“Il 6 Giugno 1944 il mondo sprofondò nel più oscuro degli inferni.
Il D-Day sarebbe potuto essere il punto di svolta per la Seconda Guerra Mondiale: le truppe Alleate, che già avevano conquistato metà dell’Italia, avevano scelto quel fatidico giorno per sbarcare sulle coste della Normandia e iniziare così l’avanzata verso il cuore del Reich. Ma, mentre i soldati Alleati lottavano e morivano sulle spiagge francesi tra le mine e il fuoco incrociato delle casematte tedesche, i corpi martoriati dei caduti si rialzarono per divorare i viventi. E questo avvenne in tutto il mondo. Nello stesso momento. Da allora i Morti smisero di avere pace e iniziarono la loro caccia contro il genere umano”.
Prima di spiegare da dove è tratto il brano, motivo il senso di questo post: che altro non è se non l’ulteriore anello della catena di riflessioni svoltesi qui da lunedì a oggi (anche da prima, naturalmente, ma mi sembra che questa successione di interventi sia particolarmente interessante). In particolare, mi aggancio all’intervento di Francesco, laddove dice ” Un manuale di gdr è un libro, è fatto di carta e inchiostro, si legge, ma per qualche motivo non è Libro”.
Perfetto. Parliamo dunque di uno dei molti libri possibili: scritto da due narratori italiani, ha diverse ambientazioni (Italia, Germania, Russia, fra le altre) ed è un classico esempio di storia alternativa dove, come in Fatherland di Robert Harris, la Germania ha vinto la guerra mondiale ed è sotto il dominio del IV Reich. L’Italia è invece retta da una teocrazia governata da Papa Leone IV. La Russia ha abolito la luce del sole. Queste le basi, in una sintesi che più estrema non si può.
Il fattore che ha determinato la situazione è principalmente uno, quello riportato nell’introduzione qui sopra: il 6 giugno 1944 i morti si sono alzati e hanno divorato i vivi. Ora, prima che qualcuno faccia spallucce e pensi “cazzate” davanti all’elemento sovrannaturale, mi piacerebbe ricordare che quello stesso elemento è presente in testi che nessuno avrebbe l’ardire, oggi, di sottovalutare: testi dove un cavallo alato vola verso la luna a cercare il senno di un cavaliere. O dove, come in una certa autofiction, lo scrivente si imbatte in fantasmi e cavalca creature dal corpo di drago e coda di scorpione (Gerione, per la cronaca).
La storia di cui sto parlando è parzialmente fantastica, ma non del tutto: parla anche di ipotesi possibili, come nella migliore tradizione del What if?. E’ leggibile, ma complessa: molto più complessa di altre storie che vengono giudicate in quanto tali (in quanto libri). Ha un meccanismo impeccabile. Propone personaggi di psicologia tutt’altro che spicciola. Ma è “soltanto” un gioco di ruolo: si chiama Sine Requie, e ne sono autori Matteo Cortini e Leonardo Moretti (per informazioni, notizie e scenari, qui).
Che cosa, dunque, lo differenzia da un Libro? Il fatto che sia concepito per essere ulteriormente sviluppato da chi lo gioca, e che sia dunque “aperto”? Ma non dovrebbe essere così per ogni testo? Non è di fatto così, per le narrazioni che coinvolgono in prima persona chi legge e che molto spesso vengono fatte oggetto di rielaborazioni, in rete e fuori? A differenziarlo, allora è il luogo dove si reperisce, in una fumetteria piuttosto che in una libreria? Se così fosse, non sarebbe un buon segnale.
Dunque?
Sine Requie. Wow. Un gioco innovativo dal punto di vista del regolamento, scritto benissimo. Italiano. Insomma, ce le ha tutte.
Ed ecco i miei due penny. A differenziare un gdr da un Libro ci sono vari fattori, tutti sociali, nessuno, per come la vedo io, positivo. Uno è il fatto che di un ‘gioco’ si tratti – e il ‘gioco’ appartiene alla categoria del piacere, e il piacere, nonostane Roland Barthes e tanti altri, resta un argomento-tabù in molti discorsi intellettuali (e stavolta uso la parola come puro aggettivo, non connotata). Invece sarebbe una categoria _critica_ utilissima – una categoria, però, che fa piazza pulita di tanta roba soporifera, noiosa, mortifera, distruggitrice ‘che però è cultura vera’.
