vede come un´alleata o una nemica?
«Il suo è un falso femminismo. La Palin vuole mantenere lo status quo, non vuole l´assistenza sanitaria pubblica, né nuove forme di aiuto alle madri. La destra ha prodotto delle donne politiche di spicco, ma gli argomenti “femministi” li usano solo per scalare il potere. Il fenomeno mama-greezy, la potente mamma orso Palin, è solo bullshit, una stronzata».
Un capo di stato come la Merkel, due ministri dell´estero – prima Condoleeza ora la Clinton – in America, molte leader nei consigli di amministrazione e in Italia una presidente alla guida degli industriali. E anche nei new media, con i blog di Arianna Huffington e Tina Brown. Che ne dice, siamo a buon punto?
«No, assolutamente no. Donne nella comunicazione ad esempio ci sono sempre state, ma ancora non intacchiamo la struttura del potere, tant´è vero che non si fanno leggi che aiutino veramente le donne. Ci sono signore in alcuni posti della top ten che fanno rumore, ma la piramide, l´ossatura che decide, non cambia. Arianna e Tina sono ottime, ma la realtà d´oggi è troppo simile al passato».
La liberazione sessuale è stata la sua bandiera, eppure oggi le donne sembrano sì essersi riappropriate del proprio corpo, ma per farne l´esatto contrario di quel che si prevedeva: qualcuno dice che il corpo sembra diventato un´impresa da far fruttare. Se l´aspettava che andasse a finire così?
«E´ deludente, lo so. Anche perché queste ragazze non lo fanno per il loro piacere. Ma come possiamo dar loro torto? Sembrano aver capito che è il potere e non il piacere l´obiettivo da conquistare. Potremmo scorgerci l´implicita critica a una società che non dà nessun valore all´amore».
Le donne oltre i 50 o i 60 vengono messe da parte sia nella vita privata che pubblica, sostituite da ragazze attraenti. I loro compagni sopra i 60 si alleano col Viagra. Come si può reagire?
«È vero, molte donne adulte sentono di non aver più un posto nella società. Ma tuttavia alcune sono contente di chiudere con gli uomini e di dedicarsi a se stesse».
Qual è il romanzo da scrivere oggi, un libro come Paura di volare, pensato per migliorare la qualità della vita delle donne?
«Sto cercando di scriverlo. La protagonista vuole tornare a essere giovane, ma scopre che è impossibile».
Erica Jong ha ragione quando parla delle femministe radicali e di Sarah Palin. Non ho capito la storia della “società che non da’ valore all’amore”, ora susciterò delle reazioni negative ma penso che l’amore sia sopravvalutato e caricato di aspettative eccessive, credo che i rapporti tra uomini e donne debbano e possano ripartire dall’amicizia più che dall’amore.
Poi c’è sempre questa illusione che le donne debbano “intaccare la struttura del potere” anche qua le donne possono intaccarla se vogliono esattamente come possono farlo gli uomini se vogliono, se invece entrambi preferiscono adagiarvisi…io sono molto pessimista, nutro seri dubbi che, oggi come oggi, esista una categoria sociale o sessule in grado di svolgere una funzione di emancipazione o di “intaccare il potere”: non gli operai (e le operaie) nè le donne nè i gay nè gli immigrati (e le immigrate)..forse tutti loro insieme…chi lo sa?
Comunque a proposito di alleanze tra uomini e donne: nel suo Quaderno Josè Saramago (uno scrittore che personalmente adoro) sognava che fossero, una volta tanto, gli uomini e solo loro a manifestare contro la violenza sulle donne, un corteo tutto maschile con le donne alle finestre che li lanciano fiori.
Saramago era un genio.
A me Erica Jong piace, in ogni caso ha sempre parlato fuori dai denti, con sincerità non comune e senza pregiudizi ideologici – come dimostra anche in questa intervista.
La costatazione di Erika Jong sul corpo femminile è rivolta al fatto che viene usato come mezzo per raggiungere il potere; uno svendersi, sminuirsi per ottenere qualcosa. Non è un fattore solo attuale, c’è sempre stato, solo che adesso è accentuato. Si fa di tutto per il potere e l’apparire.
Ma lo svendersi non è solo femminile, ora è tutto così, in qualsiasi ambito. La società non solo non dà alcun valore all’amore, ma a qualsiasi altra cosa: amicizia, rispetto, dignità. Tutto viene sacrificato per produttività e guadagno: se le persone sono utili per questi fini bene, altrimenti non si esita a metterle da parte.
“Tutto viene sacrificato per produttività e guadagno: se le persone sono utili per questi fini bene, altrimenti non si esita a metterle da parte.” M.T.
Già questo è un motivo per cui una lavoratrice viene cacciata o spinta a dimettersi se diventa madre anche se potrebbe essere ancora utile e produttiva. E poi se te ne devi andare perchè sei incinta come la intacchi la struttura del potere anche volendo?
Anche questa sarebbe una battaglia che uomini e donne dovrebbero fare insieme.
Concordo con Paolo: le battaglie sono da fare insieme. Non come uomini e donne, ma come individui: niente divisioni, ma unione.
Nirenstein: “…eppure oggi le donne sembrano sì essersi riappropriate del proprio corpo, ma per farne l´esatto contrario di quel che si prevedeva: qualcuno dice che il corpo sembra diventato un´impresa da far fruttare….”
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Jong: “Potremmo scorgerci l´implicita critica a una società che non dà nessun valore all´amore.”
