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Questa mattina ho letto un articolo sul New York Times apparentemente leggero: raccontava di un servizio di porcellana passato attraverso cinque generazioni. Si comincia nel 1906, quando Laura Jane Briggs arriva a Boston dopo una lunga traversata dall’Inghilterra. E’ poverissima, ha tre figli piccoli, il marito è già in America. Dopo quattro anni, nonostante viva in affitto e non se la passi benissimo, acquista un servizio di porcellana di Limoges: erano gli anni in cui gli americani spendevano in media il 13% del loro reddito annuo in stoviglie, l’equivalente odierno di più di 10.000 dollari all’anno. Con il secondo matrimonio, le cose migliorano per Laura, che diventa suffragetta e vive in una casa migliore. Ha con sé il suo servizio di porcellana: si rompe però una tazza, che ripara con attenzione.
Quel servizio passa attraverso molte mani, ogni volta si rompe qualcosa, ogni volta viene riparato. E’ destinato a finire negli scatoloni perché i figli dell’ultima erede hanno già fatto sapere che non sono interessati a quelle tazze e a quei piatti.
Mi ha fatto venire in mente qualcosa che scriveva Ernaux, e qualcosa sulla scrittura. Si può scrivere per moltissimi motivi, ma, almeno per me, se il punto di riferimento è la propria vita e basta, il risultato riguarderà poche persone. E, a meno che il gesto anche riparativo (incollare il coperchio della burriera, sì) che nella scrittura esiste non riguardi anche gli altri, quello che scriviamo potrebbe metaforicamente finire negli stessi scatoloni del servizio di porcellana di Laura Jane. Forse.

Sto ripensando alla trasmissione di due giorni fa, quando abbiamo parlato dei necrologi scritti da Manganelli (Il vecchio gioco di esistere, Hacca) e di quel condolersi collettivo che è proprio di social. Ci penso perché penso alla rapidità del tempo, di questo tempo.
Per quanto io faccia e scriva tante cose, e abbia giornate pienissime, resto quella che cammina piano. Sono la tartaruga di Zenone e di Achille non mi curo. Sono quella che ogni volta viene sorpassata da persone sbuffanti (“eh mamma mia che lentezza”) e mandata a quel paese dai motociclisti mentre attraverso (sulle strisce, ma sempre piano). Non è colpa dell’artrosi. E’ che immagino un sacco di cose quando cammino (quali fiori piantare, quanto sono belli i figli, dove sarà finito stanotte il gatto, che meraviglia il libro che sto leggendo – o che delusione -, quali storie si stanno intrufolando per essere scritte). 
Quindi, sono lenta dentro. E penso a quanto siano cambiate le cose proprio sul lutto.

Quando la letteratura dice “io”, e lo dice sempre più spesso e in ogni forma, e anzi a questo punto sa che, almeno per un altro po’ di tempo, più dice io e più incontrerà successo, è normale che le altre forme narranti ripetano “io”. In verità, hanno cominciato prima le altre forme: la televisione e poi, ovviamente, i social. Dunque, non mi stupisce che anche le lettere sanremesi continuino (Chiara Ferragni non è la prima) a dire “io” per poi provare a declinare il noi, senza davvero volerlo fare, credo.
Naturalmente non propongo un paragone ma un’alternativa possibile. Un altro modo di dire “io”. E, soprattutto, un altro intento. Dal discorso di Annie Ernaux per l’accettazione del Nobel per la letteratura.
“È così che ho concepito il mio impegno nella scrittura, che non consiste nello scrivere “per” una categoria di lettori, ma “partendo” dalla mia esperienza di donna e di immigrata interna, dalla mia memoria ormai sempre più lunga degli anni attraversati, dal presente, fornitore incessante di immagini e parole degli altri. Questo impegno come pegno di me stessa nella scrittura, e sostenuto dalla credenza, divenuta certezza, che un libro possa contribuire a cambiare la vita personale, a spezzare la solitudine delle cose subite e seppellite, a pensarsi in modo diverso. Quando l’indicibile viene alla luce, è politico”.

MADRI

“Poiché in quanto Madre fu ridotta a serva, in quanto madre sarà amata e venerata. Dei due antichi volti della maternità, l’uomo d’oggi ne vuole conoscere uno solo, quello sorridente. Limitato nel tempo e nello spazio, con un corpo finito…

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