NICCHIE

Diciamo che, ieri,  pensavo di parlare di alcune cose e poi, come spesso avviene, si è parlato di altro. Diciamo che immaginavo che ci fosse anche Sergio Pent, che come me era rimasto quantomeno stupito dell’attacco ai “cannibali” contenuto nell’ultimo Tirature (Adesso? Dopo sette anni? Perchè? Ma poi stamattina notavo che due quotidiani citano i cosiddetti “cannibali” in due occasioni, tutte e due sbagliate: lo fa Gene Gnocchi nell’intervista su La Stampa per presentare il suo programma “di cultura” sostenendo che ben altri sono gli scrittori cattivi – ma dai?- e lo fa Mario Ajello su Il Messaggero raccontando della citazione bertinottiana da Aldo Nove, e definendo il medesimo come perdibile “scrittore giovanilista”-sic).
Poi, Sergio Pent è rimasto bloccato dalla neve, a Torino.
Poi, in una sala piena di studenti (oltre che dei valorosi che citavo nei commenti al post sotto e a due blogger conosciuti, con gran piacere, proprio ieri), Filippo La Porta ha introdotto un paio di argomenti cui era difficile sottrarsi (e forse avrei dovuto).
In ordine sparso: bisogna educare i lettori. Bisogna avere dei lettori capaci. Chi lo fa, nel momento in cui la scuola non assolve al proprio compito, e nel momento in cui la società letteraria “non esiste più”? Gli scrittori italiani, oggi, mancano di energia vitale. Siamo in presenza di una massa di lettori che presume di essere colta leggendo libri che alla cultura ammiccano soltanto. I colti abbassano la guardia e qualcuno, nei salotti, dice che Kafka è “carino”. In letteratura, come nel cinema, esistono opere innocue per le masse, quasi benigne per le medesime, pericolose per le stesse (registi citati da critico amico di Filippo, rispettivamente: Spielberg, Landis, Carpenter). C’è desiderio di un ritorno all’ordine.
Ora: come sa chi mi ha ascoltato qualche volta, tutto sono tranne che un’affabulatrice. E  non lo dico per vezzo, come credo sia stata ieri interpretata la mia vecchia affermazione (non sono un critico, neanche militante, sono una cronista): è così. Ammiro dal profondo delle viscere gli affabulatori, ma, anche negli anni radiofonici, parlo come scrivo: faccio cronache. Ieri, sinceramente, avrei desiderato l’eloquenza del Miserabile, o di Tiziano, o di Roberto: perchè più che la descrizione piana sarebbero serviti fuochi d’artificio. Per dire, come ho fatto, che:
a) certo che esiste, una società letteraria, solo che non è dove credete che dovrebbe essere , per esempio è in rete (detesto passare per tecnoentusiasta, giuro).
b) che il salotto è istituzione detestabile, e che comunque  se qualcuno che fino a ieri leggeva Dacia Maraini è passato a Kafka ne sono contenta. Così come sono contenta quando qualcuno tamburella con le dita quando ascolta i concerti per corno di Mozart.
c) che gli scrittori italiani, almeno alcuni, quanto a energia stanno benissimo, grazie
d) che Filippo doveva cambiare critico cinematografico di riferimento e che, in virtù di Carpenter e degli assimilabili letterari, bisognava ancora fare un discorso sui generi (ancora!)
Poi, però, mi sono resa conto che nessuno aveva letto neanche uno dei libri che avevo in mente io mentre parlavo (New Thing, Noi saremo tutto, Occidente per principianti, per citarne tre)
Poi, però, la professoressa Giovanna Rosa ha preso la parola dalla sala per dire che la rete, crea nuove elite proprio per la difficoltà di accedervi (se non capisco male) e invece di essere democratica dà vita a comunità ancora una volta chiuse. A nicchie fra nicchie.
Poi, però, mi sono resa conto che nessuno dei presenti aveva visto un blog se non nelle provvide stampate fornite dall’ufficio stampa (sia lode a lui).
Poi, infine, mi sono fatta la stessa vecchia domanda: ma perché se qualcuno mi chiedesse di scrivere un saggio accademico su Calvino mi sottrarrei prontamente, ma la stessa prassi non vale nel senso inverso (quando, cioè, si parla non dico di rete, ma di contemporaneità)?

