LIBRI E NON LIBRI: DICE SEBASTE…

Mentre Stefano Massaron preannuncia una risposta ai commenti sulla sua lettera di ieri, e mentre negli stessi commenti Piersandro Pallavicini lancia una bella idea (un blog che redistribuisca libri a prezzo simbolico), Beppe Sebaste mi risponde sulla provocazione di qualche giorno fa (qualcuno mi dica cosa è letteratura e cosa no). Così:

Sul sito di Loredana Lipperini ho letto un suo invito –  o sfida – a dare una definizione di ”letteratura”, compito impossibile, dice, senza cadere nella dogmaticità. Da ultimo allievo di Luciano Anceschi, “maestro della sospensione del giudizio”, non oserei mai racchiudere in una definizione checchessia. Eppure non mi è difficile rispondere col criterio, anzi la decisione, adottato per conservare i libri in casa (sempre troppi e debordanti): conservare solo quelli che, anche virtualmente, anche solo per un vago fantasma di possibilità, potrei rileggere (senza parlare di quelli che non ho ancora letto). Non è difficile accorgersi che gran parte dei romanzi (chissà perché quasi tutti italiani e americani) cadono fuori di questo raggio, best seller compresi. Non so se sia una definizione di letteratura, ma di certo esclude tutti quei libri che magari hanno fatto anche trascorrere del tempo piacevolmente, sì, ma solo come oggetti di consumo, e come tali altamente deperibili, non reiterabili, non riciclabili (verrebbe da dire: senza redenzione? forse sì, se è lecito estrarre dalla teologia questa nozione della “sopravvivenza” – dei testi). D’altra parte, mi sembra di andare incontro così alla definizione che delle poesie diede una volta Ezra Pound: “news che restano tali anche dopo averle lette”.

43 pensieri su “LIBRI E NON LIBRI: DICE SEBASTE…

  1. Un libro che leggi e non ne dimentichi il contenuto, allora quello è un libro che è “di letteratura”. Ma non si prenda questa mia osservazione come un dogmatismo, piuttosto – al limite – come una innocente onesta provocazione. Perché, almeno per me così vale, tutto ciò che dimentico non vale: il cervello, l’intelligenza è selettiva, e serba ricordo del buono soprattutto affinché la psiche non abbia a soffrire.
    Saludos
    Iannox

  2. Puttane, Belle Casalinghe Cercasi, Mio Marito non mi Ama Più, Ristoranti che vendono polli…sono solo alcune delle voci cercate da chissà chi, che i motori di ricerca hanno fatto arrivare al postodeilibri.it, “sitino” di letteratura. Ne abbiamo elencati anche tanti altri. Mi chiedo però che cosa chiedano queli che vengono mandati dagli stessi motori di ricerca sui “sitoni” di letteratura! E’ solo per dire che il criterio della “rilettura” non vale. Se una è appassionata de “I ponti di Madison County (mi pare sia questo il titolo) perchè è la signora del
    “mio marito non mi ama più”? chi è? cos’è? un’illetterata?

  3. 1. (Pro domo mea): non c’è solo la letteratura, a resistere sugli scaffali: c’è anche la filosofia.
    2. (courtesy by Wittgenstein): il fatto che un concetto non sia un’area nettamente delimitata, non vuol dire che non abbia alcuna delimitazione.
    3. Il mio personale criterio per l’accesso agli scaffali:
    intenti (non meri proponimenti) di/alla verità.
    4. Il mio personale criterio per l’intronizzazione sugli scaffali:
    intenti di verità + palestra per l’intelligenza.
    5. Giove e oltre l’infinito:
    intenti di verità + palestra + frattura composta del metatarso.

  4. …ah, inquietante, e nella mia solita tonteria ho dimenticato di mettere questa voce (per le altre giudicate voi, al numero 29) “Perchè Letteratura Oggi?”. Chi avrà immesso questa domanda su Internet? Uno scrittore? Un bambino? Un cretino? Un’illetterato? il fantasma di Hanna Arendt?