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Con un po’ di fantasia, sì.
Erica Jong è una donna intelligentissima. E’ stata considerata un fenomeno di costume (anche da molte donne) per quello che spiega lei nell’intervista: usa il rossetto, ha avuto molti mariti e molti amanti e non ha mai rinunciato alla sua femminilità.
Ricordo un pezzo pubblicato sul Corriere in cui, dialogando con sua figlia Molly della pillola anticoncezionale (ricorrevano i 50 anni della sua commercializzazione), sosteneva questa tesi che condivido pienamente: “Una vecchia femminista saggia diceva che se gli uomini potessero avere bambini, l’aborto sarebbe sacro. Soltanto le donne potrebbero accettare una forma anticoncezionale che provoca in loro notevoli mutamenti fisici semplicemente per far piacere agli uomini, molti dei quali detestano l’uso del preservativo. Visto che rimangono incinte, le donne dovrebbero essere più determinanti nella scelta della forma anticoncezionale”. Quanto è vero.
L’articolo completo è qui: http://archiviostorico.corriere.it/2000/gennaio/14/Noi_madre_figlia_alla_pillola_co_0_0001144322.shtml
@diana: avevamo letto l’articolo non solo qui, ma proprio comprando il quotidiano. Non so se poi avrai voglia di virgolettarlo tutto. Anche no.
Non capisco perché piace agli ometti del blog questa idea di unione uomini e donne, quando, a mio avviso, il fatto che le donne di potere lo scalino sanguinariamente, fregandosene del femminismo in quanto tale, come la citata Palin che non ha nessun interesse per il welfare, per la maternità, per l’istruzione pubblica, renda questa famigerata unione quantomeno una “farsa” (una sorta di mostro sorridente, che esula dal concetto di gender). A parte l’America, pensiamo ai fatti di casa nostra e senza farci prendere dal magone dovremmo trovare soluzioni attraversate dalla leggerezza “pesante” della Jong,
paolo 1984: non puoi scrivere seriamente: “non gli operai (e le operaie) nè le donne nè i gay nè gli immigrati (e le immigrate)”,
Gli operai e le operaie hanno il loro status sulla carta d’identità, ma il guazzabuglio no, diamine. Ovvero essere gay o donna o immigrato non è una professione (perché, perché tanto pressapochismo!!). Se anche condivido una parte del tuo commento, non ammetto che tu possa essere più confuso di me (hai 26 anni giusto? O quel 1984 ha un altro significato?).
E. Jong: “Sembrano aver capito che è il potere e non il piacere l´obiettivo da conquistare.”
C’è una parolina là in mezzo -potere- che andrebbe in qualche modo contestualizzata quando non sconfessata per l’uso strumentale che tutti se ne fa. Quando me la tirano in ballo a me viene in mente l’unico potere reale che l’individuo ha: se serve a qualcosa -ammesso e non concesso, direbbe il principe- è nell’ambito personale e se può servire a cambiare qualcuno, sempre di se stessi si tratta; diversamente andrebbe chiamata COERCIZIONE (morbida, a due piani, dura, con lapislazzzuli… sempre di coercizione si tratta…).
Ma so benisimo che l’operaio è una professione e tutto il resto no. Ho parlato di categorie sociali e sessuali (che hanno rivendicato o stanno rivendicando protagonismo nella società) ammesso che ragionare per categorie abbia ancora senso. Sì ho 26 anni e confusi penso che siamo un po’ tutti.
Sul post di Manela e l’articolo da lei postato: ok giustissimo ricercare nuovi metodi anticoncezionali più sicuri e con meno effetti collaterali, ma a parte il fatto che mi risulta che le pillole attualmente in commercio non siano così dannose come potevano essere quelle di quarant’anni fa (ma magari sbaglio), denigrare la pillola che ha rappresentato, con tutti gli effetti collaterali che può avere (e che hanno tutti i farmaci), comunque un segno di libertà ed emancipazione mi sembra controproducente, così come il discorso dell’articolo che saremmo ancora all’Alto Medioevo, è giusto continuare la lotta (illudersi di aver vinto è stato l’errore) ma, suvvia!, in Occidente quando ad emancipazione femminile non siamo proprio all’anno zero (parola di Ida Dominijanni).
Certamente ci sono tanti problemi specie in Italia vedi la disoccupazione che colpisce maggiormente i giovani e le donne in particolare se madri.
E poi scusate, sempre sull’articolo del Corriere, giustissimo richiedere una maggiore presenza femminile in campo medico e scientifico, ma ‘sta storia che solo le scienziate donne possono occuparsi di questioni inerenti il corpo e la salute femminile è una “bullshit” separatista, perchè una donna medico non potrebbe occuparsi di urologia, ad esempio? Del resto i ginecologi uomini ci sono e npon credo sia un problema (può essere un problema se sono obiettori di coscienza, ma gli obiettori possono essere d’ambo i sessi)
A scanso di equivoci, penso che gli uomini il preservativo dovrebbero infilarselo. Ma non è un motivo per denigrare la pillola.
Quello che Erica Jong intendeva è che la rivoluzione permessa dalla pillola è stata pagata con il nostro corpo (fidati: è comunque un bombardamento ormonale). Ed è stata una “libertà” fittizia (libertà dalla paura di restare incinte e dalla maternità) perché non ha comportato alcuna assunzione di responsabilità da parte degli uomini: loro – inutile negarlo – ne hanno beneficiato e basta.
