MANIFESTI?

Tirata per la giacchetta (anzi: per il caschetto), da Palmasco e, nei suoi commenti, da Herzog, nonché resa meditabonda dall’orgoglioso quasi-manifesto di Strelnik , torno sulla questione, peraltro annosa, del linguaggio dei blog, cui si è in effetti solo accennato nella discussione di Galassia Gutenberg (sì, a volte le sedi deputate mostrano i loro peraltro inevitabili limiti: e viceversa la possibilità di proseguire in rete la discussione medesima mostra i vantaggi della blogosfera).

Dunque: sostenere, come ho fatto e continuo a fare, che non esiste una diversità linguistica nei weblog significa sostenere, più precisamente che non esiste uno stile comune. E’ che è giusto che sia così.

Facciamo un esempio. Dieci anni fa, in virtù della famigerata antologia Gioventù cannibale, si parlò giustamente di una nuova ondata di scrittori: ma, almeno i più accorti, non si riferirono tanto ai contenuti (il presunto pulp) che, se non vado errata, erano semmai un pretesto. Quanto al comune intento e alla comune prassi utilizzata da quegli stessi scrittori nello scardinare il linguaggio letterario fino a quel momento dominante innestandovi lingue che venivano da altri luoghi non letterari (televisione, cinema, fumetti) e reinterpretandole, rivivendole letterariamente.

Esiste qualcosa di analogo nei blog? No, e non può esserci. Per un banalissimo motivo: i blog sono talmente numerosi da poter parlare di intenti comuni solo per isole ristrette e indubbiamente felici di affini che si riconoscono come tali. La scrittura di Personalità Confusa, citata a Napoli da Jacopo De Michelis come espressione squisita di scrittura blog,  non somiglia a quella, per dire, di Hotel Messico, nè quest’ultima è avvicinabile a quella di Margherita Ferrari. Nè, immagino, intende esserlo. Eccetera.

Cosa unisce queste scritture necessariamente diverse? Il loro essere aperte, la possibilità, data, sì, dal mezzo,di modificarsi, evolversi, crescere insieme a chi le legge e le commenta. Che, attenzione, è fatto di enorme importanza, ed ha indubbiamente una valenza fin rivoluzionaria: ma non  intacca l’uso, personale, che ognuno  fa del linguaggio stesso.

Il punto è che  questo, a mio avviso, è un vantaggio, e non, come qualcuno può aver creduto, una penalizzazione. L’antagonismo caro a Herzog e a Strelnik, la forza dell’intelleguale, sta anche nella diversità stilistica di chi usa, con linguaggi anche lontanissimi, lo stesso mezzo. In questi casi, il non essere riconducibili ad un manifesto è un punto a proprio favore, nel momento in cui si tende comunque a ricondurre ad un unicum le scritture legate al web. Come mi sembra avvenga, a giudicare anche dal lungo articolo di Enzo Golino apparso oggi  sul quotidiano a proposito delle “scritture frenetiche” della rete, a partire dal libro Il parlar spedito. L’italiano di chat, e-mail e SMS di Elena Pistoleri.

Ps. Ho una quinta domanda per Tiziano Scarpa: nell’articolo di Golino, e nel saggio, si cita la proposta, che risale a qualche anno fa, di trovare un nome italiano per “e-mail.” La mia memoria è fallace, o ne parlasti proprio tu, in una puntata di Lampi?

69 pensieri su “MANIFESTI?

  1. Iannox, il neologismo è stato lanciato da Herzog a Galassia e ripreso da altri blogger: forse bisognerebbe meditare un po’ di più sull’idea a cui allude prima di fermarsi al termine, che piaccia o no. 🙂

  2. “Dunque: sostenere, come ho fatto e continuo a fare, che non esiste una diversità linguistica nei weblog significa sostenere, più precisamente che non esiste uno stile comune. E’ che è giusto che sia così.” e poi: “Esiste qualcosa di analogo nei blog? No, e non può esserci. Per un banalissimo motivo: i blog sono talmente numerosi da poter parlare di intenti comuni solo per isole ristrette e indubbiamente felici di affini che si riconoscono come tali. ”
    Sottoscrivo.
    (nome italiano per email? C’è già: posta elettronica. Se ne volete uno efficace come l’inglese, partite dai principi e rendete l’italiano “lingua agglutinante”) 😀

  3. Oddio! Ci mancava sol più l'”intelleguale”, terribile neologismo, più terribile concetto. Torno alle biglie, a giocare.
    Saludos.
    Iannox

  4. Ok, Herr Effe. Ammettiamo, per ragionamento di accettare la sua teoria non come punto di vista (legittimo) ma come proposta interpretativa da condivider: la domanda è… può farci degli esempi pratici in cui “lapproccio ideologico che descrive” si manifesta come forma di scrittura non riscontrata in Rete? 🙂
    come dire, okok, io posso credere che questa cosa esista, ma cavolo, mostramela 🙂

