LAVORO ZERO

Ieri è uscito questo articolo della sottoscritta sul Venerdì. A brevissimo, i contenuti extra. Subito, la mail di Aldo Nove per chi volesse raccontargli la propria esperienza di non-lavoro: tarcisionove@virgilio.it

I ragazzi di Woobinda, oggi, sarebbero adulti e disoccupati: e forse anche gli acquisti all’Ikea sarebbero un lusso. “Essere di sinistra nel 2005 vuol dire che non vogliamo più marcire a quarant’anni vivendo con la pensione dei nostri genitori”: parole (per il congresso di Rifondazione) di colui che di Woobinda fu il creatore, lo scrittore Aldo Nove. Perché da diversi mesi il cosiddetto cannibale, l’autore pulp che raccontava di trentenni innamorati delle merci, pubblica sul quotidiano Liberazione interviste a giovani precari. Sara, progettista web passata attraverso un calvario di collaborazioni a progetto, Maria Giovanna, che ha lavorato come “promessa sposa” di facciata per un’agenzia matrimoniale, Cilia, disoccupata dopo il call center, che dopo aver visto La classe operaia va in paradiso commenta amaramente:”Quello che contraddistingueva quei film era che c’erano dei padroni. Oggi non ci sono più. Ci siamo noi. Ma quel noi è fatto di singole unità. Di produzione. Tutto qui. E allora, cosa fare?”
Scrivere. Perché, dopo lunghi anni in cui gli autori italiani guardavano con disinteresse, e a volte addirittura con fastidio alla cosiddetta “letteratura industriale”, gli scrittori sono tornati a porre il lavoro (meglio, la sua assenza) al centro della narrazione. Oltre ad Aldo Nove, che vuole raccogliere le interviste in un libro dal titolo Mi chiamo Roberta ho quarant’anni sono laureata guadagno 250 euro al mese, sono appena usciti per Einaudi i romanzi di Andrea Bajani, Cordiali saluti, e di Antonio Pascale, Passa la bellezza. Che vanno ad aggiungersi a Pausa Caffè, pubblicato da Sironi, dove Giorgio Falco esprime in una polifonia di voci frustrazioni e meschinità della colleganza precaria, e a Nicola Rubino è entrato in fabbrica (Feltrinelli) di Francesco Dezio, storia di un operaio trentenne assunto con contratto di formazione (e poi licenziato) da una multinazionale. Fine dei moccismi, fine delle narrazioni autoreferenziali? Di sicuro, c’è il diffondersi di un’insofferenza che Giorgio Falco ha consegnato alla rivista Pulp (che dedica l’ultimo numero all’Italia precaria): “di scrittori che ci parlano dei loro gruppi musicali preferiti non ne possiamo veramente più”.
In ritardo rispetto ad altri paesi, è scattato qualcosa. “Negli ultimi quattro anni – racconta Aldo Nove- la realtà ha superato il pulp nella modalità in cui quest’ultimo si era proposto di portare in letteratura la realtà stessa, e cioè attraverso la narrazione sarcastica della follia nel quotidiano. A chi, come me, non interessa la letteratura come evasione, questa è sembrata la via obbligata. Interviste vere, affrontate narrativamente attraverso la ricostruzione letteraria del testo”.
La tecnica della scrittura applicata al lavoro, anzi, alla privazione del medesimo, è l’idea di fondo di Cordiali saluti, opera prima del trentenne torinese Andrea Bajani. Il protagonista, dopo il licenziamento del direttore vendite, si trova a scrivere meravigliose missive di fine rapporto che gli valgono gli apprezzamenti del capo del personale (“la sua mano è il mio sicario preferito”). “Gli viene richiesto – spiega Bajani – di inventarsi una burocrazia sentimentale, che prenda il posto della freddezza asettica dei moduli prestampati da far firmare in calce ai futuri disoccupati. Il risultato è questa trasformazione del sentimento in procedura, e di conseguenza lo svuotamento di senso dell’emotività”.

Ma è anche per questo che il lavoro torna ad affacciarsi nella letteratura contemporanea: “sta saltando in aria la vita privata di una generazione – dice ancora Bajani- Questo è il grande cambiamento rispetto al passato. C’è uno scarto fondamentale, e dunque una contraddizione drammatica, tra la scorpacciata euforica di comunicazione che sta saturando il nostro immaginario e la provvisorietà delle vite di ciascuno. Esiste un sistema che dice: “tutto è alla tua portata”, e contemporaneamente un altro sistema che dice “tu socialmente non conti nulla”” . Una generazione, insomma, a cui sono state portate via anche le parole, che “non sa cosa sia il “diritto del lavoro”: ” e il danno più grave è fatto, perché le parole si portano via le cose. In ogni caso questo mi sembra paradossalmente un buon punto di partenza. Mi sembra, quantomeno, un buon motivo per mettersi a scrivere”.

