SACRIFICARSI

Uno dei motivi per apprezzare  Karl Ove Knausgard, di cui Ponte alle Grazie pubblica l’autofiction (chissà se la definizione è davvero pertinente, però) in sei volumi La mia lotta (il secondo è appena uscito), è la capacita di unire tecnica, passione, coraggio  di eliminare qualsivoglia filtro nel raccontare se stesso. Nel secondo libro, dove Knausgard parla della propria famiglia, l’autore è spietato nel sezionare ogni emozione provata quando incontra gli altri padri con passeggino nella Svezia in cui si è trasferito a vivere. E’ giusto, si dice, che il suo ruolo sia quello di spingere quel passeggino. E’ normale, dice anche, che, da qualche parte nel suo animo affiori un lieve “disprezzo” nel rispecchiarsi in quello stesso ruolo.  Così come è normale che, ne Il dio del massacro di Yasmina Reza, uno dei quattro genitori trovi il coraggio di dire che “prima” della famiglia, da soli, si era molto più felici.
Quando uso il termine “normale” non sostengo che questo avvenga sempre, bensì che in qualsiasi rapporto, anche il più profondo e indissolubile come quello che lega genitori e figli, si provino emozioni simili a quelle descritte da Knausgard e Reza.
Molto difficile dirlo, però.  Soprattutto – ed ecco un’altra delle tematiche affrontate venerdì con Michela Murgia – in un paese come il nostro, che sul sacrificio e sul senso di colpa ha edificato una società.  Perchè temo non sia vero che i modelli – specie del materno – siano multipli: fateci caso, ma sia nella vita reale sia in quella che si riproduce sul web, prima o poi, davanti a una madre che lamenta stanchezza o inadeguatezza, ne arriverà sempre un’altra che sentenzierà “se non voleva sacrificarsi, poteva evitare di fare figli”.
La retorica del sacrificio è anche nelle parole usate dai giudici del tribunale dei minori di Torino che hanno dichiarato adottabile la figlia di una coppia di genitori anziani anche perchè la loro scelta di concepire  “è una scelta che, se spinta oltre certi limiti si fonda sulla volontà di onnipotenza, sul desiderio di soddisfare a tutti i costi i propri bisogni che necessariamente implicano l´accantonamento delle leggi di natura e una certa indifferenza rispetto alla prospettiva del bambino”.  Non si conoscono nell’interezza le motivazioni dei giudici, che negano con forza di aver agito seguendo il pregiudizio sull’età avanzata della madre (58 anni) ma parlano di coppia non preparata alla genitorialità e che non ha accettato di essere seguita dai servizi sociali. Sarebbe però interessante sapere, al di là del caso di cronaca (che ferisce, e molto), quanto la retorica del sacrificio influenzi “anche” decisioni di questo genere, oltre che la gran parte della nostra vita quotidiana.

22 pensieri su “SACRIFICARSI

  1. Un po’ di tempo fa leggendo il blog di un runner mi sono imbattuta in questa sua piccola analisi che riporto a memoria.
    Fare i genitori è come correre una maratona: chiunque ci riesce ma pochi si divertono.
    Molti la fanno ma arrivano stremati come se avessero compiuto un “sacrificio”, altri (pochi) allenati e che hanno imparato a conoscere se stessi arrivano con il sorriso sulle labbra.
    E’ un incipit che ho trovato davvero interessante, voi che ne pensate?
    Ah, ho ritrovato il riferimento di cui parlavo, si può mettere il link?
    http://www.albanesi.it/Benessere/bambino_piange.htm
    Chiedo venia ma non sempre sono preparata sulle regole della netiquette.

