QUANDO CALVINO RECENSIVA ZAMPA

A proposito del famoso angelo che vola guardando indietro: è così, voltarsi fa benissimo. Per esempio, in mesi
di querelle fiction-faction, ma anche in epoca di infinita discussione su cause
e terreni di preparazione del berlusconismo, nonchè sulla sua rappresentazione,
giova non poco andare molto indietro nel tempo. E rileggere un prezioso testo
di Italo Calvino datato gennaio 1949 e pubblicato su una lodevole rivista
cinematografica (oggi, ahi, scomparsa) che si chiamava Millimetri. La
recensione di Calvino al film
Anni difficili di Luigi Zampa uscì, per
l’esattezza, sul numero
6/7 della
rivista (settembre 2004, pp. 1-15).

Qui trovate la trascrizione dell’articolo di Calvino. Più sotto, in
download, la presentazione di Luca
Baranelli
tratta dallo stesso
numero della rivista.

Grazie a Rosa Pavone e Maria Letizia Bellocchio per aver fornito il file alla vostra
eccetera.
Buona lettura.

Scomparso troppo presto dalle
sale di prima visione, il film Anni
difficili
rispunta solo oggi in quelle di seconda. Oltre al «cinema-arte»
c’è un «cinema-giornalismo»: ecco una distinzione di cui i critici
cinematografici non tengono abbastanza conto. Tra un film e un altro ci può essere
la differenza che ci può essere tra un poema e un articolo di giornale; eppure
essere tutti e due bellissimi, allo stesso modo che la validità d’un poema non
toglie nulla alla validità d’un articolo di giornale.

Anni difficili, film di modestissime pretese
artistiche, è un serio e lodevole esempio di «cinema giornalismo», un saggio di
costume pieno di notazioni acutissime sulla vita e la cultura di diverse classi
e di diverse generazioni in un particolare periodo della nostra storia
nazionale, ed i suoi stessi limiti ideologici sono ben netti e significativi e
giustificabili storicamente. Merito ne va soprattutto ai soggettisti, Brancati
e Amidei, ma anche al regista Zampa, cui in Italia si dovrebbe fare più
attenzione, perché è proprio il regista da «cinema-giornalismo», mosso sempre
da preoccupazioni di contenuto, che son poi quelle, giuste o sbagliate, del
giudizio spicciolo popolare. È stato male non soffermarsi, ad esempio, l’anno
scorso su L’onorevole Angelina che
ancor più di Anni difficili meritava
un’ampia discussione, essendo ancor più ricco di contraddizioni tra una viva
esigenza democratica e un affiorare di pregiudizi reazionari.

Non mi
soffermo a ripetere le ragioni per cui Anni
difficili
è un film antifascista e positivo; altri l’hanno fatto prima di
me, e meglio di tutti Pietro Secchia su «Vie nuove». Vorrei definire invece il
grande limite di incomprensione storica che condiziona il film: questo dar la
colpa del fascismo alla «vigliaccheria di tutti», questo porre la questione in
termini moralistici, di contegno individuale, che è poi la ragione del
pessimismo del film, di quel suo aspetto che certi d. c. punti sul vivo han
voluto definire «antinazionale».

Anni difficili è il fascismo come
poteva esser visto e interpretato da un piccolo paese della Sicilia; ed è tutto
vero: il podestà barone ed industriale che si serve del fascismo per mantenere
il suo potere di classe, l’antifascismo da retrobottega ridotto alla sterilità
della barzelletta e al gesto eroico e disperato d’uscire in piazza cantando La Marsigliese, il clero che sostiene
«l’uomo della Provvidenza», un proletariato agricolo tanto immiserito da
accettare il ricatto imperialista e farsi mandare a scannare in guerra per non
morir di fame. Ma delle grandi cause di tutta questa situazione: il capitale
finanziario da una parte e le lotte operaie e bracciantili dall’altra, e ancora
le lotte tra i vari capitalismi nazionali su scala mondiale, non si ha
coscienza: non si sa che sono questi fatti a muovere la storia e che il piccolo
dramma morale di Piscitello si salva dalla sterilità e dal fatalismo solo se si
aggancia a questi grandi fatti, solo se si aggancia alla storia.

Ma
molta Italia, sarebbe bugia il negarlo, era sotto il fascismo sganciata dalle
ragioni vive della storia, e non solo nel Sud: molta Italia è provincia,
burocratica e farmaceutica provincia come quella di Piscitello. Né c’è da
stupirsi che in questo quadro l’unico che combatta concretamente per la libertà
non sia, come sarebbe stato giusto in un quadro nazionale più completo,
l’operaio comunista, ma un estraneo, uno piovuto dal cielo, un cittadino
americano paracadutato. E la liberazione tradita, il passaggio della classe
dirigente dal fascismo alla protezione americana, l’epurazione all’incontrario,
son chiaramente visti e denunciati, però interpretati secondo il solito
criterio moralista e pessimista, per ignoranza dei concreti motivi di classe.