Ma non letteratura politica, non nel senso in cui la si intendeva ieri, ammonisce Antonio Pascale: il suo protagonista in Passa la bellezza viene letteralmente sopraffatto nel momento in cui, per scrivere un reportage sul lavoro, si mischia con gli immigrati e ne rimedia un’invalidante orticaria. “Il lavoro non è un concetto a sé, ma investe e contamina una sfera più vasta, che include l’urbanistica, gli affetti vicini e lontani, i sogni, le rinunce. E ovviamente le conquiste. Ma anche gli affetti non possono essere un tema a sé: se non ho lavoro non mi sposo, non metto su famiglia. Uno scrittore dovrebbe fare questo: capire la relazione tra gli eventi, collegare le dimensioni che attraversiamo. Nella buona letteratura l’insieme e il particolare rimano in continuazione”.
Ma è difficile farlo. Aldo Nove trova che rispetto agli anni di Vogliamo tutto di Nanni Balestrini le cose siano enormemente più complicate: “Allora bastava descrivere un caso per ricavare il modello. Ora ognuno ha la sua esclusiva, parcellizzata, personale e drammatica situazione. Se la letteratura ha un senso, bisogna che trovi un linguaggio per raccontare questo. Io non me la sento più di scrivere fiction, romanzi, poesia. Metto le mani sulla tastiera e non ci riesco. Ora, è più importante riferire che non inventare”.

49 pensieri su “LAVORO ZERO

  1. Più importante riferire che non raccontare? ma perchè? Uno non può raccantare di una donna che per lavorare si fa prestare i soldi e resta incastrata? Di una famiglia che viva in un garage? Mi sento un’idiota. il non lavoro porta ad altro. Non è l’altro(?) che bisogna raccontare, se si vogliono scrivere romanzi? Se no si fa un reportage. bene. Sono due cose diverse. ugualrmente valide. ci sono dei documentari degli anni ’70 sul lavoro – resto un po’ sorpesa quando sento dire, “Gli scrittori hanno scoperto il lavoro! Il precariato!” . Questo della mia sorpresa è un altro argomento. Io, detto pomposamente, “mi interesso” al precariato dal 1985. Le merci non me le sono mai potute (volute) permettere. Non mi sono mai “innamorata” delle merci. E se mi dispiaceva (perchè a volte mi dispiaceva) pensavo di avere altro. Avevo altro: beh, avevo. I libri della biblioteca, la casa con l’equo canone, il processo per la casa con l’equo canone, la padrona di casa che dice al giudice, “Quegli assegni me li ha dati perchè le ho venduto dei gioielli…”. lei, elegantona, che aveva lavorato con Fellini, diceva. Ma per me le “merci” fondamentalmente erano i “tacchi” di quelle a cui piaceva uscire col giro dei socialisti. cazzo me ne fregava dei tacchi, a me? sì, magari pensavo “Farci un giro, con quei tacchi!”. erano belle quelle scarpe. ma dovevo scegliere. si poteva parlare di sè, oggi, no? o ho capito male? tanto uno parla sempre di sè, no? ho sbagliato di nuovo?

  2. Cara Anonimo, occhio che naturalmente non sono solo le scarpe col tacco a essere merce. Tutto è merce. Scrivere, raccontare e riferire di merci mica significa esserne innamorati. Per esempio, anche il latte è merce. Giorni fa, da qualche parte ho letto che dopo metà mese nei supermercati diminuiscono le vendite di latte fresco e aumentano quelle di latte a lunga conservazione, perché la gente che ha un reddito fisso sta finendo i soldi dello stipendio, e risparmia anche sul latte rinunciando a quello fresco.

  3. A questi titoli aggiungerei senz’altro i romanzi di Giuseppe Culicchia e “Kamikaze d’Occidente” di Tiziano Scarpa, che ci ha raccontato che scrittori e scrittrici, intellettuali e giornalisti e librai e tutti quelli che cercano di sfangare la mesata con lavori “culturali” (ambizione, quella di guadagnarsi da vivere con la cultura, che sembra far parte dei sogni professionali di mezza Italia, e senz’altro di moltissimi di noi che scriviamo commenti su questo blog) sono i più precari di tutti.