Ps Note a margine. In albergo, fuggevole istantanea da Sanremo: Bonolis stringe fra le mani il libro di Sergio Endrigo. Permettetemi: evviva. Mattina dopo, sempre in televisione: Carlo Climati dice che Satana è su Internet. Arnaldo Colasanti, via Bulgakov, cerca di sostenere che Satana è il potere e i giovani vanno convinti a combatterlo con il contropotere. Lo guardano malissimo. Sì, c’è desiderio di ordine. Aiuto.

 

114 pensieri su “NICCHIE

  1. ilpostodegli scrausi, le cose non sono così semplici. vale sempre il discorso del cinese… tu aspetta, e vedrai chi prende per il culo chi…

  2. La quantità di post che accompagano questa discussione, come ogni discussione, dimostra quantomeno che il discorso sulla nicchia è vero – anche se non nel senso indicato dalla prof che ha semplicemente poca dimestichezza col pc.
    Ma qui si susseguono nick e nomi più o meno identici; c’è una tale aria di autoreferenzialità che circola tra commenti e link, e che l’intelligente Loredana non può non cogliere e contro cui, evidentemente, non basta alzare il muro critico del ‘ma chiunque può partecipare se vuole’.
    Si può, se vuole, se ha tempo e voglia, ma sempre con la sensazione di interrompere il girotondo dei vari gennaIannoxecc che si tengono per mano e girano… girano…
    Molto più semplicemente andrebbero dette tre o cose basilari.
    1) I cannibali non hanno portato nulla di ‘culturalmente’ e ‘artisticamente’ valido nella nostra letteratura, per il semplcie fatto che non hanno fatto letteratura. Come è accaduto per tantissimi scrittori italiani che hanno esordito negli ultimi 10-15 anni.
    Hanno scritto dei libri – che è diverso. Hanno svecchiato la lingua? E’ un concetto che si sente ripetere spesso, almeno ogni volta un giovane si affaccia sulla scena letteraria (penso al primo Tondelli ma che spessore che emozione!!).
    E l’emozione resta il fondamento primo di ogni fare artistico. Non basta essere dei volenterosi talentuosi né come accade per tanti di questi (Nove Ammaniti Santacroce) dei talentuosi della volontà.
    2) I cannibali lungi dal tautologizzare la propria realtà non hanno sbranato nulla, né tantomeno si sono lacerati tra di loro regalandoci il brivido di qualche ferita – almeno ci avrebbero regalato lo spettacolo della pelle ferita. Non gli si chiedeva di lacerare lo sguardo, quello no, lo sguardo è sempre stato in loro così calmo e placido, innocuo, socialmente correct per quella loro smania di cercare il pelo nell’uovo mai covato. Non si sono mai sbranati ma hanno fatto cerchio e dopo 7 anni chi più chi meno occupano post e posti. E invecchiano (questo si) il linguaggio sintonizzandolo sui modi burocratici delle generazioni passate.
    3) In Italia la quantità di gente che scrive è superiore alla quantità di gente che legge. E questa è una ferita.
    In Italia la diaristica autoreferenziale e l’esibizionismo parolaio sono diventato il lusso privato che ciascuno esercita dove e quando può, e la difesa dei blog e degli spazi in rete è giustificata proprio da quest’esigenza di piccoli o grandi spazi dove potersi sentire scrittori.
    E recintare questo spazio aggiungendo i link degli amici scrittori che ogni tanto avranno la cortesia di citarci dando la sensazione che qualcuno ascolta ciò che abbiamo da dire è un’operazione meschina.
    Scrivere è anche un atto etico. La selezione di parole e idee stona terribilmente con quest’esercizio di s-pudore.
    4) Molte discussioni che si fanno in Italia su letteratura e cinema – soprattutto perché fatte da persone che non hanno nulla da dire ma hanno bsiogno di uno spazio dove esibire quel nulla – sono mortalmente antiquate e noiose. La discussione sui film fatta dal critico sta lì a dimostrarlo nella sua evidenza. La mancata discussione sul postmoderno come categoria storica del linguaggio!. Mi piacerebbe che La Porta con coraggio ci dicesse in che modo si avverte la sensazione che questa gran massa di parolieri non ha nulla da dire; ma lo sa fare bene, ed esercita il proprio sforzo lessicale con convinzione e glaciale inutilità.

