LA VIGILIA DI UN ABOMINIO

Giuseppe Genna interviene su Carmilla a proposito della legge sull’aborto:
Dunque, nell’avanguardia della decadenza italiana, nella culla della sua dissoluzione, cioè nella Milano che guida il mostro lombardo, ci si prepara a “nuovi limiti all’aborto terapeutico, vietato dopo la 21esima settimana (o, tutt’al più, dalla 22esima e 3 giorni). Non solo: l’interruzione di gravidanza per motivi di salute della donna vincolata al via libera di un’équipe di specialisti (tra cui, eventualmente, anche uno psichiatra). E il divieto dell’aborto selettivo in una gravidanza gemellare in assenza di reali problemi fisici o psichici della paziente” (così il Corsera di oggi).
Una Regione che è stata occupata nei ruoli chiave da Comunione e Liberazione, con particolare metodica nei settori della sanità e dell’educazione, annuncia cosa sta per scatenarsi nel Paese: la revisione dall’alto della legge 194, una conquista di civiltà che, secondo il cardinale Ruini, siccome data trent’anni, dovrebbe “essere rivista”. Rivista: si tratta infatti del più pernicioso revisionismo. Poiché il referendum sulla Repubblica data cinquantun anni, a maggior ragione andrebbe rivisto. Si torni alla monarchia…
C’è poco da ridere, in realtà: è la vigilia di un abominio, che si sta preparando con scientezza da anni e che si realizza nella fase di più grave crisi civile, sociale, politica e di ideali di tutta la storia democratica italiana. Sia chiaro: a confronto di quanto sta accadendo in questi anni, qualunque scossa pregressa alle fondamenta del Sistema italiano ha l’intensità di una carezza rispetto a quella di un sisma del decimo grado.
Le libertà collettive stanno subendo un processo di revisione a partire dal Parlamento (o dalle giunte regionali che, non essendo autonome, si comportano come se lo fossero), nello spregio della Costituzione e delle conquiste popolari che hanno sancito referendum decisivi e storicizzati, dai risultati acquisiti nel segno della libertà di coscienza. Ciò significa concretamente: le coscienze sono in pericolo, la vita civile è al collasso, la violenza invisibile retaggio del passato è alle porte. Hanno cominciato dall’economia, hanno travolto la pedagogia, e adesso minacciano direttamente i diritti della donna.
La legge 194 sull’interruzione di gravidanza è l’ultimo bastione dell’eventuale esistenza di una collettività orientata alla libertà e alla garanzia degli ideali democratici.
Siamo prossimi al crollo definitivo della nazione che abbiamo conosciuto e per la quale sono state condotte lotte e raggiunte conquiste di ineliminabile progresso.
Ciò che sta accadendo in questi giorni, in questi mesi, in questi anni, sancisce la prossimanza a questo drammatico punto di non ritorno. Prima di affrontare il problema della revisione della legge 194, ecco uno specchio sommario, a volo d’uccello, della situazione italiana – contesto indispensabile per comprendere cosa è accaduto e cosa sta per accadere:
– La politica è in fase paradossale: non esiste più una differenza consolidata e certa tra destra e sinistra, e il parlamentarismo sta mostrando il suo lato più debole, corrotto, interessato all’autopreservazione; al tempo stesso, non è mai esistito un desiderio tanto intenso, da parte dei giocatori parlamentari, di intrudersi nella vita vissuta del popolo italiano, mediante continui richiami a riforme radicali, che sfigurano l’identità della libera circolazione delle coscienze e dello spazio decisionale comunitario e individuale.
