Ultimo intervento dagli Stati Generali del Genere. Marco Bettini.
Quando viaggio in treno ne approfitto per leggere un paio di quotidiani. Il tempo fermo, privo di distrazioni, in un luogo dove sei costretto a stare seduto, concilia la lettura. Appena prendo una pausa per guardare il paesaggio, di solito mi accorgo che in tutto lo scompartimento sono l’unico che ha un giornale in mano. Non che gli altri non leggano. Sono tutti impegnati con il telefonino. Leggono , scrivono, chattano, guardano i video. Probabilmente oggi le persone leggono e scrivono come mai prima nella storia dell’umanità. Soltanto, leggono e scrivono in digitale invece che in cartaceo. Da ex giornalista, purtroppo, sono consapevole che per quanto interessante possa essere il contenuto di un quotidiano di carta, per quanti sforzi faccia di presentarsi come un omnibus capace di accogliere gli interessi più svariati, dalla politica all’economia, dalla scienza allo sport, dalle parole crociate al pettegolezzo, ogni mese, ogni settimana, ogni giorno, diventa un oggetto sempre meno interessante.
Se ascoltate la gente, di motivi per non leggere un giornale ve ne dà a spiovere: i quotidiani sono faziosi, scritti male, vivono di sciocchezze, finti scoop, polemiche alimentate ad arte, approssimazioni, malafede. Poi sono scritti da una casta serva dei poteri forti, sono pieni di errori. Tutto quello che volete. Molte volte è vero, molte altre volte no. Ma la realtà, temo, è tristemente più banale. La lettura immersiva che la carta richiede, perfino la lettura di un articolo che non prende più di tre o quattro minuti, è un gesto passato di moda.
E’ un gesto antico. Un gesto che milioni di persone hanno dimenticato. Basta il telefonino, con il quale c’è maggior dimestichezza e nessun timore reverenziale. Basta leggere digitale, scrivere digitale e saltellare da un link all’altro verso l’infinito. Intendiamoci, è un modo di approcciare la realtà che ha un suo fascino e un suo valore. Resta il fatto che viviamo un momento storico in cui il passaggio da gesto antico a gesto arcaico dura il tempo di un clic.
Il rischio che leggere la carta, il gesto che in qualche modo riguarda scrittori e lettori, diventi un gesto obsoleto, relegato nel passato, è forte. E vale anche per i libri. Non so se effettivamente se ne vendano meno, come sostengono gli editori, anche se i titoli in libreria aumentano, compresi i manuali di cucina, bricolage, giardinaggio e affini. Ma il punto è che sono sempre meno le persone che amano misurarsi con la lettura immersiva, quella che i romanzi, di genere o no, pretendono dai loro lettori.
Si può pensare che alla fine la carta sarà sostituita dal supporto digitale e che nulla cambierà veramente per chi legge, ma non è così. Lettura digitale vuol dire accesso enciclopedico a tutto il sapere del mondo, vuol dire attingere alla biblioteca di Babele, vuol dire sviluppare nuove forme di apprendimento e conoscenza ma vuol dire anche perdere completamente le neurologia della lettura profonda, la reazione del cervello e della psicologia rispetto a ciò che leggiamo.
Cito Maryane Wolf, neurobiologa americana che ha studiato la differenza tra lettura profonda e lettura digitale : “Ci sono processi cognitivi lenti, quali il pensiero critico, la riflessione personale, l’immaginazione e l’empatia che fanno parte della lettura profonda. Kurt Vonnegut ha paragonato il ruolo dell’artista nella società a quello del canarino nella miniera: entrambi ci avvertono della presenza di un pericolo. Il cervello che legge è il canarino nella nostra mente. Saremmo davvero stupidi se ignorassimo ciò che ha da insegnarci”.
Circondati da milioni di nativi digitali, rischiamo di perdere processi cognitivi fondamentali e rischiamo che non essi scompaia una parte della nostra mente collettiva, una parte di società e le basi stesse della democrazia, che si fonda sull’empatia, cioè sulla capacità di calarsi nei panni degli altri.