  3. Cara L, voglio risponderti con la stessa franchezza e onestà intellettuale da te usata.
    Inannzitutto sull’ultima questione: direi che l’atto etico è in se un atto sociale, nel senso che lo sforzo che ciascuno compie nel dare rigore ai propri pensieri e alle proprie parole non può che riflettersi su chi ci circonda. Anche se non immediatamente, anche se non in maniera diretta. E forse è questo ciò di cui si parlava con la Porta quando si affrontava la questione dell’educare ai libri.
    Ci si educa alle parole e ci si fa trasperenti, cosicché gli altri possano guardare noi per guardare anche se stessi.
    L’autoreferenzialità è termine diverso dalla condivisione intellettuale. Diciamo anche il suo inverso. Premesso che non mi riferivo a te, ma ai tuoi post di cui leggo anche i libri perché non voglio sembrare un acido attaccabrighe. Li leggo, li giudico. E’ nella logica delle cose. E non voglio sentire difese del tipo: ognuno ha il diritto di dire ciò che pensa ecc. col cazzo che ce l’ha!
    E qui arriviamo al punto centrale della questione blog-spazio in rete ecc.
    Quello che non mi convince è che in questi spazi manca proprio quella che dovrebbe essere la caratura principale della scrittura: il tempo, la sedimentazione delle idee, la concentrazione linguistica (e nei miei post più di altri). Manca lo sforzo e il rigore nella cura delle parole, e non mi va giù questo uso da dripping, questa quantità di pensieri sgocciolati su pixel, non ne sento la suggestione visiva, e figuriamoci intellettuale.
    Ecco perché l’autoreferenzialità, che è diversa – ripeto – dalla condivisione intellettuale, è un limite e non un pregio. Perchè supporta laddove le parole cedono. Funge da giustificazione: posso non impegnarmi, tanto c’è XY che mi riprende.
    Per carità è giusto esprimersi. Ma è il come più che il cosa che conta.(se ripenso alla polemica Genna-Voce ci vedo tutta la miserabilità dell’attuale situazione letteraria italiana).
    La letteratura, la scrittura e l’arte sono d’altronde atti solitari. Tu parli del metterli a disposizione. Ma noi adesso mettiamo a disposizione, condividiamo, non gli atti finali, ma la fabbrica di idee che c’è dietro.
    E questa è un’altra cosa che mi appare quanto meno dubbia. Non chiedo di chiudere gli accessi e i post, ma mi sento di auspicare un maggiore rigore. Far passare un giorno anziché un’ora può essere importante.
    Detto questo, ma non detto tutto, sui cannibali non sono d’accordo con te.
    Non mi hai risposto nel merito. Hai citato cifre, statistiche. Una tot quantità di persone dopo una tot quantità di anni ne parla ancora ecc…
    E allora?
    E non sono poi quelle stesse persone che accademicamente rifuggono questi spazi-blog? La mancanza di stima non era già sancita?
    No, L, rispondimi nel merito: dimostrami dove Nove è scrittore. Parliamone.

  4. Anzitutto grazie, Luigi, per aver riportato la discussione nei binari di partenza. Ti rispondo, almeno su qualcosa.
    Certo che in rete c’è autoreferenzialità: come c’è, però, in ogni ambiente dove interessi e a volte professioni son comuni. Qui avviene anche qualcos’altro, in effetti: e non mi riferisco tanto all’incursione dei sedicenti sbeffeggiatori (è nelle norme stesse della rete, così come è nelle norme non scritte dei convegni letterari il personaggio che monopolizza la discussione reiterando la stessa domanda. Siamo, infine, esseri umani, fuori e dentro il web). Diciamo che qui è effettivamente più semplice partecipare, avendo il tempo, e la voglia, e la pazienza: non più di quella che è necessaria quando si ascoltano i relatori di una tavola rotonda, e con il vantaggio che qui la tavola è virtualmente smisurata (almeno io continuo a considerarlo un vantaggio).
    Per quanto riguarda i cannibali, suppongo che tu sappia che non sono d’accordo. Se non sono stati così importanti, mi chiedo, come mai ancora oggi sono il termine di paragone (o il bersaglio) prediletto? La parola cannibali è stata una semplificazione, a mio parere: utile per far irrompere sulla scena un gruppo di scrittori che linguisticamente e contenutisticamente non avevano padri o fratelli maggiori. E non mi sembra, infine, che abbiano occupato tanti posti: ben altri sono coloro che lo hanno fatto.
    Quanto ai blog: ridurli a sfogatoio per non pubblicati mi sembra, onestamente, alquanto miope. I link, tanto per risponderti su questo punto, non sono un recinto. Sono una segnalazione di affinità, o di personale simpatia: personalmente poco mi interessa l’altrui citazione. Arrivo al blog dopo non pochi anni di scrittura pubblica e non è certo una conferma quella che cerco. Cerco, invece, una condivisione che altrove mi sembra diventata estremamente difficile. Scrivere, forse, è un atto etico: sicuramente è anche un atto sociale, a meno di non chiudere a chiave nel cassetto quel che si è scritto.

