Sul quotidiano oggi è uscito questo. L’occasione, secondo me, era propizia per un paio di riflessioni, in parte, peraltro, già fatte qui.
Va bene, piovono Templari. E con essi il Santo Graal, la Sacra Sindone e altre apprezzabili varianti sul tema della Reliquia. Ma anche scoperte scientifiche antiche di secoli e nei secoli celate, nonché opere d’arte o papiri o versi immortali o feuilleton di apparenza innocente: qualunque cosa, insomma, sia decifrabile, nasconda un enigma, e dietro ad esso un complotto che, se svelato, possa cambiare, se non le sorti, la percezione del mondo reale.
Questa la formula base di quei non pochi libri che sulla scia di Dan Brown e de Il codice da Vinci sono stati scritti, o ristampati, o prontamente tradotti. Che piacciono, e molto, al pubblico e dispiacciono, e molto, a chi li ha definiti astutamente pop (che può stare, a piacimento, sia per popolari che per populisti), colpevolmente superficiali e in definitiva superflui. Eppure questi presunti piumini da cipria dell’editoria hanno un peso: e non solo perché cominciano ad essere in numero così abbondante da avere in definitiva dato vita ad un genere che non è del tutto incasellabile sotto l’etichetta del romanzo storico o del fantasy (Teo-thriller? X-book? Art-mystery?).
Genere che non nasce con Brown. Occorre andare indietro almeno fino a Il nome della rosa e poi a Il pendolo di Foucault di Umberto Eco. Nonché, sul versante spagnolo, a Il club Dumas (1993) dove Arturo Pérez-Reverte ripropone il concetto dell’indagine applicato ad un’opera d’arte “come se fosse un delitto”. Ma il filone riprende vita, culminando in Brown, solo in tempi più recenti. Perché? La prima e la più ovvia fra le ipotesi riguarda la doppia funzione consolatoria dell’impianto: da una parte la nobiltà del manufatto dove si cela il mistero, o comunque la presenza nella trama di illustrissimi della letteratura, o dell’arte, o della scienza (Dante, Galileo, Leonardo) lusingherebbero il lettore fornendogli un falso status culturale. D’altro canto, la possibilità di spiegare il caos del mondo con una semplice cospirazione rassicurerebbe i consumatori dell’immaginario, che questo continuerebbero a cercare sin dai tempi del vecchio best-seller firmato Pauwels e Bergier, Il mattino dei maghi, e poi nei tormenti televisivi di Fox Mulder e Dana Scully.
Ma c’è qualcosa di più. Non molto tempo fa, una giovane scrittrice torinese raccontava, esterrefatta, di aver assistito ad una lunga discussione sulla “verità” del Codice nel parco del Valentino. Non era un episodio isolato. Lo ricordava, sempre a proposito di Dan Brown, l’antropologo Marc Augé: “L’enigma che sta all’inizio della storia si proietta sul mondo a noi più familiare, e sembra trasformarlo; sì spiega così, per esempio, l’afflusso di turisti nella chiesa di Saint Sulpice a Parigi per ritrovare le tracce di un vecchio tempio pagano, e questa è anche la prova che non tutto nelle finzione è pura invenzione. Contrariamente agli artisti realisti che vogliono che la finzione sia investita dalla realtà, queste persone sono animate dal desiderio che la realtà sia penetrata dalla finzione". Il desiderio, insomma, è quello di un racconto che spieghi il reale (non così incomprensibile, come esigenza, non così nuova).
E possibilmente attraverso una narrazione a sfondo religioso. In una intervista di qualche tempo fa, il direttore di una collana noir spiegava il diffondersi dei Mystic Thriller come il ritorno in primo piano della religione stessa, “in un ipotizzato scontro di civiltà” di cui, sul versante cinematografico, The Passion di Mel Gibson è un esempio perfetto. E di cui costituisce il contraltare letterario quello che definire best-seller è riduttivo: la serie americana di dodici romanzi Left Behind (Gli esclusi) scritta da Tim Lahaye e Jerry B. Jenkins, che raccontando della lotta contro l’Anticristo (divenuto segretario delle Nazioni Unite) hanno, pare, venduto intorno ai sessanta milioni di copie.