  5. Cara La Lipperini,
    sia questo uno dei luoghi in cui il centro della discussione, plasmato appena a Napoli, accorre presso altre periferie, delocalizzandosi.
    Parlando di linguaggi differenti: io credo nella specificità della scrittura in rete.
    Credo che l’antagonismo rispetto alla scrittura off line si debba tradurre in un movimento, in un gesto, e nell’affermazione : leggetemi così.
    E’ cosa certa che gli stili siano molti e diversi, e che questo rappresenti l’autentica democrazia delle possibilità.
    Ma l’uso che si fa del linguaggio – altrove l’hai correttamente definito “il processo creativo” – è riconducibile ad alcuni tratti fondamentali, che non ingessano, non irrigidiscono la scrittura in una definizione una volta per tutte, ma la chiamano con il proprio nome.
    Non voglio ripetere cose già dette, ma quando in rete si rilascia un testo – no, prima: quando si lavora e si amalgama un testo da rilasciare in rete, non è una mano sola che crea l’alchimia. La presenza dell’Altro, se è comune a tutte le scritture, qui non è mai fittizia, non immaginativa, non ologrammatica.
    L’Altro è davvero presente, con-testualmente, è lì, fisicamente vicino al testuante (definizione, quella di testuante, di manginobrioches, a cui credo, perché è vero: alle parole chiediamo sempre qualcosa, a volte ottenendo, a volte no), e non può non modificarne l’esito e l’intenzione.
    Anche off line la scrittura, una volta tagliato il cordone ombelicale della pubblicazione, non appartiene più a chi l’ha scritta, e deve giustificarsi da sola.
    Ma qui, in rete, il rapporto di mancato possesso, di mancata proprietà, non attende l’apposizione di un codice a barre sul risvolto di copertina: la scrittura viene rubata nel momento stesso in cui nasce.
    La presenza dell’Altro è espropriazione.
    Che poi è l’unico senso della scrittura.
    E infine, non può essere che un “prodotto” diverso, quello che nasce da presupposti differenti: fuori, l’editoria è il luogo dell’intellettuale e delle differenze; qui, è il luogo dell’intelleguale, della scrittura non prevaricante, della condivisione dei processi creativi con effetto moltiplicatore.

  6. Cara Loredana,
    diciamo pure che non è nuovo il concetto, già s’è detto, perlomeno in altri paesi. Ma il concetto m’annoia, e non è che non mi ci sia soffermato: solo che non sono un blogger e non ci tengo a parlare – a scrivere – con “nn”, “ke”, e pure stringato e banale talmente tanto da non dire niente. E’ come per gli sms: se parli con un 14enne, ti sembra di stare a parlare con un operatore telefonico andato in tilt. E così, anche la scrittura “in rete” è diventata un “tilt”.
    Lascia che torni a giocare con le mie biglie. Poi, ti prometto, leggerò pure Foscolo e Tolkien, qualche pagina dell’uno e dell’altro per non far torto a nessuno. 🙂
    Ciao
    Iannox

  7. Cara LaLipperini,
    riprendo volentieri la sua frase: “isole ristrette e indubbiamente felici di affini che si riconoscono come tali”
    perchè:
    i gruppi di affinità chiamati in causa rimandano a un concetto a me carissimo: le tertullias anarchiche – niente di nuovo ma poco esperito fino ad oggi – ossia gruppi e circoli aperti di discussione che sappiano aggregarsi – per questo son contento che nella discussione ci sia anche g.g.g. – su temi, stili, letterature, eventi che di volta in volta entrino sinceramente nell’agenda del nostro pensare/agire/scrivere.
    Un uomo non è un isola – diceva qualcuno – e per questo che gli stili personalissimi e genuinamente individuali trovano un crocevia e un grosso serbatoio di stimoli e passioni nell’incontro con l’Altro che sente vicino e “intelleguale”, generando un insieme assolutamente non coercitivo di tertullias che – secondo me – possono essere usate per intaccare la realtà e modificarla.
    Sarebbe utile tendere a:
    nessun appiattimento da ubriacatura collettivista, nessun egotismo stirneriano, nessuna concezione leninista della cultura: solo atomi che si aggregano o si distaccano per meglio incidere sull’esistente. Generando una varietà di stili e contaminazioni che ci fanno solo bene.
    Vorrei citare – per scomodare la letteratura – l’esempio pratico di Max Aub e della Barcellona degli anni Trenta – prima dell’aggressione di Franco –
    vorrei anche parlare del suo bellissimo ciclo di romanzi, riuniti in più di vent’anni, sotto il nome di “Labirinto magico” intriso di variazioni stilistiche e di approcci diversi – così come i singoli blogger fanno quotidianamente,
    ma
    adesso non posso e ripasso e riscrivo meglio – qui e/o sul blog – oggi quando sarò un po’ più libero dal lavoro…
    Salut et fraternité