  5. Comunque la situazione è grave perché siamo tra due fuochi, da una parte i critici – profi universitari che non sanno una fava della letteratura italiana contemporanea, dall’altra un’orda di fake che sparano indiscriminatamente su qualsiasi scrittore italiano che abbia un minimo di successo. Boh, ma perché cari fake non andate tutti a casa di Pedullà a giocare a briscola: siete della stessa pasta, vi trovereste benissimo.

  6. Luigi, scusa, secondo me tu stai parlando della “preparazione”, che è una cosa diversa dall’autoreferenzialità. E’ chiaro che se uno ha più dati per portare avanti un “discorso”, sarà più aperto, e meno limitato, se uno ne ha di meno – di dati a disposizione – sarà più chiuso e forse anche più attaccato alle cose che pensa e con più difficoltà sarà disposto a cambiare idea, come è da sempre. Ma la cosa bella del blog, secondo me, è proprio che tu hai a che fare con qualsiasi tipo di individuo. E il divertimento sta – secondo me – proprio nel doversi impegnare ad esprimere ciò che si vuole dire – e a comunicare le proprie passioni – a seconda delle persone con cui dialoghi. Sul blog, la regola che tante teste valgono più di una, proprio vale! perchè 1. ognuno, anche se poco, e per poco, un attimo ci pensa a quello che vuol dire, a differenza delle riunioni in cui gli “appassionati” sono presenti di persona; 2. un minimo di vera passione in comune – seppure a più livelli – c’è; 3. non ci si mostra direttamente, questo fa sì che chi parla si senta più “libero”. Non lo so. Però parli con una fanatica. Io non ho voluto un blog, e ho un sito “mutissimo”, perchè conoscendo i miei limti di carattere penso che se così sto al computer 7 ore, se avessi un blog ce ne starei 17! Ciao.

  7. Confermato:Marianna/Orianna è un fake. L’indirizzo (mariannalolli@tin.it
    ) non esiste. Si tratta del solito scrittore rosicone che non riesce a capire che differenza passa tra Proust e Ammaniti.
    Franz Kake

  8. Ligabue meglio di Orwell e Asimov… Proust palloso… Faletti meglio di Thomas Mann… no, scusate, io mi tengo allora gli scrittori con la puzza sotto al naso. Mi tengo i rompicoglioni (Busi, Céline, Bellow, Carmelo Bene), mi tengo i frustrati (Kafka…) e sono felice che dalla “Recherche” e dalla “Metaforfosi” sia impossibile trarre una riduzione cinematografica perché semplicemente sono libri irriducibili. Non sono per l’educazione dei lettori, però se la discussione è da asilo quelli come me si sentono tagliati fuori…

