MY NAME IS BUCK

Buck è evidentemente l’infermiere di Kill Bill Vol.1, quello che passa il tempo violentando Beatrix nei suoi anni di coma e cedendo il divertimento a qualche simpatico visitatore di passaggio. Poi, com’è noto, finisce malissimo.
Ci sono critici che si comportano allo stesso modo nei confronti di un libro: ci si buttano sopra per farlo a pezzi. Tanto, pensano, il libro- o meglio il suo autore- non può reagire: e se lo fa, è difficile che la sua voce arrivi a contrastare quella dell’autorevole demolitore.
 Poi, all’opposto, ci sono i Michel Mourre, quelli che affidano la critica al gesto clamoroso e passionale. Michel Mourre era un giovanissimo intellettuale lettrista, che nel 1950 interruppe la messa di Pasqua nella cattedrale di Notre Dame con un proclama sulla morte di Dio.  Sono critici che, nei fatti, sono ugualmente lontani dall’oggetto della discussione, perché lo usano per proporre il proprio pensiero. Si chiamano fuori, insomma: atterrano sulla Piazza Rossa con l’aereo, ma di quel che accade dopo si curano poco.
La faccio corta e passo subito al modello di critica che mi interessa. Che non dovrebbe, in effetti, chiamarsi critica, ma  cronaca culturale. Che narra i fatti, etimologia alla mano, mettendo ordine in quel che descrive e connettendolo con altro. L’esempio che mi viene  in mente è quello di Tomás Maldonado quando si piazzava davanti a un quadro di Antonello da Messina, San Gerolamo nello studio, e diceva che guardare il dipinto era un’esperienza simile alla navigazione in rete, e che l’illusione del reale e l’aspirazione a riprodurlo e superarlo facevano parte della storia degli uomini da Omero in poi.
Mi sembra una delle strade percorribili oggi: perché, nel mondo dei libri e non solo, avviene quella che Wu Ming 1 chiama “disintermediazione”. Ne discute da qualche giorno qui.
Riassumo e cito. Fino ad oggi accadeva questo: “Capita che un libro o un film a cui un autore ha lavorato anni riceva una stroncatura di poche righe scritte in dieci minuti da uno che forse il libro lo ha appena sfogliato… L’autore dovrebbe avere il diritto di contestare questo tipo di recensioni, e il critico il dovere di risponderne. Aggiungo che anche chi ha in animo di scrivere una recensione negativa, negativissima, dovrebbe comunque riconoscere che ci vuole molto più tempo e impegno per scriverlo, un libro, di quello che occorre per criticarlo. In questo modo un critico (e sia chiaro che in quel novero mi ci includo, dal momento che pure io scrivo recensioni) può relativizzare il proprio ruolo, ed evitare di credere la propria spada sollevata da un dito di Dio”.
Adesso, però: “La rete sta facendo, anche con violenza, opera di “disintermediazione”, e infatti pullulano i blog di spettatori/critici, cosa che ha un potenziale positivo enorme, solo che…
1) Alcuni di questi blog hanno ambizioni di cinerivista autoreferenziale e presuntuosa, tutta interna al mondo della critica cinéphile, con la sola differenza che la rivista è on line anziché su carta, il che significa non aver compreso lo specifico del nuovo mezzo…
2) Nel caso tali ambizioni non ci siano, rimane il fatto che il do-it-yourself non è garanzia di qualità. Posso anche evitare di rivolgermi all’artigiano o al mobilificio, e autocostruirmi un divano, ma se quando mi ci siedo mi crolla sotto il culo…
In realtà, la “disintermediazione” dovrebbe fornire l’occasione ai critici di mestiere di rivedere il proprio ruolo e il proprio rapporto con chi li legge. Dovrebbero raccogliere la sfida del passaggio da una comunicazione uno-molti (piramidale, top-down) a una molti-molti (orizzontale, bottom-up). La loro funzione (indirizzare, consigliare) rimarrebbe, ma ripulita dai suoi aspetti “di casta”, in modo da confrontarsi alla pari coi lettori-spettatori.
E’ un po’ il modo con cui noi cerchiamo di affrontare il nostro essere scrittori”.
Visto che di scrittura e rete si sta discutendo parecchio, e nuovamente in questi giorni (da qui è partita la discussione e qui trovate anche  la segnalazione dei luoghi in cui si sviluppa), vale la pena approfittarne per capire quali ponti sono possibili fra carta e web. Giusto?