Poi, il gdr manda in frantumi una serie di luoghi comuni (il concetto di Autore, quello di unicità dell’opera, quello di originalità, eccetera) che reggono moltissimo discorso culturale – e che sostengono una precisa ideologia di che cosa un libro _debba_ essere, di che cosa _debba_ essere una storia. Una ideologia che ha precisi effetti economici, di organizzazione dell’industria culturale.
Per motivi vari, abbiamo finito per identificare sia il libro che la narrazione tout court con la forma-romanzo – fino ad assurdi totali, quali quello di considerare un film simile a un romanzo e un ‘regista’ come ‘autore’ del film. Il gdr è una ‘macchina narrativa’ che dà piacere nel momento della lettura ma è costruita perchè la usi molta gente, insieme, ma ciascuno a suo modo. E’ un oggetto davvero strano.
Dicevo altrove che è un medium autonomo a tutti gli effetti – ed è un medium particolare, perchè non vende tanto un prodotto, quanto una possibilità di produzione. Umberto Eco diceva che c’è differenza tra interpretazione e uso – ecco, il gdr mette in cortocircuito anche questo, perchè la sua interpretazione E’ il suo uso, le sue letture consentite SONO, per definizione, il suo stravolgimento. Riuscire a scriverlo, un romanzo così!
E poi c’è un altro fattore: è un medium di nicchia. Le posizioni di Alta Cultura fanno tanto più ridere perchè c’è più gente che ha visto tutto Godard di quanta sia quella che ha giocato ad Unknown Armies (non lo dico nè in positivo nè in negativo – è una constatazione pura), eppure, per pura reazione pavloviana, il gdr viene considerato ‘popolare’, nel bene e nel male. Ecco, ancora una volta mi pare si veda che è la distinzione in sè ad essere, ormai, tanto vecchia da diventare polvere.
Ultima nota: il gdr è un’attività sociale, spinge al confronto continuo e trasversale tra livelli di scolarizzazione, appartenenze socioeconomiche varie, eccetera. Più volte mi sono trovato a dire ‘cazzo, che roba’, quando un altro giocatore, che magari nella vita non fa lo scrittore, non ha una laurea, non legge e guarda Uomini e Donne, ha idee formidabili per il suo personaggio. E questo è uno stress cui molti intellettuali, mi pare, non hanno nessuna voglia di sottoporsi.
La lingua. Credo che una delle differenze sia la lingua.
Dieci righe di “Lolita” (tanto per fare un esempio) contengono, quanto a suggestioni, capacità di commuovere, di accendere l’immaginazione, quanto a possibilità di spalancare doppi e tripli e quadrupli e n fondi nello spazio di un semplice periodo… queste righe, dicevo, contengono e spalancano un universo intero (fatto di musica, sentimento ecc.).
E questo è possibile grazie alla lingua usata da Nabokov (pensa a un minuto di “Jupiter”, in un minuto la “lingua” di Mozart contiene una galassia).
I giochi di ruolo (o i libri come “Fatherland”) sono ottimi sistemi per far pensare e immaginare e allenare e spiazzare intelligentemente il nostro immaginario – ma non contengono di solito quella magia lì. Ed è quel tipo di magia che di solito, da generazioni, salva il mondo…
Per non essere frainteso…
ho detto “Lolita” e “Jupiter”, ma avrei potuto dire “Visions of Johanna” di Dylan.
Il problema non è il pop o non pop, spero si sia capito…
gioco da anni ai giochi di ruolo e mi sembrano intelligenti e fichi e divertenti ecc. e mi sembrano un ottimo prodotto culturale, ma non ne ho trovato uno che sfiorasse il territorio dell’arte.
Il che capita molto più spesso con i romanzi (sarà che la letteratura esiste da più tempo)
E meno spesso (ma succede) con i film.
E ogni tanto con i fumetti.
E ancora meno spesso (ma anche qui: succede) con la musica pop.
Insomma… non bisogna essere snob da un lato, ma dall’altro si può ancora dire che l’arte e la poesia (quando ci sono) sono ancora una risorsa meravigliosa della specie?
Poi, quando non ci sono, pazienza, mica si grida al crugifige, per carità…
Non so se le considerazioni siano del tutto pertinenti, ma… un GdR è un libro del tipo “manuale” e per quanto ricco di suggestioni e di aperture (e per quanto anchio sia un RolePlayer della prima ora ecc ecc), non capisco come possa afferire al genere “letteratura”.
Un manuale del Fai-da-te può aprirti un mondo e fare di te l’arredatore di casa tua, e pure i mobili che ti ci costruisci possono essere capolavori di artigianato. Non so se qusto fa entrare di diritto il manuale del Fai-da-te nella storia dell’artigianato.