– Ciò è dovuto alla sciagurata decisione del medesimo popolo italiano che, non capendo assolutamente un cazzo di sistemi elettorali, votò nel ’92 sull’onda dell’emozione mediatica il “rinnovamento” elettorale proposto da Mariotto Segni col suo referendum, ingollando la pillola bipolarista della riforma uninominale, che ha condotto all’attuale situazione. E’ lì, nel 1992, che si pone lo snodo decisivo di quella che non esito a chiamare “decadenza italiana”, nonostante abbia da sempre in disprezzo le istituzioni del Paese in cui vivo e le modalità con cui esse hanno obbligato a viverci. In quella fase viene eliminata la Democrazia Cristiana, sotto la spinta delle inchieste legate a Mani Pulite (su cui bisognerà intervenire con ricerche storiche, a partire dal fatto che nell’87 inchieste equivalenti erano state insabbiate). L’eliminazione della DC lascia la Chiesa senza referente politico: maturerà, la Chiesa stessa, la decisione di intervenire direttamente nella vita del laico Stato italiano. E’ nel 1992 che il freno politico al berlusconismo trionfante, cioè il politico Craxi, viene gioiosamente fatto fuori, per l’esultanza delle sinistre, che nemmeno immaginano cosa succede di lì a poco: tolta la maschera, Berlusconi ci mette direttamente la faccia. Con danni abnormi per il vivere collettivo. E’ lo stesso problema dell’intrusione della Chiesa: senza referente politico, è essa stessa a esprimere e pressare; senza referente politico, è Berlusconi stesso a governare.
– L’Italia cade in un declino economico e in una stagnazione di mercato per i quali sono imputabili politiche di privatizzazione scellerata nei Novanta: una svendita a basso prezzo dello Stato. Penetra, tuttavia, l’idea paradossale che un Paese equivalga a un’azienda.
– Si recepiscono senza discutere le politiche comunitarie più abiette, quali quelle relative alla flessibilità e all’intensificazione del precariato, con l’innalzamento esponenziale dell’ansia collettiva. Ciò non accadde dopo la sconfitta al referendum sulla scala mobile: semplicemente perché fu Craxi, ottenuta la vittoria sul PCI, a fermarne l’applicazione, che fu invece introdotta dal governo Amato, a Craxi pencolante.
– Cresce a dismisura la spettacolarizzazione: categoria politica che contagia la sinistra, grazie a un sistema elettorale che si sostenta di quella, sia su scala nazionale sia su scala locale. La sinistra diviene riformista e tutto ciò che non va nella direzione vorace e speculativa delle “riforme” è tacciato di massimalismo, come se il massimalismo fosse un insulto.
– Con le destre al potere, non esistendo più il freno politico dato dall’equilibrio DC-PSI, mutano i costumi, vengono adottate politiche sempre più restrittive della libertà di espressione (si veda l’apparato legislativo sulla diffamazione e l’incremento di cause derivantene: si tratta, si badi, di reati di opinione). Tutto l’irrisolto nazionale, cioè almeno un decennio e mezzo, è sottoposto a un feroce revisionismo, che sfiora la sete di vendetta. Il revisionismo attacca addirittura le fondamenta dello Stato. si revisiona la storia partigiana, si revisiona il referendum sulla democrazia. Vengono occupati posti chiave e le “riforme” prendono corpo: a partire da quello che da sempre è stato il laboratorio di prova italiano, cioè la Lombardia, dove, sotto il governo ormai eterno di Roberto Formigoni, si occupano strategicamente i settori della sanità, con una riforma che fa sì che a Milano diventi quasi impossibile curarsi col sistema pubblico, e le scuole si mutino, oplà, in aziende, con crollo relativo dei livelli di educazione.
– La Chiesa lancia le sue battaglie per la famiglia, fottendosene delle famiglie: è lo stesso processo di ipocrisia che conduceva ai tempi certi privilegiati a ottenere l’annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota. In occasione della proposta di patti di convivenza che siano legalmente identici tra unioni eterosessuali e omosessuali, al Family Day organizzato da Ruini in persona sfila una teoria imbarazzante di sostenitori, politici di primo piano: gente separata, segretari di partito che convivono dopo avere divorziato, ex premier con amanti conclamate mentre consumano le seconde nozze, un ex fascista a difesa del “fondamento della società” e che da lì a pochi mesi vede nascere una bambina dall’amante televisiva e sfascia il proprio nucleo familiare.