  8. Cara Loredana, penso che il tuo punto di vista sia più che sensato. Tot capita, tot sententiae. Tanti stili quanti sono i blog.
    Lo “specifico” io lo vedo in questo: Platone diceva che se fai una domanda a uno scritto perché non hai capito una parola, una riga o un paragrafo, quello non ti sa rispondere, o meglio ti risponde sempre la stessa cosa: cioè, ripete la stessa parola, riga paragrafo, perché sei tu che devi arrangiarti da solo a capirlo, e non puoi far altro che rileggere la stessa parola, riga, paragrafo, e sperare di capire meglio. Se fai una domanda al testo di un blog perché non hai capito una riga o un paragrafo, quello “magicamente” prima o poi ti risponde! Mi sembra la realizzazione dell’utopia platonica: la conversazione orale, e il conseguente “accrescersi del sapere” attraverso la conversazione scritta, l’alzare la posta del senso, tipica dell’orale, applicata allo scritto, in tempi di reazione accettabilmente svelti.
    Quanto all’e-mail, accadeva nell’ottobre 2001, ai tempi di “Scrivere sul fronte occidentale”: proponevo “elettra”. Non è un gran che, ma almeno ci provavo.
    In generale, faccio notare che non sempre c’è bisogno di neologismi totali: si possono anche estendere i significati di parole già esistenti, far svolgere a vecchie parole nuovi compiti.
    Pensate a quel che è successo a “sito”, una parola piuttosto antiquata, dalle risonanze addirittura dannunziane, oppure un tecnicismo per archeologi, o per insegne démodé di alberghi di provincia (“Hotel Bel Sito”), che è rinata nuova fiammante nel suo uso internettistico. Similmente dicasi di “chiocciola”, “rete”, ecc.
    Cicerone aveva un problema più o meno della stessa natura quando doveva inventare parole latine adatte a tradurre concetti filosofici greci. Ricordo un suo attacco a tale Catius, che aveva proposto il neologismo “spectrum” per tradurre in latino gli “eidola” di Epicuro. A Cicerone la parola sembrava inelegantissima, perché era fatta con gli stessi mattoncini morfologici di ara-trum, e gli faceva pensare a un attrezzo da contadini. Naturalmente ognuno con il senno di poi vede quanta fortuna invece ha avuto la parola “spettro” in moltissimi ambiti.
    Infine, vorrei far riflettere anche su quante parole devono essere suonate assai sgradevoli all’inizio, mentre noi ora le usiamo correntemente, senza farci caso. Automobile, aeroplano, telefono, cellulare, metropolitana, telescopio, microscopio, stazione ferroviaria (aggiungi tu mille altri esempi) se ci pensi sono parole assai intellettualistiche e “cerebrali”, eppure ormai noi le percepiamo come normali. Secondo me è un peccato che a volte ci impigriamo nel non far fare alla lingua italiana mansioni nuove, perché il risultato psicolinguistico è che consideriamo che le cose accadano sempre altrove. Per un angloamericano, la parola “computer” è una parola come un’altra, significa “calcolatore”. Così “mass media”, “audience”, “share”, “pop”, “rock”, “gay”, ecc. E’ sorprendente che la nostra lingua (la nostra comunità) non sappia dare un nome con il proprio lessico a certe cose: è come se le considerasse per sempre esotiche, corpi estranei, intraducibilità inassimilabili… Una lingua che si comporta in questo modo è una lingua che non è in grado di affrontare il presente, che dichiara di essere altrove (nel tempo e nello spazio) rispetto a dove succedono veramente le cose… Capisci? Non si tratta di patriottismo o purismo linguistico nazionalista, per carità (spero che questo sia chiarissimo).
    Scusa, il discorso sarebbe molto lungo, ma ho già approfittato troppo della tua pazienza. Baci

  9. Caro Guru Granieri,
    io credo che la scrittura non in rete sia un atto concluso, definitivo, di non ritorno
    (non ne sto parlando male: è una modalità, per molto tempo creduta l’unica possibile).
    E’ una scrittura, come dire, assoluta – e probabilmente c’è bisogno anche di questo, talvolta.
    In questo contesto, la comunicazione è unidirezionale (uno parla, gli altri ascoltano)
    La scrittura in rete non è mai de-finita, de-limitata, ma ha sempre un durante e un dopo.
    E’ scrittura relativa, e ha molti “relatives”. In questo contesto è difficile persino giustificare il primus inter pares.
    Lei chiede un esempio concreto.
    Ma davvero serve che le mostri il sole con un dito, per poter parlare di fotoni?
    Se sì: lo strumento pricipale di confronto tra scritture di cui disponiamo resta, ancora oggi, l’Antologia einaudiana (mi spiace abusarne per i miei scopi indebiti).
    Ripeto qui l’altrove: di alcuni bani antologizzati si può dire: “è un racconto” (bello, brutto, mediocre).
    Di altri si può dire “è un post” (belo, brutto, mediocre), e non c’è possibilità di errore nell’agnizione.
    Se anche lei ha questa immediata percezione nel leggerli, allora la mia ipotesi interpretativa ha fondamento; altrimenti, in relazione alla sua sensibilità di lettore ho torto

  10. mio nonno aveva la vanga perché era un bifolco, e la usava nei campi
    mio padre aveva la vanga di mio nonno e la usava per dissodare il campetto, perché mi piaceva guardare il brulicare dei vermi, sotto
    mio fratello una volta mi tirò la vanga in testa, e mi ci volle una bella sutura e le rotelle di liquirizia Haribo per farmi smettere di frignare
    adesso che è tutto passato, la vanga rotta sta in cantina, nella casa che mia madre ha appena venduto. A me è rimasta una cicatrice a V che i capelli coprono ancora a dovere

  11. [ riposto il commento precedente sparito per problemi tecnici ]
    Mi dispiace, ma continuo a non vedere uno “specifico” del blog, a parte l’interattività, in sostanza il suo essere esperienza e relazione. La scrittura sul blog – buona o scadente che sia – non mi manifesta invece nulla di strutturalmente nuovo. I blog – simpatico giochino destinato ad un’élite – mediamente si rapportano in modo assai povero con le potenzialità ipermediali del Web e non si propongono come strumenti collaborativi, riproducendo sostanzialmente le note gerarchie autore-testo-lettori. Insieme a qualche amico ho iniziato un esperimento collaborativo (http://ghostwritersondemand.splinder.com) che modifica (leggermente) la regola, richiedendo al lettore di fornire al collettivo di “autori” i temi su cui esercitarsi, in un’ottica di servizio (e di cazzeggio, va da sé). All’intelleguale contrapponendo forse (non me ne voglia Effe) l’utElitario.
    @Scarpa: sì, teoricamente l’interazione (il commento) può sviluppare un testo (post) oltre i suoi confini originali. Però:
    a) questo dà semplicemente più spazio all’autore – di norma, penso, senza effetti di retroazione sulla sua scrittura (questo sarebbe più interessante)
    b) dopo due giorni il 99% dei post è comunque carne/lettera morta (so what).

