Ho una domanda.
In realtà le domande sarebbero parecchie, dopo giorni roventi come questi, e chi parla di leftageddon e chi – come ribadito ieri – incita a parlare e poi non è soddisfatto di quello che si dice e chi ancora accusa i soliti “intellettuali stupidi” (copyright di Erdogan) di difendere i molestatori e stupratori di Colonia causa animo incistato nel politicamente corretto. In certi momenti, se mi si perdona il gioco di parole, ho la sensazione di parlare turco (per fortuna arrivano anche commenti stupefatti come quello di Evelina Santangelo, che mi permetto di riportare: “Cara Loredana, non avrei mai immaginato che l’impostazione del tuo intervento, semplice e lineare, quasi evidente (grazie ai puntuali riscontri), potesse suscitare tanta indignazione, un pensiero, quello espresso nel tuo blog, che alle mie orecchie è suonato più o meno in questi termini: non c’è dubbio che gli abusi e le violenze consumate a Colonia siano odiose e insopportabili, ma ahimè non sono ascrivibili a uno scontro di civiltà, visto che tali inciviltà di abusi e violenza da branco le conosciamo bene anche in questa nostra civiltà… (seguono varie esemplificazioni). Non capisco onestamente cosa ci sia di così discutibile in una tale chiarezza di impostazione”).
Ma torniamo alla domanda.
In questa, come in altre occasioni, ho letto molta insofferenza, o addirittura livore, di molte donne nei confronti dei femminismi. Donne diversissime per età e provenienza. Le motivazioni addotte, invece, continuo a non capirle. Cosa vi allontana dai femminismi? Sono alcune prese di posizione, alcune singole donne, un’idea un concetto un’idea?
Così, ho deciso di aprire il blog alle risposte. Potete inserirle qui sotto o, se volete pensarci di più, inviarmele via mail (l’indirizzo è nei contatti) e dirmi se desiderate o no che vengano pubblicate.
Magari, questa volta, riesco a capire e forse – addirittura – riusciamo a capirci.
Nel frattempo, chi non fosse interessato può consolarsi con un frammento da East Coker di T.S.Eliot. Perché le parole degli intellettuali stupidi possono anche avere questa funzione, guarda. Rispecchiarsi, e nella riflessione trovare una sia pur momentanea consolazione, che ti sospinga di nuovo avanti.
E cosí eccomi qui, nel mezzo del cammin, dopo vent’anni —
vent’anni in gran parte aridi, gli anni dell’entre deux guerres
cercando di imparare l’uso delle parole, e ogni tentativo
è tutto un ripartire dal principio, e un modo diverso di fallire
perché si è imparato a servirsi bene delle parole
soltanto quanto basta a dire quello che non si ha piú da dire, o nel modo in cui
non si è piú disposti a dirlo. E cosí ogni impresa
è un ripartire dal principio, un’incursione nel vago
con strumenti logori che si deteriorano sempre piú
nella grande confusione di sentimenti imprecisi,
indisciplinate squadre di emozioni. E quello che c’è da conquistare
con la forza e la sottomissione, è già stato scoperto
una volta o due, o molte altre volte, da uomini che non possiamo sperare
di emulare — ma non c’è competizione —
c’è soltanto la lotta per recuperare ciò che si è perduto
e trovato e perduto, e ancora: e adesso in circostanze
che non sembrano propizie. Ma forse non c’è guadagno né perdita.
Per noi rimane soltanto il tentare. Il resto non ci riguarda.
Maschilismo è un termine negativo, automaticamente si pensa lo stesso di Femminismo.
Ho riscontrato abbastanza spesso che le ragazze si riferiscono, criticano e rifiutano il ‘separatismo’ di molti collettivi degli anni ’70. Lo leggono come rifiuto, ‘odio’ e ‘guerra’ contro l”uomo’.
C’è stato un ‘salto’ nella ‘catena di trasmissione’?
Contraddittorietà del messaggio?
Quando si era ‘egemoniche’ non c’era necessità di spiegare e/o chiarire-giustificare.. C’erano ‘appeal’ e ‘attrattiva’ spontanea. Forse non abbiamo ‘istituito’ abbastanza nel senso di una ‘continuità visibile.
Resto ammirata di fronte alla assertività -forza ‘femminile’ espressa dalle donne dell’Est Europa e dell’Islam ( le donne consapevoli) perché mi danno il senso di un ‘retaggio’ genealogico che non ha subito fratture. In Italia l’ipoteca sessuofobica, spiritualista, ‘Mariacentrica’ del ‘cattolicesimo’ ( ma anche della sinistra vecchia) ha molto pesato.
Molto lenta e sotto traccia l’autocoscienza ‘maschile’.
Siamo, però, sempre ‘sale’ e ‘lievito’. Dovremmo essere ‘badass’?
Credevo di esserlo, femminista.