  5. No. Mi piace parlare:-) come a tutti, credo. Poi mi piace la letteratura. Poi mi piace “provocare” gli arroganti – che non è una dote – e mi pare che un pizzichino ce ne fosse nel tuo commento, poi – un altro difetto mio – non riesco a stare zitta..

  6. Cara ilpostodellazitta, forse a volte dovresti provocare maggiormente te stessa.
    Con affetto immutato e scusandomi per l’OT,
    resti

  7. stavo per stracciare il tuo post per una partenza veramente di maniera con i soliti accordi poi ho dovuto ricredermi poichè pone una questione probabilmente pleonastica ma zuppo di fascino per la quale però non ho risposte pronta cassa.Ci faranno sapere

  8. Emmina zcuzami. pensavo zi fosse capito che zo l’itagliano e che era uan zvista. ma mi dimendico sempre che girano un zacco di intelligentoni quà’!

  9. vabbeh, ilpostodellesviste.it ha raccolto la provocazione. Si vede che, oltre agli piacciono gli apostrofini, gli piace apostrofare 🙂

  10. Mi scuso anche io per l’OT, protrattosi fin troppo (scambiare battute per arroganza… pfff).
    Quando ho letto “Che cos’è la letteratura?” di Sartre, ho smesso di chiedermi altro in merito.
    Lo si puo’ trovare qui:
    http://www.internetbookshop.it/ser/serdsp.asp?feature=cover&isbn=8851521972
    e fra l’altro si legge nella scheda: “questo scritto rifiuta l’idea che il romanzo abbia “esistenza autonoma”, sia frutto di un atto di creazione assoluto. La letteratura, per Sartre, è lo spazio in cui autore e lettore dialogano a partire dalle proprie concrete esistenze storiche: il senso dei loro sforzi opposti e complementari è approfondire la coscienza della libertà umana”.
    Ciaociao

  11. Si, è giusto, però poi con lo scarafaggio stercorario di Kafka come la mettiamo? è andato oltre kafka (quello che gli o quello ci, ci ha narrato)? quanto è andato oltre? è uscito da sè? quanto parlava della realtà che gli stava attorno? (realtà politica). ci ricordiamo di più il buco che gli fa la mela sul fianco che gli butta apposta il padre o che cosa stava succedendo in quegli istanti fuori dalle finestre di quella casa? vecchine a parte. e però devo correre. peccato. mi piaceva la discu”s”ione 🙂

  12. Lo farei molto di più di quanto già nonfaccia, se fossi l’argomento del post. Per adesso accetto la critica e ti rispondo: Io mi do spesso della tonta. Adesso non mi ribattere “ma non lo pensi veramente!”, perchè il gioco diventa banale e non gioco più perchè mi annoio.

  13. Ecco. Un pfff. Il post di oggi è sulla “letteratura” e proprio il pfff di Emmina e la parola arroganza secondo me ci possono aiutare. Un pfff, come gesto, in un romanzo, è ciò che può 1. dare consistenza a un peronsaggio; 2. togliergliela; 3. fare sì che un autore sia o no sia. Mi pare che anche in quello che Emmina cita di Sartre, – bello – ci sia il riferimento all'”uomo (e alla donna) tutto interi”. Lo stesso che si diceva sull’arroganza, o sull’alzata di spalle, ( o sul pfff) vale per le virtù, nei bei romanzi (il personaggio che crede di averne molte, e invece non ne ha, l’altro che crede di non averne e invece ne ha, il coraggio … come la virtù). La letteratura per me si gioca su tutto questo. Si gioca sul filo di un pfff. Purtroppo e per fortuna. 🙂

  14. “Questa retorica della delegittimazione secondo me è uno degli aspetti della restaurazione in atto oggi”, ha scritto Scarpa su NI (nel post della volpe). Sono d’accordo.
    E sono sicura che la frase si possa anche pensare riferita al contributo che puo’dare uno scrittore quando sa andare oltre rispetto al proprio testo, alla sua opera pubblicata, offrendo un punto di vista su ciò che ci (e non solo GLI) accade intorno, a partire dalla letteratura.