 

43 pensieri su “MY NAME IS BUCK

  1. [scusami se scrivo di getto (e quindi male), ma volevo lasciare subito alcune veloci considerazioni]
    Come katana, non c’è che dire: la mostri in bella evidenza ed è decisamente tagliente! 😉
    Per ora, vorrei dire solo che alcuni aspetti del “dibattito” assomigliano molto a quello (arcinoto) tra radio e televisione. Quali relazioni esistono tra questi due mezzi di comunicazione? Esiste una “superiorità” di uno sull’altro? Quali le differenze? Quale il rispettivo grado di “autorevolezza”? Come misurarne l’utilità, l’affidabilità, la “qualità”? Quali le possibili interazioni e relazioni tra l’uno e l’altro? E così via…
    Ecco, io, prima di addentrarmi nei singoli aspetti, partirei da un dato di fatto: trattasi di due mezzi di comunicazione profondamente diversi. E non basta l’uso comune della scrittura per sottovalutare tale fondamentale punto di partenza, così come non basta il comune uso di parole e suoni per dire che radio e tv siano “simili”. Anzi.

  2. C’è chi sa scrivere e chi invece no. Sia poi la rete o la carta il mezzo per diffondere critica o altro, è la premessa che conta: saper scrivere. Tanta è la spazzatura su carta, tanta quella in rete. Ma è chiaro che l’editoria, il mondo editoriale, e i giornali stessi hanno paura della rete, perché tutti possono dire la loro, anche se malamente, anche se non sono critici di professione. Si ha paura di chi parla e dice la sua opinione, perché tutte le informazioni si vorrebbe fossero “filtrate”, o meglio, “manipolate” per andare incontro ad esigenze commerciali o d’amicizia. Se pubblichi una critica su un giornale cartaceo, questa prima viene “tagliata” da chi dovere o dal critico stesso; in rete, per fortuna, cio’ non é ancora possibile e accade di rado che sia il critico stesso a desiderare di tagliarsi “le parole” di bocca. Anche se…
    E poi, anche se d’un libro ne parla uno che non è un critico e ne parla male, sempre rimane “pubblicizzazione” gratuita. Che se ne parli, o (in) bene o (in) male! Se non se ne parla, allora l’indifferenza: l’indifferenza, questa sì che è critica spietata, terribile, ma in alcuni casi assolutamente necessaria.
    Non ho altro da aggiungere. Questo è tutto, ma proprio tutto quello che penso.
    Saludos.
    Iannox

  3. Massimo, parlando di radio m’inviti a nozze! Al punto che svicolo la domanda sulla superiorità di un mezzo sull’altro perchè rischio di essere parecchio parziale. Però. Radio e televisione, secondo me, hanno davvero poco in comune: e fino a questo momento le connessioni sono state rare (la radio serve spesso da palestra di talenti per la tv, ma altri rimandi sono molto difficili). Credo che sia per la natura della televisione, però. Perchè, per esempio, fra radio e web la connessione è stata ed è molto più facile.
    E’ vero che web e carta sono mezzi diversi: e che soprattutto la seconda continua a fare parecchia resistenza pensando di dover salvaguardare un’unicità che nei fatti non è messa in discussione. Ma basterebbe, per esempio, che la carta (i giornali, gli editori) potenziassero l’apertura verso la rete. Molti scrittori, per dire, lo stanno facendo: e questo è assolutamente salutare. Sarebbe bello che lo facessero anche i critici, e gli studiosi.
    Iannox: d’accordo su molta parte del tuo intervento. Però mi corre l’obbligo di dirti una cosa: non sempre si taglia e si manipola: posso giurarti su quel che vuoi di non essere mai stata “tagliata” (qualche volta accorciata, ma in accordo). 🙂
    Sull’indifferenza, invece, hai ragione: personalmente trovo che, se un libro non è piaciuto, sia meglio tacere.

  4. Infatti, Iannox, se mi passi la battuta ti confesso che Andrea De Carlo è risalito nella mia stima perchè ALMENO ha pubblicato l’ultimo libro su carta “amica delle foreste”…
    Franco, sì: l’intervento di Wu Ming 1 va in quel senso, ma poi il discorso si allarga necessariamente al rapporto fra piattaforme, perchè, come giustamente dici, è la rete che permette il feedback.
    E, Massimo: no, per carità, che non si sparga sangue da queste parti:-)

  5. Più che sul rapporto tra diversi media, mi sembra che Wu Ming 1 sul forum di “New Thing” si soffermi sull’etica del rapporto tra recensore e recensito, su qualunque “piattaforma” questo si sviluppi. Il passaggio fondamentale mi pare questo:
    …noi vogliamo uno spazio in cui la “critica” non sia concepita come sentenza sommaria e pseudo-definitiva, sfogo monologico, intemperanza individuale. Per noi la critica è DIALOGO (anche duro, a volte difettoso o ingrippato ma pur sempre dialogo) tra “critici” e autori. I ruoli sono reversibili in ogni momento: il “critico” è a sua volta autore (nel senso che deve assumersi la responsabilità di quanto dice) e l’autore “critico” (cioè può recensire la recensione).
    Da qui l’attenzione alla rete, che permette la “reversibilità” del rapporto, e certo rende più difficile ai vari soloni calare dall’alto le loro sentenzine (c’era una bella intervista di Scarpa a Lagioia su Nazione Indiana, tempo fa, in cui Lagioia raccontava di come D’Orrico aveva liquidato un suo libro, verosimilmente senza nemmeno aprirlo).