Ho assistito a shitstorm (donglegate) assurde scatenate nel nome del femminismo visto gente che sotto lo stesso segno, sente il bisogno (ha il vezzo?) di scrivere sostituendo le desinenze con gli asterischi.
Ho visto e vedo la stessa gente intraprendere trekking attorno all’universo pur di rispettare la sensibilità di chi pratica una religione che considera la donna come una proprietà, inventando persino un termine (islamofobia) per poter tacciare chi si permette di sottolinearne la sostanziale inaccettabilità(*). Sento alla radio dibattiti dove si prendono sul serio delle sceme (italiane convertite all’Islam) che parlano “della scelta individuale di vestire l’hijab”
Oggi mi accorgo che, prima di chiedere ad un non-europeo (sarà un termine abbastanza neutro?) di rispettare la mia libertà di girare a capodanno vestita come voglio, devo assicurarmi che la società giudeocristiana sia debitamente contrita per gli stupri di guerra che ha commesso nella storia. Questo per evitare che si parli di scontro di civiltà, quasi che le civiltà siano definite dal fatto di commettere atti civili. Se parliamo di scontri di inciviltà allora, tutte soddisfatte? E’ abbastanza cibato il complesso di colpa che tutte, a quanto pare, dobbiamo albergare per dove siamo nate?
E quindi mi devo rendere conto che – per queste persone – il femminismo inteso come il rispetto dei diritti della persona indipendentemente dal sesso o orientamento sessuale – è una cosa che viene dopo (ma molto dopo) un progetto politico di cui a me interessa poco.
E’ per me solo un’ulteriore conferma che di *questo* femminismo secondario, a corrente alternata, io non ho bisogno. E penso che tutto sommato non faccia neanche bene alle donne in generale, ma questa, ovviamente, è solo la mia opinione.
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(*) Quante volte mi hanno detto “Sì ma i musulmani moderati”. Eppure chi in altri contesti dice “Sì ma i fascisti moderati” viene inevitabilmente tacciato di revisionismo.
Le donne ricusano tutte le forme ideologiche in cui si sclerotizza il flusso della vita e non si definiscono in logiche identitarie che spesso sottendono strategie di dominio e inducono percorsi di soggettivazione o inerti o subalterni e antagonisti.La vita eccede sempre il pensiero e le donne sono le custodi di questa eccedenza.Forse è per questo che diffida no degli “ismi” e cercano sempre un rapporto nuovo tra le parole e le cose, i tempi e gli spazi, il singolare e l’universale, insomma il concreto e l’astratto. Ciao, Loredana.
Io vi leggo con attenzione. Grazie, per ora, per le risposte.
Gentile Loredana, le confesso una stanchezza infinita, che asciuga le parole e fa deserto il cuore. È come in certi incubi quando cerchi di correre e i piedi si sprofondano nel fango e tu invece di camminare avanti scivoli all’indietro, sempre più indietro. Sempre più lontano. Sempre più perduto.
Gentile Loredana ha scritto parole terribili che credo abbiano spaventato anche lei, ad un certo punto infatti si ferma e ci chiede: Non ne potete più, vero? Sono certo che anche lei non ne poteva più. Le sue parole che strappano l’anima, certo, ma che non potevano in nessun modo essere fraintese, nella loro limpida tragicità.
È ancora e sempre il corpo della donna il contendere, sotto tutti i cieli, è ancora e sempre lo stesso peccato originale. E per una volta ancora mi interrogo su cosa voglia dire essere maschio della specie umana, se è essere simile al leone della savana, che rischia la sopravvivenza delle specie, uccidendo i cuccioli, per un accoppiamento. Il mio femminismo è trovare la strada per la quale il maschio della specie, a cui anch’io appartengo, dica finalmente: IO devo mettermi in cammino, perché sono dalla parte sbagliata. Io ho bisogno di essere disarmato.
Può darsi che domani spunti l’alba del giudizio universale: allora, non prima, noi deporremo volentieri l’opera per un futuro migliore». (Dietrich Bonhoeffer)
Vedo sopra che si continua.
Chiedo scusa dell’intromissione, un caro saluto Andrea
@annamaria: perdoni, vorrei solo ribadire che non sono la custode di nulla e ciò che rifiuto/ ciò di cui diffido non è legato al mio genere ma all’uso, giusto o sbagliato, che faccio della mia razionalità. Credo di non essere l’unica. Saluti.
Vorrei innanzitutto ringraziare per questa opportunità.
L’iscrizione d’ufficio al partito razzista e xenofobo di chi chiede il ripristino della condizione femminile come questione centrale dell’atteggiamento da assumersi verso chi proviene dai Paesi islamici è stato infatti l’aspetto più insopportabile del dibattito degli ultimi giorni, e non solo degli ultimi giorni.
