PADRI, FIGLI

LumpenproletariatEllis-eide. (gli altri post che riguardano più o meno direttamente Lunar Park sono qui e qui e qui e poi qui). Francesco Guglieri mi invia l’intervista fatta al medesimo insieme a Roberto Canella. Uscirà su L’Indice di dicembre, ma in forma ridotta: qui sotto potete scaricare l’integrale.

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Estratto:

Negli anni Sessanta e Settanta l’imperativo era quello di “uccidere il padre”. Anche la letteratura era piena di “padri morti” (penso al Barthelme di The Dead Father). Tutti questi discorsi avevano un che di liberatorio: ci si emancipava dalla tradizione, dalle costrizioni sociali, dall’obbedienza verso l’establishment.

A giudicare dal tuo romanzo il primo comandamento dei nostri tempi, invece, è quello di uccidere i figli. L’America di oggi uccide i suoi figli riempiendoli di psicofarmaci, abbandonandoli senza amore ma pieni di giocattoli, o mandandoli in guerra da qualche parte.

Sono in una posizione privilegiata per rispondere dato che mio padre ha tentato di uccidermi. È stato difficile vivere in casa sua, era un alcolizzato, una persona molto pericolosa da cui desideravo allontanarmi il più possibile. Ho vissuto nell’incubo di mio padre, convinto che volesse ammazzarmi: probabilmente è un confronto con la figura paterna che tutti i figli vivono, ma nel mio caso assumeva tinte molto fosche. La riappacificazione è stata postuma: lui è morto all’improvviso, negandomi la possibilità di ucciderlo personalmente (ride). Eravamo tutti contenti che fosse uscito dal “quadretto famigliare”, eppure rimaneva in me come  un nodo irrisolto, doloroso: solo attraverso la scrittura, la scrittura di questo libro, sono riuscito a chiudere tutti i conti con lui.

Una volta l’educazione dei figli, da parte dei genitori, si riduceva a dar loro qualche giocattolo e lasciarli scatenare in modo che si distraessero e non disturbassero gli adulti. Oggi i figli sono sommersi di attenzioni, ogni momento della loro giornata è regolata secondo un fitto programma di attività o di consumi di cui fruire: bisogna tenerli occupati, impedire loro che si mettano a pensare autonomamente o a creare giochi con la loro fantasia. Appena dimostrano un po’ più di vivacità vengono sedati con tranquillanti o psicofarmaci. Anche questo è una forma di omicidio.

Di Douglas Coupland, invece, non ho parlato abbastanza e me ne dolgo: Eleanor Rigby, per esempio, mi ha ricordato alcune tematiche di un romanzo che ho amato parecchio (anche se non è fra i più apprezzati di DC), Girlfriend in a Coma : il personaggio sacrificale che deve scomparire affinché il mondo-o una singola creatura-migliorino, le visioni che spettano in sorte al personaggio medesimo. E, soprattutto, la solitudine: come segnalato a suo tempo da Jacopo De Michelis,vale la pena di leggere questo saggio su Coupland e il Loneliness-Virus di tutta la sua produzione.

(ah: l’immagine che accompagna questo post non ha nulla a che vedere con il contenuto del medesimo, come molto spesso avviene, volutamente, da queste parti. Questa volta, trattasi di un piccolo omaggio).