  4. Sì, ma io del latte non mi innamoro mica. il latte non è superfluo, e tu lattanzio saprai meglio di me, che se uno lo chiede, magari finendo alla Caritas, il latte te lo danno. a morire di fame c’è solo la bambina della madre paranoica…quella che l’aveva concepita mentre faceva la prostituta (…) dici bene, come si fa fino alla fine del mese? quello che entra in gioco è la rinuncia alla “dignità”, secondo me. perchè pur di comprare il latte una fa la sposa finta, e si sente una merda. una lavora al callcenter e magari ha la laurea e si sente una merda. una sa di non poter organizzare la propria vita (“potrò mai comprare quelle scarpe da 200 euro? mai!”) e si sente una merda. e’ qualcosa di più complesso questo precariato recente. è qualcosa di legato “all’immaginario”. di come “il padronato” ha deciso di “spezzare le gambe a chi lotta”. e questa volta ha scelto un rimedio sottile, e uno dei più pericolosi. perà, se una/o è consapevole…

  5. Gianni, scusami, hai ragione. Era un lapsus” Come vedi, ho sbagliato quattro volte per altri versi. a riprova del fatto che vado di fretta. grazie per la precisazione, perchè come l’avevo scritta io non aveva lo stesso senso. ma io intendevo in quel senso in cui nove l’aveva scritta. Grazie 🙂

  6. un documentario è un racconto. un romanzo è un racconto. nel romanzo c’è invenzione. io dico “Bisogna inventare!” nove dice “Biosgna riferire!”. ho capito bene? ma un buon documentario, ripeto, non toglie niente a un buon romanzo che è anche invenzione. me ne vado di corsa. 🙂

  7. Per Anonimo: Aldo 9 ha detto: “è più importante riferire che non INVENTARE”, e non “è più importante riferire che non RACCONTARE”. Anche riferire è raccontare. Giusto per la precisione. Quando si commenta una frase, è buona norma almeno RIFERIRLA bene 🙂

  8. Giustissimo, Genna, il termine “allegoria” mi sembra più appropriato. Usavo “metafora” in maniera semplificata, pensando di farmi capire meglio, giacché oggi spesso si usa popolarmente “metafora” al posto di “allegoria” (“questo western è una metafora dei rapporti di potere nella società occidentale odierna” ecc. ecc.). Grazie

  9. Allegoria, non metafora. Ma è una storia lunga, irraccontabile.
    Come, poi, se inventare non fosse cosa che parte dallo storico e torna nello storico.
    Per me il modello è il cerchio primitivo e notturno intorno al fuoco, dove le storie accadono, furono trovate e raccontate. Per me la letteratura è questo. Il resto è cronaca sociologica o delirio di interpretazione. A me non interessa, ma può benissimo essere che interessi ai più.

  10. Per “gl”: non direi “meglio” questo o quello. Ci vogliono tutti e due i tipi di scritture, quella referenziale e quella inventiva. Sono preziosi tutti e due questi tipi di aqutori. Entrambe queste scritture sono comunque delle forme di racconto, come ha fatto notare Il Posto. Non ne farei una questione di polarizzazione, un aut aut (d’altronde, è Aldo9 il primo a polarizzare, a proporre un aut aut artificiale, questo va sottolineato, quando dice che riferire oggi è PIU’ IMPORTANTE che inventare). Il limite dell’inventare è quello di doversi giocare tutto sulla metafora: “la storia che ho inventato sembra che parli di Far West ma in realtà parla dell’Italia di oggi” ecc. ecc. Il limite del riferire è non potersi giocare alcuno slancio metaforico, rimanendo inchiodata allo “stato di cose” che riferisce. Naturalmente sto un po’ semplificando. Ma è una semplificazione che a sua volta deriva da una polarizzazione, di qua il riferire, di là l’inventare. Mi sembrano più interessanti le misture, le forme ibridate di referenzialità e invenzione. E, infine, mi pare che non ci siano di certo soltanto Evangelisti e i Wu Ming a fare quel lavoro di invenzione, in Italia, ne andrebbero nominati molti altri, per obiettività.

  11. ovviamente, nel cerchio notturno non si perde nella combustione della narrazione la pratica della lotta per l’egemonia dei sistemi culturali di riferimento, perché nel cerchio non la si pensa tutti allo stesso modo, anche se tutti si condivide lo stesso spazio.

  12. Trovo molto suggestiva l’immagine del cerchio intorno al fuoco. Bravo, Giu.
    C’è da chiedersi, oggi, qual è il cerchio e quale il fuoco. Ma è già un buon inizio.