  15. Credo che esista un modo di parlare – oltre che di sé – dell’altro (=degli altri=di ciò che accade attorno perché accade DENTRO a tanti), ANCHE scrivendo di scarafaggi.

  16. E se dicessimo che la Letteratura è quella cosa che si può dire solo attraverso tanti puntini di sospensione ma senza scriverli nella sua definizione? Ecco, giusto, come ho fatto io. Be’, un po’ di presunzione ci vuole, o no? Altrimenti Letteratura non sarebbe neanche per definizione o sostantivo.
    Saludos
    Iannox

  17. E io che pensavo di essere un mediocre cretino che si esprime come un formidabile cretino! Si impara sempre, non c’è che dire.

  18. Tutto molto bello, interessante discussione, ma avete dato un’occhiata alle classifiche? La quantità di sciocchezze pubblicate è enorme, e i lettori se le bevono tutte. Nove decimi dei libri più venduti sono insulsaggini. C’è di che disperarsi. Coelho, Wilbur Smith & co. Una catastrofe totale! Ma lettori così secondo voi meritano rispetto? Non siamo troppo indulgenti e perversamente democratici nel subire questa dittatura di una maggioranza completamente imbecille?

  19. Non mi pare che quelli di NI siano meno imbecilli degli uomini massa che leggono Wilburn Smith. Siamo al delirio e il peggio che i deliranti sono la creme degli scrittori italiani che fanno tendenza. ma de chè. E poi no, Sartre proprio no! Ma leggetevi Kundera! Ammesso che voi leggiate.

  20. MKudera, sì, mica uno scherzo: questo sì che è scrittore che vale. Wilbur Smith & Co. non li prendo in considerazione neanche in veste di imbrattacarte.
    Saludos
    Iannox

  21. Per tornare in tema, proverò ad essere dogmatico e azzardare una risposta.
    La letteratura è scrittura che diventa un’opera d’arte.
    L’arte è l’attività umana creatrice di simboli.
    Fare letteratura è scrivere parole che meritano di essere ricordate, e lasciano qualcosa dentro a chi legge, suscitando una risposta estetica (e talvolta estatica) nel lettore in grado di recepire il messaggio.
    Hoc scripsit – Ave et Vale.

  22. Gilgamesh, un dogma alla volta
    Cominciamo dal penultimo: l’arte NON è LA attività umana creatrice di simboli, ma UNA attività umana creatrice di simboli, altrimenti dove c’è simbolo ci sarà arte. Fatto che mi pare ben poco sostenibile (anche una campagna pubblicitaria è un’attività umana creatrice di simboli, in maniera del tutto convenzionale, ma raramente sarei disposto a vedervi “dell’arte”, bensì un uso distorto di ciò che può essere accettato o compreso per convenzione).
    Ancora: quando potrebbe, la scrittura, diventare opera d’arte, cioè letteratura, secondo la tua definizione, essendo sottoposta alla schiavitù del simbolo, che è a sua volta patrimonio della comunità? E’ la comunità che, per assurdo, convalida l’opera d’arte come tale? E se così fosse, quanto deve essere ampia questa comunità?
    per ultimo: “Fare letteratura è scrivere parole che meritano di essere ricordate, e lasciano qualcosa dentro a chi legge, suscitando una risposta estetica (e talvolta estatica) nel lettore in grado di recepire il messaggio.”
    La tua definizione si adatta benissimo anche all’insulto (non nel senso che io ti voglia insultare): l’insulto lascia qualcosa che merita di essere ricordato, lascia qualcosa dentro il lettore, e spesso suscita una risposta estetica. Ciò non fa, in generale, dell’insulto un’opera d’arte, almeno mi pare.

  23. Vale per Carmelo Bene, ma vale da ora in generale: non mi piace cancellare i commenti, e lo sapete. Ma non sono più disposta ad ammettere insulti personali. Una cosa è discutere, un’altra e usare il blog come il cestino dei rifiuti: ok?
    Grazie a chi riporta il discorso a quel che si spera debba essere: nel caso, a Gilgamesh.

  24. Cara Lolip, non ti preoccupare: per tutelare la mia onorabilità mi son dato del cretino da solo. Così Carmelo Bene può andare beatamente a passeggio nei Campi Elisi, senza prendersi altri disturbi.