  6. @ LA LIPPERINI: E’ vero, per fortuna, non sempre si taglia e si manipola: se il critico è d’accordo che il suo intervento venga accorciato per esigenze del giornale, non ci trovo nulla di strano, purché il taglio operato non vada ad inficiare il giudizio espresso.
    Se un libro non m’è piaciuto, preferisco non parlarne: il “non parlarne” per me costituisce già critica di per sé. Ma è anche vero che non sempre ho il tempo di postare e scrivere recensioni di tutti i libri che ho letto.
    Personalmente, quando metto on line “recensioni” che non sono mie, prima devo aver letto il libro di cui parla la recensione, altrimenti evito di fare rassegna stampa selvaggia. Se non mi trovo d’accordo con la recensione, allora evito di metterla on line o anche solo di segnalarla.
    E prima di acquistare un libro, anche un superpocket, ci penso su non una volta e neanche due, diciamo almeno dieci. Il critico ha il “dovere” deontologico di dire il vero nei limiti della sua conoscenza che è “umana”, ma anche l’artista, lo scrittore, ha il “dovere” artistico di scrivere bene. Se non ne è capace, se non ha nulla da dire, meglio è che non pubblichi per il bene suo e quello dei lettori, e non da ultimo per il bene delle foreste. Troppe volte si pubblicano libri che non valgono la carta su cui sono stampati.
    Saludos.
    Iannox

  7. La Fondazione è il monologo di un ottantenne (immagino io, è l’età di Baldini) che ricostruisce nel ricordo il suo paese, le persone che ha incontrato, i discorsi, insomma tutto quello che ha lasciato un segno nella sua immaginazione. Ci sono personaggi formidabili come i due fidanzati che si scambiano una mela per posta ogni volta con un morso in più. Non sono personaggi stralunati in modo artefatto, quella scrittura è sentita (e nata per essere recitata, Baldini si ispira alla tradizione popolare). Poi il monologo prende l’altra direzione, quello che deve accadere. L’uomo ha sempre conservato tutto, anche le carte che avvolgono la frutta, i bicchieri, i lucchetti, una vecchia ringhiera di ferro che gli hanno regalato, tutto appunto, dunque si preoccupa per la sorte di queste cose, si rimprovera di non averne fatto nemmeno l’inventario. Gli viene un’idea assolutamente balorda e bellissima, di costituire una fondazione per conservarle dopo la morte. Ci si può immaginare questo ottantenne con una cultura che nasce dall’imparare non dallo studio, colmando i buchi del suo progetto con un’idea della scienza assolutamente improbabile, esprimendosi in dialetto più o meno santarcangiolese, ci si può immaginare quanto possa essere commovente la cosa.
    Ok, fine dell’informativa. Prego meditare su come le cose possono nascere bene e forse meglio lontano da mainstream vari, produzioni cool e postmoderne ecc. ecc., come accade anche per esempio nel Teatro delle Albe, che produce testi molto più eversivi di tanti altri ipercelebrati autori.
    Bacetti.

  8. @ LA LIPPERINI: Ti confesserò: Andrea De Carlo non m’è mai piaciuto. Un suo libro non ha mai incontrato il mio favore critico, difatti mai l’ho recensito. Per fortuna, questa volta è su carta “amica delle foreste”. Peccato però che il prezzo di copertina non sia amico di nessuno. E’ questa una battuta. Credo che aspetterò un’edizione superpocket: personalmente non smanio di leggere De Carlo, anche se a molti piace e molto.
    Saludos.
    Iannox

  9. Iannox, confessione per confessione: neanche a me.
    Andrea, grazie davvero per il racconto. Sul mainstream, ho ancora qualche riserva. Ci penso.

  10. x Andrea (un poco fuori tema): io la lista della spesa che vedo veramente dappertutto è (absit iniuria) De Carlo – Baricco – Faletti – Agnello Hornby – Mazzantini etc.
    Ce n’è pure un’altra, fatta prevalentemente di libri di comici e barzellettieri.
    Poi ce n’è un’altra ancora: Fallaci – Fallaci – Fallaci – Fallaci.
    Attenzione a non scambiare per mainstream e per discorso dominante le cose che vengono nominate negli ambienti che frequentiamo: l’industria pompa ben altro, tutti i giorni.

  11. Lipps, dovunque vai trovi gente che cita la stessa lista della spesa culturale, ma davvero la cosa non ti preoccupa?
    Come capisco Galiazzo che ha chiuso bottega.

  12. Quasi quasi faccio la terzista: sì, servono le critiche che tu definisci “vere”. Quelle che fanno sfracelli o quelle iperglicemiche non ottengono effetto. Oddio, anche se sul secondo caso non giurerei: conosco persone disposte a molto per una mollicata 🙂

  13. Solo un appuntino di terminologia: l’espressione inglese “bottom-up” indica una relazione verticale, dal basso verso l’alto. Nel caso presente, sarebbe stato più calzante “peer to peer”.
    Saluti.