  13. Proprio sicuri che *riferire* e *inventare* siano opposti? Ho come l’impressione che Aldo Nove abbia scelto male i termini, anche in riferimento a quello che sta facendo adesso (che mi sembra utile non solo alla produzione sociologica, ma alla letteratura stessa). Un autore come Welsh magari non sarà andato in giro col registratore, e mettiamo pure che non sia verità autobiografica (alla T.J.Leroy) quello che scrive: però le sue *invenzioni* mi dicono sulla Gran Bretagna prima e dopo Blair (a proposito, c’è qualcuno che vede la differenza?) molto di più di tanta sociologia: e non c’è dubbio che Welsh, inventando, riferisce. Cioè *racconta*. E di questo c’è bisogno (ovvio che la stessa cosa la fa Stephen King, come ricordava nel post di ieri WM1, e la fanno i WM, Evangelisti e tanti altri, dentro e fuori l’Italia). perchè comunque Aldo Nove ha ragione nel paragone con i tempi di Balestrini (un altro che lavorava col registratore prima che con la penna): oggi non c’è più il soggetto esemplare, l’operaio-emblema di Vogliamo Tutto o l’autonomo de Gli Invisibili, e sono francamente molto curioso di vedere il risultato finale del lavoro di Nove: in che modo, cioè, staranno, o non staranno, insieme le storie/vite che sta raccontando.
    PS: per chi sta a Milano questo finesett. alla Bocconi c’è Uninomade (http://www.globalproject.info/art-4359.html), credo che sia una strada che merita di essere incrociata.

  14. Andrea C. non ce lo fai ancora il riassunto e l’analisi dell’articolo di Zizek comparso sul manifesto.
    Scommetto che fremi dalla voglia! Hiiiiiiii.

  15. Girolamo, perchè dici che non è così ben definito il “lavoratore-tipo” del 2000? Il/la precario/a, è quello che deve essere disponibile a sorridere a comando. Quello che – a volte – lavora nel sistema del “general intellect”, a volte nel “terziario” ma : il cui tempo di vita e di lavoro è quello della flessibilità. la caratteristica di questo tipo di “lavoro” è che non richiede delle competenze specifiche. ciò che conta è che tu abbia un “corpo”. per sorridere, (concessionarie, agenti, hostess) per rispondere al telefono (call center), per fare conti (aministrazioni con contratto transitorio)…per scrivere…. è essenziale però che il lavoratore tenga fuori il proprio “privato” dall’attività. se collante era per gli operai la politica, questo tipo di lavoratore deve dimenticarsi la politica mentre lavora. un lavoratore sarà tanto più “richiesto come lavorante”, quanto più metterà a disposizione la propria “esistenza”. quanto più opportunisticamente funzionale tanto più richiesto. potrà addirittura diventare “ricco”. dovrà però “interiormente sposare” la causa di chi gli da da lavorare. oppure sarà fuori. detto terra terra il precario è figura sì, complessa. ma non prevede così tante sfaccettature. a differenza dell’operaio tardizionale o dell’operaio-massa, il precario può essere portaborse opportunista, redattore, o telefonista del callcenter. una cosa hanno in comune. la possibilità di carriera per tutti e tre è legata solo alla disponibilità a dire “sì”, a: rampogne, delazioni, adesione incondiziata al regime del datore di lavoro. A stabilire legami personali. Quanto più verranno sottolineati i “diritti”, tanto più si starà fuori. Addio garanzie. Però: la flessibilità è anche questione cavalcabile. Un flessibile convinto di essere out, potrà, senza deprimersi, arrangiarsi, vendendo le proprie ore, non identificando la sua vita nel “lavoro” che fa. ne consegue una cosa positiva. non si nasce e si muore operai. però, nel tempo libero – se riesce a ricavarne – il precario non dovrà concentrarsi depressivamente nel proprio ruolo funzionale. se no è fottuto. il discorso è lungo. a braccio: altra fottitura: a un precario il mutuo non glielo da nessuno, perchè precario. si potrebbe, modestamente fare una piccola lotta per far sì che le banche – attraverso garanzie assicurate dallo stato – diano i mutui anche a chi non dimostri di avere un lavoro fisso? potrebbe farla la snistra questa lotta? si potrebbe vedere di far diventare “normalità” il reddito di cittadinanza? in altri paesi è moneta corrente da anni. persino la destra ha fatto una parte della campagna elettorale parlando del “reddito garantito”.