Ma è possibile che la chiave sia ancora un’altra. E sta nell’attenzione con cui guardiamo al passato dopo il vacillare dell’idea di futuro. In fantascienza, per esempio, la crisi del genere è indicata da uno spartiacque. Che è Matrix, con la sua idea di un reale solo apparente dietro il quale esiste (ancora!) un complotto volto a far credere che l’umanità intera viene manovrata da minacciose entità. In Matrix non c’è futuro, ma una ripetizione ciclica e programmata del passato. E lo stallo della fantascienza classica sta proprio nel fatto che, dopo le “visioni del presente” del cyberpunk, non riesce più a rappresentare un possibile domani. Come dice lo scrittore Valerio Evangelisti, “accade sempre più raramente che un romanzo di fantascienza proponga il racconto di società alternative. Quel che è stato espulso dalla cultura occidentale è l’idea dell’utopia: di alternativa, di cambiamento radicale dei presupposti stessi della società. Nella percezione della gente c’è il giorno dopo giorno, non il futuro ”.
Ma quel che avviene in un genere letterario come la fantascienza è il rispecchiamento del reale. Il semiologo Paolo Fabbri, in una recentissima intervista a Cult Network, sosteneva una tesi molto simile, parlando di una “freccia del tempo” ormai spuntata: laddove, affievolita l’attrazione per il futuro, ci si ancora al presente: “la freccia del tempo dovrebbe cominciare dal futuro, tornare al passato e venire al presente, carico di un futuro che avesse avuto conoscenza del passato. Ma la freccia del tempo si è storta di nuovo e andiamo sconvolti dal presente al presente”. Un presente letto, però, attraverso un passato reimmaginato in modo da dare all’oggi un significato diverso. O che comunque pieghi i reali personaggi della nostra storia alla nostra contemporaneità: come il Dante detective di più di un libro recente.
Gli story-thriller, in questo, sono l’ultimo anello di una catena che è cominciata già diversi anni fa: nella letteratura per ragazzi con la serie di Harry Potter, al cinema con il successone di film storici come Il gladiatore (e che si estende fino ad altri blockbuster dedicati alla guerra di Troia, ad Alessandro Magno, alle Crociate) e in altri luoghi dell’immaginario con il trionfo dei videogiochi e dei giochi di carte fantasy come Magic (di cui, implacabilmente, ogni altro nuovo prodotto conserva le regole: inclusi i nuovi gladiatori del Wrestling, che nella versione carta da gioco sono assai poco dissimili dai maghi e dagli elfi che li hanno preceduti).
Cosa significa? Significa che probabilmente ha ragione Fabbri, e che siamo davvero in un’epoca revisionista: “anziché pensare che uno dei modi di usare il passato è quello di dimenticarlo, e che forse aprire l’avvenire è solo possibile una volta che si è messo da parte il passato – era l’idea delle avanguardie del secolo scorso -, oggi la fine del futuro fa sì che abbiamo una straordinaria passione per il passato”. Di questo, gli angeli, i demoni, gli investigatori medievali, gli scopritori di sacri lini, i rivelatori di antichi inganni sono i testimoni, più che configurarsi come antagonisti di un’idea di letteratura spesso chiusa nella contemplazione di se stessa quanto ostile ad approcciare una narrazione massimalista ed epica. Forse basta comprenderlo, accettarne il divertimento, e da questo trarre persino occasione di riflessione.
Piovono Templari? Per quanto mi riguarda, tradussi “I Templari” di Peter Partner (per Einaudi) in tempi non sospetti. Era il lontano 1991:-/
Può essere, potrebbe tranquillamente essere revisionismo, oppure qualunque altra “cosa” identificabile con un qualunque termine coniato e brevettato all’uopo. Ma non potrebbe essere che si tratti, banalmente, della solita operazione commerciale a tempi pianificati? 🙂
Buona notte. Trespolo.
ciao, chiedo scusa ma per necessità di spazio rispondo sul mio blog: http://albertogiorgi.blogs.com/chiaroscuro/
grazie, ciao!