  14. Ehm… no, è che un critico che non critica se un libro non gli è piaciuto, rischia di assomigliare molto ad una pastosa mollica di pane. Anzi, ad un certo Mollica, tanto per non fare nomi. E non vedo proprio come la cosa possa considerarsi un merito.
    Che poi le critiche positive servano, qualcuno me lo dovrebbe dimostrare. Io, queste ultime, specie quando eccessivamente pettinate, le chiamo più onestamente pubblicità.
    Poi ci sono invece critiche (quelle “vere”) che incuriosiscono e fanno riflettere. Non sono mai da considerare il Verbo, ma, prevalentemente positive o negative che siano, quelle si che possono essere utili ad un potenziale lettore.

  15. Andrea, sì che mi preoccupa. Penso però che con quella lista della spesa chi non è mainstream debba comunque fare i conti. Un vecchissimo motto di Pannunzio diceva “conoscere per giudicare”: e dunque bisogna anche leggere quel che ci respinge fin dalla copertina, per poi decidere che bisogna passare ad altro. E’, credo, unicamente questo il punto su cui riflettere. E dunque, per riprendere i nomi citati da Giovanni, leggere persino la Fallaci, e poi decidere che non ci interessa.
    Il mio timore è quello di non ripetere il medesimo errore del critico di cui sopra, che non legge il libro che gli approda sulla scrivania e ne scrive dicendo che fa schifo.
    Ma l’argomento è importante: ci dedico un post al più presto.
    Andrea, già che ci siamo, sai se La Fondazione sarà visibile in altre città? O se l’inedito diventerà edito?
    ps. Galiazzo lo rimpiango anch’io, però.

  16. Osservo, invece, che sembra non bastare più la ricca terminologia della lingua italiana. E dire che non ho mai amato molto il latino, ma confesso di preferirlo (e di molto) all’uso del tecnicismo inglese a tutti i costi. E, rebus sic stantibus, a maggior ragione continuo ad usarlo il meno possibile. 😉

  17. Giusta osservazione, se in italiano ho scritto “da molti a molti” era più indicato “peer to peer”. Mi è venuto da mettere “Bottom-up” (corrispondente all’espressione italiana “dal basso”) perché solitamente viene usato per meccanismi di democrazia diretta, istanze di base, fermenti che arrivano dalla società civile, organizzazioni spontanee. “Costruire comunità dal basso” etc. E’ un’espressione molto usata da teorici della net-culture come Howard Rheingold o della mobilitazione politica in rete come Joe Trippi (l’ex-coordinatore della campagna elettorale di Howard Dean, consiglio il suo libro “The Revolution Will Not Be Televised”).
    Detto questo, penso che il “da molti a molti” e il “dal basso” siano due aspetti/movimenti di un unico processo.

  18. OT. Bisognerebbe intendersi sul senso delle espressioni “tecnicismo” e “a tutti i costi”. Se è utile affiancare (o avvicendare) a una parola italiana un’altra inglese (o latina, o napoletana, o urdu), per aggiungere una sfumatura o evocare un’immagine altrimenti assente, ben venga. Scrivendo “qui nessuno è sprovveduto” non evocherei le stesse immagini di “ccà nisciuno è fesso”, etc. Invece hai perfettamente ragione se stai parlando del gergo anglo-aziendalista, che è assolutamente gratuito e serve solo da cortina fumogena, per occultare realtà di sfruttamento. Un “call center” è un centralino. Chi sta al “customer care” raccoglie prosaicissimi reclami. Un dipendente, anche se lo chiami “team member”, ha come controparte il padrone. Un “team manager”, anche con la denominazione inglese, se era stronzo lo rimane, al pari di qualunque vecchio, comunissimo capo-reparto o direttore del personale. Il “job on call” una volta era quello dei “caporali”.

  19. Segnalo anche, come ultima cosa, poi non segnalo più niente tanto ho capito che l’aereo mi lascia sull’isola deserta, segnalo un libro straordinario: Blankets di Craig Thompson.
    Così, per far vedere che c’è anche dell’altro al mondo.
    Ne approfitto per dire a Wu Ming 1 così può riportarlo a Wu Ming 2, usando quel loro idioletto da tecnobrigatisti, che Guerra agli umani è un discreto libro. Vorrei anche dire a Wu Ming 1, da diramare a WM 2, 3, 4, 5 se li vede questa sera al ristorante cinese, che “Recensiamo i recensori” è una corposa rubrica sulla rivista Fernandel cominciata un anno fa dallo scrittore Elio Paoloni.
    Per la traduzione delle parti numeriche dei nomi wuminghiani: http://www.mandarintools.com/numbers.html
    Per Lady Lipps, non so nulla sul futuro di “La fondazione”, ma è un testo nato per essere letto, in dialetto, non credo che pubblicato sarebbe così bello. Penso che Marescotti lo riprenda nei suoi futuri strani spettacoli. Ciao.

