Accade che, complici i giorni di festa e complice l’ultimo post su/di/con Bifo, mi sia tornata in mente una vecchia metafora di Bifo medesimo. Eccola.
Un suonatore di flauto nel sottopassaggio della metropolitana. I viaggiatori, attratti dalla musica, gli si fanno attorno. Qualcuno si ferma più a lungo, altri non rallentano neanche il passo. Comunque sia, dopo pochi minuti il gruppo si disperde e ognuno va per la sua strada. Questo, per Bifo, era il movimento del ’77, e questa la lezione eventualmente da trarne in materia di non-appartenenza. Ovvero, che il fare comunità è qualcosa che dipende dal desiderio, dall’adesione, dal piacere di fare un determinato percorso insieme, per tanto o per poco tempo non importa. Mentre le comunità costruite sull’appartenenza, nate cioè dalla convinzione che camminare insieme dipenda dall’avere la medesima origine e la medesima destinazione, hanno portato e portano a disastri spaventosi.
Perché mi ritorna in mente tutto questo?
Un po’ per le lunghe e interessanti discussioni che hanno attraversato recentemente la rete. Ma dove, magari a torto, ho avvertito il soffio di una parola che della non-appartenenza è agli antipodi: ideologia. Un po’ di più, a causa di un bellissimo regalo di Natale (ammetto, privilegiato: è in edizione limitata): sono le lettere che Gianni Rodari scrisse alla casa editrice Einaudi, raccolte e curate da Stefano Bartezzaghi con il titolo Lettere a Don Julio Einaudi, Hidalgo editorial e ad altri queridos amigos.
Sono lettere straordinarie soprattutto per il tono autoironico e disarmante: in virtù del quale Rodari si permetteva, appunto, di scrivere in alto a sinistra “Si prega di citare Adorno nella risposta”, o di rivolgersi all’olimpo editoriale dell’epoca come ai suoi piccoli lettori (perché, scrive Bartezzaghi, per Rodari “il favoloso non è un altro mondo, ma è una piega inedita del quotidiano, una piega che la serietà e la compunzione dei cosiddetti adulti usa stirare ed eliminare come fosse una semplice stropicciatura”).
Non gli rese la vita facile, quell’atteggiamento. Cito due episodi che non riguardano la letteratura ma che mi sembrano illuminanti. Nel 1951, sulle pagine di Rinascita, Rodari osò difendere i fumetti contro l’anatema di Nilde Jotti (“Decadenza, corruzione, delinquenza dei giovani e dilagare del fumetto sono fatti collegati…E’ logico che il fumetto sia stato lanciato da Hearst, imperialista cinico e fascista”) e poi di Togliatti (“Non ci sentiamo di condividere la posizione del Rodari…non metteremo in fumetti la storia del nostro partito o della rivoluzione”). Molti anni dopo, per dire, fu l’unico fra gli intellettuali di sinistra a difendere l’arrivo sulla televisione italiana della prima serie animata giapponese (Goldrake), mentre Silverio Corvisieri arrivò persino a presentare un’interrogazione parlamentare contro l’aberrazione dagli occhi a mandorla.
Chiusa parentesi, e lette le epistole con cui un autore di filastrocche portava amabilissimo scompiglio nel tempio intellettuale d’Italia, raccolgo una frase di Bartezzaghi che forse, e sottolineo forse, dà il senso di questo zig zag di fine anno. Ed è la definizione del gioco come “l’eterna oscillazione fra la grammatica dell’istituzione e la tendenziale anarchia della pratica”. Era “gioco” il modo in cui Rodari fu insieme dentro e fuori la letteratura, l’editoria, il giornalismo (e, sì, l’ideologia). Da non-appartenente, appunto.
E non era la posizione più semplice. Non lo è oggi. Molto probabilmente lo sarà sempre meno.
Bravissima. Evviva Rodari e gli scrittori per ragazzi:-)
beh Loredana, l’ideologia è presente nelle opere di Rodari, soltanto si esprime con la grammatica della fantasia e quel che ne scaturisce è un senso civico che non ha praticamente pari nella letteratura italiana del secolo passato.
Il che, Kristian, significa “attraversare” l’ideologia senza che la medesima diventi una gabbia 🙂
non concordo: l’impressione per me è più quella di chi pue avendo la disponibilità della libertà, ha scelto di non allontanarsi troppo dalla gabbia, perché dentro ci stanno le uova in cova.
Kristian, ammetto di non conoscere Rodari in modo approfondito, ma l’allontanarsi dalla gabbia, sia pur di poco, è comunque più meritevole che restare a covare le uova.
Sto ragionando sulla citazione di Adorno da allegare. Buon Natale fatto.
Siano benedetti gli dei che ci donarono Gianni Rodari e i suoi giochi e le sue storie, le sue fantasie.
E direi pure che sulla vita di Silverio Corvisieri ci sarebbe da fare un bel fumetto, oh, sì!
Ovvero
“Come servire il popolo sberliccando Alì Berlù”
MarioB.
@ Kristian: posto che io sto con Benjamin (politicizzazione dell’arte versus estetizzazione della politica, cioè fascismo, et cetera), “prendi” Rodari come una metafora di un’idea, che in questo caso è di Loredana. Poco disposto a rischiare l’esegesi di chi si sa esprimere benissimo, ma credo che le parole di Loredana contengano una critica all’ideologia come dottrina e indottrinamento, all’appartenenza come sindrome di appartenenza: quel processo che nobilita l’uomo fino alla più meschina servitù intellettuale, quella strada segnata in cui l’ideologia diventa ortodossia di un pensiero che non si può declinare che in un solo modo, e per un tempo infinito.
Ammetto di non avere capito la battuta di Rodari (Adorno era un eterodosso per eccellenza, da marxista non faceva altro che criticare il marxismo, et cetera)
carissimo Ivan, la dialettica tra Rodari e il Partito non è mai venuta meno. la sua non-linearità ne faceva forse una ‘cinghia di trasmissione’ anomala, ma a quel ruolo non ha mai rinunciato (per fortuna).
era solo questo che mi premeva sottolineare, quella passione civile che per qualche decennio in Italia si è stata chiamata ‘comunismo’ e che nella scrittura moralista di Rodari ha assunto una delle forme più artisticamente belle della società che ci ha prodotto.
@ Kristian: Allora siamo d’accordo, che non è un tarallucci e vino dialettico.
“quella passione civile che per qualche decennio in Italia si è stata chiamata ‘comunismo’”
Quella, dici, quella lì (già)? Dalle piante, gli uomini hanno imparato ad appassire (sfotto un po’, ovviamente); adesso abbiamo i grandi comunicatori, i banditori di se stessi, abbiamo i cani rivoluzionari, abbiamo il circo: a cosa serve la a passione civile? Fa girare i soldi, sputa gas esilarante dal tubo di scappamento dell’economia, distribuisce alloggi ai poveri o pezzi di metropolitana, ti parla dei figli o dei nonni, ti parla del presente o lo trasfigura come macchietta, ti piace o non ti piace?
Ogni volta che sento nominare Rodari mi tolgo il cappello in segno di rispetto.
E’ stato uno dei più grandi scrittori del ‘900. Alla faccia di quelli che fanno Letteratura senza virgolette.
Gianni, per quel che ne so, almeno in letteratura, in Italia Rodari è uno dei pochi a essere riuscito a realizzare il ‘blocco storico’ gramsciano.
@ivan: che la passione civile sia antieconomica è un gran pregio, direi (almeno per quel che riguarda l’economia di stampo capitalistico)
Gianni e Kristian, io vorrei essere ottimista, e non per l’idiozia di un ottimismo festaiolo e vano; a proposito di Gramsci, la storia della letteratura non è certo finita qui e abbiamo un vantaggio, rispetto al secolo scorso: la democratizzazione dei sistemi di comunicazione (sicuramente faticosa, sicuramente da farsi) e la possibilità di una letteratura popolare che appartiene al concetto stesso di letteratura, al suo a chi. Quando Adornato non era ancora il parlamentare che conosciamo, disse di Sartre ciò che Sartre stesso aveva accennato più volte tra sfottò e indifferenza: non si tratta di moltiplicare i pani, ma di moltiplicare i cristi.
(non sono sicuro di essere stato chiaro)
PS: Kristian, certo che la passione civile è antieconomica, non si è mai visto un sistema politico che incoraggiasse la passione civile: Winston Churchill non avrebbe mai infilato la testa nella bocca del leone senza averlo prima narcotizzato a dovere)
Kristian, guarda che la militanza comunista di cui Rodari non ha mai fatto mistero era però tutt’altro che ortodossa. Fernando Rotondo ha scritto: “Rodari usa gli strumenti e i canali moderni, messigli a disposizione dal nemico di classe, per divulgare e popolarizzare, oltre ogni limite fino ad allora toccato, proposte e temi pedagogici ed educativi d’avanguardia (…)” . Nella metafora: entra come un gatto nella tana dell’orco e lo sconfigge a colpi di penna. Egli rompe con la seriosità del movimento operaio e indica la possibilità per lo stesso di servirsi dei mass media.”
Questo, immagino, è il senso di “attraversare la gabbia”.
Alberto l’altro, guarda che Kristian ha parlato chiaramente di eterodossia (non linearità, et cetera)
A quell’epoca lì se uno in giro per l’Einaudi non tirava su ‘sta parola:Adorno, non era più n'”intellettuale”,
ecco, dicevano
MarioB.
Ivan, concordo con la prospettiva da te evidenziata per quanto concerne la possibilità concreta di democratizzare i canali della comunicazione di massa (agendo dal basso ovviamente), dovuta non solo ai progressi tecnologici e ai bisogni del mercato, ma anche alla crescita quantitativa e qualitativa dell’utenza, la quale naturalmente (cioè quasi involontariamente) indirizza il corso dialettico del discorso, agendo per soddisfare i propri bisogni accresciutisi, attraverso l’utilizzo degli strumenti di cui può disporre.
e churchill era un fascista.