Letto, Alberto! sul cyberpunk, hai ragione: per me, però, Matrix raccoglie e amplifica il pensiero cyberpunk…
Loredana, secondo me Matrix è stato molto sopravalutato. Il primo film era buono, il secondo meno e sul terzo non mi pronuncio perché non ho voluto vederlo (e sono un appassionato di FS, non dico altro). Comunque l’idea di base è molto interessante, ma si sviluppa in direzioni filosofiche, quindi non amplia i temi del cyberpunk ma li sposta brutalmente sul piano dell’interpretazione della realtà e sulla percezione di essa.
Il cyberpunk, invece, voleva dare una finestra (realistica e pessimistica) sul futuro della società umana in termini materiali, sociali e politici.
Se parliamo di cinema allora tirerei in ballo l’inarrivabile Blade Runner. Con questo film la fantascienza cambia. Non vorrei esagerare, ma forse con questo film e con la corrente cyberpunk la vera fantascienza si è suicidata.
Ok, ho finito i caratteri… 🙂
@Ivan: in generale non so perchè un libro “funziona” ma nello specifico della “narrativa di genere” credo sia una questione di curiosità e temi “pruriginosi” che attraggono le masse. Il “Codice da Vinci” metteva in discussione alcuni dogmi della Chiesa cattolica e una certa Storia ufficiale. Un altro caso letterario che si sta sviluppando nasce attorno all’ultimo di Crichton nel quale, infatti, si mettono in discussione tesi ambientaliste che attualmente sono quasi dei dogmi. Ancora, ma in modo diverso, un noto comico che si mette a scrivere un thriller all’americana incuriosisce molto, infatti Deaver non vende un milione di copie in Italia.
Insomma, bisogna trovare la ricetta giusta per incuriosire la gente, per dar loro quel “plus” che li indirizza su di un romanzo piuttosto che su un altro. Tra le decine di romanzi sui serial killer cosa prendo? Quello scritto da Vito Catozzo!!
@ Trespolo. Ammesso che il recupero di un passato fantastico, ripensato, a volte riscritto, sia un’operazione commerciale (si parla, in effetti, di una scrittura che, commercialmente, funziona, ma non di “una sola” operazione commerciale), credo che le osservazioni finali (Fabbri + Lipperini) riguardino la questione del “perché qualcosa funzioni, commercialmente e culturalmente, perché faccia presa sui lettori”. Non è del tutto banale: commissionami un libro di fantascienza e vedrai che non riuscirò a vendere più di 20 copie, in un tragico porta a porta (agli amici e ai conoscenti, suppongo).
@Ivan: vero quello che sostieni se applicato al libro in quanto tale, e opera del pur bravo scrittore del momento, pubblicizzato tramite i soliti canali (terze pagine, riviste specializzate, qualche articoletto, pure i blog ci metto) che hanno pochissimo o nessun impatto sulla quasi totalità degli acquirenti di libri; meno vero se applicato in via sistemica e gestendo “il clamore” già esistente (leggi faletti) o creato ad arte (leggi melissa o brown) e veicolati sui canali normali (i vari novella & C.) ricreando ad arte lo scandalo ad ogni passaggio o presunto tale. Ricordi “il teatrino” di Milano, quello dove si spogliava Moana Pozzi etc…? Vide le sue entrate aumentare vertiginosamente quando qualcuno lasciò filtrare (ad arte credo) la notizia che ad affittarlo era la Curia Milanese :-))
Buona notte. Trespolo.
Detro il fenomeno, credo ci stia anche un illusione dell’ accessibile, un rendere il mistero perenne immediatamente fruibile.Un certo sincretismo religioso ha reso questo immensamente più facile. Che a svelarsi sia Leonardo, Dante o Catone ha poca importanza il terreno era pronto è ha trovato un pubblico in attesa di apocalissi svelate. Il resto è marketing
Non per fare le pulci a tutti i costi ma la sciatteria citazionistica e’ tra le peggiori. L’indagine sull’opera d’arte come su un delitto va riferita non a “Il club Dumas” (come riportato nell’articolo in commento) ma a “La tavola fiamminga”, del medesimo autore e libro di gran lunga migliore. Vostro, BD
ho letto con interesse l’articolo, interesse amplificato, nel mio caso, dal fatto che sul codice da vinci sto realizzando la mia tesi di laurea. Sarei molto grata a lei o a chiunque ne avesse piacere, se mi suggerisse qualche buona lettura, visto che al momento di letture ne ho travate parecchie ma poche davvero buone!