3 pensieri su “PADRI, FIGLI

  1. Anch’io, nel mio piccolo, dedicai un thread del mio blog al PARRICIDIO. Ne riporto l’incipit:
    “sabato, 9 luglio 2005
    “IL PADRE NECESSARIO” (memorie di un editore):
    ***Uno dei temi più indagati della fine del secolo scorso fu la necessità di paterno. Ho ritrovato, per esempio, un articolo di Cacciari del novembre 1989 intitolato “Bisogna uccidere il padre”, in cui l’attuale sindaco di Venezia alludeva, ovviamente, alla caduta del comunismo internazionale. “I figli sono innocenti delle colpe dei padri – asseriva – solo quando ammazzano i loro padri. Oggi da noi assistiamo al rituale parricidio, ma è un PARRICIDIO decisamente tardivo. Si è aspettato che il padre stesso dichiarasse il collasso… mentre già Max Weber, agli inizi del secolo, aveva intuito che il progetto di Marx avrebbe generato la più fanatica delle dittature: quella della burocrazia marxista-leninista, incapace di produrre le condizioni del proprio superamento.” Ricordo, poi, un interessante fondo di Eugenio Scalfari su “la Repubblica”: “IL PADRE CHE MANCA ALLA NOSTRA SOCIETA’”. “Qualcuno”, diceva Scalfari, “s’incomincia ad accorgere che è venuta meno la figura del padre e che questa lacuna di paternità è una delle cause non marginali della perdita di identità e della nevrosi diffusa che affligge gli ultimi anni del secolo morente… Il vuoto strutturale della moderna società occidentale proviene dall’assenza del padre… Poiché la natura non sopporta il vuoto, al posto del padre e della dialettica tra le generazioni si è insediata la cultura del branco, sorretta soltanto da motivazioni emozionali quali l’individuazione di un branco nemico e da una socialità negativa e distruttiva, basata sull’ideologia del più forte e su elementari valori di violenza, gregarismo, feticismo… Risorge, dunque, il bisogno di recuperare almeno alcune delle funzioni affidate alla figura paterna o di un’autorità fondativa che superi gli interessi settoriali e s’imponga in nome dell’interesse generale…: quella di indicare le regole basilari del comportamento, di amministrare la giustizia sulla base di quelle regole, di praticare la caritas e la pietas.”
    “Ovviamente”, precisava Scalfari, “non si nasce padri: lo si diventa col vivere e solo se si riesce a comprendere l’Altro, superando le ristrettezze nelle quali l’Io ci racchiude. I figli sono i portatori dell’Io, i padri, invece, quelli veri, vivono per i figli.” “La funzione paternale”, aggiungeva infine, “non è legata al sesso. Ci sono e ci saranno sempre più donne in grado come e più degli uomini di darsi carico dell’altrui… ” (eccetera). Per chi ne ha voglia: “Cazzeggi letterari”, Archivio, luglio)

  2. Bene! Visto che la conversazione langue e la conversazione, come la natura, non sopporta il vuoto, io ci provo. Butto là il mio teorema. Nella vita c’è a chi piace mangiare l’aragosta ma chi dovrebbe mangiare le cipolle? Ebbene si, sono un padre. Già da diversi anni convivo con questa- parte- di- me- che- è –fuori- di- me, che sono i figli e aspetto con ansia il momento di venire ucciso (sotto metafora naturalmente. Io stesso non ho saputo fare di meglio a mia volta anche perché come diceva sempre mio nonno: “Brutta cosa la vecchiaia, non la auguro a nessuno”. Dicevo dell’aragosta e delle cipolle in questo senso: è possibile mangiare tutti aragoste?? (nooo!) Qualcuno dovrà pure mangiarle ‘ste cipolle……..e qui subentro io per spiegare a quelli che vorrebbero mangiare solo aragoste (o anche “solo” cipolle perché no?!) che è meglio fare una bella “catalana” nel senso dell’insalata. Un po’ di aragosta e un po’ di cipolla…. aragosta…..cipolla….fine della metafora. Le regole! Le regole sono fatte per essere infrante (a fin di bene s’intende). Specialmente oggi che queste regole ci stanno strette già da ieri (scusate quando mi emoziono parlo così). A volere essere più chiari diciamo così: le regole non sono una camicia di forza ( e viceversa ), vanno “amministrate” ( su questo siamo d’accordo ), per questo ci sono i papà (come me) e poi ci sono quelli che vorrebbero mangiare solo aragoste….

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