Ovvero ancora, il libro è il supporto: ma l’analogia tra romanzo e manuale del GdR finisce lì. Quello che fa la differenza è l’uso che se ne fa, il che li pone in ambiti diversi, punto. Poi, al solito, dal mio punto di vista benvengano le contaminazioni, i riusi , gli stravolgimenti e quant’altro.
Ma va anche detto che il GdR apre un mondo di possibilità, ma lo si può esplorare in mille modi, di cui mica tutti sono questo scoppio di intelligenza, narrazione e sensibilità: all’intelligenza di chi disegna un mondo, non fa necessariamente seguito quella di coloro che ci si immergono…
“Il territorio dell’arte”. Brrrr. Marco, per curiosità, cosa giochi, da quanto e con chi?
A parte il fatto che ti si potrebbe obiettare che forse non ne hai giocati di, come dire, notevoli – e che le suggestioni di Nobilis valgono mille e mille romanzi, c’è una considerazione più profonda.
E cioè: se ci pensi, il tuo paragone ‘linguistico’ non ha senso, perchè paragoni prodotti diversi. E’ come dire che Lolita è ‘peggio’ di Buffy perchè non ha dialoghi altrettanto potenti. Stai ancora una volta cadendo nell’equivoco di equiparare tutto alla forma-romanzo. E nell’equivoco di credere nel _religioso_ e _monoteista_ (non mi stancherò mai di ripeterlo) continuum che porta dalla ‘cultura’ all’ ‘arte’ vera.
Per ciascun medium, la sua forma, la sua critica, il suo messaggio.
Dai Francesco, non stare sulla difensiva…
se non si possono fare paragoni tra cose diverse – come tu dici – allora è inutile pure questo post di stamattina…
ti devo stare a fare il mio curriculum di giocatore di gdr? Con chi gioco, e da quanto, e con chi… e soprattutto, cosa facevo il 12 luglio del 1984? E che è, un interrogatorio della Stasi…
non ho parlato solo di letteratura, ma di musica (da Mozart a Dylan ai Radiohead) e di fumetti etc. E per lingua non intendevo solo quella letteraria… che cavolo, speravo si fosse capito.
Io sono di quelli che amano i giochi di ruolo ma ritengono che senza Edipo, Amleto, Humbert Humbert, Achab, le variazioni Goldberg, Jokerman, Creuza De Ma, il dottor Stranamore, 8 e 1/2, Watchmen ecc. ecc. ecc. la nostra concezione del mondo, il nostro sentire le cose e le persone sarebbe diverso. Non saremmo cioè quelli che siamo.
tu mi sa (“territorio dell’arte, brrr”) sei di quelli che mettono la mano alla pistola davanti alla parola arte.
Se dico arte o poesia ti faccio rabbrividire? Mamma mia, che tristezza bello mio.
Non necessariamente il gdr è una lettura “tipo manuale”, se andiamo al di fuori dei manuali in senso più o meno lato. Ci sono libri di ambientazione (penso alle cose che fa la White Wolf, per dire) che hanno poco o nulla del manuale e che tratteggiano mondi di una notevole complessità in modo neanche disprezzabile.
Però è anche vero che spesso i giocatori, “master” compresi (o almeno la maggior parte di quelli con cui ho giocato io, purtroppo) di tutte le possibilità narrative se ne sbattono allegramente e più che dei personaggi muovono degli ammassi di dati ottimizzati al meglio per superare i combattimenti, più che delle storie mettono in scena dei lunghi beat ‘em up (e lo stesso Gygax aveva questo approccio: la sua avventura per D&D ambientata nel mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie consisteva nell’andare da A a B sterminando tutto ciò che si muoveva).
Non mi sorprende quindi che dall’esterno non si vedano queste potenzialità, quando già dall’interno sono in molti a non vederle.
E sì che ci sono giochi che meriterebbero di essere giocati e discussi, come “Cani nella vigna” (Dogs in the vineyard), che ha un meccanismo brillantissimo che coniuga alla perfezione il momento ludico (tirare i dadi) con le scelte narrative.
Sì, good omens, ma… inseriresti le ambientazioni e le avventure in un genere-letteratura? Faccio un esempio per tutti: un generatore di storie non si propone per una funzione memorabilità-citabilità del proprio contenuto, che potrebbe accomunare poesia, prosa e teatro d’autore. Mentre Shakespeare, Pindaro o Nabokov ha senso mandarne a memoria e citarli e riusarli per dire – ehm – “gioco in quel campo lì”.
