MADRI

“Poiché in quanto Madre fu ridotta a serva, in quanto madre sarà amata e venerata. Dei due antichi volti della maternità, l’uomo d’oggi ne vuole conoscere uno solo, quello sorridente. Limitato nel tempo e nello spazio, con un corpo finito e una vita che deve spegnersi, l’uomo non è che un individuo imprigionato nel seno d’una natura e d’una storia che gli sono estranee. Limitata come lui, simile a lui, perché anch’essa abitata dallo spirito, la donna appartiene alla natura, è attraversata dalla corrente senza fine della vita; ha quindi il carattere di mediatrice tra l’individuo e il cosmo. Quando l’immagine della madre diviene rassicurante e santa, si capisce che l’uomo si volga a lei con amore. Sperduto nella natura, cerca di liberarsene; ma diviso da lei, aspira a ricongiungersi. Saldamente assisa nella famiglia, nella società, in armonia con le leggi e i costumi, la madre è l’incarnazione del Bene: la natura cui partecipa diventa fausta, propizia; cessa d’essere nemica allo spirito”.
Era Simone de Beauvoir, naturalmente. E mi è tornata in mente  dopo aver letto, come scrivevo ieri su Facebook, L’evento di Annie Ernaux, dove la scrittrice racconta chirurgicamente e sartrianamente la storia del suo aborto clandestino. Ma altrettanto naturalmente mi torna in mente a ogni pié sospinto, ogni volta che apro un social e leggo insulti sguaiati di mamme perfette verso chi di quella perfezione non è degno (come gli sventurati genitori che hanno abbandonato il loro bimbo malato a Torino, sventurati, infelici certamente e adesso anche messi in croce da un branco di magnifiche genitrici).
La natura, ti rispondono queste mamme. E’ “naturale” amare un figlio perché l’istinto materno è naturale. Ecco, anni fa ricordavo che, a dispetto di ogni idillio nostalgico e di ogni trend culturale, andrebbe ricordato che Natura e Bene, però, non coincidono (e non pochi storici contemporaneisti, come Giovanni De Luna, lo hanno sottolineato dopo la catastrofe giapponese del 2011, che segna il tramonto dell’ultima illusione novecentesca, quella di poter “sottomettere” la natura stessa, e di poter arginare gli effetti di un terremoto o di uno tsunami). Ma il nuovo culto della Natura benefica coincide con la riassunzione di una figura materna che la rappresenta: e che forse non può fermare un terremoto, ma potrebbe essere utilissima, simbolicamente e praticamente, per contrastare gli effetti di una crisi che è economica e prima di tutto culturale.
Come la mettiamo, con la storia dell’istinto? Un saggio di diversi anni fa,   L’amore in più di Elisabeth Badinter si apre con le cifre redatte nel 1780 dal prefetto di polizia Lenoir: dei ventunomila bambini che nascevano ogni anno a Parigi, appena mille venivano allattati dalle madri. Badinter scrisse il saggio nel 1980: dalle affermazioni di Simone de Beauvoir, che aveva rimesso in discussione l’istinto materno, era passato quasi mezzo secolo, e molte erano state le donne che avevano seguito la sua strada: “ma poiché queste donne – scrive Badinter – erano delle femministe, si preferì credere che la loro illuminazione fosse più militante che scientifica. Invece di discutere le loro idee, molti si misero a ironizzare sulla sterilità volontaria delle une o sull’aggressività e la virilità delle altre”.
Anche per Elisabeth Badinter, dunque, l’istinto materno è quanto meno variabile e non innato, dunque non “istinto”: “l’amore materno è solo un sentimento umano. E, come tutti i sentimenti, è incerto, fragile e imperfetto. Contrariamente a quanto si crede, forse non è inciso profondamente nella natura femminile”. Perché la natura si intreccia sempre con la storia degli uomini e delle donne: e a seconda di chi viene posto al centro dell’attenzione e delle necessità sociali (o economiche) del momento, i ruoli cambiano. I bambini non sono stati sempre piccoli re: ma nel momento in cui lo sono diventati, nel momento in cui le ansie e soprattutto gli interessi economici della società sono stati proiettati su di loro si è cominciato a chiedere alla madre di rinunciare a ogni altra aspirazione. Scrive ancora Badinter: “succube suo malgrado dei valori maschili, sarà proprio la madre trionfante che saprà meglio vanificare tutte le richieste di autonomia delle donne, perturbatrici del benessere sia del bambino che del padre”.