In generale, io sono convinta di una cosa: che uno degli errori del femminismo è stato proprio quello di credere che la vera libertà fosse quella di non essere mamme. Oggi stiamo capendo, ma ancora a fatica, che la libertà è quella di essere ciò che vogliamo (mamme, non mamme, lavoratrici, casalinghe e chi più ne ha più ne metta) senza dover impazzire, senza dover pagare prezzo doppio o triplo ogni volta per ottenere lo stesso risultato degli uomini, senza dover continuamente rinunciare a qualcosa.
Quanto alla medicalizzazione del corpo femminile, il discorso sarebbe lunghissimo. Nessuno, neanche la Jong, ha però detto che di donne dovrebbero occuparsi soltanto donne. Però spessissimo arriviamo al paradosso per cui si pontifica e si legifera sul corpo delle donne in maniera del tutto ideologica. E la scienza e la ricerca sono territorio maschile: basta che tu scorra l’elenco dei premi Nobel assegnati alle donne, il numero di firmatari delle pubblicazioni scientifiche, gli organici delle facoltà scientifiche negli atenei. Un difetto di “sguardo” sicuramente c’è.
Manuela, io non discuto quello che dici, ho ribadito che noi uomini dobbiamo metterci il goldone (anche perchè solo quello protegge dalle malattie a trasmissione sessuale), e sono favorevole a pillole anticoncezionali con sempre meno effetti collaterali e controindicazioni, ma tutti i farmaci li hanno (il foglietto illustrativo esiste per questo) eppoi insomma mi vuoi negare che fare sesso senza restare incinte sia una conquista? Ma certo che lo è, mica tutte vogliono un bambino! Per fortuna, aggiungo.
Inutile dire che sono d’accordo pure col diritto di essere mamme, non mamme, lavoratrici e madri, lavoratrici e non madri. Quanto al “diritto” di essere casalinghe..guarda, ognuno faccia quel che crede, ma a parere mio costruirsi una propria vita e una indipendenza economica fuori dalle mura domestiche è davvero fondamentale per un uomo e forse ancor più per una donna visto che per secoli non ha quasi potuto farlo.
Davvero, si è combattuto tanto per far sì che una donna non fosse rinchiusa nel mito dell’ “angelo del focolare” e poi se state tutte in casa a spignattare (col dovuto rispetto) lo sguardo femminile sulla scienza medica e la ricerca che fine fa?
Comunque Manuela, dipende anche da “quali” donne legiferano..perchè Paola Binetti, Eugenia Roccella, Olimpia Tarzia, Dorina Bianchi son tutte donne (e binetti mi pare anche sia medico) però..brrr!!!
Preciso ancora che non ho nulla contro le casalinghe, ma non lo so, può darsi che io sia un uomo raro, ma una che come massima ambizione ha quella di passare la vita a servire me e allevare marmocchi non la vorrrei mai.
E poi Manuela il Nobel deve o dovrebbe andare a chi se lo merita (e non sempre è così pensa al Nobel per la Pace a Kissinger!) senza badare se ha il pene o la vagina.
Comunque se ti può consolare l’anno scorso il Nobel per l’economia è andato per la prima volta ad una donna, e Ada Yonath ha vinto il Nobel per la Chimica. Secondo me se le donne italiane vogliono farsi valere nella scienza non hanno che da studiare….ed emigrare all’estero come del resto fanno anche gli uomini.
Quoto Paolo per il discorso dei Nobel. Oltretutto non si può usare il Nobel come riferimento per decidere se la scienza è territorio maschile o meno (perchè bisognerebbe fare poi il rapporto con il numero assoluto di PI per genere, e le donne si difendono bene, basta dare un’occhiata a quante donne sono HHMI). Il problema è a monte, cioè alle donne che sono PhD o PostDoc, e questo è dovuto almeno a due fattori: le borse di studio o fellowship non contemplano la maternità (praticamente ti congelano lo stipendio fino a quando non torni in laboratorio), e poi la scienza è una giungla, in pochi mesi gli scenari cambiano completamente, e quindi spesso i capi laboratorio non sono molto propensi ad assumere donne che potrebbero lasciare un progetto per mesi (non sto dicendo se sia giusto o meno, solo così vanno le cose, almeno per quello che ho visto io in Svizzera, UK e USA).
“Quello che Erica Jong intendeva è che la rivoluzione permessa dalla pillola è stata pagata con il nostro corpo (fidati: è comunque un bombardamento ormonale).” Manuela
Anche le tecniche di fecondazione assistita, che io sappia, comportano bombardamenti ormonali e per una donna sono sicuramente più invasive di quanto può esserlo una pillola, eppure non negherai che sono una conquista importante e credo non lo neghi neppure Erica Jong.
Paolo 1984: Qua e là, nonostante giovani ragionevolezze, scrivi cose che fanno accapponare la pelle. Fossi una casalinga, non mi basterebbero le tue precisazioni. Altro che bombardamenti ormonali, ti insegnerei l’arte del mattarello per una buona pasta fatta in casa. In ogni caso sembri pronto per un tuo personale blog. Pensaci. Saluti.
Rivendicare il diritto a essere casalinghe è una sciocchezza. Non è un lavoro. Lo diventa solo se si trasforma in un mestiere o in una serie di mestieri. Questa storia che qualcuno debba essere pagato perché si occupa di se stesso o della sua casa è davvero stravagante. La maternità è altra partita ma senza indipendenza economica non esiste né parità né alleanza con l’altro. Se puoi nella vita si decide di farsi mantenere dal partner.. è una scelta personale – legittima – ma non credo possa essere messa sul conto della società.