  12. Ulteriori differenze.
    Mi viene in mente quanto detto da Zambardino a Napoli: le parole di scrittori e giornalisti hanno un appoggio, un’autorevolezza, una giustificazione data dall’editore (io direi: da un sistema).
    La scrittura del blog deve giustificare se stessa, non ha altra resposabilità, altra forza o debolezza che le proprie (e credo valga anche per chi ha un nome noto al di fuori della blogosfera).
    Per riprendere quanto detto da Scarpa, credo che la scrttura in rete non “parli” solo al lettore, ma anche all’autore.
    E molto.
    Proprio a ragione di questo dialogo, la scrittura prende direzioni (di lessico, di intensità, di codice condiviso, di argomento) che non dipendono solo da chi rilascia il testo, ma anche dal contesto – cioè a dire: dal mezzo.
    E sempre per questo motivo le parole devono avere una “portanza” (qui: la capacità di reggersi in volo) che tenga conto anche della com-presenza dell’altro nella stessa cabina di pilotaggio

  13. Ero anch’io a Napoli, e sto seguendo a ‘spizzichi e bocconi’ il dibattito che si è originato in sede Galattica. D’accordo sul fatto che vi sono tanti stili quanti sono i blogger (e questo non diversifica la scrittura di rete da quella su carta). Ma il punto, a me sembra, non è questo. La diversità è data dall’interazione (e con questo mi sembra di non dir nulla di nuovo). La diversità è nella nostra testa. Riprendo Zaritmac nell’affermare che, quando scrivo sul blog, io scrivo in modo diverso da quando scrivo per la divulgazione su carta stampata (e anche sul punto: ‘nihil novi sub luce soli’). Ma aggiungo: quando leggo, io leggo in modo diverso. Mi attendo un testo non lungo ed efficace. Mi attendo che l’autore mi risponda (ora e singolarmente, o quando avrà tempo e collettivamente). Mi attendo di incidere sul processo creativo. E mi attendo che muti anche il mio modo di intendere su un dato argomento, grazie all’intervento dell’autore – e di altri che come me leggono e scrivono in parallelo. Mi attendo di crescere, insomma: come autore e come lettore [meglio: come autrice e come lettrice], nei miei percorsi intellettuali o (se vogliamo) intelleguali. Grazie

  14. Nessuno stile peculiare, si dice, anche sbrigativamente. A nessuno è certo impedito di guidare un’automobile come fosse seduto su di una bicicletta. Ed è così che alcuni scrivono sul Net: esattamente come scrivessero su carta. Ma ciò non dimostra affatto la mancanza di uno “stile di guida” definito direttamente DAL mezzo utilizzato. Anzi. Forse per qualcuno sarebbe il caso cambiare mezzo di trasporto. O seguire qualche corso di guida, prima di risolvere sbrigativamente la questione sostenendo con innocente e sorprendente semplicità che niente di nuovo vi sia sotto il sole. Lo dico con ironia, ma introdurrei la patente a punti, per loro.
    Quanto all’anglofilia imperante, credo sia una questione di moda e di branco, non certo di mancanza di valide alternative. Che poi vorrei qualcuno mi dimostrasse la bellezza “musicale” di termini tecnicistici e glaciali come “link” (io uso il termine “legàme”) o “post” (preferisco “riflessione”), per esempio. Nel caso, gliene sarò davvero grato.

  15. Sono d’accordo con queste tue osservazioni, che potrebbero essere rubricate sotto un unico titolo: “elogio della pluralità”…Forse, lungo questa linea d’analisi, potremmo fare qualche passo avanti, e dire: non solo ognuno ha il suo stile…non solo gli stili sono tanti, così come i gusti, le sensibilità, eccetera…ma chi scrive nella blogosfera – qui per me sta il “nuovo” – è automaticamente inserito in un flusso comunicativo illimitato: la scrittura individuale viene plasmata, modificata, arricchita da questa continua immersione in una dimensione collettiva, plurale, estranea alle logiche del potere e delle conventicole, potenzialmente antagonista a queste stesse logiche. Stiamo forse assistendo a qualcosa come il superamento (o la messa ai margini) del principio d’autore, della proprietà individuale della scrittura e dell’atto creativo. Certe riflessioni del mio indimenticabile maestro – Michel Foucault – sul superamento della “autorialità” tornano, con i blog, più che mai attuali. Mi piace pensare (o sognare) ad un soggetto collettivo dell’enunciazione: un soggetto continuamente esposto e sottoposto a processi di “ibridazione”, di contaminazione…Per questo ho insistito, anche nel mio blog, sul tema dell’io-plurale. Chiudo complimentandomi per il livello del tuo blog: è un invito a pensare e a scrivere. Ciao (heteronymos)

  16. Sosteniamo la rivoluzione pacifica dei Cedri
    Un invito a tutti i blogger di buona volontà :sosteniamo tutti uniti la mobilitazione popolare, spontanea e non violenta dei Libanesi per la democrazia. Non lasciamoli soli . Lanciamo e.mail di sostegno , sms ai loro cellulari , inviamo lettere in antica carta. Il nostro calore li aiuterà di sicuro. Chi conosce i numeri e gli indirizzi giusti li trasmetta .
    vineland.splinder.com