  20. FT – Sì, Wu Ming 1, sono d’accordo con te. E concordo anche che alcune mie espressioni (quelle che hai giustamente evidenziato) si prestano ad interpretazioni non univoche. Concedimi quindi di aggiungere simpaticamente una battuta: quel mio “FT”ad inizio commento sta, appunto, per… “Fuori Tema”. 😉

  21. in quanto ai critici hai ragione…per citare carmelo bene su leon bloy”il critico è uno che cerca un letto in un domicilio altrui”non si può essere di professione critici,il primo critico ed unico,è l’artista,così come hanno fatto i professori,scusa se insisto,invece a limitarsi ad insegnare,cosa poi?si sono divertiti a distruggere..io non mi sono più ripreso dal liceo classico..ho dovuto anche abbandonare la laurea in storia e critica del cinema,con un professore ottuso,marxista,semiologia ecc..u.eco e company..
    ora cerco di finire senza successo il cosi detto CMT..una laurea triennale..da piccoli quando si giocava per strada a calcio ed una pallonata rompeva qualcosa,si doveva ripagare..qui i demolitori di persone non pagano mai…
    per favore dimmi qualcosa su “La cantina” di Bernhard,un libro che se letto 20 anni fa mi avrebbe risparmiato tanti dolori..ciao

  22. Beh, Stefano, su “La cantina”, sull’anticamera dell’inferno di Bernhard si potrebbe discutere per giorni. Quel che posso dirti io qui è che del medesimo mi ha sempre colpito la capacità, e la crudeltà, nel mostrare il lato velenoso e oscuro di un luogo universalmente acclamato come ridente, Salisburgo, patria del Celeste Cherubino Mozart. Un romanzo che ho molto amato, forse più de “La Cantina”, è “Il soccombente”: che non è tanto un libro sull’invidia, secondo me, quando una poco eguagliabile descrizione dell’Esclusione…E in qualche modo è anche piuttosto pertinente con quanto si sta dicendo qui.
    Isabella, ma allora hai riaperto il blog? Dove?
    Andrea, fammi capire il senso dell’isola deserta. Non mi sembra che fino a questo momento ci siano due argomentazioni che si escludono a vicenda: per esempio, tu segnali giustamente una bellissima graphic novel di Craig Thompson. E meno male. Se vuoi mi aggrego a consigliare l’opera omnia di Neil Gaiman (lo faccio, in effetti). Ma poi? Nessuno, mi pare, ha scritto che O si legge Thompson O si legge Faletti. Io ho scritto semmai che bisogna leggere entrambi, e formarsi un giudizio. Ribadisco che temo gli a priori, le liste di nicchia come le liste che Dea Verna chiamerebbe da bor7. Perchè penso che la lettura possa e debba fare a meno delle nicchie, del mainstream, della sperimentazione come categorie date, ma che debba attraversare tutti i territori.
    Quanto alla rubrica che segnali, benissimo: più se ne parla, meglio è.
    Torna.

  23. Mi trovo d’accordo con Matteo Fantuzzi, decisamente.
    Aggiungo: non sopporto proprio più la rassegna stampa selvaggia. Vedo blog che ogni giorno tirano fuori 4 o 5 recensioni raccolte dai giornali: ed allora io mi chiedo, “ma questi che mettono su tanta rassegna stampa, li avranno letti tutti ‘sti libri…” E se li hanno letti, come ci sono riusciti? Nel giro d’un giorno avrebbero letto l’ammontare delle pagine di 4 libri (o 5)? E come hanno fatto? Oppure, oppure, mi balugina in testa, non sono stati letti i libri e solo è stata operata rassegna stampa selvaggia, e con quale criterio? quello commerciale o dell’amicizia con l’autore e l’editore? Allora io non credo che sia possibile leggere 5 libri al giorno, allora non credo nella rassegna stampa selvaggia. E dubito del blog o del sito che le mette on line, e dubito anche di chi ha scritto le recensioni, e finisco col dubitare di tutto e tutti. Oh, non sono il solo: per fortuna siamo in tanti a dubitare.
    Saludos.
    Iannox

  24. Iannox, potresti spiegarmi, se ti va, il motivo per cui secondo te i gestori dei blog che pubblicano recensioni tratte da altri siti o dai giornali dovrebbero NECESSARIAMENTE aver letto i libri di cui si parla nella recensione? Un blogger che si occupa di letteratura ha o non ha il diritto di, che so, stimare il recensore; amare l’autore di cui si parla e allo stesso tempo non aver letto ancora il suo ultimo libro, ma intuire, o al massimo scommettere, che sia un buon libro, del quale vale la pena cominciare a parlare, per poi magari dopo ritornarci su con cognizione…? Non si può leggere TUTTO: non si può. Ma non per questo è vietato parlarne, o fare in modo che qualcuno che ha letto parli per noi, per nostro tramite. O no?