  2. Alcune osservazioni.
    1. Non sono sicura che i babbi svedesi che si disprezzano vedendosi col passeggino lo facciano per una liberazione dallo stereotipo gioioso della genitorialità, ma forse per un latente rimasuglio del sessismo. Che va be che so avanti, ma insomma. Disprezzo è una parola precisa, che sente addosso le aspettative culturali sui ruoli di genere.
    2. Trovo legittimo dire che prima dei figli si era più felici, trovo naturale incontrarlo in un romanzo, frequente tra i pazienti di uno studio psicoterapeutico. Lo trovo però sintomatico di una serie di cose, e non credo di essere reazionaria per pensarlo. Non vuol dire che giustifichi quelle che inesorabilmente sparano le loro sentenze sul web o altrove – che però rimangono una minoranza, che si nota per quanto hanno la voce grossa Loredana, ma non è corretto dire che siano rappresentative di tutte le donne, o di una tendenza generale delle donne…. vuol dire che però se una donna o un uomo dicono, ero più felice prima dei figli si per me ci sono motivi psicologici gravi prima che culturali.
    3. La storia della coppia anziana per me è agghiacciante, per cose già scritte, non si deve mettere bocca sulla nascita, non esiste che il contratto sociale entri in una zona etica anteriore ad esso. Ma magari torno dopo.

  3. solo una piccolissima nota sui genitori anziani
    erano già stati per ben due volte dichiarati non idonei all’adozione
    e questo nel 1990
    quando cioè erano decisamente più giovani
    è evidente che dietro questa sentenza ci sia una storia lunga che non conosceremo mai nella sua complessa interezza
    (ma capisco anche che ci sia qualcuno desideroso di dire sempre la sua su ogni cosa, commento quindi esisto!)

  4. Ogni cosa nella vita richiede un sacrificio, dalle passioni, al lavoro, alle relazioni.
    Rinunciare al tempo libero, fare fatica fisica.
    Secondo me l’errore è pretendere il sacrificio e pretenderlo oltre il limite che noi sentiamo.
    Io posso andare a correre per tenermi in forma, posso sudare, posso avere crampi, ma nessuno mi deve imporre di correre la maratona, per restare nell’esempio di Miriam.
    E’ ingiusto nei confronti nostri e anche dei figli, identificarsi col sacrificio, imolarsi per qualcosa.
    Io ho sempre pensato che l’esempio di genitori liberi che inseguono anche la propria realizzazione personale, faccia meglio ai bambini di genitori che come unico scopo nella vita hanno i propri figli.
    Perché cresceranno con un esempio di vita, perché avranno meno senso di colpa sul “peso” che sono stati per i genitori, perché saranno meno ansiosi e timorosi del mondo esterno.

  5. Non è solo un problema di maternità. È proprio che si vuole appiccicare alla done il ruolo di accudente… ci sono mestieri che potrebbero fare anche gli uomini, ma se io dico “badante” quanti penseranno a una donna, magari dell’est, e quanti a un uomo? E il concetto stesso di “donna delle pulizie”.

  6. @Vale
    Non ho statistiche in mano, ma ad occhio e croce direi che i lavoratori domestici sono prevalentemente di sesso femminile.
    Poi certo bisognerebbe combattere anche il sessismo nel linguaggio – c’è una legge (Alma Sabatini) bellamente ignorata dai più-.
    Mesi fa mi occupai dell’assunzione di un signore con mansioni di aiuto domestico, bene vai sul sito Inps e tutti i ruoli sono declinati al maschile, chiami il call-centre e l’operatotrice/ore declina tutto al femminile!
    Quindi in entrambi in casi non c’è stata attenzione al messaggio sessista che un’ istituzione pubblica come l’Inps sta passando.
    Anche le parole hanno un peso, no?
    Bene lo dimostra l’esempio di Giovanna Cosenza. Nello spot non è mai stata nominata la parola mestruazioni!

  7. Ma perché sacrificarsi? Ma la vita è una, sembra un concetto Loredana così banale, eppure ce ne rendiamo conto solo quando stiamo per perdere la vita. Ma come si fa a non capire che bisogna prima amare se stessi?

  8. sulla retorica del sacrificio e del senso di colpa non posso che concordare, ritengo che vi sia una moltitudine di casi di persone, per lo più donne, che hanno fondato, molto spesso inconsciamente, la loro esistenza su questi pilastri…e si ritrovano ad una certa età a non avere più nessuno per cui sacrificarsi e dunque devono affrontare un pesante vuoto nella loro vita…
    …ma la faccenda dei due genitori “anziani” la trovo piuttosto controversa…perchè non riesco a non pensare che purtroppo è vero che spesso ad una certa età ci si può ammalare gravemente e che far subire il travaglio della malattia ad un bambino è qualcosa che andrebbe attentamente considerato; insomma, non condivido affatto la scelta personale di tale coppia e non so proprio come pormi di fronte alla decisione del tribunale…sospendo il giudizio in attesa di capire qualcosa di più

  9. Miriam, la penso come te, ci vorrebbe davvero una maggiore attenzione alle parole e all’uso che se ne fa.
    (il dare dell’animale a ogni persona che compia un gesto deprecabile, per dirne una… quando magari gli animali certe cose non le fanno!)