  17. Adesso non vorrei sembrare ipercritico nei confronti della blogosfera, nella quale io stesso abito – pur come elemento del tutto marginale. Però:
    a) soggetto collettivo ? Dico, stiamo parlando di tanti puntini talora collegati (e in modo alquanto lasco) da lineette che chiamiamo link, che si addensano attorno ad alcuni puntoni di riferimento comunemente noti come blogstar. Questi attrattori diventano tali, fra l’altro, proprio per la capacità di imporre uno stile di scrittura personale, perché si propongono come ‘autori’. D’altra parte il blog nasce in primo luogo come strumento di espressione individuale, e quindi intrinsecamente votato (meglio sarebbe: biased) all’autorialità. Continuo a ritenere le scelte stilistiche di cui si parla anche qui frutto delle capacità e delle riflessioni del singolo, non intrinseche peculiarità del mezzo. Le peculiarità starebbero nell’interazione, nell’ipermedialità, nelle potenzialità di scrittura collaborativa. Per quel che vedo solo l’interazione è diffusa (non è certo poco, beninteso). Che condizioni la scrittura è tutto da dimostrare
    b) la blogosfera è un universo largamente ignoto alle masse e – attualmente – dotato di capacità (direi anzi: di volontà) prossima allo zero di incidere sul reale. Sul fatto che in qualche modo lo rispecchi o lo interpreti, passons. Non cessa di stupirmi questa volontà di attribuire personalità collettiva a ciò che collettivo non è (v. al contrario un’esperienza come Wikipedia). Stiamo parlando di N autori virtuali (quelli reali essendo in numero inferiore, e, sospetto, non di poco) non collegati da alcuna progettualità comune, in qualche modo ‘simili’ in forza del mezzo che utilizzano. Similitudine che non li accomuna se non localmente.
    Ripeto: non sto buttando letame sulla blogosfera, in cui ho incontrato scritture, pensieri e persone molto interessanti e che ritengo abbia parecchie potenzialità. Però credo che debba raccontarsi in modo un po’ più asciutto e semplicemente evitare qualsiasi tentativo di darsi un’identità, specie se al centro del discorso continua a stare la scrittura e il rapporto con il testo stampato.
    Sarà che di presunte rivoluzioni nella sfera virtuale ne ho ormai viste parecchie, poche invece di quelle reali. Seguendo l’invito di Massimo vado a ritirare la patente a punti

  18. Dust, intanto ti toglierei già 1 punto dalla patente.
    Perché?
    Per non aver separato con adeguati spazi i periodi che hai appena scritto, ché lo schermo (o “monitor”) di un computer (o “elaboratore”), non è mica un foglio di carta, eh? ;o)

  19. C’è una domanda di herzog alla quale g.g. non ha ancora risposto. Se rispondessi io, darei senz’altro ragione a herzog. Non capisco perché la scrittura di blog non dovrebbe avere una sua specificità, proprio come (ha ragione Scarpa, ma ovviamente con le debite proporzioni) l’ha avuta la scrittura rispetto all’oralità, e, si potrebbe aggiungere, l’invenzione del libro, e poi quella dei caratteri a stampa, ecc. ecc. Il fatto che vi siano mille modi e stili diversi dentro la cornice di un blog, non toglie che il blog abbia la sua brava cornice. Il fatto che io possa prendere un racconto pubblicato in volume, copiarlo e incollarlo e farne un post, di nuovo: non toglie che il blog abbia la sua brava cornice. La quale produce i suoi effetti, anche se non tutto ciò che si scrive su un blog dipende nel suo senso da quella cornice.
    Avendo dato ogni ragione a herzog, posso ora dire con Iannox che intelleguale è proprio un brutto neologismo, ed è brutto perché è falso. Non è affatto vero che si è tutti uguali, che non conta la domanda ‘chi?’, chi dice quel che dice e a che titolo; non è affatto vero che non vi sia una soglia fra il blogger e chi legge: questa soglia non sarà la tenda di pitagora o una cattedra, ma c’è ugualmente. C’è, e, anchessa, produce i suoi effetti, organizza lo spazio del web (che non è affatto tutto uguale), dirotta i flussi degli utenti, ecc. ecc.

  20. Dust,
    non credo che qui si parli di identità degli autori (che sono evidentemente dissimili come stile), ma di specificità del momento creativo.
    Uso una tua definizione, volgendola in positivo:
    la scrittura in rete è retroattiva, nel senso che l’interazione testuante-lettore influisce DIRETTAMENTE sulla scrittura ( e non per posa letteraria), influisce in modo fisico, avvertibile – è, per così dire, consustanziale alla scrittura, ne è lo statuto.

  21. Mi trovo assolutamente d’accordo con l’ultimo post di Dust.
    In tutta questa discussione continua a mancare l’analisi delle centinaia (o forse più) di blog/ers che scrivono le loro poesie, i loro racconti, e non solamente i propri diari, ma dei veri scritti.
    Centinaia di blog che non hanno sul contatore cifre da capogiro, ma tre o quattro cifre che, contando tutti gli auto-accessi ed i refresh per aggiornare, si traducono in pochi, pochissimi lettori.
    Nessuno di loro si lamenta, probabilmente nessuno di loro pensa di far alta letteratura.
    Indubbiamente però scrive; una scrittura che non viene modificata dall’interazione (perchè il più delle volte ha il fan più fedele nel blogger-più-scemo-della-rete), che non si aspetta commenti e così via…
    Quello che ho sentito a Napoli e continuo a leggere in tutti i commenti e che può banalmente tradursi in “mi leggete, dunque scrivo”, oltre ad essere tendenzialmente (e patologicamente)egocentrico lo trovo estremamente marginale perchè investe solo una piccola parte dell’ormai famoso e sicuramente accresciuto mezzo milione di blog presenti sulla rete.