Credo che la questione per così dire delle “casalinghe” meriterebbe di essere affrontata in termini più profondi. Non avendo le competenze per farlo di persona, mi affido alle parole di una docente di economia politica, Antonella Picchio, tratte da una intervista all’Università delle Donne. Cito dall’intervista:
“Diversi per salario (a parità di mansione le donne guadagnano di meno), diversi per aspettative di carriera. Ma diversi anche per un altro motivo: il lavoro femminile non è solo lavoro salariato. C’è una massa di attività sociale non retribuita che per la maggior parte è svolta dalle donne.
Ma è un lavoro invisibile, generalmente disprezzato, svalutato, relegato ai margini della dimensione pubblica e sociale, messo in carico riduttivamente alla sfera del privato, indegno di considerazione teorica.
Parliamo del lavoro domestico che si somma al lavoro retribuito e che è diventato essenziale nella riproduzione della società e della qualità di vita di ciascuno di noi.
Insiste molto su questo punto Antonella Picchio, docente di economia politica all’università di Modena da una prospettiva di genere. Ce l’ha parecchio anche con la sinistra che «non ha mai capito l’importanza sociale del lavoro non retribuito e ha distolto lo sguardo da tutto ciò che non è lavoro salariato». Dovrebbe imparare dal femminismo a vedere come sia strutturale in questa economia il conflitto tra chi produce per il profitto e chi produce per la qualità della vita. «Le femministe lo hanno scoperto a partire dal proprio corpo. Uomini e donne hanno due diversi modi di intendere il rapporto tra dimensione sociale e dimensione privata, tra sfera pubblica e sfera intima».”
Dice Picchio:
“Qui non capiamo che le relazioni di vita tra uomini e donne saranno massacrate. Aumenterà la violenza sulle donne. Non basterà difendere qualche posto di lavoro. Smantelleranno il welfare, le situazioni di vita saranno tesissime, le condizioni in casa diventeranno pessime.
Chi assorbirà tutta questa tensione? L’Istat lo dice da tempo che la situazione è insostenibile.
Indagini sull’uso del tempo nelle società industrializzate dimostrano che il lavoro non pagato cresce. Ma siccome è lavoro domestico allora pensiamo che sia una banalità. Diventa un po’ meno banale solo se parliamo delle lavoratrici salariate.
… I differenziali di genere crescono al crescere del livello di studio. La povertà delle donne anziane è marcata anche a Modena perché alla fine si cumulano tutti gli effetti degli svantaggi relativi di una vita intera.
…Svelare le vite come terreno di conflitto politico e non solo di conflitti personali diventa sempre più essenziale con la crisi epocale di riproduzione sociale che si è appena aperta a livello globale. Le vite reali, nella loro complessità e differenze, sono l’unico contrap¬peso politicamente possibile all’ingordigia cieca e insipiente del profitto e della rendita finanziaria che l’hanno provocata.
Il lavoro di cura è destinato a crescere. Le giovani generazioni, ad esempio, avranno meno fratelli e avranno genitori più anziani con pensioni da fame. Chi se ne prenderà cura? Le donne. Questo è un altro motivo per cui le donne saranno costrette ad andare in pensione prima. Le loro pensioni saranno talmente basse che non avranno incentivi a restare. E anche se restano non hanno prospettiva di carriera.
Con le pensioni contributive si sta pianificando la povertà degli anziani, sia uomini sia donne. Avremo una generazione di anziani non solo con gli acciacchi e l’Alzheimer, ma senza neppure i soldi per pagare ciò che gli serve. Il conflitto con i figli sarà inevitabile. La tensione tra un produrre per un profitto e un produrre per il benessere e una vita sostenibile è una tensione strutturale.”
Come si vede, c’è un collegamento profondo anche con l’ultimo libro di Loredana. Mi scuso per la lunghezza della citazione, qui il testo completo dell’intervista:
http://www.universitadelledonne.it/picchio09.htm
Ribadisvo per l’ennesima volta che non ho nulla contro le casalinghe ma ribadisco che nel nostro sistema economico conta il lavoro che produce reddito, profitto e quello casalingo, pur importantissimo, non lo produce. Nemmeno imarxisti erano contrari al profitto, dicevano che di quel profitto dovevano impadronirsi lavoratori e lavoratrici.
E ribadisco che ritengo fondamentale farsi un’indipendenza economica fuori dalle mura domestiche, mi dispiace se si offende qualcuno ma io accanto ad una donna che ha come massima ambizione quella di fare la casalinga non ci starei mai.
@paolo
Scrivi: “Secondo me se le donne italiane vogliono farsi valere nella scienza non hanno che da studiare…”. Magari fosse così semplice, magari! Le donne studiano eccome, all’università raggiungono risultati migliori degli uomini, si laureano e si specializzano più velocemente ma poi scatta il blocco. Dei percorsi accademici, delle carriere, delle pubblicazioni. Ho fatto l’esempio del Nobel perché dimostra in maniera banale come, a distinguersi realmente nei vari campi dello scibile umano presi in considerazione della Fondazione di Stoccolma, finiscano per arrivare in maggioranza soltanto gli uomini. Dietro questa lampante evidenza c’è una miriade di cause, tra cui quelle che cita Andrea.
