POST SCRIPTUM

Solo un aggiornamento. Per segnalare che sulla questione
di cui al post precedente era già intervenuto, con un post molto meditato,anche  Leonardo.
Che interviene, oggi, Vittorio Zambardino. E che, ai tempi, aveva detto
la sua Walter Benjamin, in “Infanzia berlinese intorno al 1900”. Così:

 Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in
essa, come ci si smarrisce in una foresta, richiede tutta un’educazione.

 

Aggiornamento. Riporto qui il commento
lasciato da Wu Ming 1 al post precedente.

Io vedo molta confusione (trasversale) tra
"pop", "di massa", "popolare" e
"nazional-popolare" (nell’accezione inaugurata dalla polemica
Baudo-Manca, non in quella originaria, gramsciana).
Vedo, percepisco questa confusione anche tra insospettabili.

Tu ti sforzi di ragionare a mente aperta sulle
potenzialità della popular culture, al cui interno ci troviamo tutti
quanti, nessuno può chiamarsi fuori da questa mappa 1:1, da questa galassia
vastissima, eterogenea, molteplice, differenziata, caotica, transmediale e per
giunta in corso di radicale trasformazione…

Risultato: ti accusano di difendere a spada tratta
Mammuccari (?), di fare l’apologia del "commerciale" (!), di essere
acritico nei confronti del trash (il… trash?!) etc.

Tu manco ci avevi pensato, a Mammuccari (mai visto alcun
suo programma) o alla De Filippi (figurarsi): parlavi di tutt’altro, di nuovi
modelli di partecipazione, di fan fiction, di riutilizzo creativo, di
reinterpretazione selvaggia della cultura, del fatto che la risposta sempre più
attiva e creativa da parte di quello che un tempo era "il
pubblico" si avvia a essere la regola, non l’eccezione, e questo è l’esito
di processi orizzontali, comunitari, e su questo potrebbe, dovrebbe far leva
chi vuole produrre e diffondere cultura critica… Cazzo, facevi pure un tot di
esempi…

…ma no, a loro viene in mente la De Filippi.

Evidentemente sono loro, i bacati, i rovinati dal
"commerciale", quelli che non riescono a schiodarsi da un mondo di
clichés, media unidirezionali e masse passive.

Ad ogni modo, repetita iuvant:

Per "cultura popolare", in Italia, di norma si
intende quella folk, pre-industriale o comunque sopravvissuta
all’industrialismo, studiata dai vari De Martino etc. "Cultura popolare"
sono i cantores sardi, per dire, o la tarantella.

Chi usa l’espressione fuori da quel contesto, di solito si
sta riferendo a quella che in inglese si chiama "popular culture",
che però è un’altra cosa. Inoltre, il più delle volte il dibattito riguarda la
merda e la spazzatura che ci propina la tv generalista italiana, come se il
"popular" fosse per forza quello là, mentre esistono distinzioni
qualitative ed evoluzioni storiche, altrimenti dovremmo pensare che
"Sandokan", "Star Trek", "Lost", il TG4 e "La
pupa e il secchione" sono tutti allo stesso livello, o che Springsteen, i
REM, Frank Zappa e Shakira vanno tutti nello stesso calderone, o che non
esistono distinzioni tra i libri di Ellroy e quelli delle barzellette su Totti,
dato che entrambe le tipologie le ritrovi in classifica.

Il problema è che la definizione di "popolare",
oggi in Italia, è tirata in ballo soprattutto da due schieramenti l’un contro
l’altro armati, e dalle cui schermaglie dovremmo tenerci distanti:
– da un lato della barricata ci sono quelli che usano il "popolare"
come pretesto per giustificare che producono e spacciano merda;
– dall’altra ci sono quelli che disprezzano qualunque cosa non venga consumata
da un’élite.

Sono due schieramenti speculari, l’uno sopravvive grazie
all’altro.

In Italia la "popular culture" eravamo soliti
definirla "cultura di massa", espressione che ha un omologo anche in
inglese ("mass culture"), ma Henry Jenkins fa notare che il nome
ingenera un equivoco, e inoltre c’è una sfumatura di significato tra "mass
culture" e "popular culture".

L’equivoco è che, certo, "cultura di
massa" è quella che viene veicolata dai media (cinema, tv, discografia,
fumetti etc.); ma non necessariamente deve essere mainstream e consumata da
tantissima gente: infatti rientra in quella definizione anche un disco che si
rivolge a una minoranza di ascoltatori, o un particolare genere cinematografico
apprezzato in una nicchia underground. Oggi, poi, è così la stragrande
maggioranza dei prodotti culturali, viviamo sempre più in un mondo di infinite
nicchie, di proliferazione di sotto-sotto-sottogeneri. Il mainstream
generalista e (diremmo in Italia) "nazional-popolare" è meno
importante di quanto fosse un tempo, e continuerà a ridimensionarsi.

La sfumatura di significato,
invece, consiste in questo:
"mass culture" indica come viene trasmessa questa cultura, vale a
dire attraverso i mass media;
"popular culture" invece pone l’accento su chi la recepisce e se ne
appropria. Di solito, quando si parla del posto che la tale canzone o il tale
film ha nella vita di un singolo o di una coppia ("La senti? E’ la nostra
canzone!"), o di come il tale libro o il tale fumetto ha influenzato la
sua epoca, si usa l’espressione "popular culture".

E’ evidente, dunque, come la cultura partecipativa che
vediamo sorgere oggi in rete rientri nella definizione di "popular
culture".