  9. Caro Gianfranco, speravo risultasse evidente che negli ultimi due giorni questo blog è stato preso d’assalto da tre buontemponi peraltro assai noti nel web. Accade, niente di gravissimo. Ti inviterei però a leggere le affermazioni che tu citavi con la dovuta cautela: personalmente non ho mai scritto nulla del genere, nè mi sembra che, abitualmente, chi interviene qui lo faccia.
    Quanto a Luigi: le motivazioni con cui i singoli accedono alla scrittura nel web non possono essere comuni. E’ una questione, banalissima, di numeri. Esiste dunque il caso in cui la parola, come per i vari fake di questo post, è utilizzata certo non con rigore, ma con intenti demolitori. Accade, ripeto, anche in altri contesti. Quando tu imputi alla rete la mancanza di sedimentazione delle idee e di concentrazione linguistica hai, in alcuni casi, ragione. Ma, ribadisco, questo avviene anche fuori dalla rete: in non pochi luoghi dove ho lavorato o che ho frequentato, e che teoricamente dovevano essere luoghi dove le parole dovevano avere un peso, ho ascoltato affermazioni tanto radicali quanto prive di qualsiasi fondamento.
    Quanto alla limitazione o moderazione dei commenti in questo blog: gli ultimi due giorni, mi sembra, sono serviti, a me per prima, per fare esperienza. Sapevo che prima o poi qualcuno avrebbe invaso questo spazio, perchè è già avvenuto altrove, e perchè, insomma, la sottoscritta è già da svariati mesi fra i bersagli prediletti dei supposti infestatori. Credo che la reazione stessa dei frequentatori sia stata chiara. Avverrà di nuovo, naturalmente, è uno dei rischi che, però, preferisco continuare a correre.
    Infine, su Aldo Nove e sui cannibali: come posso io dimostrarti qualcosa in cui non sei disposto a credere? Che Aldo Nove sia uno scrittore è, a mio modo di vedere, un fatto. Che tu non lo consideri tale, è scelta rispettabile, ma personale, e da me non condivisa. Tutto qui.

  10. E infatti, Loredana, io mica quelle frasi le imputavo a te. Ma a quelli che tu chiami “buontemponi” e che dal vivo (con le loro facce, con i loro nomi) non riuscirebbero forse a sostenere lo sguardo del proprio interlocutore senza arrossire o balbettare e invece, nascosti dall’anonimità della rete, riscattano la propria frustrazione quotidiana a spese dei discorsi intelligenti.

  11. E’ proprio per quello che dici, per questa latitanza diffusa di rigore che si manifesta anche in quei luoghi dove sarebbe maggiormente auspicabile che vi sia, che sprofondare in questo diffuso chiacchericcio finto polemico può generare fastidio. Soprattutto perché la distanza che si avverte tra l’oggetto (cioé la scrittura in senso lato) e i soggetti (quanti commentano) è talora insopportabile. Con questo, e lo ribadisco, non dico: niente più blog. Anzi. Però noto che la quantità di note e voci non è detto che produca una sinfonia. Anzi.
    E certi piccoli commenti che dicono: vabbé il solito scrittore rancoroso che se la prende con quelli che hanno già pubblicato ecc… non vanno nemmeno commentati.
    Piuttosto cara L, adesso che scorgo la lista delle tue letture, mi aspetto sempre una serena ma decisa motivazione lingustica sulla tua difesa di certa scrittura. I dati di fatto appartengono alla fenomenologia. E io non ci credo.
    P.S.
    Hai mai letto Canarino di Gore Vidal?

  12. Un solo appunto critico: la citazione dei tre registi americani (Landis, Spielberg e Carpenter) è quantomai snob e sballata. Di tutti gli esempi che potevano essere citati a proposito di cinema “pericoloso” o “dannoso” per le masse, si è andati a prendere i nomi di registi che, nei rispettivi campi di azione, sono degli assoluti fuoriclasse.
    Sicuramente l’ottimo successo commerciale e la popolarità delle opere dei tre hanno sviato il giudizio (lo snobismo è duro, durissimo a morire) ma sfido l’autore di tali asserzioni a trovare commedie più divertenti di “Una poltrona per due” o “Spie come noi”, oppure thriller-horror migliori di “1997 fuga da N.Y.” o “Helloween”, tanto per fare esempi concreti.
    Lo snobismo è una gran brutta bestia… non baratterei alcun film di John Carpenter (con la sola eccezione del mediocre “Villaggio dei dannati”) per tutto la cinematografia iraniana.

  13. Mi sono letto tutta queste filippiche e ne sono inebriato. Per me, è come stare sulla terrazza del Pincio e vedere ogni tanto qualcuno che si butta. Certi lo fanno con l’adrenalina in corpo altri no, ma è bellissimo essere seduto sulla mia sedia e ogni tanto aggiustare la posizione delle natiche, dall’emozione che mi procura la lettura, per me che solo ora ho deciso di buttarmi anch’io. Giuro, non lo farò più. Non è il “mio blog”. Ma voi continuate! Mi sembrate tutti degli aquiloni colorati. Spero che qualcuno cada.

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