Perciò credo che, insieme all’impegno per far sì che alcune caratteristiche del nostro lavoro di scrittori siano riconosciute dalla politica e dall’industria culturale, dovremmo preoccuparci anche di mantenere in vita l’abitudine alla lettura profonda.
E’ nostro interesse farlo, come parte in causa, come autori, come interlocutori dell’industria editoriale, come lettori e come cittadini.
Sarebbe interesse anche degli editori, dei distributori e delle librerie, che potrebbero aiutarci in questo sforzo.
Lo dico perché ScriptaBo, l’associazione scrittori di Bologna, sta organizzando un festival per la primavera, incentrato sull’esperienza della lettura profonda.
E’ una piccola cosa, e qui voglio solo dirvi la ragione che ci ha spinto a farlo. Il motivo è che se ognuno di noi si spende per promuovere i suoi libri, attività del tutto meritevole, se continuiamo a dire e ripetere soltanto io, io, io, atteggiamento connesso alla solitudine della scrittura, il rischio è che disperdiamo le energie che dovremmo e potremmo usare meglio per tenere insieme un popolo di lettori che si assottiglia ogni giorno che passa. Per noi di ScriptaBo l’idea di partenza era di cooperare per un obiettivo che interessa tutti invece di lavorare ognuno per sè con le proprie debolezze. Non abbiamo certezze che funzionerà. Non sappiamo quale pubblico il festival incontrerà, né se ci sarà un pubblico. Finora abbiamo raccolto adesioni inattese e incontrato ostacoli notevoli.
La lettura di un libro è un’attività in concorrenza con tutto il resto dell’industria culturale, radio, televisione, teatro, musica, cinema, internet. Può mantenere uno spazio importante in questo tempo affollato se punta sulla sua caratteristica peculiare, cioè portare i lettori dentro un altro mondo. Non solo il mondo del romanzo, quello che gira intorno alla storia e alle parole. Intendo proprio un altro mondo cognitivo e psicologico. Un mondo dove il tempo, il pensiero, la creatività e la riflessione funzionano diversamente rispetto a tutti gli altri mondi culturali che ho citato, che pure tutti amiamo e frequentiamo.
Per mantenere in vita questo mondo di carta, però, non credo basti più lo sforzo di promozione dei libri dalle grandi vendite, quelli che trainano il resto dell’editoria. Non credo che bastino i grandi eventi, pure partecipati da un pubblico entustiasta. Noi pensiamo che serva uno sforzo culturale, pedagogico se volete, anche se la parola può provocare qualche brivido. Però è indubbio che abbiamo bisogno di molto di più di quello che offre il mercato. Conosco ragazzi che hanno frequentato università scientifiche all’estero e non hanno mai comprato un libro in quattro anni di corso. Solo testi in digitale. Sicuramente hanno goduto di una grande opportunità, ma hanno anche perso qualcosa di molto specifico. Qualcosa in termini di riflessione, di approccio agli altri, di tempo lento invece che accelerato, di empatia, di concentrazione. Hanno perso qualcosa di umano.
Penso che chi scrive (e chi legge) abbia bisogno di entrare nelle scuole, di fare in modo che la lettura non diventi un obbligo da abbandonare subito dopo la maturità. Ci auguriamo che nelle università si continui a coltivare il tempo e il modo della lettura su carta.
Come scrittori, di genere e non, abbiamo bisogno di proporci come soggetto culturale attivo, oltre che come portatori di interessi, e non credo che le due cose siano in conflitto. Anzi. Sono entrambe utili e necessarie e l’incontro di oggi potrebbe portare alla creazione di un soggetto capace di affrontare questi due aspetti della nostra attività culturale.
Non è facile. Non è scontato. Io ci spero e ScriptaBo è disposta ad impegnarsi in questo senso.