  25. Giuste obiezioni, Roquentin.
    Provo a precisare.
    L’arte è comunque, spero ne converrai, la principale e più importante attività umana creatrice di simboli.
    Perfino la pubblicità, intesa come comunicazione visiva e audiovisiva, può talvolta essere arte.
    Non vedo il simbolo come una schiavitù, né necessariamente subordinato ad un’approvazione comunitaria. L’arte può non essere compresa e restare tale, un buon esempio potrebbero essere le opere di Picasso.
    Continuo a pensare che la differenza tra la semplice scrittura e la letteratura stia nella qualità artistica dello scritto, e nella risposta estetica che genera in un lettore adeguatamente preparato. Potresti provare a proporre una definizione alternativa, se ti va, potrebbe ampliare questa o potrebbe confutarla, naturalmente, potrei essere d’accordo o provare a discuterla a mia volta. Credo sarebbe comunque utile ad una migliore comprensione per tutti.
    Per finire, anche l’insulto può essere un arte: Guillaume Apollinaire scrisse delle magnifice invettive con lo pseudonimo di Louise Lallane, indubbiamente artistiche :o)
    Buon fine settimana a tutti, e buon 25 aprile per chi lo festeggia, al di là del ponte (io passerò un po’ di tempo con dei vecchi partigiani, per l’occasione)

  26. …D’altra parte hanno diritto di esistere, come direbbe il mio maestro Juan Carlos Onetti, soltanto le parole che sono migliori del silenzio….
    E. Galeano
    dall’intervista pubblicata oggi su ‘repubblica’

  27. Spettatrix, allora le uniche che davvero hanno ragione sono le suore, “Bambini! Silenzio! Bambini, silenzio! Silenzio!”

  28. Posto, mo’ non esageriamo, l’ho ‘postato’ perche’ mi piaceva anche un po’ la provocazione del silenzio, ma non riferita all’azzittimento cattolico o inquisitorio. Galeano ne parlava a proposito del materiale che non era rientrato nella stesura finale della ‘memoria del fuoco’. Quindi parole come scelta per gli scrittori: parole indubbiamente migliori del silenzio, poi forse, libri/letteratura come parole migliori del silenzio anche per i lettori, per chi usufruisce del lavoro di uno scrittore. Non so, a me non pareva ci fossero imperativi del tipo: statevi zitti, parlano solo quelli autorizzati. Non credo che da lettrice potrei permettermi simili affermazioni, visto che sono curiosa, onnivora e solo a posteriori decido cosa era meglio se ne stesse nella mente del writer, ….pero’ sempre in senso relativo, visto che magari ad altri piace e non voglio fare la suora che silenzia 🙂
    besos
    P.s: adesso non pensare che sono un essere amorfo e che non mi scandalizzo neanche per la trilogia Fallace. Ho le mie indignazioni, le mie incazzature e… le manifesto anche con una certa forza 🙂

  29. Spettatrix, ma si capiva
    🙂 Mi piaceva l’immagine delle suorine, che gridano per il cortile, senza fiato, “Silenzio, bambini!”, e fanno sì che i bambini identifichino il silenzio con una “palla mostruosa!, una rottura stratosferica!” 🙂 invece perchè no? certe volte il silenzio è meglio, certo!
    🙂

  30. @ roquentin – anche l’insulto può essere un’opera d’arte, vedi il pernacchio di eduardo de filippo ne ‘l’oro di napoli’.