Sulle casalinghe concordo pienamente con Antonella Picchio: il lavoro di cura svolto dalle donne è praticamente invisibile. Eppure supplisce alle enormi carenze dei servizi sanitari e sociali. Non fraintendetemi: in un mondo perfetto, dove esiste una solida rete di servizi a supporto delle lavoratrici e dei lavoratori, ciascuno dovrebbe avere la famosa “stanza tutta per sé” e l’indipendenza economica assoluta. Ma in un mondo imperfetto, quale quello che abitiamo, il mancato riconoscimento del lavoro di cura e delle molteplici responsabilità che le donne si assumono tra le pareti domestiche in qualità di caregivers (per i bambini, per gli anziani, per i familiari malati) si traduce in un’ennesima pesantissima discriminazione.
@ Ilaria
Visto lo studio citato (grazie di averlo postato), non trovi sia quanto meno poco opportuna una battaglia per “il diritto a essere casalinghe”. Non sarebbe meglio battere altre vie?
@Barbara Certo che non la trovo opportuna, formulata così, soprattutto se per casalinga intendiamo una mantenuta dal partner, una che non lavora – che io trovo uno stereotipo non generoso nei confronti di tutte le donne, visto che poi sono/siamo in tante a fare anche le casalinghe, anche se non come unica occupazione. Direi che in primo luogo sarebbe importante non giudicare come privo di valore un lavoro che a tutti gli effetti è un lavoro, come mi pare Picchio, ma oltre a lei altre economiste femministe non solo italiane stiano cercando di fare. Quel lavoro ha un valore che non viene calcolato, oggi, ufficialmente, ma il cui valore reale per il PIL è stato calcolato, ed è enorme. Non è una battaglia per il diritto di essere casalinghe, è per una riorganizzazione del lavoro e della società, che magari potrebbe evitare che in futuro quel “ruolo” sia “relegato” alle donne. Potrebbe invece essere condiviso e interpretato in maniera diversa. E penso alle donne che in Italia hanno perso il lavoro, vorrebbero lavorare e nemmeno più provano a cercarlo. Penso alla nostra posizione 74 nel World Economic Forum, penso alle donne che fanno un doppio lavoro dato per scontato e a un certo punto devono smettere di lavorare, perché non ce la fanno, perché non ci sono servizi che permettano loro di lavorare. E poi penso anche con rispetto a chi ha un partner con cui sceglie di condividere in un certo modo la parte produttiva e la parte riproduttiva del lavoro.
Insomma, credo che alla fine la definirei piuttosto – paradossalmente, forse – una battaglia per il diritto di non essere casalinghe. Il lavoro di cura è così importante che io credo meriti di essere più condiviso. E più rispettato.
@Ilaria.
Ho il massimo rispetto per il lavoro di cura di cui tutte e se non tutti anche molti uomini si fanno carico. Ma casalinga non è la formula politicamente scorretta di lavoro di cura. Si porta proprio dietro l’idea di essere sostenuta economicamente da un marito. E su questo blog ho letto l’intervento di una persona che rivendica per le donne il diritto a essere casalinghe. A parte l’ovvio per cui ciascuna nel suo privato rivendica o sceglie come può o come crede, mi sento in diritto di dissentire. E credo che prima si scioglie questo nodo meglio è. A parte che non avrò alcuna pensione – io non voglio andare in pensione prima come forma di compensazione per dovermi occupare dei miei “vecchi genitori” o per essermi occupata dei miei figli. In quanto allo studio ho la netta sensazione che ci sia del marxismo digerito male. E un certo pensiero della differenza che a me urtica il sistema nervoso. Non si calcola mai che se il partner che ti paga le bollette va al creatore con la pensione di reversibilità non ci vivi. E questo non afferisce al genere ma all’idiozia di aver lasciato un lavoro, se lo avevi. Opinioni strettamente personali.
La “persona” ha un nome e si è firmata. Io ho rivendicato, e lo ribadisco, il diritto a essere quel che si vuole senza impazzire per “tenere insieme tutto”. Conosco fior di donne, talentuose e competenti, che si sentono più soddisfatte e felici a casa piuttosto che ad accumulare frustrazioni dietro una scrivania, piegandosi a desideri e metodi maschili. Anch’io, come te, preferirei che i saperi di queste donne fossero valorizzati e “distribuiti” alla collettività e anch’io ho scelto di lavorare e mi batto ogni giorno perché le cose cambino. Ma non mi ergo a paladina del “lavoro a tutti i costi”, considerando come è strutturato realmente il mondo del lavoro oggi. Non posso difendere il lavoro come valore a prescindere, in una società che pretende dalle donne l’impiego fuori casa (senza valorizzarlo, ripeto) e quello dentro casa (senza neppure riconoscerlo).
Quanto ai “molti uomini” che si fanno carico del lavoro di cura o del lavoro domestico, io francamente non ne vedo. E tutte le statistiche concordano nel fatto che almeno per il 65% è svolto da donne. In Italia ancora più che nel resto d’Europa.