Per me ha senso una distinzione di campo, non per un giudizio morale ma per una categorizzazione funzioale. Retaggi aristotelici…
A lato: è importante il discorso di Francesco sulla diffidenza rispetto al piacere come prima reazione del reazionario. “È piacevole dunque pericoloso dunque condannabile” è stato detto, per esempio, del valzer prima del metal e dei romanzi prima dei GdR. Triste, eh?
Credo che a volte bastino sette righe (come quelle da te citate) a far passare ogni voglia di proseguire. Evviva gli assaggini e le sineddochi (sineddoche = la parte per il tutto). Fanno risparmiare un sacco di tempo. Ovviamente “a ciascuno secondo i propri gusti”. Quello che ripugna a me può sempre piacere al coatto della porta accanto.
Quella, Rino Ceronte, era l’introduzione. Quanto alla sottintesa equivalenza fra gdr e coatti, se ho inteso bene, parla da sola…
Nessuna sottintesa equivalenza, pregiatissima Lippa. Volevo solo dire che ci sono gdr e gdr, così come ci sono Ariosti (sua allusione) e Arrosti, oltre che Arrosti Bruciati.
Paolo, non so se sia letteratura (o, come mi sembra tu intenda “Letteratura”) e, francamente, poco me ne importa. L’attribuzione delle maiuscole la delego di solito ai posteri.
Quello che so è che di sicuro è che il gdr è narrazione nella pratica. E che la fruizione dei prodotti editoriali a esso legati è simile a quella che si fa della saggistica quando si sta studiando un argomento. Leggi, isoli quello che ti interessa, lo integri con altre robe, lo rielabori, lo condividi con altri.
E del resto, se sto pensando una “campagna” ambientata nel medioevo storico non posso usare Le Goff come sourcebook?
Perché un compendio sul mondo di Tolkien è un “libro” e un modulo geografico del vecchio Middle Earth Role Playing Game no?
E già che ci siamo, quando Mondadori ha pubblicato quel libro illustrato sul mondo dei romanzi della Troisi non ha di fatto creato un sourcebook che può essere riutilizzato per giocare in quel mondo? Qual è la differenza? Il fatto che ci siano o meno i numerini?
(Se vogliamo stare invece sulla piacevolezza della lettura, il manualetto del “gioco di ruolo del barone di munchausen” – che però non è strettamente un gdr – è un gioiello perfettamente ricalcato sullo stile dell’originale, che spiega il regolamento in una forma narrativa)
Comunque la differenza di canale di vendita non è poi così marcata: molte Feltrinelli tengono, da qualche anno, manuali di giochi di ruolo. Male, senza sapere che cosa stanno vendendo (spesso come con i fumetti), ma li vendono.
D’accordo assai, presagi. Secondo me non c’è bisogno di distinzioni alto-basso in base a filosofie dello spirito (e anche tu me lo confermi, distinguendo Munchausen da un GdR in senso stretto), ma ci sono dei paletti logici che ci aiutano a mappare dei territori. La definizione di “NarraTtiva”, per dire, apre per ibridazione un territorio molto interessante, ma che appunto ha estensione e regole tutte sue. Si può reclamare uguale dignità, ma non identità di funzione. Secondo me, un modulo geografico di Merp è libro quanto lo può essere un fascicolo di National Geographic. Nonsense fare polemica se è un libro o meno, non lo metterei alla voce “letteratura”. Pure, un saggio sulle Terra di mezzo sarà saggistica, non letteratura. E, oviamente sì, Le Goff può potare spunti geniali ai GdR, anche se io ho più spesso usato e abusato di Ginzburg. A proposito: Storia notturna, è un sourcebook? E’ Un romanzo di aventure? Ci vuole un po’ di stretching… Il confine può sfumare, ma la funzione primaria di ogni testo lo orienta, inevitabilmente. Ci vuole un genio per varcare un confine, ma se tutti non lo seguono il confine resta lì (Foucault, Roald Dahl, Kurt Vonnegut…).
Quanto ai canali di vendita, come sottolinei tu,un canale specializzato è una garanzia di qualità, la presenza in punti vendita generici, il segno di un possibile guadagno in quel settore. LaFeltrinelli ghettizza in base al $ non ai territori letterari… mi farebbe piacer trovarci cose Rose&Poison, ma più per loro (=vendono bene!) che per me.