  16. reddito di cittadinanza per il mutuo? Debito per tutti? ehm il posto cosi siamo fottuti davvero.
    Vi appiccico uno spam, ma a tema per i milanesi
    Milano 9 – 10 aprile 2005
    Terzo seminario Uninomade
    Sabato, Università Statale di Milano, Bicocca, Palazzo U7, Aula 4 – Domenica, Casa Loca, V.le Sarca 183, Milano
    Oltre il lavoro Nuovi soggetti, nuovi diritti, nuovi immaginari
    Il seminario intende approfondire il tema dei lavori, inteso come insieme delle soggettività moltitudinarie messe in produzione, disperse e frammentate sul territorio ma tendenzialmente unificate da una condizione generalizzata di precarietà esistenziale.
    Ci proponiamo dunque, con questi due giorni di seminario, di approfondire l’analisi riguardo le soggettività in gioco all’interno della realtà dell’economia informazionale attuale e di offrire un piano definitorio il più possibile esaustivo delle nuove categorie e dei nuovi contenuti del lavoro postfordista.
    Dopo una prima sessione che si propone di dare un quadro delle dinamiche più recenti delle trasformazioni dei meccanismi produttivi, delle soggettività dominanti e del giuslavorismo – in un’ottica europea – le sessioni del sabato pomeriggio e della domenica tratteranno i temi più specifici, che riteniamo emergenti, del lavoro migrante, delle pratiche comunicativo-relazionali insite nel postfordismo, del lavoro cognitivo, della femminilizzazione del lavoro.
    E’ facile attendersi che tali riflessioni, oltre a fare il punto sulle realtà che descrivono dal punto di vista informativo-didattico, rimandino all’analisi delle pratiche e degli obiettivi di breve e medio periodo che le nuove contraddizioni del lavoro e i conseguenti conflitti che vanno insorgendo, necessariamente richiamano.
    Aspetto ineludibile dei lavori è dunque il tema dei nuovi bisogni che la precarietà esistenziale alimenta, in primo luogo la questione del reddito diretto e indiretto,tema che ci proponiamo di affrontare con la tavola rotonda di domenica pomeriggio.
    La presentazione con Francesco Raparelli.
    audio
    Programma
    Sabato mattina, ore 10.00, Palazzo U7, Aula 4, Università Bicocca
    Elementi di analisi
    Finanziarizzazione dell’economia, globalizzazione dello sfruttamento, nuove composizioni del lavoro
    Presiede: Giampaolo Capisani
    Andrea Fumagalli “La deregolamentazione strutturale del mercato del lavoro: una tendenza globale”
    Christian Marazzi “Il tempo della corporation: economia degli affetti, capitalizzazione dell’attenzione, ruolo del cognitariato”
    Giovanni Giovannelli “Il diritto (e il rovescio): la crisi del giuslavorismo nell’era del dominio dell’impresa”
    Segue dibattito
    Sabato pomeriggio, ore 14.00, Palazzo U7, Aula 4, Università Bicocca
    Definizioni
    I temi emergenti: lavoro migrante, chainworkers, femminilizzazione del lavoro
    Fondamenti, suggestioni, orizzonti
    Presiede: Elisabetta Dalla Corte
    Yann Moulier Boutang “La soggettività emergente del lavoro migrante in Europa”
    Sandro Mezzadra “Il paradigma del lavoro migrante, frontiera dei diritti di cittadinanza”
    Zoe Romano “Operazione Serpica Naro: gli immaginari creano complicità, lo stile diventa conflitto”
    Cristina Morini e Francesca Pozzi “L’inflessibile flessibilità: produzione, riproduzione, nuovi percorsi di liberazione”
    Segue dibattito
    Domenica mattina: h. 10.00, Casa Loca, V.le Sarca 183, Milano
    Definizioni
    I temi emergenti: il cognitariato, nuove forme del lavorio vivo e della composizione di classe
    Fondamenti, suggestioni, orizzonti
    Presiede: Marco Bascetta
    Maurizio Lazzarato “Sul lavoro immateriale”
    Carlo Vercellone “Capitalismo cognitivo, accesso al reddito e cognitariato”
    Benedetto Vecchi “Ruolo della conoscenza e libera circolazione dei saperi”
    Segue dibattito
    Domenica pomeriggio, ore 14.30, Casa Loca
    Strumenti
    Che fare? Conflitto, reddito, diritti: tavola rotonda di discussione
    Presiede: Andrea Fumagalli
    Franco Berardi (Bifo) “Became your media: il difficile rapporto tra lavoro e comunicazione”
    Papi Bronzini, “Reddito di esistenza in Europa e strumenti legislativi”
    Elisabetta Dalla Corte: “Lezioni di esodo”
    Francesco Salvini “Nuovi diritti a Milano e in Europa, il ruolo del territorio e del sociale”
    Toni Negri “Beni comuni, riappropriazione del general intellect e diritto al reddito”
    Segue dibattito