  25. Allora dubito anch’io per solidarietà: Matteo, non sono totalmente convinta che la critica negativa non abbia effetti sul destino di un’opera letteraria. Anche perchè spesso la critica negativa è semplicemente un’occasione perchè due fazioni già opposte si schierino di nuovo: esempio recente, Antonio Moresco, le cui opere danno spesso il la ad un fiorir di polemiche che vanno al di là di Moresco stesso.
    Ora. Senza ripescare un’altra polemica (quella che oppose Emanuele Trevi a Franco Cordelli, quando il primo definì “fascista” la stroncatura e il secondo si risentì, mi pare sul Corriere della Sera), qui si vuole semplicemente sostenere che nell’annoso, e molto spesso fangoso, discutere della critica su se medesima, da qualche tempo viene ad inserirsi un elemento nuovo. Quello del lettore, tutt’altro che pecora ignorante, che ha la possibilità di discutere su un libro con altri lettori, e di far pesare il proprio parere sul web. Questo non trascurabile fatto viene invece quasi sempre minimizzato dalla critica “su carta”. E questo, a parer mio, non è bene.
    Quanto alle rassegne selvagge, Iannox, mi chiedo: forse a volte si postano non solo recensioni proprie, ma anche quelle di altri. Mi auguro, almeno, perchè a cinque libri al giorno mi pare difficile arrivare. Io, per necessità, a volte arrivo a uno al giorno: però, a mia discolpa, rileggo…o mi riservo le letture serali per piacere personale e non professionale.

  26. bah, mi sembra un falso problema quello della critica nei blog. esistono riviste in cartaceo che lavorano in area blog spesso con gli stessi autori-collaboratori e un ponte con gli addetti ai lavori o i semplici lettori (sempre nobile professione) e gente che scrive cavolate su un blog e cavolate sono anche con 1000 contatti al giorno. dobbiamo ho paura più che altro smettere di pensare che il “pubblico” della letteratura sia una massa di pecore ignoranti. i lettori hanno tutta la capacità di decidere ciò che per loro vale o meno, quale sia un libro fatto esclusivamente come prodotto commerciale e quale con artigiana capacità, quale critica sia fatta solo per il gusto di stroncare e quale stronchi con senno argomentativo. perchè alla fine la domanda vera da farsi è: stiamo parlando di prodotti commerciali o prodotti letterari ? perchè una critica fatta male un prodotto letterario non l’intacca…

  27. da quello che vedo (leggo, sento direttamente) mi pare davvero invece notare Loredana che la critica istituzionale / cartacea si stia accorgendo di questo popolo fino a poco tempo fa pura massa silente. e ne sia anche un poco preoccupata, trovandosi molto bene in un’egemonia come quella dei tempi passati.
    “discesa dei barbari” me l’ha definita solo qualche giorno fa un noto e non più giovanissimo critico.
    a questo punto si aprono 2 strade: o ci sarà un’esasperazione delle uscite populistiche che abbassando il livello del letto avranno la possibilità di vendere numeri importanti di copie, o al contrario si scoprirà che il pubblico gradisce la qualità con alla fine guadagno della letteratura contemporanea.
    e io mi auspico ovviamente la seconda ipotesi. valutando però come possibile una terza strada, quella cioè che le porterà avanti entrambe creando così una spaccatura tra editoria di “qualità” e editoria di “quantità”. slow-food e fast-food. slow-book e fast-book.

  28. Oh, Lipperini, ma ti risulta che Neil Gaiman sia l’argomento di qualche blog di scrittori/critici nella rete italiana? Non mi risulta. C’è invece qualche blog di scrittori/critici che non ha parlato dell’ultimo lavoro di Lagioia? Non mi risulta. Allora parliamo tutti delle stesse cose: le ultime uscite, come uno spot. Nella rete gli spot sui quotidiani la rete dei micropoteri: evviva. Ovvio che parlo del lato peggiore della cosa, ma esiste.
    Prima di essere etichettato nemico della letteratura italiana preciso apprezzandone la bravura e l’intelligenza tutta ‘sta gente qui: Lagioia, Moresco, Voltolini, Scarpa, Mozzi (per me i fantastici quattro), Trevisan, Evangelisti, Genna, Patrie Impure, mezzo catalogo Fernandel, tutti quelli nati intorno a Maltesenarrazioni, Tondelli, Matteo B Bianchi, Paterlini (formidabile il suo ultimo libro), tutti quelli nati intorno al Semplice, ecc ecc.
    Perché allora vengo a rompere con Bergonzoni/Moreni, Craig Thompson, Baldini/Marescotti, Martinelli del Teatro delle Albe? perché sono sicuro che di questi nessuno parlerà mai, perché girano sempre le stesse idee. Perché in italia siamo rintronati. Perché una volta su NI mi è sfuggito, per descrivere lo strano effetto che mi fa la scrittura di Moresco, di dire che Moresco “installa” le parole come un artista contemporaneo fa con gli oggetti, che lui e l’artista contemporaneo condividono in un certo senso il mezzo espressivo e che questo porta ad “entrare” nei suoi libri e a sentirsi circondati da accrocchi di oggetti reali e allo stesso tempo immensamente simbolici. Salta su Andrea Raos a dire che uscendo dai rispettivi campi si rischiano di dire banalità (sia chiaro voglio bene a Raos, è bravissimo, ma secondo me è esattamente il contrario, rimanendo nei rispettivi campi si dicono banalità e si fa addormentare la gente). Non ho nemmeno continuato la discussione, piuttosto scrivo direttamente a Moresco, perché avendo un lavoro a tempo pieno che non c’entra una mazza con la letteratura e l’arte non ho voglia di perdere tempo. Tornando al fatto che certi ambienti, pur essendo pieni di gente intelligente e talentuosa, tendono a diventare autoreferenziali, ricordo che a volte avere un po’ di slancio verso il nuovo premia parecchio, penso alla rivista di Eggers, che tra l’altro non ha certo rinunciato a un numero sul fumetto. Certo che tutto questo arriva da noi quando è consolidato e forse finito. La nostra è una critica che sana le mancanze dopo un po’ di tempo. La critica della sanatoria, che prende atto insomma. Gli regaliamo un telescopio a ‘sti critici?
    ps tutto scritto di fretta, sarà pieno di errori, fa lo stesso. Ciao.