  22. togli il post – sparisce anche il commento
    togli il commento (v. il mio blog) – il post rimane
    se non è potere questo…

  23. Dust, ti vorrei far notare che ho (ri)preso il mio commento più sopra e l’ho fatto diventare una riflessione nel mio “Frog”.
    Se non è libertà, questa.

  24. D’accordo con Tiziano sul recupero, ritorno dell’oralità, di qualcosa di vicino alla conversazione orale, pur con le dovute differenze che lasciano assente il linguaggio non verbale. Questa è la prospettiva anche annunciata da tempo da Pierre Levy nei suoi testi, come Cybercultura.

  25. Carissima Loredana,
    —- grazie infinite. Gentilezza e signorilità non sono acqua. Meriti non una rosa, ma un mazzo intero, veramente. —-
    In quanto ai commenti, be’, il sistema non è agilissimo, ma va bene lo stesso: io guardo ai contenuti soprattutto.
    Baci et abbracci
    Giuseppe (Iannox)

  26. Non si può dare una sola risposta, ovvio: così sollevo domande. Azioneparallela pone la questione della cornice (ma la cornice è in grado di influenzare fino a che punto?), Effe parla pure di influenza diretta, addirittura di retroattività (ma questa non vale per i contenuti più che per lo stile?), ecate (ho letto la cronaca su Sdc, a proposito: mi arrendo, cambio parrucchiere) scrive che si attende di incidere sul processo creativo (ma questo avviene, poi? Quanti titolari di blog modificano il proprio stile?), Strelnik cita uno scrittore da amare, Max Aub, in un discorso che mi auguro riprenda, Tiziano parla, giustamente di accrescimento del sapere. Ecco: il sapere che qui stiamo condividendo, evidentemente, è in divenire, forse in crescita. Ma, insisto, non per questo le scritture dei singoli convergono in una scrittura riconoscibile, al lettore che si accosti per la prima volta al blog, come scrittura che si caratterizza immediatamente come blogscrittura. Sento molto vicino il discorso di Dust, ma comincio a dissentire sul punto b (blogosfera come universo ignoto alle masse). Esempio: proprio oggi il corriere della sera torna ad ispirarsi per uno dei suoi articoli della pagina culturale a discussioni nate nei blog. La seconda in un mese. Non è affatto un segnale da poco: e NON, e sottolineo NON, perchè quando si trasferisce su carta un dibattito si nobilita. Il caso “letteratura popolare” dimostra che la discussione era assai più nobile in rete. Ma perchè significa che anche in Italia è qui che si comincia a guardare per capire “cosa accade”. Mica poco.

  27. io ho la stessa sensazione di loredana, sempre più spesso sui quotidiani prima passano sul web per vedere che aria tira.
    oggi sul corriere l’articolo di di stefano citava:
    miserabili, sofri, nazione indiana e scarpa sullo stesso piano del magazine, foglio, diario, riformista, sole, unità…

  28. AzioneParallela scrive: “C’è una domanda di herzog alla quale g.g. non ha ancora risposto. Se rispondessi io, darei senz’altro ragione a herzog. Non capisco perché la scrittura di blog non dovrebbe avere una sua specificità, proprio come (ha ragione Scarpa, ma ovviamente con le debite proporzioni) l’ha avuta la scrittura rispetto all’oralità, e, si potrebbe aggiungere, l’invenzione del libro, e poi quella dei caratteri a stampa, ecc. ecc.”
    Certo che ce l’ha. Semplicemente la specificità io non la vedo nell’atto creativo, ma altrove. Anche Herr Effe, a mio parere, sta descrivendo una proiezione culturale e non l’atto creativo. Tuttavia, poichè non mi sento assolutamente in grado di dire l’ultima parola, continuo a leggervi e a cercare di capire 🙂

  29. a margine: (ho la sensazione che il sistema di commenti di kataweb sia proprio ostile alla navigazione -scrivi qui, vai, indietro, leggi di là, ecco hai postato ora torna di la, ecc. E’ solo una mia impressione?)

  30. Frau Lipperini, forse son stata un po’ sopra le righe da Max (e me ne scuso): il caschetto e il colore mi piacevano molto (e da donna non mi riesce di non notare certe cose), come anche lo stile da conferenziera. E’ che ammetterlo senza riserve non è nelle mie corde, ma le persone intelligenti vivono di autoironia, e così è anche per lei. Io (ma vale per me, e non penserei mai di poter rendere generalizzabile questa affermazione) so che ho cambiato stile non solo rispetto ai miei ‘primi passi’ da blogger, ma anche quanto alla mia scrittura da ricercatrice (anche se, per un settore umanistico come il mio, la cosa era forse più semplice). Ho (se possibile) ancora più rispetto per il lettore e rimugino di più prima di render pubblico qualcosa. Quanto al blog, la mia è anche una ricerca privata, di contatti umani dotati di spessore e costanza (ed è il loro stesso spessore che mi porta a ‘chiarirmi’, laddove a volte lascio volutamente ‘fra le righe’ alcuni contenuti). E credo che a pochi autori su carta stampata sia dato il piacere di vedere i loro lettori dialogare fra loro e costruirsi un ‘loro’ discorso, indipendente e altro dal proprio, e al tempo stesso legato (da fili impalpabili) a quello. Basta, ho straparlato. Grazie ancora.