Per curiosità:
Visto che le grandi librerie sono diventate media-store dove si vende ormai di tutto, perché volete far cambiare statuto alle piccole librerie rimaste e farle diventare tutte media-store?
C’è ancora chi preferisce il pescivendolo al supermercato e non chiede mi dia un pesce, ma specifica quale pesce vuole. E magari si considera un intenditore di pesce, e magari lo è. Ve la prendereste così, con un acquirente e con il suo negozio preferito se si trattasse di pesce?
Cosa c’è dietro agli ultimi post? Il desiderio di liquidare una cultura che non vi piace?
Ma è di nicchia, perché ve la prendete tanto?
O vi dà fastidio che si consideri “alta”?
E se è così, se vi dà fastidio che si consideri alta e si richiami a una tradizione e a un canone, perché?
Vi sentite “snobbati”?
Ma se fosse così, che senso ha sentirsi “snobbati “da quattro accademici soporiferi, noiosi e mortiferi?
Mi viene in mente la stizza di alcune polemiche di King che vende milioni di copie contro la letteratura marginalissima che continua, forse anche sterilmente, a sperimentare forme con antenati più nobili.
Ma cribbio, mi dico, perchè un uomo che vende milioni di copie vuole anche essere preso in considerazione da quegli accademici che disprezza?
Ammetterete con me che è curioso.
Capirei onestamente di più chi combattesse una battaglia stando nella nicchia che diventa sempre più stretta, ma combattere una battaglia per la cultura pop, che ha stravinto, sembra l’accanimento dei tagliatori delle foreste amazzoniche contro quelle sparute tribù che ancora si rifiutano di aver contatti con l’uomo bianco.
Questo solo per la sproporzione degli schieramenti, senza entrare in un giudizio di valore.
per @ Francesco,
quella “roba soporifera, noiosa, mortifera, distruggitrice ‘che però è cultura vera” , magari per alcuni non è né soporifera né noiosa. Per me che sono molto sensibile alla complessità dello stile (vado della grossa e non mi metto a discutere qui su cosa si intenda per stile) leggere uno scrittore stilisticamente complesso è un piacere, ma siccome sono molto sensibile anche al plot, leggo per esempio larson, che non mi dà nessun piacere a livello stilistico, ma parecchio ad altri livelli (questo terzo volume però meno del solito) e mi intrattiene piacevolmente prima di dormire.
(E non è vero che “Per motivi vari, abbiamo finito per identificare sia il libro che la narrazione tout court con la forma-romanzo”. Può dir così solo chi non è al corrente del dibattito intorno alla forma romanzo, che piace molto agli editori, mentre molti altri la considerano una gabbia stretta.)
Insomma, liberi tutti di scegliersi gli avversari, ma prendeveli almeno grossi.
E se pensate che siano invece grossi, perché lo pensate? Dove sta la loro stazza? perchè li prendete ancora in considerazione, da dove viene loro questo potere di farvi scendere in campo?
Questo coimmento per amore di discussione e approfondimento, non di pura polemica.
Non credo che sia una battaglia per far prendere in considerazione King dai professori soporiferi, ma per mostrare che le letture critiche di King sono generalmente rozze, semplificanti.
Non è che amo King alla follia però mi viene da pensare che lavori come ‘It’ o ‘La torre nera’ non hanno poi così tanti pari nel mondo della letteratura cosidetta ‘alta’.
La dimensione che conta per me non è quella della trama o dello stile, ma quella se si può dire della profondità umana. E’ una dimensione che può possedere un fumetto manga come la poesia più ardua.
Alcor, veramente il fastidio si evince dal tuo commento, non dai post. Oltretutto, post che riportavano interventi di Bauman e Murakami, che non mi sembra rientrino nella categoria di autori che possano in alcun modo sentirsi snobbati da chicchessia. Anzi. Avercene.
Quanto a King, per amor di precisione, non parlerei di stizza: nelle occasioni in cui ha polemizzato con la critica, lo ha fatto proprio perchè la medesima non intendeva riconoscergli altro che lo status che gli riconosci tu. Quello di scribacchino senza alcun valore letterario, privo di lavoro sul linguaggio, buono solo a sfornare macchine da best-seller (ho interpretato bene?). E così NON E’.
Non trovo nulla di curioso nel disinteresse accademico nei confronti di ottimi (se non grandi) scrittori: lo trovo, purtroppo, conseguente a questo stesso atteggiamento che, per amore di discussione, stai dimostrando tu. La nostra nicchia possiede il Vero, è fuori dai grandi circuiti e DUNQUE è degna di rispetto e venerazione. Il resto, sempre se capisco bene, è merda.