  10. Mi riallaccio al pensiero di Maria riguardo l’amor di se stessi e propongo una nuova lettura. Porto il pensiero di altri* non il mio, perchè a suo tempo mi aveva colpito e forse per il fatto che esserne coinvolta in prima persona non facilita l’oggettività.
    “Era già scritto ma l’ho cambiato” di Monica Pepe
    http://www.zeroviolenzadonne.it/index.php?option=com_content&view=article&id=13805
    In tema di genitori non adeguati:
    http://www.zeroviolenzadonne.it/mostrapp3.php?id=14391

  11. A proposito di chi dice “se non voleva sacrificarsi, poteva non fare figli”: “noi” donne senza figli ci sentiamo spesso, di contro, criticare (e non solo dalle ultrasettantenni, purtroppo) di “non esserci volute sacrificare”, come se il sacrificio fosse un fine in sé e non il prezzo da pagare per un qualcos’altro. Perché si parla sempre di figli in termini di rinuncia, sacrificio, fatica e mai come avventura, gioia, che comporta *anche* fatica, al di fuori di una certa retorica stucchevole della maternità?
    Il sacrificio per il sacrificio a me sembra privo di senso. Può essere un valore solo in una cultura dove qualcosa non funziona per il verso giusto, non in un mondo “sano”, quale che sia.

  12. Per esperienza ho sempre pensato e continuo a pensare che sacrificarSI oltremisura in nome di un figlio faccia molto male al figlio stesso. Perchè mai caricare di un tale peso il nascituro? Tutto sommato, lui non ci chiede certo questo, e probabilmente neanche lo desidera.

  13. Punk, non so a chi ti riferisca quando dici che chi commenta lo fa per il gusto di farlo, probabilmente a me, il che fatto salvo la tipica malagrazia del tuo modo di stare in rete, è comunque perfettamente calzante. La storia comunque è nota, e non serve la tua specifica, che non cambia un giudizio su una questione di principio, perchè un figlio naturale e un figlio in adozione hanno rispetto allo Stato in cui li cresce una posizione diversa – nel secondo caso, il genitore naturale ha delegato, si è ritirato e ha ceduto.
    Fermo restando che tu sappia quanto sia vivo e problematico il dibattito sui criteri che devono definire le singole adozioni, cosa di cui mi permetto onestamente di dubitare. I criteri ovvi della comunità non sono così realisticamente utili, considerando l’allarmante numero di persone – eterosessi giovani ricchi e normodotati, che non hanno la forza psichica di sorreggere la sfida che implica, e rispedicono brutalmente i bambini indietro. Quando ti confronti con queste realtà beh sfumi un tantino il giudizio e guardi i servizi sociali in altro modo.

  14. zauberei scusa
    ma che problema hai?
    di commenti su questa storia ne sono stati fatti tanti
    perchè dovrei riferirmi a te e solamente a te?!
    non potresti semplicemente ignorarmi come faccio io con te?
    anzi guarda lascio la discussione
    sull’adozione
    specificando che ne so qualcosa
    il punto non è chi stabilisce un buon genitore
    il punto è che esistiono norme che un buon genitore deve osservare e sulla cui osservanza vigila il tribunale dei minori
    ci piace, facciamo parte della società. non ci piace, ne siamo fuori.
    i genitori facciano come sentono potrebbe valere per automobilisti, imprenditori e per gli stessi giudici che vengono sottoposti a provvedimenti disciplinari e alla legge se sbagliano.
    sul caso viola mi astengo dal dare giudizi
    ripeto è una storia complessa che non conosciamo se non in minima parte e in maniera indiretta
    attraverso cioè delle informazioni di cronaca
    arrivederci a tutti

  15. Pessimo, assistere a liti come se si fosse in un pollaio: punk, le frecciate sono sgradevoli quanto mai. Quanto alla vicenda torinese, quoto in pieno Zauberei. Per quanto se ne sappia cosa, quel poco, virgolettato, che è trapelato, è sconcertante.