– Sulla questione delle cellule staminali, la battaglia lanciata da Ruini è ai suoi livelli più elevati. L’Italia rimane indietro perfino quanto alla genetica, campo in cui eccellerebbe se non fosse in atto un piano di dismissione della ricerca d’avanguardia.
– Nessun controllo statale tutela i cittadini dagli indiscriminati aumenti che devastano il bilancio delle famiglie italiane dal giorno successivo all’introduzione dell’euro. I prezzi raddoppiano: e accade in Italia più che altrove. I salari non raddoppiano affatto il potere d’acquisto. Cresce un malcontento generalista, spettacolarizzato, non incanalato da alcun massimalismo politico, poiché il massimalismo e la lotta ideologica sono ormai un insulto – è questa la vittoria della spettacolarizzazione, che in termini più semplici significa non avere più voglia di pensare a un cazzo e avere solo il desiderio di ruminare cazzate, come dimostra l’incremento di interesse per casi apicali di cronaca nera, sempre più frequenti e sempre più proposti come referendum degni di una plebaglia in attesa che cali la ghigliottina in Place de Grève.
– In tale modo è compiuta la trasformazione dello zoccolo duro dell’impegno in zoccolo duro del forcaiolismo più bieco, del tutto connaturato al DNA italico, e che è un elemento di disgregazione civile in passato temperato dal sistema partitico e dalle ideologie correnti ai tempi, mentre ora è viscerale, privo di freni e favorito dal sistema politico, il quale sembrerebbe esserne la vittima sacrificale, mentre ne è l’intascatore principale in termini di esiti e di plasmabilità della pubblica opinione. Dalle denunce virulente di Travaglio all’esplosione transitoria ma assai radicata della protesta lanciata da Grillo il passo non è breve: non c’è proprio il passo.
– L’aumento di insofferenza, voluto e deliberato e realizzato in questo modo nell’arco di un decennio, colpisce gli strati deboli della società, innalza l’odio e il razzismo nei confronti della popolazione immigrata nel Paese, fa andare alle stelle la violenza invisibile nei confronti dei soggetti più fragili e a rischio: bambini e donne. L’incredibile ondata di razzismo, popolare e parlamentare e financo legislativo che è stato denunciato nell’appello lanciato con la sigla Triangolo Nero, in occasione dell’autentica caccia al rumeno, è la più recente ed eclatante manifestazione di un sentimento indotto a livello massivo e latente nel corredo genetico italiano.
– La psicofarmacologia esplode, portando l’Italia in vetta ai Paesi consumatori di psicofarmaci nel continente. Crolla qualunque paradigma di cura umanistica. l’umanismo crolla ovunque. L’impegno è azzerato. Nella scienza, nella ricerca, nelle università, nel lavoro, perfino nella stessa industria culturale: la cultura è levata di mezzo quale variabile sostanziale del vivere civile di una nazione.
– Il Paese va in guerra, ma nessuno viene avvertito che è in guerra.
– Gli enti locali investono i fondi statali stanziati in Finanziaria nelle bolle dei derivati: è vietato dalla legge, si creano casi drammatici come quello del Comune di Milano, che perde cifre improponibili, investimendo su bond e future.
– L’effetto paradosso è continuo. C’è un diffuso ritiro della delega di rappresentanza parlamentare, ma cresce l’affluenza alle urne: qui il paradosso è tutto spettacolare, poiché il bipolarismo italiano è ormai un derby calcistico, non una scelta tra programmi.
– Con l’elezione al soglio pontificio di Joseph Ratzinger, l’attacco alla laicità dello Stato raggiunge vertici inaccettabili – ma ormai non esiste alcun soggetto politico di stazza che si opponga a questa indebita intrusione. Tutto ciò mentre la Chiesa perde in Italia fedeli e vocazioni. Votata al principato della dottrina morale anziché di quella metafisica, la Chiesa diventa ciò che diventa sempre il portatore di un’istanza morale: diventa un’entità politica. Il che, sia chiaro, è sempre stato, tranne brevi periodi, per almeno milletrecento anni.