  17. aldo 9 è un genio! s’è appena accorto
    che la realtà ha superato il pulp – opulp – e già ha escogitato un altro sistema per sbarcare il lunario. visto che romanzi non ne sa scrivere, e poi costa fatica starsene lì a inventarsi quelle storielle per deficienti che, pensa un po’, vogliono evadere. visto che come saggista vale ancora meno – attribuire la stazione centrale all’architettura fascista e la torre velasca a gio ponti, e questo su un libro pubblicato dalla casa editrice che fu del croce, non è da tutti. che ti escogita allora il 9. l’intervista. ma siì, tu attacchi il registratore, poi sbobini nella prosa – prosa? – che fa sembrare chiunque ti abbia detto qualcosa un deficiente e il gioco è fatto. precari prendete esempio da lui. adesso bisogna vedere chi se lo legge un libro così. ma qualcuno davvero scemo sempre si trova. e tu biondillo non fare il problematico solo perché oggi sei uscito dalla classifica. già non sai più qual è il cerchio e qual è il fuoco, ma quello che fino adesso t’ha riscaldato il culo, bellezza.

  18. @ il posto…
    guarda che io sono d’accordo con te sulla descrizione del precario/invisibile. la differenza con l’operaio/massa (o col “lavoratore normato”, ad esempio l’impiegato o l’insegnante) è che in quest’ultima figura i comportamenti individuali erano integrati (nel senso dell’integrale matematico) entro un “insieme molare”, un comportamento comune in qualche modo pre-esistente (sto generalizzando per farla breve, ovvio: le soggettività dei giovani operai dei 60 rompevano lo schema della passività dei vecchi operai dei 50, ma sempre all’interno di una dinamica comune, molare). Oggi, al contrario, il “comune” si costituisce in modo molecolare, “gassoso” (con o senza l’eventuale diavoletto di Ma(r)xwell? saperla, la risposta…) a partire dalle singolarità. Ecco perchè ieri era possibile trovare, cercando tra gli individui, un emblema (un simbolo) che li riassumeva tutti, mentre oggi non c’è (così mi pare) un tipo o una figura generale sovrapponibile senza residui alle singolarità (direi che l’eventuale emblema è allegoria, non simbolo).

  19. No, gina, forse eri stanca – ho scritto l’articolo troppo lungo io, eh? colpa mia – reddito di cittadinanza da una parte. e possibilità di accedere al mutuo, dall’altra. non credo che le banche, private, siano disponibili a finanziare dei privati quale me e te, soprattutto se “senza posto fisso”.

  20. Gina, mi pare di aver detto, “il discorso è lungo, vado a braccio”. questo è un blog di letteratura. non mi va di imporre agli altri discorsi che sono al limite dell’OT. anche perchè di solito mi muovo tipo elefante nelle cristallerie. però, appunto. il discorso è lungo.:-)

  21. La differenza è importante, il posto. Tendo a scindere la lotta per il reddito di cittadinanza da quella per il debito per tutti. E non lo ritengo un dettaglio. Comunque ci siamo capite, ciò è bene:). ciao ciao

  22. Sì, Girolamo, sono d’accordo. ma questa caratteristica che tu chiami “gassosità” è solo negativa, secondo te? secondo me è l’unica cosa positiva – di un fenomeno per il resto ” ansiogeno” – perchè permette a me (a te, a lei) di scegliermi, quanto meno. perchè la “gassosità” – se ho capito bene – può anche essere alla base della “ribellione”, no? in questo senso. se dalla gassosità posso passare allo stadio solido, posso scegliere io se essere goccia, polvere di sabbia, o cristallo, no?potrò almeno scegliere come, quando, se da sola, con gli altri. distruttiva, costruttiva, o zero, giusto? ho capito bene, gir?

  23. @ il posto
    certo che hai capito bene. non ho mai detto, nè pensato, che la “gassosità” sia negativa: è solo diversa, ha dinamiche diverse, tutto qui. anche la ribellione oggi ha dinamiche diverse da quelle degli anni 60, no? aggiungo (ho appena visto 5 minuti di Aldo Bonomi, uno che vale la pena di ascoltare sempre con attenzione) che lo stesso capitalismo è diventato molecolare: non più la cinghia di trasmissione del ciclo dell’automobile, ma la polverizzazione dei capannoni industriali.