@barbara: come si fa a dire che la casalinghitudine (oh Clara Sereni che devi leggere!!) non è un lavoro e chi lo è (donna di casa?) sta al di fuori della società? Si aggiusta il tiro con la storia delle opinioni strettamente personali (si pretendeva l’oggettività da diritto del lavoro? Roba da matti). Fin qui, boh, l’autunno. Ma nel commento precedente definita come mantenuta dal marito, compagno, convivente? Io tante sciocchezze tutte insieme non le avevo mai lette. Ma cara B. che scrivi, che dici? Chiedi scusa alle donne prima che alle casalinghe. Opinione strettamente personale.
paolo 1984: mettiamo in giro la voce che non vuoi una moglie casalinga, come fosse una malattia. Stai tranquillo. Ma a una sveglia glielo racconti tu che nel nostro sistema economico conta il lavoro che produce reddito e che lo dicevano pure i marxisti. Cosa è questa mostruosità un tantino pure classista. Sei giovane, studia, non ti baloccare nei blog.
@ Manuela
scusami, semplicemente non ricordavo il tuo nome e non volevo citarne uno a caso. Non avevo intenzioni offensive. Le nostre posizioni sono inconciliabili: non si può rivendicare tutto e il suo contrario. Le statistiche ti danno ragione, mi sono limitata a ricordare che alcuni uomini si fanno carico del lavoro di cura. Troppo pochi, è vero. Ma molti più che in passato. La butto lì per pura provocazione – non diretta a te ma in genere – ma, a mio avviso, il primo segnale di progresso si avrà quando il Ministero delle pari opportunità farà un bell’opuscolo o un convegno diretto agli uomini sulla necessità di conciliare famiglia e lavoro.
@Barbara
Scusami tu se avevo frainteso il tono. Sarebbe una bellissima idea, quella di parlare di più agli uomini. Ci pensavo a proposito del congedo parentale: la legge prevede anche per i papà la possibilità di stare a casa alcuni mesi dopo il parto percependo il 30% della retribuzione, ma ne approfitta appena il 2 per cento di chi ne avrebbe diritto. Per il resto è quasi soltanto la madre che resta a casa anche 10 mesi dopo la nascita del figlio (con le conseguenze che puoi immaginare sul piano della carriera). Perché? Non sarebbe meglio condividere anche questa responsabilità? Non farebbe bene anche ai papà capire cosa si prova a stare fuori 3-4 mesi dal posto di lavoro?
E’ soltanto un altro esempio. Per dire che condivido la provocazione.
Clara Sereni l’ho letta, a suo tempo. Ed era un bel libro. Non credo di dovere delle scuse a nessuno e scrivere “strettamente personale” oppure ” nella mia opinione” è un modo per comunicare che non si crede di avere la verità in tasca. Non ho mai detto né pensato che le donne di casa – se così ti aggrada – sono fuori dalla società. Solo che non producendo reddito dipendono della più pericolosa delle dipendenze da un altra persona. Una dipendenza che può mettere a rischio la loro eventuali scelte future e persino la loro vita. Ripeto: le donne con pensione di reversibilità – le vedove – sono spesso più a rischio di marginalità sociale e di povertà.
@ Manuela
figurati… sono cose che capitano. Tutti i miei amici maschi che potevano – nel senso che avevano un lavoro dipendente – hanno preso il congedo parentale. Non li voglio spacciare per uno spaccato dell’italiano medio ma esistono anche loro. E le loro compagne sono tornate a lavorare. Da quanto mi risulta però – e fammi sapere se hai notizie diverse, ché le mie sono datate – la maternità è pagata meglio. Un buon passo avanti sarebbe parificare i congedi di maternità e paternità dal punto di vista economico e indurre – come accade nei paesi del nord Europa – le aziende a promuovere gli uomini che ne usufruiscono.
Facciamo conciliare un po’ loro… dico io…
Cara barbara, niente di personale, ma hai ragione: le vedove sono a rischio di marginalità, ma le vecchie quasi tutte (non scriviamo nel blog di chi ha scritto “Non è un paese per vecchie”?), a parte quelle che vanno alle presentazione dei libri vestite tutte in cachemire non ascoltando niente (mi è capitato di recente un gruppo di logorroiche pronte a scappare da Babington, sala da the esclusiva a Roma). Ma mi sono arrabbiato alla parola “mantenute”. Proprio brutta. Anche per quelle che lasciano i piatti sporchi, ma rivendicano il voler essere casalinghe. Le parole sono importanti o no? Saluti.
Allora sei molto fortunata: magari fossero tutti come i tuoi amici!
ll congedo parentale (ovvero l’astensione facoltativa dal lavoro dopo i cinque mesi di maternità obbligatoria) è pagato per tutti al 30% della retribuzione. Una miseria. Qualcuno sostiene che gli uomini non ne approfittano anche perché in genere è il loro lo stipendio “forte” della famiglia e non conviene rinunciarci. Ma io ho visto anche uomini con stipendi di gran lunga inferiori a quelli delle compagne non farci neppure un pensierino… come se fosse un’onta.
Caro Vincent,
le parole sono importanti. Mantenute non è un giudizio di valore. E’ uno stato di fatto. Chiunque dipenda economicamente da un altro essere umano si sta facendo mantenere. Anche la mia famiglia ha mantenuto me. Quindi anche io sono stata una mantenuta. Come puoi pensare che ci sia un giudizio etico?
Sono totalmente d’accordo con tutto ciò che ha scritto Barbara compreso la diffidenza verso certo “femminismo della differenza”, ribadisco per l’ennesima volta che non considero fare la casalinga una malattia ho solo espresso anch’io un parere personale, e sono d’accordo che le faccende di casa e il lavoro di cura vadano il più posibile condivisi, sopratutto se nessuno dei due svolge lavori particolarmente usuranti.