Parliamoci chiaro: i bambini servono. Servono oggi al mercato, che conosce le madri come consumatrici di prim’ordine, e che non gioisce del calo della natalità delle italiane (utilissime anche come care givers, visto che quel poco di welfare che c’è va tagliato).  Servivano ieri: l’ondata settecentesca di esaltazione dell’amor materno in Francia si deve all’improvvisa assunzione dei figli a valore di merce, e all’urgenza di avere nuovi cittadini per la ricchezza della nazione e il benessere comune, nonché per la potenza militare dello Stato. Nel 1756 il “filantropo” Monsieur de Chamousset scrive il Mémoir Politique sur les Enfants, dove lamenta la piaga dei bambini abbandonati. Costano troppo, e muoiono in troppi: “è triste vedere come le spese considerevoli che gli ospedali sono obbligati  a sostenere per i bambini esposti producano così scarsi vantaggi allo Stato (…). La maggior parte muore prima di arrivare a una età in cui si potrebbe trarne qualche vantaggio”.. Nell’Emilio (1762) Rousseau sarà esplicito: “Dalla donna dipende la prima educazione dell’uomo, dalla donna dipende anche ogni sua futura abitudine (…). Allevare dei bambini e farne degli uomini; quando sono grandi, curarli, consigliarli, consolarli (…) ecco i doveri delle donne in ogni tempo”.
Questa è la legge di natura e nel Settecento, racconta Badinter,  diviene una moda: “gli intellettuali più sofisticati citano con rispetto i racconti di quei viaggiatori che riferiscono di madri che allattano naturalmente: della loro tenerezza e dei bambini lasciati con il corpo libero. In antitesi alle abitudini europee, i comportamenti dei selvaggi sembrano verità primordiali. Tutti si appassionano a queste donne mezze nude che non abbandonano mai i loro figli finché non sono svezzati”. Le madri, dunque, vengono allettate con promesse di bellezza e felicità e minacciate fino a teorizzarne la morte se fanno riassorbire artificialmente il latte (succede anche ora, con le decine di controindicazioni inflitte a chi prende compresse per non allattare).  Infine, le donne cedono. Per prime quelle che appartengono ai ceti elevati e un secolo dopo le altre: dal baliatico si passa all’allattamento al seno.
Peraltro, non è detto che chi, all’epoca, sposò la legge di natura, l’abbia fatto per convinzione e spirito di sacrificio. Le donne, racconta Anna Laura Zanatta in Nuove madri e nuovi padri, scoprirono anche che allattare al seno riduceva il rischio di gravidanza, e non poteva che essere una magnifica notizia per chi trascorreva l’età fertile sfiancandosi tra figli e aborti. Inoltre, la diminuita mortalità infantile dovuta al latte materno consentiva un maggiore investimento affettivo ed economico nei confronti della prole, in un’epoca in cui i sette o dieci bambini partoriti mediamente da una donna morivano o rischiavano di non superare i primi anni di vita.
La casalinga nasce dopo, insieme all’economia capitalistica, alla trasformazione dei contadini in operai, alla separazione del lavoro dalla vita in casa: la specializzazione femminile nella cura e l’identificazione definitiva fra donna e madre avviene così, con il fattivo contributo della Chiesa. In Italia, fino alla riforma del diritto di famiglia nel 1975, il lavoro delle madri è totalizzante e senza riconoscimenti: parallelamente a quanto avvenuto in America, è il femminismo a restituire dignità alle donne che lavorano in casa e a far esplodere le contraddizioni fra idealizzazione e sostegni reali che fin dall’Unità d’Italia sono stati, e restano, scarsissimi.
Dunque, siamo all’oggi, con i doveri delle donne che tornano prepotentemente in primo piano con le stesse parole e le stesse motivazioni di due secoli fa, magari con Bill Sears e i suoi manuali sul sonno condiviso al posto di Rousseau. La mistica del materno riemerge in un momento in cui le madri, dice ancora Anna Laura Zanatta, sono ancora più sole: “proprio perché avere figli non è più un destino obbligato, si rileva un diffuso senso di inadeguatezza, di ansia, di insicurezza di fronte alle responsabilità legate al diventare genitori, percepite, correttamente, come più complesse e impegnative rispetto al passato”. Come vedremo, all’incertezza esistenziale corrisponde una richiesta di sacrificio reale. Oggi, il 41% delle madri ricorre al part time, quasi il cento per cento somma alle ore trascorse in ufficio quelle spese per casa, figli, famiglia, genitori anziani, un quinto delle donne lascia l’impiego dopo la nascita o per scelta o perché licenziata (la maggioranza desidera tornare a lavorare).
E’ come se quella figura “naturale” avesse oscurato tutto il resto, e il resto è moltissimo. Solo una percentuale minima dei padri usufruisce del congedo parentale: eppure è questo il punto centrale, perché la rivoluzione dei padri, il modo in cui la loro immagine e il loro ruolo sta cambiando, è stata velocissima, e potrebbe esserlo ancora di più se venisse riconosciuta e sostenuta. Quante volte lo hanno ribadito non solo filosofe, ma analisti economici e sociologi? La parità fra i sessi sarà realizzabile solo quando ci sarà una condivisione assoluta del lavoro domestico e di cura e un adeguamento delle politiche sociali alla nuova condizione delle donne e degli uomini. Sul secondo punto, la strada è ancora in salita. Sul primo, si potrebbe fare molto. Potrebbero fare molto le donne stesse, anche. A patto di scendere dal piedistallo e cedere parte del loro potere. E piantarla di lapidare quelle che vengono considerate “cattive madri” e che non sono che uno specchio deformante dove riflettere la propria, presunta, virtù.

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