Corretto?
E concordo in pieno con Andrea quando parla della dimensione della profondità umana: la definizione è perfetta.
Scusa Alcor, ma mi sembra evidente da quello che è stato detto nei commenti prima del tuo che il libro _è_ identificato con la forma romanzo. E’ da qui che molti equivoci nascono. Il dibattito lo conosco benino – ma qui stiamo parlando di rappresentazioni sociali, non di accademia. E che la rappresentazione sociale del libro _sia_ quella di ‘romanzo’ mi pare piuttosto evidente. Non è un male in sè, ci sono motivi storici, a me i romanzi piacciono – ma a volte diventa un problema. Ad esempio Paolo, che fa considerazioni che non condivido ma sono interessanti, dice (grosso modo) che i gdr non sono libro perchè non sono letteratura. No, non sono letteratura perchè sono, appunto, gdr, e quindi non lo sono come non è letteratura un fumetto e non lo è una canzone. Ma _sono_ un libro. Un libro è un coso fisico con cose scritte sopra. Sono cosi, ed è un’osservazione meno banale di quanto sembri.
Sei sensibile alla complessità dello stile? Bene, allora un consiglio fuor di polemica: procurati Nobilis, leggilo, e magari ti piacerà.
Poi, Marco: non sono sulla difensiva, voglio solo capire se stiamo parlando della stessa cosa. Aver fatto una campagna a D&D e qualche sessione di CoC non significa conoscere i gdr, come leggere un libro di Jim Butcher non significa conoscere lo urban fantasy. Semplice. Non lo dico per niente in modo polemico – lo dico solo perchè, essendo un campo ‘piccolo’, quello dei gdr è molto spesso frainteso, e per chiarire i fraintendimenti è utile capire da dove uno parta.
Poi: no, i paragoni tra quantità incommensurabili non si possono fare – o meglio, per fortuna si possono fare in piena libertà, ma mancano di rigore. Ripeto, non ha senso paragonare la ‘scrittura’ del Grande Fratello a quella di un qualsiasi romanzo. Non ha senso, sono cose troppo diverse, è come paragonare una pianta a una penna. Se poi vogliamo parlare di linguaggi, in senso semiotico: fare un salto dal livello analitico a quello valutativo è metodologicamente inesatto. E’ proprio se parliamo di linguaggi che il concetto di arte va a farsi benedire.
Non voglio sembrare arrogante o aggressivo: è solo che, senza rigore, si parla di tutto e nulla, e appunto, si finisce per essere ‘intellettuali’ nel senso peggiore.
Poi, devo ammettere, quando sento parlare di ‘arte’ nel senso in cui lo fai tu, non metto la mano alla pistola, la metto alla pernacchiera, che è più meritata (dal concetto, non dalla persona, ci mancherebbe!).
mah, io veramente se provo fastidio lo dico chiaro, e – visto che non sono ipocrita – se dico che non voglio fare polemica (solo per mettere le mani avanti dalle molte polemiche) ma mi interessa discutere e approfondire, è perché lo penso.
In questi termini non sono interessata e se vuoi cancellare sia il mio primo commento che questo, fai pure, anzi, ti prego di farlo.
“Ma cribbio, mi dico, perchè un uomo che vende milioni di copie vuole anche essere preso in considerazione da quegli accademici che disprezza?
Ammetterete con me che è curioso.”
A me, onestamente, pare più curioso questo modo di porre la domanda, che trovo sbagliato al 104% (perché proprio il 104? Perché tanto, sopra il cento, un numero vale l’altro).
King se ne fotte di essere “accolto”, per citare un Parnaso tra i più noti, nel Canone Occidentale di Harold Bloom. Conduce una battaglia culturale giusta, da scrittore “militante”. Porta avanti una polemica contro un’idea di letteratura sterile e mortifera, che la letteratura la uccide in culla, e contro i fautori di questa idea, che mostrano disprezzo in primis per i lettori dando per scontato che se un libro piace allora è spazzatura. King se la prende con Bloom anche perché la sua idea di “canone occidentale” è non solo snob, ma anche razzista.
Per non dire del fatto che se ti danno costantemente dell’incapace o, peggio, del disonesto, e se queste critiche sono ingiuste e basate sull’ignoranza, tu hai il diritto di prenderle e rovesciarle contro chi le fa.