Ho l’impressione che vi si sia difficoltà a considerare che per lo svolgimento del lavoro di cura siano necessarie delle competenze e che questa difficoltà sia una delle cause dello squilibrio che ancora tanto pesa nel nostro paese.
Intendo dire che l’invisibilità di cui si parla, sia in parte da attribuire alla scarsa conoscenza che il mondo produttivo ha del lavoro riproduttivo. E che le donne siano ancora propense ad associare alla dimensione della naturalità il lavoro che svolgono in casa anche quando ne svolgono un altro retribuito, pur conoscendo molto bene il primo.
Non vi è sufficiente nominazione delle competenze che si esprimono e si acquisiscono avendo cura di un ambiente domestico che comprende, oltre agli spazi e gli oggetti, persone di diversa età e condizioni, relazioni tra spazio e persone, tra spazio privato e spazio pubblico. Non vi è consapevolezza sufficiente del fatto che questa complessa attività è il frutto di una enorme serie di interrelazioni umane e di conoscenze. In qualsiasi altra attività lavorativa si è, invece, tutti consapevoli che la performance è dovuta alla formazione di chi lavora e alle richieste del contesto lavorativo, le quali incidono sulla formazione medesima mediante l’esperienza.
Penso, quindi, che il lavoro di cura necessiti di effettiva consapevolezza da parte di entrambi i generi: le donne che sanno di cosa è fatto dovrebbero cominciare a nominarlo e gli uomini a conoscerlo per ciò che comporta in termini di impegno fisico, mentale, emotivo e per la mobilitazione della grande quantità di saperi che esso richiede.
Concordo, inoltre, con le economiste che osservano la riduttività del termine” riproduttivo”. L’uso corrente di questa parola fa sì che invece di attribuirle un valore , le viene assegnata una mancanza: non produce reddito, si è detto anche qui ed è inesatto perché senza quel tipo di attività, tutte le altre non potrebbero essere svolte poiché, in sua assenza, verrebbe a cadere l’intera organizzazione sociale. Considero quindi obsoleto non considerare produttiva un’attività che tiene in piedi il mondo così com’è strutturato e il fatto che non sia riconosciuta rappresenta una imponente rimozione della realtà. Credo che tale rimozione sia determinata dal fatto che a svolgere la gran parte del lavoro di cura sia ancora un soggetto considerato socialmente debole, le donne.
Credo anche che il dibattito sul tema si stia aprendo in ragione delle nuove possibilità che si stanno palesando per gli uomini di occuparsi dei figli e della famiglia non soltanto dal punto di vista economico. C’è da augurarsi che da questo dibattito emergano nuove prospettive per donne e uomini.
Con tutto il rispetto possibile, Donatella, a me questo pare un trappolone. Nessuno nega che sia acquisiscano competenze nel lavoro di cura ma questo non ne fa una professione a meno che non si studi. Un buon genitore non è uno psicologo; una persona abituata ad amministrare la casa non è necessariamente versato per amministrare qualcosa di più grande della propria abitazione. L’interazione con gli spazi non ci trasforma in architetti d’interni. Lavare e stirare sono un’afflizione – almeno per me – e qualunque stiratrice professionista lo fa meglio. Teorizzare che sul lavoro di cura si regga la società mi pare francamente esagerato. E poi che ce ne facciamo? Diamo uno stipendio a chi resta a casa – maschio o femmina che sia? Non sarebbe meglio un sussidio di disoccupazione per chi non ha lavoro? O un nuovo modello di walfare?
non penso che il lavoro domestico debba ( o possa, realisticamente) essere retribuito. Se mai condiviso. Per una donna è rischioso scegliere di non lavorare, perché immediatamente diventa dipendente da chi paga le bollette. Gli amori finiscono e la vita è piena di sorprese. E ricominciare – poniamo – a 40 o a 50 anni non è semplice per nessuno, neanche per un uomo, figuriamoci per una donna. Lo stesso vale per la pensione di reversibilità. Non basta per vivere, meglio saperlo e regolarsi per tempo. Concordo con Barbara.
Anch’io concordo con barbara e con diana e vorrei ricordare che c’è un alto tasso di disoccupazione proprio tra i giovani e tra le donne, la lotta è per far uscire la gente da casa non per tenercela.
Ti risponderò con calma, Barbara, ma intanto due cose.
Non ho parlato di professione, ho solo detto che l’esperienza aggiunge formazione.
Sul fatto che la società si regga sul lavoro che qualcuno fa senza essere retribuito ti dico (e mi stupisce che tu non lo sappia) che non sono la prima ad affermarlo e ne sono convinta, credo che neppure vada dimostrato, basta guardarsi intorno e vedere che se non ci fosse qualcuno chi provvede a coloro che si recano fuori di casa per lavorare in modo retribuito, le cose non andrebbero così come vanno e buona parte del reddito se ne andrebbe a cuoche o ristoranti, lavanderie, colf etc.
Chi lavora fuori casa tutto il giorno ha poco tempo da destinare a queste attività e, ti sarai accorta, spero, che le donne lo fanno anche se lavorano fuori di casa. Per questo sono state contabilizzate le ore lavorative delle donne che superano di gran lunga quelle degli uomini. Cosa che questo nostro governo non ha preso in considerazione quando ha emanato la norma che prolunga l’età pensionabile femminile. Sono sinceramente stupita dalle tue osservazioni, Barbara.