Se è vero -e certamente è vero- che esiste una strumentalizzazione da parte delle destre, questo non dovrebbe dar luogo all’esito perverso di posporre noi per prime la questione femminile ad altri valori o semplicemente ad altre opportunità; o, come è stato fatto in questo blog, ricorrendo ad una dilatazione dei termini del problema che appare una viltà ed ha il brutto sapore della disonestà intellettuale.
Questo noi non possiamo permettercelo per un motivo banalissimo: se non ce ne occupiamo noi, non se ne occuperà nessuno. E, come dimostrano le vicende afgane, i percorsi di emancipazione femminile non sono mai al sicuro.
Certo, non si può non chiedersi perché le stesse donne che sono così attente a stigmatizzare l’uso improprio di certi termini o l’infelice uscita del direttore di una libreria bolognese, siano poi così distratte di fronte a una lapidazione, alle sempre floride pratiche di infibulazione in Europa o alla avocazione ai tribunali islamici delle controversie familiari in Inghilterra.
L’impressione che se ne ricava è che queste donne sentano come sorelle non le altre donne, ma solo quelle che condividono oltre al genere una determinata collocazione sociale e addirittura professionale; ottenendo così l’esito paradossale di apparire nella sostanza profondamente classiste.
Ma poichè non credo che lo siano, non so dare una spiegazione a questo atteggiamento; l’unica cosa che posso ipotizzare è l’aumento della distanza tra le commentatrici e i fatti.
In questi giorni -ma in verità da tanto, troppo tempo- si sono visti discorsi sui discorsi, commenti sui commenti, chiose sulle chiose e la riflessione sulla “narrazione” -pure così utile- sembra esser aver conferito alla narrazione lo statuto di una realtà primaria; come se la qualifica di “intellettuale” portasse con sè il diritto e l’opportunità di porre una distanza tra sè e il mondo di fatto infinita.
Molto semplicemente, sarebbe forse utile a tutti e a tutte ricordare che la narrazione è una realtà di secondo grado, mollare per un po’ i libri e il pc e riprendere contatto con le buone vecchie cose.
Rispondo solo sul punto della viltà e della disonestà intellettuale, Michela, che respingo in pieno. Per me, come credo di aver spiegato, allargare la visuale e soprattutto toccare parti del nostro passato mai accettate è la premessa indispensabile per comprendere un problema. Ricordo, inoltre, che libri, computer e narrazioni possono certamente essere “mollati”, ma senza le narrazioni le buone vecchie cose rimangono quel che sono, senza aggettivi: cose. Per il resto del suo discorso, attendo altri commenti.
Il mio figlio piccolo di 4 anni è in una fase in cui chiede continuamente: ma il leone è più forte della tigre? L’elefante è più forte della zebra? E così via.
Negli ultimi giorni la domanda è sempre: i maschi sono più forti delle femmine?
E’ nel rispondere a questa domanda che io cerco di educarlo. E il femminismo in questo c’entra eccome.
La parola, la definizione “femminismo ” allontana. Suscita ( sí , spesso in molte donne ) una reazione negativa, un pregiudizio legato ad un periodo storico, a figure sorpassate. Ecco si potrebbe rinominare un’idea( o cos’altro?, e poi perché il plurale “femminismi”?) Come il “Kahlschlag” nella letteratura tedesca del dopoguerra. Cominciamo dalla lingua.
Cara Loredana, da una che nei femminismi si riconosce, posso provare a dare una risposta. Personalissima e limitata, ma spero possa servire. Troppe volte rischiamo di dimenticare che al cuore del femmismo risiede il concetto di liberta’ di scelta. Liberta’ della donna di scegliere chi essere, come vivere, con chi. Spesso cediamo alla tentazione di ‘fare i conti senza l’oste’. Mi spiego: facciamo i conti senza l’oste quando parliamo di prostituzione senza ascoltare le lavoratrici del sesso, quando parliamo di donne e Islam senza dialogare con le donne di fede islamica, senza includere il loro punto di vista nella discussione (non me ne voglia Danila, ma sono convinta che una donna che vuole indossare l’hijab debba avere il diritto di farlo; liquidarla come scema ha come solo risultato quello di dividere, di fomentare la violenza).
Ecco, forse l’errore di alcuni dibattiti femministi degli ultimi anni e’ stato questo: chiudere la porta all’altra donna, alla donna che si relaziona al patriarcato (che brutta parola veterofemminista!) in maniera diversa.
Leggo il tuo blog da anni e non ho mai riscontrato questo errore nelle tue riflessioni, ma e’ un errore comune ed e’ importante sottolinearlo perche’ temo sia un elemento che allontana molte donne dal femminismo.
In questo senso, la domanda che ci poni in questo post e’ importante. E’ un’invito al confronto con coloro che nei femminismi non si identificano. Grazie per aver gettato il sasso nello stagno.