STAGIONI NON DIVERSE: IL NUOVO ANNO EDITORIALE

Infine, sono tornata, con alle spalle un mese e mezzo fitto di incontri e di scrittura, e come a ogni ritorno trovo sul tavolino la pila di libri di settembre. Come ogni anno, mi chiedo come andrà. Come ogni anno, penso a quante cose belle abbiamo a disposizione, e faccio voti perché trovino la loro strada. Cosa non semplice. Perché da troppo tempo si ripete la lamentazione comune dei troppi titoli. Lo fa, questa mattina,  anche Marco Gambaro in un lungo articolo sul Foglio:

“In Italia vi è stata una crescita costante dei titoli negli ultimi anni passando dai 30-40 mila nuovi titoli negli anni Novanta a 60 mila nel 2010 per arrivare a oltre 80 mila nel 2023, comprese le riedizioni. Allo stesso modo crescono i libri in commercio dai 250 mila alla fine anni Novanta a 1,4 milioni nel 2023. Insomma vi è un grande aumento della varietà e della possibilità di soddisfare gusti diversi, ma questo ha comportato naturalmente un certo calo delle tirature medie e una minor frequenza di bestseller oltre le 100 mila copie, che erano il volano della redditività dei grandi editori”.

Così è, e certamente non migliora, né può migliorare se non si trova un sistema diverso da quello attuale, peraltro difficilissimo da individuare.  Come ho scritto qualche tempo fa per La Stampa, questo è anche il motivo per cui molti editori pubblicano esordienti: e ci mancherebbe altro, perché quello è il loro mestiere. E’ vero che il modello del libro di successo ha spesso il suo peso su chi esordisce. Ed è vero anche che, in molti casi, quelle voci nuove vengono rapidamente lasciate da parte se non soddisfano le aspettative di vendita: con poco danno economico, suppongo, perché gli anticipi per un esordio non sono altissimi. Ma è altrettanto vero che resta difficile che ci si accorga del valore di almeno alcune di quelle voci. Soprattutto perché è difficile vederle.
La questione reale non è la perdita di autorevolezza della critica in favore dei comunicatori o degli influencer e il suo limitarsi alla recensione amicale. E’ la difficoltà di svolgere qualsiasi ruolo causa eccesso di produzione. C’è un dato interessante che è stato fornito a fine 2023: le prime edizioni dei libri sono aumentate del 13,5 per cento, le seconde (e successive) diminuiscono del 18,4. Il che fa dedurre che la vita dei libri si abbrevia ulteriormente. Il che fa dedurre anche che la questione della critica non è disgiungibile dalla possibilità di scegliere di quale libro parlare: e fra settanta-ottantamila novità l’anno è quasi impossibile. E qui entra in ballo il discorso del recensirsi fra amici su cui tanto spesso ci si sofferma: a costo di rischiare l’accusa di ingenuità, penso che a volte si recensiscano i libri di chi si è già letto perché è difficilissimo trovare gli altri. E’ un problema, e non piccolo, e neppure nuovo: ma si sta aggravando. Come può il lettore professionista assolvere al suo compito nell’oceano di titoli che si trova davanti? A volte, banalmente, sceglie la via più semplice: l’autore già conosciuto.
A questo si aggiunga il peso che grava su tutti, esordienti e no, nella corsa al libro di successo. Si dirà che tutti desiderano il best-seller, e non da oggi. Ma non come negli ultimi tempi, che vedono moltiplicarsi gli sforzi per concepire il romanzo determinante. Sforzi dolorosi, continuativi, fatti non solo di scrittura ma di relazioni e strategie che, si ritiene, faranno di quel testo un best-seller. Dovrebbe essere noto da tempo che non funziona così. I best-seller sono quasi sempre stati casuali: semplicemente, un libro che arrivava nel momento giusto e su, cui, certo, si concentra l’intuizione e poi lo sforzo promozionale di un editore. E’ accaduto con I leoni di Sicilia di Stefania Auci e, in misura per ora diversa, con Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi. E, prima ancora, con i libri di Zerocalcare. Né Auci né Zerocalcare hanno peraltro lasciato l’editore, all’epoca non gigantesco, dove hanno conosciuto quel successo, e hanno fatto molto bene, perché il famigerato secondo libro, quello pubblicato con una major, raramente risulta felice.
Dunque forse bisognerebbe tirare il fiato, ricordare che la vita di un libro è imprevedibile, come molti sanno, e scrivere con l’anima in pace. Bisognerebbe anche che la critica avesse più spazi per esprimersi e per fare il suo lavoro, che, ripeto, non è quello di far vendere, ma quello di analizzare. Bisognerebbe, infine, placare le aspettative generali. Perché se si continua così, gli scrittori a inseguire il libro che vende tantissimo, gli editori a dover vendere tantissimo quel libro, i librai a dover basare le prenotazioni su quel che si è venduto, mentre noi tutti, lettori e scrittori, continuiamo ad annaspare tra novantamila titoli l’anno, si implode, semplicemente. E anche in tempi brevi.
Detto questo, voglio comunque fare gli auguri di buon vento ad alcuni libri fra i molti che mi aspettavano a casa: Nei nervi e nel cuore di Rosella Postorino, Ogni cosa è per Giulia di Lucia Tancredi, Il gelso di Gerusalemme di Paola Caridi, Le mie cose preferite di Susanna Tartaro. E le bozze dell’imminente Il male che non c’è di Giulia Caminito.
Tutte amiche tue, bofonchieranno i soliti. Tutte scrittrici che conosco e amo, rispondo: come al solito, si è amici di qualcuno perché lo stima, e non si stima qualcuno perché è tuo amico. Ma che lo scrivo a fare?
Ben ritrovato, commentarium.

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