@ Daniela. Io abito sola e lavoro. Quindi tutto il lavoro – dentro e fuori casa – è sulle mie spalle. Spolvero, cucino – visto che non ci si può nutrire di alimenti precotti – lavo, riordino. Mi occupo di mia madre che ha una malattia abbastanza invalidante. Come vedi sono perfettamente al corrente della problematica. Continuo a pensarla diversamente da te. Solo che, diversamente da te, credo che il mio punto di vista sia opinabile. Non ho la verità in tasca. Non ho ricette. E non pretendo di parlare a nome di tutte le donne. Solo a nome mio. Credo che il mondo si regga sul lavoro retribuito e male fanno le donne a lasciarlo per dedicarsi in esclusiva ai lavori di cura. Temo sia un errore che si paghi con la vita.
ops… @ Donatella. Coi nomi faccio sempre confusione. Scusate.
mi ri-associo a barbara. Come lei vivo sola (con cane) e faccio due lavori (entrambi precari), più quello in casa. Anch’io seguo una madre molto anziana e malata, e per più di vent’anni ho seguito (giornalmente) anche i miei quattro nipoti, per aiutare mia sorella. Lavoro fuori e dentro casa anch’io, e mi riconosco in quello ceh barbara dice e racconta.
“Chi lavora fuori casa tutto il giorno ha poco tempo da destinare a queste attività e, ti sarai accorta, spero, che le donne lo fanno anche se lavorano fuori di casa. ” donatella
Proprio per questo i lavori domestici andrebbero condivisi.
E poi a Manuela e Andrea che indicano nelle mancato riconoscimento del gongedo per maternità nelle borse di studio, ecco sicuramente è ingiusto è una persona ha diritto di essere scienziato/a senza rinunciare alla genitorialità, però io non vorrei essere frainteso ma io vedo la carriera scientifica un po’ come una missione laica, chi la intraprende secondo me dovrebbe mettere (almeno momentaneamente) da parte eventuali desideri di figli e famiglia (che non tutti hanno, comunque) o comunque stabilire delle priorità, ovviamente l’ingiustizia è che l’eventuale sacrificio è richiesto quasi solo alle donne e dovrebbero chiederlo anche agli uomini.
Ho sempre avuto molta ammirazione per Rita Levi Montalcini e Margherita Hack anche perchè non si sono mai sposate (mi pare che Hack conviva) e sopratutto non hanno avuto figli dedicando tutta la loro vita alla cultura, al sapere, alla scienza. Una consacrazione laica (che per fortuna non implica la rinuncia forzata al sesso) che ho sempre trovato più affascinante e più bella di quella religiosa (che invece implica la rinuncia al sesso specie in campo cattolico).
ho messo una è dove invece avrei dovuto usare la congiunzione. Spero che il post sia chiaro lo stesso.
Barbara, potresti essere meno aggressiva?
Donatella se ti sono parsa aggressiva mi scuso. Giuro che l’aggressività mi era parsa tutta tua.
@barbara: non troverai mai la parola “mantenuta” come termine per chi svolge lavori domestici, non per altro perché ha in sé un contenuto ambiguo e moralistico. I tuoi ti hanno mantenuto? Ma insomma il diritto di famiglia del 1975 non ha insegnato niente a nessuno. Vivi sola, lavori, ti prendi cura di tua madre? Ti fa onore. Ma sbagli termine, resta nell’opinabile, non dire che è un dato di fatto. Lo è per e per tanti altri. Punto.
@diana: per quanto mi riguarda non parlo di casalinghe che vogliono un compenso retributivo, soprattutto ora, anzi con questa maledetta crisi bisognerebbe imparare a stirare con l’appretto tutti, uomini e donne. Vedo molto tempo libero e cassa integrazione. Memorabile una tua chiosa: “Gli amori finiscono e la vita è piena di sorprese”. Non solo statistiche, ma anche aforismi. Sei piena di sorprese.
Ti sbagli Barbara, ho detto che ero stupita di come hai commentato il mio post (trappolone, esagerazioni…) e tu mi hai risposto dicendo che sono una che crede di avere la verità in tasca.
Ad ogni modo il nostro “scambio” testimonia che pur vivendo una situazione personale pressoché identica (vivo da sola, lavoro e mi occupo di mia madre e di qualche altra persona a me cara in gravi difficoltà), la percezione che si può avere della realtà può essere totalmente diversa. Da quella nascono le opinioni. E a proposito di queste, aggiungo un altro elemento di diversità fra me e te. Come Manuela ritengo che lavorare in casa può essere una gran bella scelta, se di scelta si tratta, ovviamente. Anche lavorare ed essere retribuite può essere una bella opportunità e fornire garanzie e diritti, ma alle donne, la gran parte delle garanzie, dei diritti e del riconoscimento non vengono quasi mai accordati se non a prezzi che personalmente non sono disposta a pagare. Inoltre penso che in presenza di un accordo chiaro e di lealtà con un compagno o una compagna, non ci sia proprio nessuno scandalo a lavorare in casa senza per questo arrivare a definirsi “mantenute”. Credo serpeggi ancora un equivoco, ovvero che stabilire che in una coppia uno dei due lavori in casa, determini di necessità un “mantenimento”, mentre non è così se si arriva a comprendere che quello che si fa in casa è un vero e proprio lavoro e non una condanna della natura. Per questo, Barbara, parlavo di competenze e lo confermo.