  31. La cornice influenza il pensiero. Sull’accrescimento del sapere ho dubbi. Sull’aumento della densità delle informazioni no, come direbbe il fisico Eigen

  32. ecate, sì: per quanto riguarda lo scambio di pensiero i blog sono assolutamente non sostituibili. Ed è vero, verissimo, che chi scrive modifica il proprio atteggiamento, col tempo. Ma secondo me che son testona, non la propria scrittura. Esempio privatissimo: le mail di Effe (pardon, Herr, se le cito) sono portatrici dello stesso stile di Herzog. Poi, per quanto riguarda l’attraversamento web/carta: in un articolo io devo misurarmi con lo spazio che è dato, e questa è indubbiamente una differenza importante. Ma anche qui, in qualche modo, mi autofornisco una misura per non opprimere chi legge con post troppo lunghi. Nei due casi, la mia scrittura non subisce mutamenti sostanziali. Muta, moltissimo e in positivo, il rapporto con chi legge: questa, appunto, è la profondissima innovazione. Ci torno, prometto (e non cambio parrucchiere, va bene 🙂

  33. scrivo due cose, separatamente, una qui e una dopo.
    Mi pare che gli autorevoli sostentitori dell’a-specificità (per continuare con i brutti neologismi;
    a proposito, Azioneparallela; l’intellegualismo non presuppone un’uguaglianza dei talenti, ma delle possibiità – di accesso, di scrittura, di lettura, di confronto, mentre nell’editoria istituzionale uno solo insegna, comunica, crea il mondo, ha la patente di intellettuale riconsociuta dal Minstero, e tutti gli altri ascoltano in silenzio almeno fino al termine dell’atto creativo)
    reclamino esempi concreti, ché altrimenti si tratta solo di costruzioni prefabbricate.
    Francamente, avverto un minor bisogno di concretezza, ma sia pure.
    Si diceva che i Cannibali avevano scrittura specifica, perché ibridata da nuovi linguaggi (tv e fumetti).
    Se si tratta *solo* di questo, ha ragione Palmasco quando dice che un elemento concreto della scrittura in rete è il link. Il link non è, credo, uno strumento. E’ un linguaggio. E una talea, che fa entrare nel testo linguaggi differenti, di altri autori, di altri contesti, sotto altre prospettive (le immagini, ad esempio, che sono un linguaggio anch’esse).
    Questa è una particolarità concreta, se ve ne fa bisogno.
    Altro fatto concreto.
    Stabilire che la scrittura digitale non è specifica, significa affermare per sillogismo che sia possibile traslarla direttamente e senza mediazioni su altri media, in altri contesti.
    E’ così, a parer vostro?
    Al di là dei link, dico.
    Se è così, allora prendete un bravo blogger e pubblicatelo.
    Ve la sentite di dire che funzionerà?
    Io sostengo che la scrittura in rete sia altro, e al di fuori del proprio contesto – come acade alle altre scritture – perda senso (naturalmente il ragionamento vale anche per l’operazione inversa; traslate Piperno – se vi piace – in rete.
    Funziona?)

  34. nella speranza che qualcuno passi ancora di qui, vorrei sottolineare che è passato sotto silenzio uno spunto interessante di Strelnik, intelleguale che scrive storie di sottoproletariato agricolo.
    E’ argomento non nuovo, ma fondamentale e inesausto, e meriterebbe un post a parte.
    Può la scrittura incidere sul reale?
    Sarebbe interessante sapere l’opinione di tutti, di chi è facitore di testi in proprio e di chi è sotto editore.

  35. Gentile AzioneParallela,
    io credo che la cattedra sia un retaggio, una regola di un mondo che finora abbiamo pensato come l’unico possibile (come migliore, credo di no).
    E’ difficile – anche per me, intendo – pensare a nuove strutture di relazione, eppure mi pare che queste stiano delinenadosi in rete.
    Se non altro (ma è un primo passo, e forse su questo possiamo trovarci d’accordo) qui la cattedra non ha una parte anteriore e una posteriore, oppure i posti a sedere – davanti e dietro – vengono scambiati continuamente (e per continuamente intendo proprio sempre, ad ogni istante, anche adesso) tra lettore e autore del blog, che anche lettore.
    Tra te e Malvino, per dire, c’è lo stesso rapporto “di cattedra” che c’è tra te e i tuoi studenti?

  36. Caro Effe, non mi pare di avere scritto che intelleguale suppone uguaglianza di talenti. Tutt’altro: ho tirato pure la tenda di Pitagora (in ballo), per dire che la soglia che ai tempi della coscia d’oro era così ben visibile che appunto si poteva tirare, c’è (e c’è sempre), anche se è invisibile (o meno visibile). Non è scavalcando la cattedra che la cattedra scompare, e non scompare nemmeno se la rovesci! Al massimo, la sposti o la modifichi. Così è per il blog. Nella gestione del mio blog, io vedo bene la differenza, il dislivello e la disuguaglianza fra me e i miei malcapitati lettori. Non sitamo dalla stessa parte della cattedra. E il fatto che a loro volta essi possano e ciascuno possa farsi il proprio blog non mette i blog e i loro gestori su un piede di uguaglianza. (D’altronde, nella mia buca postale è arrivata la pubblicità di Aracne editore, se mal non ricordo, che per 10 euro mi stampa un libro! Siamo tutti intelleguali pure coi libri, allora?)