Sarebbe bello tenerle in considerazione, queste sfumature,
e cercare di evitarli, quegli equivoci, anziché investire le prime col
falciaerba e coltivare i secondi come fossero le piante carnivore in grado di
divorare l’Odiato Nemico.
E’ un’utopia, lo so.

8 pensieri su “POST SCRIPTUM

  1. sullo stesso tema e col medesimo punto di vista c’è pure l’ultimo libro di francesco piccolo “l’italia spensierata (laterza contromano).

  2. L’aforisma di Benjamin è l’esatto rovescio della pagina di Gœthe sul salire sulla torre più alta nella nuova città per orientarsi preliminarmente prima di visitarla. Farsi la carta topografica pre-orientativa per non perdersi, oppure perdersi e lasciarsi trascinare dalle sensazioni, gli angoli, i souvenirs. Seguire la mappa del’urbanista, o farsene una mobile. La diferenza tra il modermo e il post-moderno è già tutta qui, in quello che WB considerava il più importante dei suoi libri (di quelli scritti).

  3. Roberto, credo che uno dei problemi sia proprio quello che di passaggio metti in rilievo: i maggiori fruitori della peggiore produzione culturale sono proprio quei cosiddetti “nemici” del popolare, che passano intere giornate a guardare la peggio televisione per poterne parlar male con aria saputa. È l’apologia della formula Costanzo-Sgarbi: io ti dò un prodotto disgustoso perché tu possa diche “che schifo!”, però intanto lo guardi. Come l’insopportabile intellettuale di “Camera con vista” che leggeva pessimi romanzi per poterne parlar male, mentre intorno a lui la vita andava via. Pazienza, la vita continua: fra qualche anni li ritroveremo a giocare a tennis per recuperare quello che si sono persi da giovani, come Furet (che a 70 anni inseguendo un lungolinea è cascato e ha battuto la testa…).

  4. Sergio Garufi:
    sullo stesso tema e col medesimo punto di vista c’è pure l’ultimo libro di francesco piccolo “l’italia spensierata (laterza contromano).llo stesso tema e col medesimo punto di vista c’è pure l’ultimo libro di francesco piccolo “l’italia spensierata (laterza contromano).
    In verità lo spunto di quel segmento delle ultime Invasione barbariche che sta suscitando tanto rumore è stato (se non ero troppo addormentato da aver preso un totale abbaglio) proprio il libro di Francesco Piccolo, ed era lui stesso a commentare in studio insieme a Daria Bignardi, Matteo Bordone, Edmondo Berselli, Alba Parietti e non ricordo chi altro/a. In pratica, da quel poco che ricordo, il servizio di Bordone nasceva dal tentativo di provare a rivivere in versione mini, cioè in una sola giornata, le varie esperienze fatte da Piccolo per scrivere il suo libro, e doveva così servire da spunto per la successiva discussione. Boh, io penso che converrebbe rivedersi l’intero segmento di trasmissione, e non solo il servizio di Bordone, per avere un’idea più chiara di quanto si è detto lo scorso venerdì sera su La7.

  5. Concordo con l’esortazione finale di nazzareno a non decontestualizzare il servizio di Bordone, e anche sul fatto che lo scontro titanico tra queste due fazioni, sia sempre più evidente e insopportabile (ma soprattutto detesto il frugare nella spazzatura per poi poter esclamare con aria sorpresa “toh, è spazzatura, che schifo!”).

  6. Che giocherellare con l’idea di un trash indiscriminatamente nobilitato possa essere stato o essere ancora un piacevole passatempo per il postmoderno più facilone e deteriore è un fatto. Tutto sommato è una ridiscussione del canone preventiva, tiriamo fuori la spazzatura dalle discariche prima ancora che ci finisca, scopriamo i B-movies prima ancora che abbiano modo di diventare B. Bel paradosso, indubbiamente, tanto più che in quella B si celava probabilmente tutta la loro, discutibile, speranza di senso. E allora? Torre d’avorio eh? Eh sì, si finisce sempre lì. La verità è che le pose generaliste fanno comodo a tutti, ai “colti” pigri ed alla “plebe” pigra, quelli che non hanno mai avuto voglia di usare quel briciolo di senso critico rimastogli caso per caso. Che gli si dia una regola, insomma! O tutto il trash nelle discariche o tutto nei musei, tertium non datur. Non sarà che tutta la discussione non è che l’ennesimo, disperato strillo di una cultura che brama auctoritates che non trova più (né troverà presto, direi)? Nel pop i colti intelligenti hanno rovistato in tutte le epoche senza tante pose e senza per questo trascurare la cultura “alta”. Presto, qualcuno dia Goethe a questi pigroni, altrimenti i blog non conterranno più le loro manierate polemiche. Gli è che la bustina dei Minerva esce troppo di rado ed Eco si ostina a parlare di Popper, altrimenti potrebbero citare più spesso e pensare molto meno.
    Ah, non avevo mai scritto su un blog. Carino.

  7. @nazzareno
    “lo spunto di quel segmento delle ultime Invasione barbariche che sta suscitando tanto rumore è stato (se non ero troppo addormentato da aver preso un totale abbaglio) proprio il libro di Francesco Piccolo”
    pardon, non ho visto quella puntata delle “invasioni barbariche”, ho solo letto il libro di piccolo, che in sintesi si schierava dalla parte degli “spensierati”. è evidente che oggi pensare è out, come le scarpe a punta quadrata e il risvolto dei pantaloni, ma io vesto talmente vecchio che sto per tornare di moda.

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