  24. riferire
    ce ne scampi Iddio – o chi per lui
    Il cerchio attorno al fuoco è il tempo del mito
    la cronaca è solo specchio – ma chi ha bisogno di specchi, quando abbiamo occhi per vedere e mani per distruggere?
    Allora non scrivete libri, mettete specchi dappertutto.
    Quello che occorre è CAPIRE.
    Arrivare alla scaturigine, in un percorso a sottrazione.
    Oggi (sempre) è più importante inventare, non INVENTA(RIA)RE

  25. Si, Girolamo, interessante. (bello il nome del post di risposta :-). ma a proposito di “scrittori”. che pensi del contrasto diciamo così – fra uno come Bonomi, e uno come Bologna, (e anche più o meno il gruppo del convegno di cui sopra)? Mi pare di capire che per Bonomi sia importante, più che essere “antagonisti” cercare “reti di comunità”, relazioni fra diversi soggetti, e invece Bologna sarebbe più per “affidarsi” all’antagonismo dei nuovi lavoratori dell'”immateriale” , no? A pensarci bene è un po’ un problema simile a quello della letteratura: da una parte quelli che cercano lo “scrittore” che vada contro, capace di identificare e comunicare “magagne” e nodi conflittuali dell’esistente – di solito non amano la letteratura di largo consumo. Dall’altra quelli che credono nell’importanza dell’impatto emotivo, della narrazione in sè, che serva o no a identificare i “nodi di complessità”.

  26. d’accordo con l’ex cannibale aldo nove..anche io sono stufo di vivere con i miei genitori,e diessere loro dipendente…….gli manderò una email…il fatto che questa situazione mi ha fatto ammalare di più di depressione ed ora mi pesa fare tutto.
    però ho un blog anche io e sto scrivendo poco,ma qulacosa scrivo..cara lipperini ti volevo segnalare un blog di un mio amico scrittore:
    “persecutorio” su google lo trovi..ciao
    da stefano

  27. chiedo a loredana lipperini di cancellare lo spam, e, se possibile di contattare il webmaster per capire se sia possibile bannare l’ip da cui sono stati postati questi messaggi. non conosco le regole stabilite per i blog su kataweb, ma mi pare che al di là del contenuto questi post siano veramente troppo.

  28. C’è qualcosa in quello che dice Nove che non convince. Personalmente a me non convince nemmeno quel che lui scrive di “letterario”.
    ma tornando ai suoi articoli: mi è capitato di leggere alcune stroncature di Nove, ultima quella a Piperno. Non convince. Non solo perché il libro di Piperno è bellissimo, di certo il libro più bello degli ultimi dieci anni. In Nove, in tutte le cose che scrive, incluse le rispose a chi lo stronca (dove tira in ballo a più riprese quanto lui sia povero e dove parla, gratuitamente, di suoi, senza dubbio, atroci dolori pesonali) c’è uno sbilanciamento fra quello che lui dice di sé e si attruibuisce e quello che lui dice di altri. Insomma, lui parla di Elisa di Rivombrosa a proposito di Piperno. Ma per farlo dovrebbe allora essere più misurato quando parla di sè. Perché anche quella è pessima fiction tv. Una via di mezzo fra “Cuore” di M. Zaccaro e “le ali della libertà” di S. Reali. Un consiglio: sempre meglio essere più severi con se stessi che con gli altri. Vi prego di scusare i toni sgradevoli che ho usato, ma è solo che m’indigna l’aggressività che Nove usa per gli altri.

  29. martina non è il tono sgradevole, che comunque dà un certo fastidio, ma l’inutile e quanto mai ridondante lode a piperno. se non ti convince quello che dice aldo nove, io trovo altrettanto poco convincente la tua affermazione che il libro di piperno sia “di certo il libro più bello degli ultimi dieci anni”.
    cosa hai letto negli ultimi 10 anni? o forse vuoi dire che il libro di piperno è il più bello che lui abbia scritto negli ultimi 10 anni?
    per finire sarei curioso di sapere in base a quali criteri si stabilisce che un libro sia il più bello in un arco di tempo X.
    a latere, mi chiedo se esiste davvero una martina o se si tratti solo dell’ennesimo alias di colui che è davvero anonimo.

  30. Scusa, Martina, non dovrei entrare sul merito della recensione di Nove su Liberazione, anche perchè non è l’argomento del post. E però siccome l’atteggiamento che Nove propone rispetto alla scrittura, mi pare quanto meno, “problematico”, vorrei cercare di capire. Tu lo insulti. Lo insulti perchè ha stroncato un libro che a te è piaciuto. Mi pare che non sia il caso di tirare in ballo sceneggiati, fiction tv, di dire, “ma si guardi lui, prima di parlare!”. Tutto questo non c’entra. Lui ha scritto una “stroncatura”. Non capisco perchè tu a partire da questo ti senta in diritto d’insultarlo. La stroncatura ha un “passato” molto prestigioso. E il fatto che oggi non si usi più non autorizza secondo me, nessuno ad insultare – pensando con questo, di mettersi sullo stesso piano del recensore. Non sei sullo stesso piano di Nove – che non conosco, e con cui su “documentario, narrazione inventata” peraltro non sono neanche d’accordo. Gli argomenti che lui usa sono di tipo letterario, i tuoi no. Se quello che Nove scrive non ti piace, argomenta, come lui ha fatto, a partire da quello che lui scrive, e magari ci convinci. Così come hai fatto corri il rischio di sembrare l’anonimo di ieri sera.