  16. gianna non so di che frecciate tu stia parlando
    e non ho mai considerato lipperatura un pollaio
    qualche informazione in più per loredana e chi ha voglia di capirne un po’ di più
    Art. 330 c.c. – (Decadenza dalla potestà genitoriale)
    “Il giudice può pronunciare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri.”
    Art. 333 c.c. – (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli)
    “Quando la condotta di uno od entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare”.
    Lo ha deciso il Tribunale dei minori di Torino dopo un lungo e delicato lavoro di osservazione dei genitori. «Ma l’età dei genitori non c’entra» sottolineano il presidente del Tribunale dei minori Fulvio Villa, e il Procuratore capo Anna Maria Baldelli.
    L’ avvocato Fabio Deorsola annuncia il ricorso alla Corte d’appello e insiste sulla questione genitori-nonni. «Sono perplesso: il problema dell’età dei genitori è presente in ogni riga della sentenza». Sicura la replica dei due magistrati Villa e Baldelli: «Alla base della sentenza ci sono episodi di abbandono e la mancanza di presupposti per un recupero delle funzioni di genitori. Nessun tribunale, meno che mai quello torinese, dichiarerebbe adottabile un bambino perché i genitori sono troppo anziani». Di sicuro, la questione età è stato il campanello d’allarme per i servizi sociali che hanno segnalato il caso alla Procura dei minori. Poi, però, è un’altra storia: rifiuto della coppia che in passato era stata ritenuta inidonea per 2 volte all’adozione – di sottoporsi a una psicoterapia, analisi del loro comportamento ritenuto «narcisistico, ossessivo e asociale».
    il presidente Fulvio Villa spiega che «l’adottabilità di un bambino parte quando siano accertati episodi abbandonici sistematici, tali da provocare un grave danno alla sua integrità fisica e-o psicologica e manchino i presupposti per un recupero delle funzioni genitoriali; nonché quando, di fronte a tale situazione, non vi siano parenti disponibili a surrogare i genitori nelle loro funzioni».
    Fin qui, informazioni di carattere generale. Nella situazione specifica il momento di abbandono è oggetto di un processo penale che inizierà in primavera: una vicina di casa denunciò la crisi di pianto di Viola, sola in auto, mentre il papà (difeso dall’avvocato Giulio Calosso) scaricava la spesa. Era il giugno 2010, Viola aveva 1 mese e il tribunale decise di darla subito in affidamento. Ora scatta l’adozione. Sulle valutazioni di Gabriella e Luigi, interviene Laura Dutto, l’avvocato difensore della bimba nominato dal Tribunale, come prevede, dal 2007, il processo adottivo. «Non c’è stato alcun pregiudizio nei confronti dei genitori – esordisce -. I servizi sociali dell’ospedale Sant’Anna, dove ha partorito la signora, vennero genericamente allertati proprio da quest’ultima. L’età avanzata spinse gli operatori a segnalare il caso alla Procura di minori. Ma la coppia oppose molta resistenza alla richiesta di informazioni e di un confronto con gli psicologi. Le osservazioni della procura dei minori sono state poi condivise dal tribunale. Si è istruito il processo adottivo con scrupolo, delicatezza e sensibilità».
    La mamma si difende dall’accusa di essere stata poco collaborativa: «In ospedale ho parlato più volte con lo psicologo o l’assistente sociale, ma mi trovavo nel reparto ad alto rischio e avevo altre preoccupazioni». L’avvocato Dutto ricorda, però, che anche il perito psichiatrico di parte, nominato dai genitori, li ha ritenuti bisognosi «di un sostegno psicologico» e per Rosa ha proposto «un affidamento a lungo termine». «Oltre ad essere vietato dalla legge – conclude Dutto -, mal si concilia con la pretesa della coppia genitoriale».