Appunto. Alcor, perchè dovrei cancellare i tuoi commenti? Semplicemente, il tono del tuo intervento sembrava, proprio per gli esempi citati, categorico. O si vende o si è narratori nobili.
Il mio commento era rivolto alla Lipperini, così prevenuta da mettermi in bocca un giudizio negativo su King, che non ho mai espresso, benché io trovi curiosa, pur apprezzandolo come scrittore, tant’è che l’ho letto quasi tutto, la sua polemica con i critici accademici americani.
Si sarebbe potuto anche parlare di canone, qui, con calma, ma non è possibile.
Dove ho detto che o si vende o si è narratori nobili?
ti dispiace citarmi le mie parole?
Ma siamo calmissimi, Alcor! 🙂
Però, scusa, se il tuo non era un giudizio negativo su King cosa era mai?
Ecco qui
“Mi viene in mente la stizza di alcune polemiche di King che vende milioni di copie contro la letteratura marginalissima che continua, forse anche sterilmente, a sperimentare forme con antenati più nobili”.
Era un giudizio, come ho appena detto, che separava il King scrittore dal King polemista, e che se ne chiedeva le ragioni.
Mi citi anche, per favore, @lipperini, il punto in cui ti ho detto che non sei calma?
Alcor, ma io non posso passare tutta la giornata a ricitarti.:)
“Si sarebbe potuto anche parlare di canone, qui, con calma, ma non è possibile.”
Dai, su, mi sembra che di risposte ne stiamo fornendo.
Neppure io ho tutto questo tempo per puntualizzare, se dico che parlare con calma di canone non è possibile è perché ho seguito le discussioni, se avessi voluto dire che tu non sei calma avrei detto ma non è possibile parlarne con calma con la Lipperini. A meno che tu non sia collegata alle menti dei tuoi commentarori.
In ogni caso, mi autocito e poi chiudo, nel mio primo dannatissimo commento, ho scritto: “senza entrare in un giudizio di valore”
I giudizi di valore me li tengo per me, qui mi pareva interessante discutere delle posture e posizioni di due schierametni dei quali tra l’altro non faccio parte, né del filo pop, né del filo-non-so-come-chiamarlo, accademico-canonizzante?
Il canone è una cosa che si dà come fissa e invece è mobile, vedere come si muove qui mi interessava.
Ma avrei dovuto forse usare una scrittura canonica, priva di reattività, che è però nelle mie cellule cerebrali anche se non riguarda il giudizio.
Invece io sono interessata anche ai giudizi di valore, oltre che alle posture, anche perchè non credo che esistano schieramenti netti, quanto scarsa comprensione reciproca, e a volte anche scarsa conoscenza dei mondi di cui si parla.
Quindi mi piacerebbe riprendere il discorso.
Uhm, Alcor, però sembra che non entri nel giudizio di valore perché è già presupposto.
Senza offesa eh.
A proposito di pop che più non si può:
Mi sento scossa agitata-a agitata-a un po’ nervosà – uò uò
acida come di più non si può di più non si può come un acidò – uò uò
Mi sento grande come una città come una città una gigante-è – uò uò
acido suono sento solo te sento solo te il resto che cos’è – uò uò
acida sempre acido per me acido per te acido cos’è…
uuuuuuuuuuuuuhhhhhoooooooooooooooooo…
Acidò acidà acidò acidà…..
Acidò acidà acidò acidà…..
Acidò acidà acidò acidà…..
Acidò acidà acidò acidà…..
Acidò acidà acidò acidà…..
Acidò acidà acidò acidà…..
Acidò acidà acidò acidà…..
Acidò acidà acidò acidà…..
Acidò acidà acidò acidà…..
Acidò acidà acidò acidà…..
Acidò acidà acidò acidà…..
uuuuuuuuuuuuuhhhhhoooooooooooooooooo…
uuuuuuuuuuuuuhhhhhoooooooooooooooooo…
uuuuuuuuuuuuuhhhhhoooooooooooooooooo…
uuuuuuuuuuuuuhhhhhoooooooooooooooooo…
Francesco, puntualizzo: cerco di stabilire perché non mi sembra corretto equiparare GdR e Romanzo, per quanto siano parenti rispetto alla narrazione e al medium su cui sono stampati. E sto dicendo, grosso modo, che sarebbe scorretto quanto equiparare, per esempio, il trekking e il downhill solo perché entrambi hanno a che fare con i pendii.