Questo, il quadro.
Questo, il Paese.
In un simile contesto non sorprende affatto che il valore del passato, delle lotte per le le libertà individuali e collettive che in quel passato furono condotte, delle vite spese a strappare conquiste che appaiono ineliminabili a qualunque buon senso – tutto ciò, dico, vada a catafascio. La smania revisionista, a cui si sono aperte le porte in questi anni, ha in mente nuove “riforme”: le “riforme” delle “riforme” più progressiste. Da anni è in pericolo la legge Basaglia. ma è chiaro da almeno un decennio che l’obbiettivo ultimo è la legge 194.
Sostenere che l’obbiettivo ultimo è la Legge 194 significa sostenere che l’obbiettivo ultimo è la libertà di scelta della donna: l’obbiettivo sono le donne. Con la riforma indebita e autonoma che il governo della Lombardia sta introducendo, assisteremo a donne che viaggeranno in nosocomi di altre regioni per interrompere la gravidanza dopo la ventiduesima settimana. Poiché si tratta di una prova in modello, pronta a estendersi a livello nazionale mediante modifiche di legge approvate parlamentarmente, i cittadini e le cittadine italiane si troveranno in questa duplice e sequenziale situazione: l’impossibilità di decidere se queste modifiche sono eque e volute da quello che dovrebbe essere il popolo italiano; quindi, si troveranno a dovere espatriare per praticare l’interruzione di gravidanza o a trovare medici conniventi, con tutti i rischi che l’ondata degli aborti clandestini provocò prima della vittoria nel referendum del 1981.
E’ questo che gli italiani vogliono?
Nei prossimi mesi, sarà la legge sull’aborto il banco di prova dell’esistenza o meno di una coscienza civile nazionale, tesa a preservare il valore e l’effettività di libertà conquistate, in uno Stato che non è confessionale ma laico. Si tratta di una battaglia che non concerne la politica, non concerne il nichilismo o il relativismo denunciati da quello scomodo ospite capitolino che è il microStato vaticano: concerne le donne. La scelta è loro e deve essere mantenuta tale. Nessuno può arrogarsi il diritto di sostituirsi alla libertà di coscienza di una donna. Libertà di coscienza che va esercitata in un momento delicatissimo a livello collettivo e a proposito di un momento delicatissimo a livello coscienziale: non conosco una donna che abbia praticato un’interruzione di gravidanza uscendone felice, contenta, euforica e gioiosamente spensierata da una simile sofferta esperienza.
Dall’81 gli aborti sono in costante calo. Le cifre e la scienza non aiutano però quando il sordo non vuole ascoltare. Non c’è discussione di bioetica che tenga. Da una parte, sono schierati i revisionisti con le loro ragioni tomistiche, con i loro articoli di fede fuori dalla storia e per nulla metafisici ma del tutto secolari, con le loro linee di principio che appartengono alla propria confessione che (a differenza di tutte le metafisiche) sostiene di essere detentrice dell’unica verità e che non sa nemmeno cos’è la vita mentre propaganda la difesa della stessa, a costo della perdita di pietà (qui svetta, su tutte le altre vicende, quella dei funerali negati a Piergiorgio Welby: una delle decisioni più vergognose della Chiesa cattolica contemporanea) e dunque della perdita di amore; dall’altra parte non c’è nessuna confessione e nessuna ideologia: ci sono le donne e c’è la loro libertà in pericolo.
E’ auspicabile che, a fronte di una battaglia tanto decisiva, le donne e gli uomini italiani recuperino un poco di dignità, di rispetto per se stessi e per il proprio futuro, e si mobilitino massicciamente per difendere i diritti acquisiti – che questa volta sono decisivi. Dei dané possiamo fare a meno – della libertà, no.

