Oggi su La Stampa in edicola torno a parlare dei librai Feltrinelli. E parlo anche di un’altra cosa, che racconta nell’articolo Corrado Meluso della valorosa Timeo. Riporto il suo virgolettato perché è importantissimo.
“Feltrinelli ha preteso dagli editori più piccoli uno sconto di oltre il 50% (a cui vanno aggiunte le percentuali di promozione e distribuzione) solo per aprire le cedole novità e valutarle, e senza garantire maggiore esposizione né un incremento del prenotato – e considera che la nostra media di prenotato al lancio nel circuito Feltrinelli è stata, nei due anni scorsi, di 17 copie a titolo per oltre 150 librerie.
Editori un po’ più grandi di noi sono stati inclusi in un programma chiamato Panoplia, che prevede uno sconto base del 48%, che aumenta di 2/3 o 4 punti nel caso dovesse generare un incremento sul sell out del 10/20 o 30% rispetto all’anno precedente, e consente agli editori di raccontare la cedola anche ad alcuni librai Feltrinelli oltre che alla propria rete vendita: disintermediando si aumenta lo sconto, in buona sostanza, anziché diminuirlo”.
Cosa succede se ti rifiuti? Non sei in Feltrinelli, se non a richiesta del lettore (con quello che i librai Feltrinelli chiamano “Ordine Special”). E perché succede? Per un motivo ovvio, da una parte: dare più spazio ai libri pubblicati dal gruppo, e ci potrebbe pure stare. Si chiama Progetto Panoplia, e al momento coinvolge un centinaio di case editrici.
Ma c’è un altro punto su cui sarebbe bello si riflettesse tutti insieme, scrittrici e scrittori, librai e libraie, editori ed editrici eccetera. Da dove arrivano i nuovi vertici delle case editrici? Non parlo della direzione editoriale, ovviamente: parlo di chi fa l’amministratore delegato e che in moltissimi casi arriva da altre esperienze, prestigiose ma diverse. Moda, telefonia, finanza. Percorsi degnissimi, ma che forse tendono a equiparare la professione del libraio, o di chi lavora in una casa editrice, a tutte le altre. E non è così.
Il lavoro culturale è un’altra cosa. Il lavoro culturale è parlare di tutto questo, proprio perché chi scrive dovrebbe teoricamente possedere le parole per farlo.
Facciamolo, dunque.