  17. La bambina piangeva mentre il padre scaricava la spesa. Dov’è lo scandalo? Il padre non stava al bar a prendere l’aperitivo con il neonato in macchina piangente. Probabilmente avrà valutato che la cura poteva essere differita di qualche decina di minuti. Situazione che – credo – sia nell’esperienza di qualunque genitore e di chiunque abbia avuto a che fare con bambino. Io ho una buona considerazione degli psicologi – credo siano davvero utili e ce ne dovrebbero essere di più nelle strutture pubbliche, tuttavia credo anche che una persona appena uscita da una gravidanza a rischio forse vuole tirare un po’ il fiato. Ed essere collaborativi non è obbligatorio-)

  18. questa storia mette veramente in discussione, non c’è che dire
    certo è sempre arduo giudicare delle sentenze senza averle lette, quindi alla fine si finisce per esprimere delle opinioni sulla base delle proprie esperienze e sensibilità
    e dunque sulla base di queste rifletto…sarà che vedo me ed i miei coetanei trentacinquenni e son questi gli anni in cui i genitori sessantenni si ammalano, hanno bisogno del nostro sostegno e delle nsotre cure
    e amiche con genitori più anziani, che da prima dei vent’anni han passato giorni e giorni in ospedale e spaventi e paura di perdere madre o padre
    insomma non sono psicologa e non saprei certo disquisire sulla volontà di onnipotenza ma…fino a che punto è giusto spingere il proprio desiderio di diventare genitori? per me, so che c’è un limite, ma chiaro non pretendo che tutti la pensino così…le scelte sono libere ed individuali, nel rispetto delle leggi
    è che la questione è pesante e mette in campo desideri profondi, coinvolgendo però anche terze persone (i bambini) che hanno pochi strumenti per gestire delle realtà difficili, come l’anzianità ad esempio

  19. Allora la questione per me non è psicologica, ma filosofica e morale. Cioè almeno per me e per molte persone mi par di capire, il problema è anteriore e alle applicazioni delle conoscenze psicologiche, e all’applicazione della normativa giuridica in questa circostanza – che in questo modo, come sempre accade con le sentenze, la modifica e le da una direzione, che a me per altro non piace. Il codice non è una grandezza fissa infatti e le sentenze sentono il corso e la storia di un tempo e l’ideologia che lo permea, alcune sentenze portano avanti il pensiero collettivo altre lo portano indietro. Certe sono conquiste certe sono perdite, ipostatizzare il Diritto credere che sia una grandezza ferma e oggettivamente saggia, mi pare ignorante sul piano giuridico.
    Sul piano psicologico: ci sono molte occasioni in cui lo psicologo si confronta con assetti di personalità non idonei al ruolo che ricoprono. Anche a me danno molto da pensare delle persone che in età vogliono avere un bambino, anche se mia madre è stata cresciuta da sua nonna, anche se ho un amico che ha quasi settant’anni e un figlio di quattro. Come minimo mi verrebbe il desiderio di contestualizzare questa scelta per esempio con una indagine diagnostica che usi test proiettivi e quanto altro. Ma a prescindere dall’esito, io non credo che questa sia un’operazione eticamente corretta, e trovo che da un punto di vista della filosofia del diritto si stia prendendo una grave cantonata. Il contesto della genitorialità biologica ha un’anteriorità sul contesto della responsabilità pubblica, specie quando questa anteriorità deve dare ancora alle sue prove, e infinale si fa un processo alle intenzioni. Questi genitori non sono ancora stati cattivi genitori, questa bambina non ha esperito niente.
    Cioè io credo che ci sia un piano in cui non trovo etico in senso forte, e nella prospettiva di uno stato democratico stabilire dei parmetri per la genitorialità biologica – in base a questo stesso argomento, non credo che sia giusto togliere a una madre tossicodipendente che partorisce il figlio, il bambino.
    Detto questo – ribadisco anche che, quando si lavora nella concretezza delle adozioni, ci si confronta con la necessità di privilegiare ben altri parametri, anzichè quelli sociali come l’età e il reddito. Inoltre, chi ha esperienza sa che la resistenza agli operatori psicologi o assistenti sociali è assolutamente prevedibile e non indicativa – e lo credo bene, considerando l’ordine culturale a cui appartengono (spesso – ma per fortuna, non sempre).

  20. @zauberei
    grazie, sei decisamente un passo avanti a me nella riflessione, da sola purtroppo non riuscivo ad andare oltre il giudizio dettato, come ho detto, da sensibilità ed esperienza
    che però arrivano fin là e proprio a questo serve il confronto, per fare un passo avanti

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