NOI NICHILISTI

Ha il suo lato comico, ammesso che la comicità non rientri nella cupa brama di degradazione evocata da Ferroni (vedi post sotto), scoprire come, via via, una discussione ingigantisca come una palla di neve e i contorni originali sfumino e si perdano.
Si era partiti, occorre a questo punto ricordarlo, dal possibile avvento di una monocultura del bestseller denunciato da Carla Benedetti.
Si era replicato che no, questo rischio non sembrava così reale (che l’editoria di progetto esiste e produce, sia pure con fatica) e che un’affermazione del genere, eleggendo Faletti a simbolo del degrado, risentiva di un certo antico sospetto intellettuale verso il genere e in assoluto verso tutto ciò che rientra nella categoria di “popolare” (Faletti, in questo caso, e prima, per esempio, Tolkien, letteralmente e ingiustamente regalato alla cultura di destra).
Poi, via Sanguineti, si son tirate in ballo le Lecciso, chiedendosi perché gli intellettuali non cercano di capire i fenomeni di massa (intellettuali degni di questo nome, non Stefano Zecchi). Tra l’altro, ci si sofferma sulle sventurate sorelle, ma Sanguineti aveva citato anche Matrix. Che, a dispetto della posticcia etichetta di Intellectual Action Movie, concilia effettivamente, e bene, filosofia e pop.
Adesso, con Ferroni, siamo al cupio dissolvi. Una scena culturale dominata (dove?) da una setta di biechi intellettuali che fanno falò di Balzac e Mahler sostituendoli con manga giapponesi e dischi di Tiziano Ferro. Mi chiedo: quando mai si è parlato di antagonismo fra ciò che è sofferto e impegnato e il facile consumo? Semmai si è detta un’altra cosa: che sarebbe opportuno farla finita con la mistica della lettura.che fa coincidere che è buono con ciò che fa soffrire. Come se l’impegno richiesto da Joyce (o da Wallace, che non fa sconti in questo senso) non fosse comunque più vicino al piacere che allo spasimo. E’ questo che profuma di elitismo lontano un miglio: è il sostenere, fra le righe, che oltre una certa soglia possono entrare soltanto pochi privilegiati.
Ma il punto è un altro. E qui mi rifaccio a quel che sostiene nell’intervista di ieri a Repubblica Franco Moretti. In base a quali canoni la critica letteraria decide quale scrittore è degno,

elevato e nobile e quale non lo è? Ferroni ammette a denti molto stretti che qualche autore di genere raggiunge risultati di alta qualità. In base a quali criteri si decide chi la raggiunge? La vendibilità? No, perché allora Faletti sarebbe nel Pantheon accanto a Sartre. La critica letteraria, soprattutto quella italiana, dovrebbe forse rivedere i canoni con cui da troppo tempo stabilisce cosa è immondizia e cosa no: questo sosteneva ieri, con garbo e intelligenza, Moretti. Vale per Manzoni, vale per i contemporanei. Questo, se non ricordo male, sostenevano anche le vituperate neoavanguardie.
Quanto alla cultura di massa e alle merci: fanno parte del nostro mondo, parlano del nostro mondo. Scegliere di ignorarle, caspita, si può. Si può anche sostenere, come fa Ferroni, che il popolo non esiste più (e certo, Pellizza da Volpedo era un conto, ma i ragazzi di Amici sono molto meno presentabili). Ma misurarcisi, e attraverso di esse raccontare, è scelta altrettanto valida. 
Poi, a proposito di Amici, ieri ho visto Aldo Busi che ha preso due dei suddetti esemplari e li ha messi a  leggere Le illusioni perdute di Balzac. Certo, con costumacci avanzati da Elisa di Rivombrosa, dizione raccapricciante, facce attonite e tutto quel che disturba le persone perbene. Punto, però, per Maria De Filippi, mi duole molto dirlo.

52 pensieri su “NOI NICHILISTI

  1. Post (per quanto mi riguarda ho tre nomi, scegline uno a piacere…;) – Quello che tenevo a dire era di non rischiare di cadere – anche attraverso un utilizzo arbitrario della parola ‘popolo’ – in un ideologismo a contrario (che è poi il più pericoloso di tutti, visto che si racconta come non ideologico).
    Nel momento in cui proponi di guardare le cose dal punto di vista dall’oggetto, sono d’accordo con te. Tranne che sul primo punto: ma un autore ‘scrive per’ qualcuno intenzionalmente? Cioè ha di mira un pubblico? ‘Può’ essere. Ma ‘deve’ essere, oltre che essere possibile? Credo che se gli autori si fossero sempre posti il problema non avremmo avuto molte grandi opere d’arte.

  2. Certo, Gianni, il critico ha ovviamente uno sguardo ammirato o infastidito sui testi. Sono gli strumenti e le motivazioni di base (oltre che il contesto di azione) che fanno le differenze. Non nego che esistano scrittori che sono anche grandi critici, ovviamente – lo sguardo corre ai volumi mondadoriani con i saggi letterari di Andrea Zanzotto, per dire. Ma le scuole di scrittura non sono scuole di critica, e nemmeno dovrebbero esserlo, of course. Ciao!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto