SPAM STORIES

Ricevo da Ivan una mail a proposito degli story thriller: a mio parere, gli spunti che fornisce sono preziosi. Eccola:

Cara Loredana,

contrariamente a quanto suggerito dal subject (sono un titolista di nessuna sagacia, e la notte non raffina la mia stoffa) non ti racconterò esattamente una storia: piuttosto, una storiella dimezzata con il contorno di qualche giudizio: la si direbbe critica autobiografica, e si sbaglierebbe due volte, consegnandomi quella patetica aura da visionario che va tanto di moda presso una nota banda di allucinati. Il titolo allude al fatto che ti invio alcune considerazioni frammentarie sul tuo pezzo del 20 giugno, riflessioni e lambiccamenti che solitamente offrirei al cestino dei rifiuti, senza preoccuparmi se abbiano un valore o un significato. Nella mia stanza è in atto un processo di smaltimento spontaneo dei vecchi appunti: se raggiungo “n” fogli sparsi, nel momento in cui lo scompiglio mi impedisce di muovermi, ne elimino n/2: dal mio punto di vista è come se la stanza sia viva, la sua pelle si rinnova. Sono sicuro che non avrai difficoltà a comprendere questa forma di demenza sui generis.

Un titolo più conveniente sarebbe stato: “confidenze letterarie a canone doppio” (ma quel tempo è passato, qualche riga più su).

 

Primo frammento, quasi un rottame.

Dal nome della rosa al pendolo di Foucalt (meno di dieci anni in mezzo, credo), ricordo di aver sostenuto che l’involuzione di Eco dovesse essere il primo segno di un incipiente rincoglionimento: ero un personaggio osceno, ed il mio pensiero era triviale come l’attore che recitava in pubblico per una compassionevole platea di compagni di liceo. Avevo quindici anni, mi sbagliavo, era solo l’inizio di un graduale e deprimente declino che doveva condurre Eco all’insano progetto di vincere il Nobel, e alla prostrazione di vederlo assegnato a Dario Fo (ipotesi, non tesi; infelice congettura senza una straccio di prova? E’ probabile).

Entusiasta di Guglielmo (da Baskerville?), che trovavo fosse ritagliato su William of Ockham, divorai anche Il Pendolo: il contraccolpo fu tremendo, una via di mezzo tra un rutto nominalista e una colite intellettuale. Non rimasi segnato: caddi, mi rialzai, impugnai il mio primo bastone, imparai a rimaner deluso, verificai la teoria vivendo: funzionava, non mancarono nuove delusioni, di più lieve entità, perché culo e cervello s’erano allenati a dovere. Il mio “principino” mi parve improvvisamente un rospo, e anche vagamente impostore. Ovviamente, ero già un disadattato, e davo le prime prove di una volontà di emarginazione che si ritorceva contro me stesso. La mia recensione su un misero giornalino scolastico provocò un memorabile parapiglia di interventi, mediazioni, collere e provvedimenti (la conservo, forse, controllerò). Si parlava di me, mi nascondevo nelle latrine, indicavo un altro, e subivo le ritorsioni oblique e l’ira diretta del mio insegnante di lettere, F.C., un uomo che di notte comunicava con Cicerone, avendo stabilito con lui un filo diretto a scopo di scambio culturale, una specie di sesto programma quadro ante litteram. Per due anni, alla distribuzione dei temi di italiano dopo la correzione, mancava sempre un voto, c’era un foglio bianco: il mio. Il professore F.C. decise che il voto lo avrebbe stabilito “la classe”, una mistificazione della democrazia su scala ridotta che subii come una violenza inaudita (e non facevo nulla per nasconderlo). I compagni di classe, chi più chi meno, non erano affatto dispiaciuti di perdere ogni volta due ore per la lettura e il commento del mio tema, scansando l’operetta drammatica di interrogazioni in stile “Lascia o raddoppia?”. Alla fine si reclamava il MIO commento. La mia risposta rimase identica nel tempo: giacché lo svolgimento del tema era già un commento, tutto ciò che avevo da dire stava scritto sugli stessi fogli del tema; non si chiede al gallo di cantare alle quattro per svegliare se stesso e poi cantare alle cinque; il gallo canta, il contadino si sveglia e forse bestemmia, la giornata inizia. Nella mia testa tutto appariva semplice (semplice, ma non sano), fuori dalla mia testa il mondo celebrava i cazzi propri infischiandosene di me (come è giusto, del resto).
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Cambio discorso.

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"D’altro canto, la possibilità di spiegare il caos del mondo con una semplice cospirazione rassicurerebbe i consumatori dell’immaginario, che questo continuerebbero a cercare sin dai tempi del vecchio best-seller firmato Pauwels e Bergier, Il mattino dei maghi, e poi nei tormenti televisivi di Fox Mulderrn  e Dana Scully."

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Qui Carla ti darebbe ragione, riuscendo ad avere torto. Ti direbbe che la funzione sociale del romanzo è di costruire una cosmogonia in cui la soluzione, il finale, è un modello che raccomanda al lettore (che per Carla è sempre un idiota, tra parentesi) un ordine trovato per strada, ma funzionale e consolatorio. Magari Carla troverebbe un modo più disarticolato per esprimere lo stesso concetto. In ogni caso, non arriverebbe neppure a dire perché mai la società, ossia un ente tanto devastato quanto Gesù Cristo in croce e tanto criminoso quanto Al Capone elevato a Lucky Luciano, praticamente un personaggio dei fumetti con una coscienza collettiva, debba compiere il miracolo insulso di prendersi per il culo da sola. La risposta  in stile Scuola di Francoforte, a lei tanto cara, direbbe che i meccanismi dell’industria culturale agiscono in modo da preservare l’inerzia borghese dell’individuo, la sua calma piatta, cercando di corrispondere alle aspettative di pacificazione sociale e di rnconservazione dello status quo attraverso le intenzioni, di volta in volta, del cupido autore in cui l’industria stessa s’incarna (ma s’incarna, perdio! e PerCarla non si incarna mai), che conosce le leggi del mercato e le sfrutta a tutto vantaggio delle proprie tasche. Un discorso arzigogolato ma, alla fin fine, quasi comprensibile. C’è un problema: Carla non dice "conservazione" ma "restaurazione", altrimenti dovrebbe ammettere di aver fatto cilecca per 50 anni, o di appartenere a quello schieramento di nuovi cetrioli borghesi che non si individua per la posizione sociale ma per quella intellettuale, avendo i suddetti cetrioli la triste abitudine di genuflettersi per fare carriera: e, giunti in cima al cocuzzolo, l’altra deprimente abitudine di iniziare a rompere le balle a chi non vorrebbe neppure fare carriera, vantando la propria (inesistente) onestà in faccia ad un mondo che ride (prima o poi ride, questa forma di ottimismo mi resta).rn”,1]
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Secondo frammento, come una briciola di Adorno, che trasformò una mica in “Minima Moralia”.

 

Tu scrivi:

“D’altro canto, la possibilità di spiegare il caos del mondo con una semplice cospirazione rassicurerebbe i consumatori dell’immaginario, che questo continuerebbero a cercare sin dai tempi del vecchio best-seller firmato Pauwels e Bergier, Il mattino dei maghi, e poi nei tormenti televisivi di Fox Mulder   e Dana Scully.”

Un ipotetico consumatore di zuppe di Francoforte* (o forse una consumatrice) ti darebbe ragione, riuscendo ad avere torto: magari uno studioso che, con presunzione pari alla propria incompetenza, si pronunci su ogni questione su cui non avrebbe alcuna saggezza da elargire: ma la elargisce senza posa, per vizio o per incantamento (come sai, è tempo di visioni). Ti ricorderebbe, con l’indice levato al cielo, dottore in corbellerie, che la funzione sociale del romanzo è di costruire una cosmogonia in cui la soluzione, ossia l’epilogo, ossequi un paradigma che raccomandi al lettore (che per il nostro crapulone francofortese è sempre un idiota, tra parentesi) un ordine trovato per strada, ma funzionale (funzionale a cosa?) e consolatorio. Magari troverebbe un modo più disarticolato per esprimere lo stesso concetto. In ogni caso, non arriverebbe neppure a spiegare perché mai la società, ossia un ente tanto devastato quanto Gesù Cristo in croce e tanto criminoso quanto Al Capone elevato a Lucky Luciano, praticamente un personaggio dei fumetti con una coscienza collettiva, debba compiere il miracolo insulso di prendersi per il culo da sola. La risposta  in stile Scuola di Francoforte, tanto cara al nostro, asserirebbe che i meccanismi dell’industria culturale agiscono in modo da preservare l’inerzia borghese dell’individuo, la sua calma piatta, cercando di corrispondere alle aspettative di pacificazione sociale e di conservazione dello status quo attraverso le intenzioni, di volta in volta, del cupido autore in cui l’industria stessa s’incarna (ma s’incarna, perdio! e PerLui non si incarna mai), che conosce le leggi del mercato e le spreme a tutto vantaggio delle proprie tasche. Un argomento arzigogolato e cavilloso ma, alla fin fine, quasi comprensibile. C’è un problema: non sentirai mai parlare di “conservazione” ma, molto più probabilmente, di “restaurazione”, altrimenti il nostro, che spesso è un accademico umiliato e offeso, dovrebbe confessare di aver fatto cilecca per tot anni, o di appartenere a quello schieramento di nuovi cetrioli borghesi che non si individua per la posizione sociale ma per quella intellettuale, avendo i suddetti cetrioli la triste abitudine di genuflettersi per fare carriera: e, giunti in cima al cocuzzolo, l’altra deprimente abitudine di iniziare a rompere le balle a chi non vorrebbe neppure fare carriera, vantando una inesistente onestà in faccia ad un mondo che ride (prima o poi ride, questa forma di ottimismo mi resta).

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Tra parentesi, le cose non vanno proprio come Carla sostiene, ammesso che sostenga qualcosa.

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"[…] Contrariamente agli artisti realisti che vogliono che la finzione sia investita dalla realtà, queste persone sono animate dal desiderio che la realtà sia penetrata dalla finzione". Il desiderio, insomma, è quello di un racconto che spieghi il reale (non così incomprensibile, come esigenza, non così nuova).rn

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Già, vero. Un racconto che spieghi il reale a costo di ripiegare nella finzione: ma finzione e realtà sono davvero una separazione di comodo, una specie di agio descrittivo che la lingua si concede come patto di comunicazione. In generale, realtà e finzione alludono allo stesso concetto nello stesso mondo (salto a piè pari un paio di passaggi): il fatto che siamo provvisti di un mondo ma non di libretto di istruzioni: niente risposte alla domanda "perché il mondo", o "cos’è il mondo". Col che, tu e la tua amica torinese, secondo me, avete colto pienamente il senso del postmoderno senza perdervi negli inutili fronzoli benedettini. Vado a nanna, sperando che zetavu non abbia inciso troppo sulla tua giornata.rn

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Iv

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* L’amico pettegolo di cui ti ho parlato è stato un dottorando di Eco, pettegolo in un ambiente che, in ogni caso, non lo biasimava.


www.roquentin.net

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Tra parentesi, le cose non vanno esattamente come il nostro sostiene, ammesso che sostenga qualcosa.

 

“[…] Contrariamente agli artisti realisti che vogliono che la finzione sia investita dalla realtà, queste persone sono animate dal desiderio che la realtà sia penetrata dalla finzione”. Il desiderio, insomma, è quello di un racconto che spieghi il reale (non così incomprensibile, come esigenza, non così nuova).

 

Già, vero. Un racconto che spieghi il reale a costo di ripiegare nella finzione: ma finzione e realtà sono davvero una separazione di comodo, una specie di agio descrittivo che la lingua si concede come patto di comunicazione. In generale, realtà e finzione si riferiscono alla stessa situazione nello stesso mondo (salto a piè pari un paio di passaggi): il fatto che siamo provvisti di esistenza ma non di libretto di istruzioni: niente risposte alla domanda “perché il mondo”, o “cos’è il mondo”. Col che, tu e la tua amica torinese, secondo me, avete colto pienamente il senso del postmoderno senza perdervi nelle insignificanti bardature intellettuali del nostro. Ormai il nostro è un cavallo, una bestia masochista che corre allegra e inconsapevole incontro al suicidio intellettuale. Lascialo fare.

 

Tuo Ivan

 

 

* per comodità espositiva, da qui in poi lo chiamerò “il nostro”

 

33 pensieri su “SPAM STORIES

  1. Mi pare che Ivan vomiti malamente addosso ad Umberto Eco – per provocazione? Sì, ma il puzzo si sente lo stesso.
    In totale disaccordo su ogni punto qui esposto.
    FINE
    Iannox

  2. Iannox, ma tu hai letto? Si tratta di una mail inviata in privato, e racconto il vomito di un quindicenne, non è così difficile da intuire. Nel frattempo, di Eco, ho letto i libri di semiotica: ben poco da ridire. Non fare l’errore (marchiano) di confondere una narrazione per un giudizio critico, e il giudizio di un quindicenne per la sua opinione di oggi. Io ero un quindicenne come tanti altri, il racconto delle mie impressioni intorno al 1989 non è l’esposizione delle mie opinioni intorno al 2005 (a parte una battuta). Oggi sarei molto più duro, non subirei la fascinazione di Guglielmo, probabilmente sarei più attento al contenuto filosofico de “Il nome della rosa”, etc., ai riferimenti aristotelici, et cetera.
    Sulla seconda parte, dovresti dire su cosa sei in disaccordo, e perché (è compresa nel disaccordo la domanda sul perché)
    Ciao, Ivan.

  3. Niente che mi disturbi la mia supposta mancanza di sagacia; però a dire che non sono rinomato… ecc. ecc. lo dici tu.
    Fine così.
    Ciao
    Iannox

  4. Un’esposizione – un vomito – di un quindicenne. A maggior ragione, mi s’attorcigliano i succhi gastrici. E’ un vomitare, niente di più, poco chiaro però questo vomito. Necessaria una biopsia? Non ne ho la voglia né il tempo.
    La seconda parte – parafrasando Lucio Angelini – è un tentare di leggere nei fondi di caffè. E io sono in disaccordo con il tentare a tutti i costi di “interpretare” i fondi.
    La critica o la si fa chiara o non la si pensa neanche per scherzo. Il problema, vecchio come il cucco, è la tendenza morbosa di scrivere critiche – o loro fac-simili – che sembrano dire tutto, ma poi si risolvono in un “Che cavolo ho letto? Che intendeva dire?”
    Fossi stato maggiormente chiaro, allora avrei argomentato con maggior impegno.
    Saludos
    Iannox

  5. Iannox, se devo essere sincero credo che sia tu che Angelini, che non siete due personaggi rinomati per sagacia, fareste bene a leggere tra le righe e non a pretendere da una lettera che sia una perfetta esposizione critica “conseguente” (cosa che, in privato, mi si sollecita spesso, e che per la verità mi annoia). Una lettera è un documento scritto in un certo modo e come forma di comunicazione personale: presuppone, come antefatto, un discorso privato, e in questo caso si riferisce a un discorso pubblico (a più d’uno, per la verità).
    Ciao, buona giornata (mi astengo da ulteriori considerazioni)
    Ivan

  6. alberto, come te lo immaginavi, questo mondo? internet è capace di tirar fuori il peggio e a volte anche il meglio. meglio così, secondo me qui spesso vengono fuori le cose senza filtri. preferisci il sussiego e la “buona educazione” ad ogni costo? guarda angelini: lui è un borderline (come quasi tutti, qui) : ha classe da vendere; prende per i fondelli con grande bravura, senza mai offendere. (io non riesco ad essere così bravo negli equilibrismi). coraggio, albè, meglio uno sputo in un occhio di un complimento falso.

  7. alberto, come te lo immaginavi, questo mondo? internet è capace di tirar fuori il peggio e a volte anche il meglio. meglio così, secondo me qui spesso vengono fuori le cose senza filtri. preferisci il sussiego e la “buona educazione” ad ogni costo? guarda angelini: lui è un borderline (come quasi tutti, qui) : ha classe da vendere; prende per i fondelli con grande bravura, senza mai offendere. (io non riesco ad essere così bravo negli equilibrismi). coraggio, albè, meglio uno sputo in un occhio di un complimento falso.

  8. Vero, Angelini ha classe da vendere, nel senso buono: a me sta molto simpatico, e trovo che è un personaggio molto arguto. La classe non è acqua e Angelini lo sa: per questo dice e dice bene nei suoi interventi.
    Chi è in rete, be’, son le stesse persone che sono nel mondo reale, quindi nessun stupore. O rumore di troppo. Ci sono i buoni e i cattivi, e quelli che fanno le parti dei primi e degli altri. In fondo non si sta male.
    Saludos
    Iannox

  9. domanda: se si tratta di una mail privata, perché è stata resa pubblica?
    domanda bis: se è la stata resa pubblica con il consenso dell’autore, sicuri che abbia dignità di critica letteraria (motivo per cui, suppongo, sia stata pubblicata)?

  10. interessante, Ivan: una domanda che contiene un postulato potrebbe essere un ossimoro o un pleonasmo?
    va bene. Ammesso che vi fosse un postulato, mi sembrava talmente postulato da non dover enunciarlo: la critica letteraria, come ha già ricordato qualcuno, deve essere chiara, altrimenti non ha significato. Ma forse hai ragione: il postulato c’era, solo che non mi sembra sbagliato. Di qui la mia domanda sulla sussistenza della dignità di pubblicazione. Semplicemente, come critica letteraria non l’ho trovata chiara. Quindi: voleva essere una mail privata e ne aveva ben ragione. Non necessitava di pubblicazione, non avendo significato pubblico.

  11. Alla prima domanda devo rispondere io: è stata resa pubblica con il consenso dell’autore (ovvio…)
    La seconda domanda credo sia, francamente, “sbagliata” (non fuori luogo, ma proprio sbagliata, perché parte da un postulato sbagliato), ma questa è solo la mia opinione.
    Ciao,
    Ivan

  12. Scusa Ivan, perché la seconda domanda di ortica è sbagliata? Avevo quasi in mente di precederla. Forse perché fai riferimento a discorsi già fatti in privato? Ma allora non dovresti stupirti se né Iannox, né Angelini, né io, e suppongo neanche Ortica, siamo riusciti a capirti fino in fondo.
    Senza polemica, solo per chiarirci.
    Grazie

  13. per La Lipperini: ho fatto un danno nel post precedente. Chiedo scusa, però almeno ho capito perché non riuscivo a vedere inseriti i miei commenti in questo post. Ancora scusa

  14. guarda un po se mi tocca per la seconda volta nel giro di un mese essere, almeno in parte, dalla parte di roquentin.
    già, perchè io non ho trovato scritto da nessuna parte che sarebbero stati pubblicati topic con dignità acclamata di critica letteraria. mi pare che i due frammenti siano stati presentati come spunti, e tale mi sembrano.
    certo, il secondo frammento non è troppo chiaro, salta qualche passaggio (forse importante) ed è anche animato da quello che a me pare una polemica più personale con un universo (quello accademico) che oggi più che mai puzza di naftalina ed è barricato nelle aule, anzi no, nelle stanze dei vari baroni universitari. ma, magari rileggendo il topic “story thriller” di un paio di giorni fa può risultare un po più chiaro.
    il punto fondamentale mi pare sia proprio l’osmosi, sia essa fisiologica o indotta (dal desiderio o dalla convenienza), tra reale e finzionale, tra realtà e finzione.
    però se non ne vogliamo parlare va bene lo stesso, ci facciamo compagnia e basta.

  15. perché se chiedo fischi, ricevo fiaschi?
    Ivan risponde a una domanda che non ho posto.
    Andrea mi contesta la “dignità conclamata di critica letteraria”. No, non parlavo di critica accademica. Parlavo di chiarezza e su quella, Andrea, mi sembri d’accordo.

  16. scusa ortica, se chiedi fischi (sicuri che abbia dignità di critica letteraria) io ti rispondo fischi (è necessario che abbia dignità di critica letteraria, o meglio, che cos’è la dignità di critica letteraria e soprattutto, è richiesta?)
    ok, non è chiarissimo e, trattandosi di una mail privata, magari non è così consequenziale come si vorrebbe, però basta andarsi a leggere il topic a cui si riferisce e diventa tutto più chiaro.
    il problema è che appena uno scrive qualcosa c’è chi fa la fila a dire che ha scritto male, che non si sa cosa vuole dire o a insultarlo in modi ancora meno articolati. certo, è molto meno impegnativo, ma non è per niente interessante. negli ultimi tempi ho avuto poco tempo, ma le volte che ho postato qualcosa ho cercato di cogliere un aspetto di dare il mio personale contributo agli spunti di riflessione…e il risultato è che sono due giorni che c’è uno che mi chiama testa di cazzo…che fare? uno va avanti, però così finisce che uno ci passa meno tempo e alla fine passa di qua per salutare gli amici.

  17. Nessun problema, Ortica. Invece, ho una domanda da fare sommessamente ad Alberto: non so cosa si aspettasse dai blog letterari. Sicuramente la sottoscritta si aspetta da un commentatore, ammesso che non sia semplicemente un disturbatore (attività rispettabile, ma non sempre condivisibile), che esponga il suo parere,e non si limiti a ripetere il suo loop 🙂

  18. Ancora una cosa, Loredana: io gli interventi gli ho fatti e come ben sai ho dedicato anche un post sul mio blog per dare una risposta più articolata sul tema degli HISTORY-thriller. Invece su questo post l’aria che (non) tira è talmente stantia che non ho niente da dire se non quello che ho detto.

  19. cosa mi aspetto? beh mi sembra molto semplice. mi aspetto che una discussione iniziata, ad esempio, sulla fantascienza, continui su questo tema e non diventi uno scazzo tra dirimpettaie frustrate. tutto qua.

  20. “interessante, Ivan: una domanda che contiene un postulato potrebbe essere un ossimoro o un pleonasmo?”
    “L’asino alato esiste, e indubbiamente si tratta di una specie interessante da studiare.”. L’esistenza dell’asino alato è un MIO postulato, ti pare un ossimoro o un pleonasmo? I postulati della geometria sono ossimori o pleonasmi?
    “va bene. Ammesso che vi fosse un postulato, mi sembrava talmente postulato da non dover enunciarlo”
    Se non è un postulato comunemente accettato, vale sempre la pena di enunciarlo.
    “: la critica letteraria, come ha già ricordato qualcuno, deve essere chiara, altrimenti non ha significato.”
    Sono quasi d’accordo (anche se la critica letteraria non si esprime per teoremi, e la sua pretesa chiarezza non è la chiarezza di una sfera di cristallo)
    “Ma forse hai ragione: il postulato c’era, solo che non mi sembra sbagliato. Di qui la mia domanda sulla sussistenza della dignità di pubblicazione. Semplicemente, come critica letteraria non l’ho trovata chiara.”
    Bene, posso chiedere cosa ti sia sfuggito? E’ evidente che, mantenendo intatta la forma epistolare, si può perdere qualcosa in termini di chiarezza.
    La tua osservazione sulla dignità di pubblicazione presuppone che:
    1) io volessi fare critica letteraria;
    2) che la lettera sia stata pubblicata come “critica letteraria”. Dove lo hai letto?
    Credo che tu sia almeno fuori strada. Una lettera è una lettera, un carteggio è un carteggio, se Loredana ritiene che vi siano spunti interessanti ciò non significa che mi abbia conferito lo status di critico letterario (anche perché “scapperei a gambe levate”)
    “Quindi: voleva essere una mail privata e ne aveva ben ragione. Non necessitava di pubblicazione, non avendo significato pubblico. ”
    E’ il contenuto che rende il testo, privato o meno, interessante per “il pubblico”, e per la pubblicazione: non il suo carattere inizialmente privato (anche perché, banalmente, il carattere privato si è perso con il mio assenso alla pubblicazione).
    A margine, hai mai visto un testo (anche di tre righe) che, prima di “divenir pubblico” non sia stato privato?
    (ti prego: non ti impelagare in elucubrazioni sui testi “pensati per essere privati”)
    In ogni caso, c’è la mia mail per ulteriori chiarimenti, considerato che non hai capito.
    A proposito, mi sembra di conoscerti.
    Ivan

  21. @ Gianna: la risposta sopra. A me sembra molto semplice, onestamente. Forse manco della logica del “critico letterario” (e inizio a credere che sia una fortuna)

  22. “cosa mi aspetto? beh mi sembra molto semplice. mi aspetto che una discussione iniziata, ad esempio, sulla fantascienza, continui su questo tema e non diventi uno scazzo tra dirimpettaie frustrate. tutto qua.”
    dunque per te, alberto, un blog dovrebbe essere una specie di luogo di lavoro. scusa ma non hai capito dove ti trovi, secondo me. questo è un passatempo, come la playstation. lippa, perdono, non lo faccio più, non scrivo più che andrea c è quello che è. perchè lui ha scritto quella volgarità su di me che…;-)

  23. “cosa mi aspetto? beh mi sembra molto semplice. mi aspetto che una discussione iniziata, ad esempio, sulla fantascienza, continui su questo tema e non diventi uno scazzo tra dirimpettaie frustrate. tutto qua.”
    dunque per te, alberto, un blog dovrebbe essere una specie di luogo di lavoro. scusa ma non hai capito dove ti trovi, secondo me. questo è un passatempo, come la playstation. lippa, perdono, non lo faccio più, non scrivo più che andrea c è quello che è. perchè lui ha scritto quella volgarità su di me che…;-)

  24. @uomo-verità: no guarda, credo sia tu a non capire. Una cosa è la discussione sul tema proposto dal post e sul quale ci si può benissimo tirar fendenti o carezze. Altra cosa è il battibecco tra galli nel pollaio. Comunque non c’è nessun problema, se a voi serve un luogo di sfogo, padronissimi (Lipperini permettendo). In fondo siete voi ad usare questo blog come una playstation.

  25. “Sono quasi d’accordo (anche se la critica letteraria non si esprime per teoremi, e la sua pretesa chiarezza non è la chiarezza di una sfera di cristallo)”
    Thanks, Ivan, quel “quasi d’accordo” è bastato a soddisfare la mia perplessità.

  26. @ uomo d. v. – guarda che il mio ragionamento sulla messa in discussione della tua supposta (guarda che supposta non è una parola volgare, soprattutto in questo caso che va intesa come sinonimo di ‘ipotetica’) – diecvo – della tua supposta conoscenza della verità, foss’anche di quella riguardante l’appartenenza a un determinato gender, era solo un esempio del mio modo di pensare. esempio a cui sono ricorso per mettere in termini pratici un discorso che da famoso scrittore dovrebbe rimandare a tutta una costellazione di pensiero che, almeno attraverso il telescopio della chiacchiera al caffè, dovrebbe esserti arrivato, e che, sempre da ‘rinomata penna’ avresti dovuto prendere in senso meno letterale e più letterario.
    non è stato così. volgare l’hai trovato. ma forse è colpa mia che aggrappato ad un’idea passata della scrittura mi ostino all’uso della metafora pensando di poter condensare un pensiero in una frase, quando invece ogni frase, ogni enunciato, per quanto letterale è sempre già di per sé un pensiero condensato o una contrazione di flusso enorme, un mastodonte che passa per il buco della porta.
    detto questo, però, devo ammettere che ancora mi sfugge il senso delle tue provocazioni. divertimento? surrealismo? indagine? sovversione?

  27. Ringrazio Alberto per aver, infine, argomentato. Poi: non si tratta di “permettere”. personalmente auspico che le discussioni siano sensate e che non degenerino. Spesso accade, altre volte (specie quando si risvegliano gli incursori o uomini della verità) è più difficile. Ma sono, come già detto altre volte, colpevolmente fiduciosa.

  28. alberto, puo’ darsi. andrea c. carissimo, io non capisco niente, è notorio. non conosco la metafora, vado dritto per dritto, non sono un intellettuale, mi dispiace. hai fatto un riferimento volgare, oserei dire schifoso, la verità è questa. io ti avrei censurato, io sono stato più sincero, tu hai bisogno di arzigogolarti perchè sei un intellettuale. tutto qui. fossero questi i problemi… il problema è che siete maledettamente seriosi, vi prendete maledettamente sul serio e, cosa ancora più grave, prendete sul serio anche questo spazio – ottimo, per la verità, uno dei migliori del gender e del mendel- ma pur sempre un apostrofo rosa sulla parola sbavo. i blog hanno i loro limiti, solo che voi tristi intellettuali siete proiettati verso l’infinito gesto dell’angelo alato, avete un motore Rolls Royce al posto del cuore e non avete fantasia. siete – anzi sei, alberto è stato finora corretto- pieno di nulla. mogolfiera umana mcewaniana, goodyear e omino michelin post formula 1, schumacher dei poveri in ispirito, flebo umanoide di sbadigli repressi e di repressioni al tavor.

  29. alberto, puo’ darsi. andrea c. carissimo, io non capisco niente, è notorio. non conosco la metafora, vado dritto per dritto, non sono un intellettuale, mi dispiace. hai fatto un riferimento volgare, oserei dire schifoso, la verità è questa. io ti avrei censurato, io sono stato più sincero, tu hai bisogno di arzigogolarti perchè sei un intellettuale. tutto qui. fossero questi i problemi… il problema è che siete maledettamente seriosi, vi prendete maledettamente sul serio e, cosa ancora più grave, prendete sul serio anche questo spazio – ottimo, per la verità, uno dei migliori del gender e del mendel- ma pur sempre un apostrofo rosa sulla parola sbavo. i blog hanno i loro limiti, solo che voi tristi intellettuali siete proiettati verso l’infinito gesto dell’angelo alato, avete un motore Rolls Royce al posto del cuore e non avete fantasia. siete – anzi sei, alberto è stato finora corretto- pieno di nulla. mogolfiera umana mcewaniana, goodyear e omino michelin post formula 1, schumacher dei poveri in ispirito, flebo umanoide di sbadigli repressi e di repressioni al tavor.

  30. “Un ipotetico consumatore di zuppe di Francoforte* (o forse una consumatrice” sarebbe Carla Benedetti?
    Scusate se faccio delle domande ingenue ma sono veramente un tardone senza speranza.
    L’unica cosa che capisco nel mio tardonismo è la ragione per cui in Italia la gente non legge una beata mazza: la letteratura è un gioco proprio come il calcio e non si può pretendere che tutti vadano allo stadio.
    Spero che qualcuno mi risponda. Nel frattempo vado a leggere un libro di Daniele Barbieri sul fumetto.

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