  31. Non mi pare Martina abbia insultato nessuno. Ha semplicemente detto quello che pensa e cioé che Aldo Nove vale meno di zero. Uno potrà pure scegliersi gli autori che ama e i libri che gli sono più piaciuti in questi ultimi dieci anni. Con quali criteri? Gli stessi che permettono a Nove di stroncare Piperno, e che nel suo caso, nel caso della stroncatura
    del bellissimo romanzo dello scrittore romano, sono assolutamente non letterrari. Direi politici. C’è qualcuno che giudica ancora i libri con quella lente? Almeno Nove.

  32. caro fratello di martina, o martina o anonimo, perdonami se sarà pedante. certo che si possono scegliere gli autori che si vogliono, è per questo che è opportuno fare precedere o seguire un “secondo me” ad affermazioni assolute tipo “è il libro più bello…”
    in più, evidentemente, le categorie su cui si basa martina non sono le stesse di aldo nove, se lo fossero difficilmente i due arriverebbero a conclusioni così discordanti. se poi sono gli stessi nel senso che tu li ritieni entrambi arbitrari, allora dovresti tu, per primo, rispettare entrambi le opinioni. per finire, secondo me, la battuta che conclude il tuo post fa schifo al cazzo. scusa la scarsa letterarietà delle categorie su cui si basa questa mia stroncatura.

  33. Quello che mi dà da pensare è la voglia di schieramento a tutti i costi. Per dire, io non sono d’accordo con le argomentazioni che Aldo usa nella recensione a Piperno: eppure, sono molto d’accordo con quanto lo stesso Aldo sta facendo in ambito letterario. Dunque?

  34. Io non contesto la stroncatura di Aldo Nove, e le stroncature in generale. Mi sono solo permessa di dubitare di quello che “predica” ultimamente Nove. Leggere sue lettere di prostesta per stoncature, per altro moderate, che lui aveva ricevuto, per me è stata una grandissima delusione. In quelle lettere, credo che alcune si possano ancora trovare in rete, pubblicate su Il Foglio, lui assumeva dei toni vittimistici. C’era ira e rabbia. Tirava in ballo, per dimostrare quanto lui avesse subito un torto con quelle stroncature, la sua condizione economica. Diceva che lui era povero, che era questo “merdosissimo governo” a costringerlo alla povertà per fare letteratura. Poi tirava in ballo la sua vita di sofferenza. Tutti rispettiamo la sua storia personale, ma forse tirandola in ballo a sproposito, non è lui che non la rispetta? Insomma, c’è troppa differenza fra quello che lui dice per se stesso e PRETENDE, e quello che lui dice per gli altri e “infligge”. per questo, e solo per questo, ha perso credibilità. Per questo, e solo per questo, le sue parole sulla narrazione suonano più come un ennesimo tentativo di sopravvivenza a scapito degli altri. M’indigna, e ripeto, sicuramente è una mia opinione personale, questo modo di esaltare ciò che lui fa screditando quello che fanno gli altri. Se lui sapesse guardare con la stessa esaltazione con cui guarda il suo lavoro, il lavoro degli atri, sarebbe più credibile. tutto qui. Mi sembra, tanto per fare un esempio, più sano lo sguardo di Genna o di Scarpa.

  35. veramente discutibile è quel troll di genna. Ha paura di non rientrare nel novero dei veri scrittori, infatti non ci rientra. E’ meglio che torni ai suoi complotti ben remunerati. Isterico e furbo e prezzolato senza talento.

  36. Ho visto e ritagliato l’articolo sul Venerdì. Avevo sentito parlare di alcuni dei romanzi che hai citato da un amico chioggiotto che l’anno passato ha organizzato una conferenza letteraria a più date con tema proprio il mondo del lavoro precario o operaio nei romanzi italiani. Buffo, perché anche io sto scrivendo di queste cose, nel nuovo romanzo. Alle volte ci sono dei temi che diventano generali proprio perché li si respira tutti, anche quando cerchi di rifuggire dai filoni più o meno di grido.

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