Sto ripensando alla trasmissione di due giorni fa, quando abbiamo parlato dei necrologi scritti da Manganelli (Il vecchio gioco di esistere, Hacca) e di quel condolersi collettivo che è proprio di social. Ci penso perché penso alla rapidità del tempo, di questo tempo.
Per quanto io faccia e scriva tante cose, e abbia giornate pienissime, resto quella che cammina piano. Sono la tartaruga di Zenone e di Achille non mi curo. Sono quella che ogni volta viene sorpassata da persone sbuffanti (“eh mamma mia che lentezza”) e mandata a quel paese dai motociclisti mentre attraverso (sulle strisce, ma sempre piano). Non è colpa dell’artrosi. E’ che immagino un sacco di cose quando cammino (quali fiori piantare, quanto sono belli i figli, dove sarà finito stanotte il gatto, che meraviglia il libro che sto leggendo – o che delusione -, quali storie si stanno intrufolando per essere scritte).
Quindi, sono lenta dentro. E penso a quanto siano cambiate le cose proprio sul lutto.
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Quando la letteratura dice “io”, e lo dice sempre più spesso e in ogni forma, e anzi a questo punto sa che, almeno per un altro po’ di tempo, più dice io e più incontrerà successo, è normale che le altre forme narranti ripetano “io”. In verità, hanno cominciato prima le altre forme: la televisione e poi, ovviamente, i social. Dunque, non mi stupisce che anche le lettere sanremesi continuino (Chiara Ferragni non è la prima) a dire “io” per poi provare a declinare il noi, senza davvero volerlo fare, credo.
Naturalmente non propongo un paragone ma un’alternativa possibile. Un altro modo di dire “io”. E, soprattutto, un altro intento. Dal discorso di Annie Ernaux per l’accettazione del Nobel per la letteratura.
“È così che ho concepito il mio impegno nella scrittura, che non consiste nello scrivere “per” una categoria di lettori, ma “partendo” dalla mia esperienza di donna e di immigrata interna, dalla mia memoria ormai sempre più lunga degli anni attraversati, dal presente, fornitore incessante di immagini e parole degli altri. Questo impegno come pegno di me stessa nella scrittura, e sostenuto dalla credenza, divenuta certezza, che un libro possa contribuire a cambiare la vita personale, a spezzare la solitudine delle cose subite e seppellite, a pensarsi in modo diverso. Quando l’indicibile viene alla luce, è politico”.
Un po’ perché è ospite oggi pomeriggio a Fahrenheit nello speciale sul Salone del Libro, un po’ perché è importante, ripubblico l’intervento che Annie Ernaux fece per Gita al faro, Ventotene, nel 2016. Perché siamo sempre là, quattro anni dopo…
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E’ strano, no? Comunque la si metta, si parla sempre di come le donne si vestono. Un tempo la discussione era sulle femministe che, si supponeva, sdegnassero la scarpa a stiletto di Jimmy Choo e persino l’uso del rasoio per…
Oh, dire il desiderio profondo di raccoglimento, di ritiro, di «non occupatevi di me» che mi viene direttamente, in modo inflessibile, dalla pena, quasi «eterna» – raccoglimento così vero, che le piccole inevitabili battaglie, i giochi d’immagini, le ferite, tutto…
Due giorni fa, all’Internet Festival di Pisa, in un intervento che non riguardava solo i migranti né solo le donne né solo la rete (e di che hai parlato?, direte: qualcosa qui), mi tornavano in mente le parole scritte per…
E’ sempre difficile ricominciare, giusto? Riaprire il computer delle ore lavorative, respirare aria cittadina, adattarsi ai ritmi ben noti. Tanto più è difficile dopo quanto è accaduto nell’ultima settimana, vissuto peraltro in separazione dalla terra non più ferma, nell’isola di…
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Cosa deve fare la letteratura? “Sbarazzarci delle ombre. E mettere via un po’ di vita, salvandoci dalla sparizione futura. E’ già questa la salvezza. Non voglio concentrarmi su una fede, non voglio strizzare l’occhio al lettore, non posso concepire opere…