  31. definizione sommamente parziale: letteratura è una piegatura nell’uso della scrittura tale per cui, parlando d’altro, parla di se stessa e in tal modo si fa paradossalmente, e senza indicare o ritenere, oggetto di sé (“forma di vita”, andrebbe detto poiché a riassume l’umano come capacità di far segno), ossia mostra il proprio senso di evento e non solo il proprio oggetto di senso, così da rendersi sempre strutturalmente reinterpretabile non solo dal lato del suo oggetto o contenuto, il che è vero per tutti i testi, ma dal lato del suo esser qui, ossia inevasa, imprevista, sempre “troppo”, eccedente (in tale modo è scrittura al quadrato, come la scrittura è in certo modo il quadrato – la piegatura interna – del linguaggio, e il linguaggio in certo modo il quadrato del rimbalzo gestuale e così via)

  32. “L’arte è comunque, spero ne converrai, la principale e più importante attività umana creatrice di simboli.”
    Ne convengo, ma parzialmente. La principale attività umana produttrice di simboli è senza dubbio il linguaggio, quale che sia l’accezione del termine, più o meno ampia.
    “Perfino la pubblicità, intesa come comunicazione visiva e audiovisiva, può talvolta essere arte.”
    Vero, ma non di regola. Giacché si parlava di definire una zona oscusa, basta che un caso di un “tipo” non ricada sotto quella definizione per poterlo addurre ad argomento d’esempio.
    “Non vedo il simbolo come una schiavitù, né necessariamente subordinato ad un’approvazione comunitaria.”
    Dicevo schiavitù senza alcuna connotazione negativa o di valore. NOn è il simbolo, come noti bene, ad essere soggetto all’approvazione della comunità, ma il simbolo come prodotto di un linguaggio, simbolico per costituzione, ad essere sottoposto, per quanto concerne la comprensione, al vaglio della comunità. E’ solo all’interno delle convenzioni linguistiche che può avere luogo qualcosa come il significato, al di fuori non avrebbe senso. Per cui, per quanto la costituzione di un simbolo possa essere, artisticamente parlando, un evento privato, diventa subito un fatto pubblico non appena pretenda di comunicare qualcosa.
    “L’arte può non essere compresa e restare tale, un buon esempio potrebbero essere le opere di Picasso.”
    Dipende da cosa intendi per comprensione. Escludo che tu stia parlando di comprensione logica, e faccio notare che la comprensione di Picasso (banalità) non è mai la comprensione di una frase, altrimenti Picasso si sarebbe espresso per verba. Il linguaggio verbale, come il nostro dissertare intorno alle opere, è una forma di mediazione che non è introdotta dall’artista, ma dal “fruitore”: e in più è una questione sociale.
    “Continuo a pensare che la differenza tra la semplice scrittura e la letteratura stia nella qualità artistica dello scritto”
    Ci sono e sono d’accordo, ma ti renderai conto che non è facile evitare le tautologie sostenendo questa tesi
    “e nella risposta estetica che genera in un lettore adeguatamente preparato.”
    Difficile non essere d’accordo, bisogna vedere se non sia un atteggiamento troppo vago o troppo intimista. L’arte pretenderebbe di essere universale, o di non riguardare solo il gusto di uno, alla stregua di un un buon piatto di cavolfiori. Ci si caccia in un vicolo cieco
    “Potresti provare a proporre una definizione alternativa, se ti va, potrebbe ampliare questa o potrebbe confutarla,”
    Confutarla non è possibile, credo (come non si possono confutare le tautologie), perché molto di ciò che dici è formalmente corretto. Il punto è un altro: chiedere la definizione equivale a chiedere: “cosa è X”, e presumere che X appartenga ad un universo ben identificabile e circoscrivibile; significa chiedere dell’essenza di X; ma il fatto che si possa comporre grammaticalmente la domanda non significa che la domanda abbia una risposta, né che questa sia una buona “strada da battere”. Io credo che le definizioni siano abiti stretti per la letteratura, e sono abituato a distinguere l’opera letteraria con un semplice “questo”, un “ciò”, un’indicazione che non è solo pubblica affermazione di valore, ma anche pretesa di riconoscimento di quel valore (impresa per lo più ai limiti del ridicolo, come noto quando si parla di letteratura negli ultimi giorni: sono d’accordo con 4 gatti che non hanno voce in capitolo e rido degli “altri gatti”).
    “naturalmente, potrei essere d’accordo o provare a discuterla a mia volta. Credo sarebbe comunque utile ad una migliore comprensione per tutti.”
    Io propongo di farla, la letteratura, e di accantonare il problema della definizione. Del resto, una certa isteria definizionista segna questi tempi bisognosi di risposte urgenti. Aggiungo, qui come altrove, che una risposta alla domanda “che cos’è letteratura” non deve essere contenuta per forza di cose in una frase: Sartre rispose con un saggio, e, fatto che si tende a trascurare, con l’opera: di fronte all’opera la risposta alla domanda cos’è letteratura è: “eccola, tieni” (da qui, lo ammetto, potrebbero nascere infiniti equivoci).
    “Per finire, anche l’insulto può essere un arte: Guillaume Apollinaire scrisse delle magnifice invettive con lo pseudonimo di Louise Lallane, indubbiamente artistiche :o)”
    Ciò non toglie che l’insulto non è di regola arte, e che basta che non lo sia in un caso solo perché il mio esempio abbia valore: se adesso ti dicessi “vaffanculo” la tua reazione non sarebbe di contemplazione estatica (non c’è nessuna battuta sottintesa, eh)
    Buon fine settimana a te, in compagnia dei partigiani, non so dove si siano nascosti qui al sud, ma li cercherò, per così dire.