Ma
l’aspetto più interessante del film è, io credo, lo studio dei giovani
cresciuti sotto il fascismo: tutto il film potrebb’essere definito un atto
d’accusa delle nuove generazioni contro quelle che le hanno immediatamente
precedute. Il figlio sempre in guerra, che non è fascista ma che giudica il
fascismo con pensosa moderazione («Mussolini non sarà così cretino da fare
un’altra guerra…». «Erano idee sbagliate ma molti ci credevano…»), il
figlio che ci lascia la pelle proprio all’ultimo, è un sobrio e verissimo
ritratto d’una generazione. La realtà della guerra lo fa guardare con distacco
a tutte le pompe retoriche del regime, ma d’altra parte l’antifascismo parla un
linguaggio che non è già più il suo, il linguaggio di un’altra generazione, con
problemi a lui sconosciuti. È solo e indifeso, pur con il suo buon senso e la
sua forza; tutti i suoi ideali sono in un semplice sogno casalingo; e morirà
sacrificato da ambizioni altrui.

Un
altro ritratto assai vero storicamente, anche se caricaturato e non sobriamente
realistico come l’altro, è la figlia lettrice di romanzi dannunziani, portata
al fascismo da attrazioni di «cultura», o meglio di «gusto». Poi verranno i due
disumani marmocchietti gallonati della Farnesina; ma sono ragazzi, e avran
tempo a salvarsi, o a perdersi.

L’antifascismo
della farmacia è appunto giudicato, nel film, dal punto di vista d’una
generazione che non vuole chiudersi in farmacia. Per i giovani, l’antifascismo
doveva essere un’altra cosa, e lo fu, e fu veramente un fatto di massa, quando
riuscirono a legarsi alla storia e alla pratica. Ciò non di meno anche questo
piccolo antifascismo provinciale e isolato di cui parla il film è stato
necessario e sacrosanto: e ci sarebbe piaciuto vederlo trattato con più affetto
e rispetto.

Ma
l’importanza d’un film come Anni
difficili
sarebbe minore se essa consistesse solo nell’invito ad un riesame
del passato. Lo spettatore di coscienza, visto il film, deve porsi la domanda:
«Cosa deve fare, oggi, Piscitello?». Io non sono d’accordo con quelli che hanno
definito «qualunquista» Anni difficili.
Mi sembra al contrario un film antiqualunquista per eccellenza, un film in cui vien
gridato ben alto: «Se non vogliamo uccidere i nostri figli non bisogna dire
“Non m’impiccio di politica”, per poi subire la politica degli altri, ma
bisogna essere tutti d’un pezzo, e lottare, e organizzarsi!».

Piscitello
è ancor oggi nello stesso comune, sotto all’antico podestà-barone, ora sindaco
democristiano, con l’Azione Cattolica che gli porta a Roma i figli col basco
verde, e la moglie che brontola perché i colleghi iscritti alle Acli portano a
casa i pacchi americani e lui no, e la radio e i giornali che parlano del Patto
Atlantico. Però c’è qualcosa di nuovo: in piazza, a un balcone, c’è l’insegna
rossa della sezione comunista, e dentro tanta povera gente come lui che però ha
idee più chiare di lui sul sindaco-barone, sui baschi verdi, sui pacchi
americani e i patti atlantici. Piscitello che ha l’esperienza dell’altra volta,
cosa farà, Piscitello?

3 pensieri su “QUANDO CALVINO RECENSIVA ZAMPA

  1. IL NUOVO ROMANZO DI THOMAS PYNCHON – 5 DICEMBRE 2006
    Book Description
    Spanning the period between the Chicago World’s Fair of 1893 and the years just after World War I, this novel moves from the labor troubles in Colorado to turn-of-the-century New York, to London and Gottingen, Venice and Vienna, the Balkans, Central Asia, Siberia at the time of the mysterious Tunguska Event, Mexico during the Revolution, postwar Paris, silent-era Hollywood, and one or two places not strictly speaking on the map at all.
    With a worldwide disaster looming just a few years ahead, it is a time of unrestrained corporate greed, false religiosity, moronic fecklessness, and evil intent in high places. No reference to the present day is intended or should be inferred.
    The sizable cast of characters includes anarchists, balloonists, gamblers, corporate tycoons, drug enthusiasts, innocents and decadents, mathematicians, mad scientists, shamans, psychics, and stage magicians, spies, detectives, adventuresses, and hired guns. There are cameo appearances by Nikola Tesla, Bela Lugosi, and Groucho Marx.
    As an era of certainty comes crashing down around their ears and an unpredictable future commences, these folks are mostly just trying to pursue their lives. Sometimes they manage to catch up; sometimes it’s their lives that pursue them.
    Meanwhile, the author is up to his usual business. Characters stop what they’re doing to sing what are for the most part stupid songs. Strange sexual practices take place. Obscure languages are spoken, not always idiomatically. Contrary-to-the-fact occurrences occur. If it is not the world, it is what the world might be with a minor adjustment or two. According to some, this is one of the main purposes of fiction.
    Let the reader decide, let the reader beware. Good luck.
    –Thomas Pynchon

  2. Ho apprezzato molto questo post (Calvino è uno dei miei preferiti). Considerando poi che uno dei due soggettisti del film è stato il mio conterraneo Vitaliano Brancati… be’, devo assolutamente vederlo. Anche il cast mi pare interessante (Delia Scala su tutti).
    Ma tu hai mai avuto modo di vederlo, ‘sto film?

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