PER CHI SCRIVE PAMUK?

Post lungo.A proposito di tutte le cicliche meditazioni su
identità, scrittura, obiettivi della medesima: in apertura delle pagine
culturali de La Repubblica c’è oggi un bell’intervento, via The New
York Times
, di Orhan Pamuk. Ve lo riporto e torno ad un
complicatissimo nonché lunghissimo articolo (su identità-appunto-e web: una
cosina da niente).

"Lei per chi scrive?" Negli ultimi trent´anni,
da quando cioè sono diventato uno scrittore, questa è stata la domanda che mi
sono sentito fare più di frequente sia dai lettori che dai giornalisti. Le loro
motivazioni dipendono dal momento e dal luogo, come le cose che vogliono
sapere. Ma tutti usano lo stesso tono di voce, sospettoso e sprezzante.
A metà degli anni Settanta, quando presi la decisione di diventare uno
scrittore, la domanda rifletteva l´opinione retriva ma ampiamente condivisa che
l´arte e la letteratura fossero un lusso in un Paese non-occidentale e povero
afflitto da problemi pre-moderni. C´era anche la velata insinuazione che
"una persona istruita e colta come lei" potesse servire meglio gli
interessi della nazione facendo il dottore e lottando contro le epidemie o
facendo l´ingegnere e costruendo ponti. All´inizio degli anni Settanta, il
filosofo francese Jean-Paul Sartre diede credito a questa opinione quando disse
che se fosse stato un intellettuale del Biafra la sua occupazione non sarebbe
stata quella di scrivere romanzi.
Negli anni successivi, quelli che chiedevano "Lei per chi scrive?"
erano più interessati a scoprire quale parte della società io sperassi potesse
leggere e amare il mio lavoro. Sapevo che la domanda era una trappola, perché
se non avessi risposto "Scrivo per la parte più povera e oppressa della
società!" sarei stato accusato di proteggere gli interessi dei possidenti
e della borghesia turca. E ciò nonostante il fatto che un qualunque scrittore
di buone intenzioni che fosse così ingenuo da sostenere di scrivere per i
contadini e per gli operai si sarebbe immediatamente sentito dire che era
improbabile che i suoi libri venissero letti da persone a mala pena
alfabetizzate.
Quando, negli anni Settanta, mia madre mi chiedeva "Per chi scrivi?"
il suo tono afflitto e compassionevole mi diceva che in realtà lei mi stava
chiedendo "Come pensi di mantenerti?". Quando gli amici mi chiedevano
per chi scrivessi, il loro tono beffardo suggeriva che nessuno avrebbe mai voluto
leggere un libro scritto da uno come me.
Trent´anni dopo, sento quella stessa domanda sempre più spesso. Ma ora ha a che
fare con il fatto che i miei romanzi vengono tradotti in più di 40 lingue.
Negli ultimi dieci anni soprattutto, quelli che mi interrogano sembrano
preoccupati che io possa interpretare male le loro parole, così tendono ad
aggiungere "Lei scrive in turco; dunque lei scrive solo per il pubblico
turco o ha in mente anche il pubblico più vasto che riesce a raggiungere grazie
alle traduzioni?". Sia che si stia parlando dentro o fuori dalla Turchia,
la domanda è sempre accompagnata dallo stesso sorriso sospettoso e sprezzante,
facendomi così giungere alla conclusione che, se voglio garantire l´autenticità
del mio lavoro, devo rispondere "Scrivo solo per i Turchi".
Per comprendere il peso di questa domanda, bisogna ricordare che la nascita del
romanzo come forma d´arte ha coinciso con la comparsa dello stato-nazione.
Quando venivano scritti i grandi romanzi del diciannovesimo secolo, l´arte del
romanzo era un´arte nazionale in ogni senso.
Balzac, Dickens, Dostoyevsky e Tolstoy scrivevano per la borghesia emergente
dei loro Paesi, persone che potevano aprire i loro libri e riconoscere ogni
città, strada, casa, stanza, sedia; potevano condividere gli stessi gusti
proprio come facevano nel mondo reale e discutere le stesse idee. Nel
diciannovesimo secolo, i romanzi di questi grandi scrittori apparvero in prima
battuta nei supplementi di arte e cultura dei quotidiani nazionali, perché i
loro autori stavano parlando alla nazione. Dietro alle loro voci narranti è
possibile percepire un osservatore preoccupato dallo stato di salute della
nazione.
Alla fine del diciannovesimo secolo, leggere e scrivere romanzi significava
prendere parte a una discussione nazionale completamente chiusa al mondo
esterno.
Ma oggi scrivere romanzi ha un significato completamente diverso, così come
leggere romanzi. Il primo cambiamento è avvenuto nella prima metà del ventesimo
secolo, quando l´incontro del romanzo con il modernismo gli valse lo status di
arte nobile.
Altrettanto significativi sono i cambiamenti della comunicazione cui abbiamo
assistito negli ultimi trent´anni. Nell´era dei media globali, gli scrittori di
letteratura non sono più persone che devono rivolgersi soltanto alla borghesia
del proprio Paese, ma persone che si possono rivolgere, e lo possono fare con
immediatezza, ai lettori di romanzi in tutto il mondo.
I lettori di oggi aspettano un nuovo romanzo di Garcia Marquez, J.M. Coetzee o
Paul Auster alla stessa maniera che il loro antenati aspettavano l´ultimo
romanzo di Dickens, come fossero le ultimissime notizie. Il numero di lettori
di romanzieri di questo tipo è molto più numeroso di quello che i loro libri
possono raggiungere nei Paesi d´origine.
Gli scrittori scrivono per il loro lettore ideale, per i loro cari, per se
stessi o per nessuno. Questo è tutto vero. Ma è vero anche che gli scrittori
scrivono per quelli che li leggeranno. Da ciò si può dedurre che gli scrittori
di oggi scrivono meno per la maggioranza dei loro connazionali, che non li
legge, che per la piccola minoranza di lettori sparsi nel mondo, che invece lo
fa.
Dunque le domande pungenti e i sospetti circa le vere intenzioni di questi
scrittori riflettono un´inquietudine nei confronti di questo nuovo ordine
culturale che si è venuto a creare nel corso degli ultimi trent´anni.
Le persone che più considerano questo nuovo ordine allarmante sono i
rappresentanti delle nazioni non occidentali e le loro istituzioni culturali.
Nazioni non occidentali, oppresse da uno stato di emergenza, preoccupate della
propria identità nazionale e riluttanti ad affrontare le macchie nere della
propria storia, guardano con sospetto quei romanzieri che osservano la storia e
il nazionalismo da una prospettiva non nazionale.
Nella loro opinione, i romanzieri che non scrivono per un pubblico nazionale
fanno un´operazione di "esotizzazione" del Paese ad "uso e
consumo degli stranieri" e inventano problemi che non hanno fondamento
nella realtà.
C´è un sospetto parallelo in occidente, dove molti lettori credono che tutte le
letterature di ambientazione locale debbano rimanere circoscritte al loro luogo
d´origine, pure e fedeli alle proprie radici nazionali: il loro timore segreto
è che uno scrittore che si rivolge a un pubblico internazionale e trae
ispirazione da tradizioni che sono al di fuori della propria cultura possa
perdere autenticità.
Dietro questo timore, c´è un lettore che ambisce a entrare in un Paese
straniero che ha reciso i suoi legami col mondo e stare ad origliare mentre ci
si litiga al suo interno, un po´ come avviene quando si sente involontariamente
una discussione tra i vicini della porta accanto . Se uno scrittore si rivolge
a un pubblico che include lettori che vivono altre culture e parlano altre
lingue allora anche questa fantasia muore.
Ed è proprio perché tutti gli scrittori vogliono essere autentici che ancora mi
piace sentirmi chiedere per chi scrivo, anche dopo tutti questi anni. Ma mentre
l´autenticità di uno scrittore dipende certamente dalla sua abilità di aprire
il proprio cuore al mondo in cui vive, essa dipende altrettanto certamente
dalla sua abilità a capire la propria posizione mutevole in quello stesso
mondo.
Il lettore ideale, libero da ogni grettezza e da restrizioni sociali o miti
nazionali, non esiste così come non esiste il romanziere ideale. Ma la ricerca
che un romanziere fa del lettore ideale, nazionale o internazionale che sia,
comincia nel momento stesso in cui ne immagina l´esistenza e poi scrive dei
libri pensando a lui.