14 pensieri su “LA VIGILIA DI UN ABOMINIO

  1. Un’analisi catastrofista ma anche – e questo è il peggio – realista.
    Non ho capito bene se Genna questo lo dice, ma è chiaro che, se battaglia deve essere, sarà battaglia di una minoranza nell’indifferenza della maggioranza

  2. Condivido tutto, anche le virgole. E siccome non è la prima volta che mi capita di leggere (e apprezzare) Genna a proposito della situazione italiana, e del come si è arrivati alla deriva dei giorni nostri, non vedrei male una più accurata riflessione saggistica sull’argomento da parte dello stesso Genna. Sia detto senza nessuna “piangeria”…

  3. Se qualcuno ha modelli migliori di Formigoni da proporre alla Lombardia, lo faccia pure; ma i lombardi non sono *così* facili da abbindolare, quindi veda di arrivare con qualche idea migliore, su come si governa una regione, rispetto al semplice… sostegno all’aborto.
    La mia regione ha una raccolta differenziata che funziona, investe in infrastrutture viarie e ferroviarie, e ha un dibattito politico che non si incentra sull’aborto, ma su ciò che è di sua competenza. A Bologna ci sarà pure un uomo di sinistra, ma i trasporti pubblici sono umilianti, i graffiti sui muri sono dovunque, la sporcizia per strada è inverosimile, la città è permeata dall’illegalità.
    Se si vuole parlare di aborto, si citi il dibattito politico a livello europeo, piuttosto che tirare di mezzo la Lombardia: è come affrontare i problemi dell’immigrazione clandestina parlando di Cittadella e Caravaggio.
    La Lombardia funziona. Quella che attualmente si definisce la “sinistra” italiana esprima un candidato serio alle prossime regionali, se pensa di saper fare di meglio; visti i precedenti, e vista l’attualità, so già che difficilmente avrà il mio voto.
    Detto da un giovane lombardo di sinistra.

  4. l’analisi di genna è lucidissima e drammaticamente reale.
    il timore è che stavolta l’indifferenza vinca. fino ad ora il popolo dei diritti e dell’indignazione democratica è sempre riuscito a mobilitarsi sui grandi temi. magari solo nelle emergenze (quanto è italiano tutto ciò..), ma almeno.
    e adesso?
    adesso spiace sentire che la percezione di molti è simile a quella di walter, dove la giovane età, la lombarditudine e l’essere maschio fa aggio sul resto.
    la lombardia è l’officina da cui parte l’offensiva generale, e se la difesa della 194 (non dell’aborto, ragazzo mio) viene considerata secondaria rispetto ai graffiti sui muri c’è qualcosa che non va.
    quello che so è che sono pronta alle barricate per difendere mia figlia dal rischio di vivere quello che io ho vissuto sulla mia pelle 35 anni fa, e il diritto delle donne a gestire il proprio corpo in prima persona, senza indebite ingerenze dei portatori di verità assolute.

  5. Sono con Gea ; però, in silenzio mi pongo la domanda: 22 settimane sono un tempo lungo una vita, o no?
    Forse sarebbe più opportuno, anche in difesa di questa legge (soprattutto per la sua difesa), impegnarci in una grande campagna di diritto sulla RSU 486; una campagna di massa, civile e partecipata.
    E’ solo un pensiero

  6. L’azione personale, a mio giudizio, non deve essere volta a difendere diritti acquisiti, ma a sostenere, in ogni caso, cio’ che ciascuno ritiene giusto.
    Il concetto di “giustizia” e’, ne sono convinto, assolutamente complicato: per me, comunque, e’ essenzialmente correlato al concetto di “tutti gli uomini in quanto tali”.
    Ogni azione per me, quindi, deve essere improntata nel verso teso a favorire una uguale dignita’ personale: tale da evitare conseguenze che comportino un aumento delle disparita’ di dignita’ , o comunque una diminuzione del livello di essa per coloro che gia’ sono in posizione di svantaggio.
    Sono anche convinto che ogni azione che vada nel senso opposto sia un atto di violenza, esattamente come quella fisica.