  37. Consiglierei per andare oltre e quindi approfondire letture della Rivista di tecnologia didattica edizioni Menabò, http://www.itd.cnr.it/
    i molti articoli sulla rivista Telema, e di procurarsi in biblioteca tutti i numeri di Multimedia che era edita dalle edizioni Sonda.
    E quel libro geniale di Roger C. Schank, Modelli di spiegazione, Mondadori Informatica

  38. la *titolare* del blog credo sia in trasferta, ma mi risulta non abbia mai impedito critiche di qualsiasi provenienza ( se posso drilo senza invasione di ruoli)

  39. @Massimo: la non separazione dei paragrafi nei commenti fa parte del mio stile. O devo intendere che nello “specifico” della scrittura online sono comprese “norme di stile”? Ergo: ridammi il mio punto
    Per quando riguarda la libertà: mi pare che il copiaincolla di propri testi – in atomi come in bytes – non sia ‘sta gran libertà (meno che mai “specifica” del blog)

  40. Dust, io me lo tengo invece il tuo punto, ma non posso impedirti di credere che non te l’abbia mai tolto. (E lo dico con la simpatia e la stima che sai)
    Quanto allo specifico:
    1. Esatto. Tu mantieni il tuo stile indipentemente dalla struttura. Ergo: guidi la bicicletta come fosse un’automobile, e viceversa. Che non c’è mica niente di male in questo, e sono d’accordo se vuoi dire che ognuno può fare quello che meglio crede, sul Net. Altro poi è capire se alcuni accorgimenti (che solo di questo si tratta) possono essere utili, a lui ed a chi legge.
    2. Ancora esatto. Non sta lì la libertà, esattamente come il potere non stava in quello che avevi evidenziato. Non so se mi sono spiegato… ;o)

  41. “Qual’è, se esiste, la specificità della scrittura in rete?” vorrei
    sapere che razza di domanda è? Uno viene, piglia ed apre un blog. Da
    quel momento in poi libero di scrivere come gli pare. La specificità
    dove può mai essere, nell’assenza di specificità ? Se la libertà e
    massima non ci può essere specificità, questa è data solo da eventuali
    vincoli. Vincoli che nella rete ci diamo noi, non il mezzo.
    Permettetemi di riformulare la domanda:” Esiste un linguaggio da iniziati? E se esiste chi è il giudice?” oppure “Esiste un linguaggio di successo? E se esiste come si fa?”
    Intelleguale, non saprei direi se è un brutto neologismo. Avrei voluto “meditare un po’ di più sull’idea a cui allude” ma non mi è stato possibile perchè per me non è sufficientemente evocativo. Per conoscere la sua idea avrei dovuto essere presente (il dove è accidentale), ma cosi non è stato. Finchè è una parolina va bene, ma quando sono tante, quando la scrittura si fa difficile e supera una determinata soglia allora basta. Torno alle mie cose. E siccome di Costantino non mi interesso (linguaggio di successo) e non ho voglia di rinchiudermi in un ghetto (linguaggio da iniziati) io non ci sono, io non esisto.
    Herzog, è tra i miei preferiti da un bel po. Ogni tanto, quando credo di aver scritto bene, faccio un salto da lui e ritorno umile. Per certi aspetti è il mio ideale di scrittura. Capita però che lo leggo e non capisco. Cosa mi sta dicendo? Allora leggo e rileggo con attenzione, ma lui tace. Poi tra le righe emerge una poesia:
    “E’ del poeta il fin la meraviglia: (parlo dell’eccellente e non del goffo): chi non sa far stupir, vada alla striglia!”

  42. Cara Loredana,
    alcune osservazioni, forse un po’ farraginose, vista l’ora e la stanchezza…
    Comunicando nella blogosfera – mi pare che tu sostenga questo – si modifica il proprio atteggiamento, non la propria scrittura. Ti inviterei a riflettere maggiormente su questo tuo assunto, che varrebbe la pena continuare a discutere. La scrittura, lo stile, le modalità espressive, la scelta stessa dei contenuti: sono tutte dimensioni, queste, che risentono fortemente dell’esperienza personale e del circuito comunicativo a cui appartiene quello che chiamiamo l’ “autore”. Quando ho parlato, nel tuo blog, di un “soggetto collettivo dell’enunciazione” intendevo dire proprio questo (e forse qualcuno mi ha frainteso): gli enunciati, i testi, gli stili, eccetera, sono variabili dipendenti di tutta una serie di fattori, che includono l’autore ma vanno anche oltre l’autore medesimo.
    Ho ricevuto, in privato e nel mio blog, testimonianze interessanti di questo effetto dell’appartenenza ad un collettivo sugli stili di scrittura. L’autore è una delle condizioni di possibilità del discorso. Non l’unica. Mi viene in mente “L’ordine del discorso”, di Michel Foucault, oppure un suo scritto della fine dei sessanta (“Cos’è un autore?”). Cito a memoria, e forse sbaglio qualche virgola o qualche parola. I mezzi, i contesti, la trama delle appartenenze: da tutte queste variabili “l’ordine del discorso” – ed anche i suoi assetti formali – vengono modificati. Mettiamola così, in maniera forse meno pallosa ed assertoria: scrivendo ho avvertito, nelle differenti fasi della mia vita, l’influsso di queste variabili. L’esperienza – ci insegnano i neuroscienziati – “scolpisce” la nostra architettura neuronale. Credo “scolpisca” anche i nostri modi di scrivere. Cambiando registro argomentativo potrei aggiungere: se uno scrive dietro la sollecitazione di un committente, la sua scrittura verrà modificata dalla tipologia di queste sollecitazioni. Tu scrivi sui giornali. In parte l’ho fatto pure io. Sai bene, quindi, di cosa parlo. La blogosfera non è un committente, ci mancherebbe! E’ uno spazio libero, caotico, creativo, “plurale”: e tuttavia è comunque un mondo (un mondo espressivo, un mondo di contenuti) che non può non influenzare la nostra scrittura. Ciao e ancora complimenti per questo tuo blog, che è diventato un ricchissimo “foro”: una bella e variegata “piazza” – come l’ “agorà” dell’Atene di Pericle? :))) – dove convivono diverse voci e diversi stili. Ciao
    (heteronymos)

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