5 pensieri su “PER CHI SCRIVE PAMUK?

  1. C’e’ un nuovo libro..un racconto sconvolgente..crudo..di un disagio giovanile ..di un percorso infernale dalla droga e ritorno..purtroppo edito da una casa che in genere privilegia l’erotismo rispetto alla storia..ma la scrittrice con un suo linguaggio forte senza compromessi riesce a far emergere la drammaticita’ della sua esperienza . Vorrei un tuo commento su questo libro:
    “tradire l’eroina con l’amore” borrelli editore
    di Annamaria Lakme p. Ciao

  2. Grazie Loredana. Molto interessante, il pezzo. Fa riflettere.
    Solo per curiosità (e con molta leggerezza) mi piacerebbe chiedere a Pamuk se la domanda “Lei per chi scrive?” è addirittura più frequente di… “Lei perché scrive?”.

  3. Grazie a Giorgio ed a Gianni Biondillo.
    …per chi scrivo io?
    per me e per tutti.
    Desidero, con il mio libro ed i prossimi, dare importanza a tematiche più comuni di quel che si crede, ma che sembrano non toccarci mai finchè non esplode un fenomeno mediatico, il caso umano. E poi si scorda. Le mie parole sono stampate, non si possono più cancellare.
    Le mie esperienze sono vere
    e non le posso neppure dimenticare…

  4. Cara Lakme, ho letto il tuo libro e volevo farti i miei complimenti! La tua storia è incredibile e molto ben scritta. Tra l’altro sei stata anche fortunata perché tra tanti pseudo editori che sono in giro sei riuscita a pubblicare con Pizzo Nero. Ho letto diversi libri di questa collana e sono tutti dei piccoli capolavori, Gian Franco Borelli è un editore di grande esperienza e talento che ha lavorato con la Bietti, con la Rusconi e collaborato con tutti gli editori più importanti. L’idea di Pizzo Nero di dare spazio alle voci femminili (cosa che raramente gli uomini fanno con noi donne;) è originale e raffinata. In bocca al lupo per il tuo libro, ti auguro il meglio!
    Un caro saluto a Loredana Lipperini che seguo sempre su questo suo interessante blog.

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