  33. Visto che G. Genna non è raggiungibile dal sul blog volevo ringraziarlo per il bellissimo pezzo di Houellebecq tradotto e pubblicato nel suo blog.
    Ancora ancora ancora!

  34. In due libri che h letto ultimamente si affrontava il tema della definizione e della funzione della lettartura, e i due scrittori davano le loro risposte. Risposte che si rivelano essere stupefacentemente simili, quasi sovrapponibili nel legare intimamente letteratura e morte.
    Umberto Eco: “La funzione dei racconti “immodificabili” è proprio questa: contro ogni nostro desiderio di cambiare il destino, ci fanno toccare con mano l’impossibilità di cambiarlo. E così facendo, qualsiasi vicenda raccontino, racontano anche la nostra, e per questo li leggiamo e li amiamo. Della loro severa lezione “repressiva” abbiamo bisogno. […] I racconti “già fatti” ci insegnano anche a morire.
    Credo che questa educazione al Fato e alla morte sia una delle funzioni principali della letteratura. Forse ce ne sono altre, ma ora non mi vengono in mente.
    Thomas Pynchon: Quando parliamo di lettratura “seria”, in definitiva ci riferiamo a un certo atteggiamento verso la morte: a come i personaggi si comportano in sua presenza, o a come la trattano quando non giunge immediata. Questo lo sanno tutti, ma agli scrittori più giovani la faccenda non viene quasi mai spiegata.

  35. Da “essere e tempo” in poi (di Martin Heidegger, spero che la precisazione sia inutile), gli scrittori giovani hanno tutta intera la responsabilità della propria insipienza. Su “l’essere per la morte”, sulla condizione di precarietà e più in generale sulla condizione umana, sulla responsabilità nei confronti della gestione del tempo, sull’analisi di situazione ed esistenza si fondava l’opera di Sartre a cui Lipperini fa riferimento nel post successivo. Non è un caso che le due definizioni che citi (che poi non sono esattamente definizioni) abbiano molto in comune. Tuttavia, Aleroots, bisogna sempre superare lo scoglio della pochezza intellettuale di chi ritiene che mezzo secolo fa vissero i dinosauri, e che l’essenziale l’abbia detto Carver, che prima non si pensasse, o che quel pensiero sia ormai stagionato. Balle a buon mercato per chi, con quel pensiero, non saprebbe confrontarsi e, di fronte a quel pensiero, dovrebbe negare la propria appartenenza alla tanto ambita “classe degli scrittori” (una classe meramente fittizia, una barzelletta costruita ad hoc e sigillata da strette di mano dei sedicenti scrittori).

  36. Roquentin, ti ringrazio dei pensieri, e del pensiero. Io non sono propenso ad attaccarmi a tale scoglio, anzi, se corro un rischio, è quello opposto (sicuri che i dinosauri non si stiano prolificando proprio oggi? vabbé,scherzo…). Solo quei due pensieri, non sono definizioni, vero, mi sono capitati sotto gli occhi quasi contemporaneamente, e mi ha colpito il loro toccare lo stesso punto.

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