  7. > se la difesa della 194 (non dell’aborto, ragazzo mio) viene considerata
    > secondaria rispetto ai graffiti sui muri c’è qualcosa che non va.
    Boh. Chi non vorrebbe un paese in cui il presidente del consiglio gestisce la raccolta dei rifiuti, mentre le autorità locali sono intente a discutere di aborto?
    Posso accettare la critica “sei influenzato dall’essere maschio” fino a un certo punto: non sarò toccato direttamente dal tema dell’aborto, ma, per dirne una, sono gay, e in alcune ‘battaglie’ per i diritti civili sono dentro fino al collo. Ma senza particolarismi: i miei diritti li voglio riconosciuti a livello europeo, non comunale! Il mio sindaco (leghista) asfalta le strade meglio del precedente… e non dovrei votarlo solo perché è omofobo?
    Io non criticavo la rilevanza data al tema della 194 dall’estensore dell’articolo; criticavo la strumentalità delle critiche a un governo regionale, che, tutto sommato, legifera in materia con lo stesso diritto con cui potrebbe legiferare sul valore del pi greco.
    Nessun confine ci separa dalla Polonia, dove fino a un paio di mesi fa il governo esternava ogni giorno dichiarazioni deliranti in spregio di donne, gay, minoranze etniche; se volessi dare un esempio dei veri nemici che ha di fronte chi sostiene i diritti civili nell’Europa di oggi, be’, parlerei di quello, non certo di Formigoni.

  8. >Il mio sindaco (leghista) asfalta le strade meglio del precedente… e non >dovrei votarlo solo perché è omofobo?
    esattamente, non dovresti votarlo perchè è omofobo e quando darà gli appalti per la gestione dei servizi socioassistenziali del comune a prenderli saranno società multiservizi e cooperative che di fatto escluderanno i tuoi simili dalle prestazioni socioassistenziali in questione.
    trasponendo la mia riflessione sui massimi sistemi: non so come fai a pensare, nel 2008, a) che un sindaco di una città più con più di 50mila abitanti in italia si occupi di graffiti, raccolta di rifiuti, asfalto strade e poco altro b) che ci si possa occupare di graffiti, raccolta di rifiuti, asfalto strade e di tutte le altre “piccole” questioni pratiche che un sindaco affronta solo in termini di farlo/non farlo, senza avere un punto di vista etico, politico e se vuoi ideologico su COME farlo ed A CHI farlo fare.
    In questo senso, la tua maniera di ragionare è esattamente il prodotto dello sfascio culturale descritto in questo articolo.

  9. > […] non so come fai a pensare, nel 2008, a) che un sindaco di una città
    > più con più di 50mila abitanti in italia si occupi di graffiti, raccolta di rifiuti,
    Sono tutte condizioni sine qua non. Ovvio: il mio sindaco ideale non solo asfalta le strade, ma segue anche la mia stessa ideologia politica, si interessa di pari opportunità, porta avanti battaglie culturali, segue la mia stessa etica. Tuttavia, a volte la scelta è fra una città ordinata con un governo omofobo, oppure una città caotica, sporca, insicura, e con un grande centro culturale gay sovvenzionato dal comune e situato nel centro storico. Fra queste ultime due, preferisco la prima: è questo il concetto che cercavo di esprimere.
    > In questo senso, la tua maniera di ragionare è esattamente il prodotto
    > dello sfascio culturale descritto in questo articolo.
    A mio parere, è invece il risultato di una forte incapacità della sinistra italiana di oggi di agire incisivamente a livello locale, perlomeno nel nord; e la questione settentrionale non si risolve con l’equazione “la Lombardia legifera contro l’aborto = la Lombardia è allo sfascio”.
    Diamo a Cesare quel che è di Cesare: a livello di amministrazioni locali, i veri “sfasci” ce li abbiamo sotto gli occhi in questi giorni, e sono ben più gravi di una legge regionale contro i mulini a vento (e in molti la pensano così.)
    Se la Lombardia legifera in quel modo, è perché è permeata dallo stesso “sfascio culturale” che domina tutta la nazione; e la trovata di Formigoni non ne è certo la causa scatenante, né un sintomo particolarmente degno di nota!
    Io, Luca, oserei lamentare innanzitutto la mancanza assoluta di una politica culturale seria da parte del governo; poi, molto a margine, mi lamenterei dei tanti Formigoni che ci sono in Italia. Ma, da buon sostenitore di idee di sinistra, me ne lamenterei molto timidamente, non volendo correre il rischio di sentirmi chiedere “be’, il tuo presidente di regione modello attualmente qual è?”.

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