  29. Dico: per fortuna esistono i blog che dicono quello che stampa radio televisione non dicono se non nella solita maniera che troppe volte è mera “pubblicità”. Per fortuna esiste il passaparola, il feedback. Per fortuna non esiste solo la rassegna stampa selvaggia, e c’è chi i libri li legge e poi magari ne parla pure.
    No, lo scrittore, quando è tale, non si deprime per una recensione negativa: però non la prende bene e se la lega al dito. I più si legano al dito nome e cognome di chi ha osato esprimere parere negativo.
    Prima era il silenzio, oggi non più, dopo i blog, dopo l’avvento e la diffusione delle notizie in rete ad opera di “liberi pensatori”: e la paura, almeno un po’, comincia a serpeggiare.
    Saludos.
    Iannox

  30. @ PIERO SORRENTINO:
    Se metto su una recensione d’un libro che non ho letto, non vedo quale utilità critica: no, non c’è nessuna critica in una rassegna stampa così. Posso stimare recensore e autore del libro quanto voglio, ma MAI metterò su una recensione se prima non mi sono sincerato io con la mia MENTE ed INTELLIGENZA che il libro è proprio quello lì, quello di cui si parla nella recensione. Sono come San Tommaso o giù di lì: SE NON LEGGO, NON CI CREDO. E devo leggere il libro, altrimenti, almeno per me, la rassegna stampa non passa.
    Stimo, in primis, la mia intelligenza, quella che mi fa dubitare, che mi spinge a leggere i libri e non la stima che potrei nutrire nei confronti di Autore e Recensore (o Critico). E’ un caso di dovere, di necessità, è deontologia, anche se molti non sanno più da che parte stia la deontologia. La critica in “rassegna stampa selvaggia” non m’interessa, non c’interessa, ci fa ORRORE: sempre chiedersi, questo VALE, e se sì, QUANTO VALE?
    Non faccio scommesse sul pensiero: i libri costano, costano, e non si sa mai quanto valgono, quindi io, coscienzioso sono, non propongo tanto per proporre, per parlarne. No, mi dispiace: non lo faccio.
    Se mettessi su recensione d’un libro che non ho letto, poi, domani, mi arriva uno e mi dice: “Tu hai messo on line recensione. Tu hai letto il libro?” Io cosa gli rispondo? “No… Veramente…” E lui ribatte seccato, giustamente: “Nella recensione che tu hai messo on line, si diceva che il libro era così e così. Ed invece, io che di te mi sono fidato, io non trovo affatto che sia così e così. Anzi è proprio tutto il contrario. Tu sei un venditore di fumo. Uno che non legge ma si permette di consigliare un libro mai letto.” Io non voglio essere accusato un domani d’essere un “venditore di fumo” o peggio, perché alla faccia ci tengo, come ci tengo alla fiducia che i lettori ripongono nei miei consigli: quindi se NON LEGGO, NON CI CREDO.
    L’intuizione è “qualcosa di non scientifico”, di irrazionale: non serve. Almeno a me, e a tanti altri non serve l’intuizione.
    Credo non sia difficile da capire.
    @ LA LIPPERINI:
    Sì, si mettono on line “recensioni” di altri, è chiaro. Ma chi le mette on line, ha letto il libro in questione? Se la risposta è no, la recensione messa on line per fare rassegna stampa, di fronte, davanti, nella mia intelligenza assume valore uguale a ZERO.
    Saludos.
    Iannox

  31. Mi vorrei spezzare una lancia addosso: ciò che di buono viene dai blog-critici è il fatto di provare a parlare di libri e film in modo meno prevedibile e ingessata della critica di stampa e radio. Non interessa tanto stabilire cosa è bello e cosa è brutto, ma “usare” libri e film per quello che sono: oggetti di vita quotidiana, spunti, spigoli contro cui si va a sbattere e guanciali su cui si ama addormentarsi. Tutto questo nei giornali non c’è (e se c’è, ditemi dove). Dopodiché, penso che si tenda a sottovalutare la capacità critica di scrittori e registi, che personalmente non vedo così fragili da deprimersi per la prima critica negativa che leggono in un blog.

  32. Marquant fa benissimo a spezzarsi una lancia addosso: la “discesa dei barbari” paventata dall’interlocutore di Matteo serve proprio a -scusatemi se uso la parolaccia-desacralizzare il libro, o il film. Per intenderci: conosco e frequento parecchi non-lettori che confessano di avere come deterrente “anche” lo spirito sacerdotale di chi si occupa di libri (o anche, a volte, di chi li vende). E questo avviene esattamente perchè nella maggior parte dei casi si fa quel che diceva Raos ad Andrea: si sta ognuno nei propri campi, li si dota di scalinata, e guai a chi mischia le cose, o a chi sale maldestramente i gradini.
    Ci vorrebbe il telescopio. I blog possono anche fungere da. E che serpeggi un po’ di paura è testimoniato anche da quel che mi ha raccontato poche ora fa Giuseppe Granieri: il quale, ad un convegno che riguardava anche la letteratura e anche la rete, e molto i blog, è stato-mi dice- quasi linciato dai relatori “cartacei”.

  33. Iannox, per usare -riattandola per l’occasione – una formula piuttosto famosa: Il mondo (dei blog) è bello perché è vario. Ci sono fior di siti che parlano mirabilmente di letteratura postando recensioni prese dagli inserti letterari o da altri siti. Magari è colpa mia, forse sono stanco: ma davvero non capisco il senso delle tue obiezioni. La tua onestà intellettuale di persona e di lettore è, come dire, sacra e rispettatissima, e sono sicuro che il giorno che terrai un blog di letteratura, se vorrai, allestirai un bellissimo blog pieno zeppo di recensioni di libri letti da te. Quanto alla tua fiducia in una “scienza recensoria”, in una infallibilità chimica dei modelli critici, in una rigorosa essenza delle forme della critica letteraria, be’, magari è un discorso che mi lascia un po’ perplesso… ma ripeto, è colpa mia.

  34. @ PIERO SORRENTINO
    Sì, il mondo è bello anche perché è vario: c’è una larga disponibilità di scelta, se non altro.
    Anch’io metto on line “recensioni” non mie, ma solo quando ho letto il libro di cui parla la recensione. Spesse volte le scrivo io stesso le recensioni, o critiche: dipende dal libro e da quanto merita a mio giudizio. Per me la recensione è una cosa, mentre la critica è una cosa decisamente più complessa e completa. Ma prima di metter on line una recensione non mia, prima leggo il libro e m’informo seriamente su “chi” ha operato la recensione, questo per capire se si accorda con l’idea che mi sono fatto io del libro: a mio giudizio è inutile metter on line recensioni di cui si condivide poco o niente.
    Non ho segnalato alcun blog o sito: non mi sembra che ci sia un campo per fare simili segnalazioni. Ad ogni modo, se proprio mi vuoi trovare in rete, credo non sia troppo difficile.
    Non parlo d’una scienza “recensoria”, ma solo d’una deontologia. Un discorso lungo questo.
    Saludos.
    Iannox

  35. non ho letto “IL Soccombente”ma è chiaro che dopo aver letto “La cantina”non mi farò sfuggire libri di un autore che mi ha capito,o che ho capito.
    A Salisburgo,pur avendo viaggiato relativamente poco,ci sono stato,e l’ho trovata molto bella e moderna nel 1996.
    Tutte le città hanno il loro inferno,così come tutte le persone,e tutte le case o famiglie….
    mi spiace solo vederlo,viverlo..non bastano gli inferni che già viviamo extra moenia…
    grazie della risposta esaluti
    stefano

  36. Allora: di solito è il buon senso a guidare in assenza di regole. In rete c’è la netiquette che bene o male dà un’idea di ciò che si deve e non si deve fare. Il resto è a discrezione dell’utente e del suo buon gusto. Molti usano la rete e il blog per dar sfogo anche ad un’eventuale ‘frustrazione’ di non essere scrittori o giornalisti, trovando una dimensione che consola le loro aspirazioni perchè ben o male sono letti. Ciò non significa che il vero scrittore e giornalista abbia un blog e scriva cose più intelligenti (di solito dovrebbe accadere così, ma non è detto). Il tutto rimane relativo e discrezionale al contesto e alla persona. Sicuramente, in rete l’informazione passa senza censure da redazioni, mi riferisco alla Blogosfera, cosa che invece si sa, non accade sulla carta stampa o in eventuale redazione di magazine o quotidiani on line

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