Dico, d’accordo con Marco ma anche con te, che il godimento del romanzo e quello del GdR funzionano in modi molto distinti, e dico che ci sono motivi per cui mi sta bene che la distinzione non sparisca. E dico anche che la battaglia per la legittimazione culturale non va fatta per affiliazione a un territorio estraneo. Se vuoi, potrei proporre avvicinare le sessioni dei GdR al simposio o alle gare di enigmi dei greci, volendo trovare dei nobili antenati.
E uno dei motivi per cui voglio che la distinzione rimanga, è perché ci godo che Harold Bloom non ne capisca un acca e snobbi Kult o Vampiri!
Il gioco ha cambiato in molti modi la mia vita, trovo un peccato dover appiattire queste ragioni su quelle del romanzo. A volte bisogna parlare in questi termini, per farsi capire (es. paralleli narrazione e videogame), ma poi bisogna anche marcare lo scarto e dire regà, questo Milan Kundera non lo può fare, Hideo Kojima può FARTELO FARE A TE.
@barbieri
non entro nei giudizi di valore perché non credo sia possibile in un thread
tanto è vero che qui, senza che io ne abbia espresso uno solo e lo abbia detto esplicitamente, tu pensi che sia presupposto.
Per sgombrare almeno questo equivoco, prendo a esempio proprio King.
In un suo bellissimo libro dal quale ho imparato molto, Danse macabre, dove rilfette sulla letteratura horror e fantasy e di rimbalzo sulla propria, dice molte cose più che acute e che mostrano la sua conoscenza profonda dei meccanismi della letteratura popolare e anche dei meccanismi sociali, delle psicologie di massa e delle mitologie americane. Meglio a volte, per capire l’Amertica, di tanti saggi storici, anche perchè sono visti dall’interno e dal punto di vista di uno scrittore in perfetta sintonia con il suo pubblico, che è un pubblico enorme.
Ciononostante, a un certo punto King dice (e cito solo questo punto, ma si potrebbe leggere anche la postfazione a Different seasons):
“‘Tu non sei uno scrittore’ mi disse una volta un giornalista … ‘tu sei una maledetta industria’. Prima di tutto io non sono ‘una maledetta industria’ … io lavoro con un ritmo costante, ecco tutto. Lo scrittore che produce un libro ogni sette anni non sta facendo pensieri profondi, anche un libro lungo richiede al massimo tre anni. No, uno scrittore che produce un solo libro in sette anni sta facendosi delle seghe.”
Ora mi concederete che non solo questa è una cavolata, ma che è una cavolata polemica, di scrittori eccelsi che hanno scritto pochissimo la letteratura è piena. Musil che ha scritto “un libro lungo” non ci ha messo tre anni, si faceva per queste delle seghe come dice King?
E allora mi chiedo, cosa c’è dietro a questa polemica a volte palese e a volte strisciante di King? Un problema, come a me pare, di mancato riconoscimento critico?
E se sì perché diamine?
Evidentemente il canone – che sia quello di Bloom o semplicemente quello universitario – è stato profondamente introiettato, almeno come Super Io, come Legge, anche da uno scrittore non solo prolifico e di successo planetario, ma estremamente consapevole, acuto, intelligente.
E’ evidente che se con il Canone – più o meno esplicitato – si confrontano anche scrittori che sono stati gratificati dal successo e dall’amore del pubblico, qui c’è, come io credo, un problema?
Di cosa si tratta? territorio? potere? supremazia?
A voi non sembra interessante?
E torno al mio primo commento, dove ho fatto domande che forse potrebbero essere prese sul serio. E non come provocazioni polemiche.
A proposito di possibilità di commentare con calma, @lipperini, vedi il commento di WuMing 1 delle 4 e 19?
Parla da sé, o no?
Solo un commento – all’insegna del buon umore e tramite una canzone che è un’allegra marcetta – su questo perenne, immancabile, ingiustificato tono di rimostranza, nonché sul mantra mi fraintendete siete prevenuti non avete capito ce l’avete con me a prescindere ecco vedete che non si può discutere. E’ chiaro che in questo modo qualche pernacchia te la attiri. Se togli questa tara dal peso lordo dei tuoi commenti, vedrai che il peso netto verrà vagliato, apprezzato, usato in modo proficuo nella discussione. Se invece non lo fai, la canzoncina dei Prozac+ diverrà ancor più profezia progressivamente auto-avverantesi 😀
@Wu Ming 1
perché la tua dev’essere un’allegra marcetta all’insegna del buon umore e il mio un perenne immancabile (tra l’altro io qui non commento praticamente mai) ingiustificato tono di rimostranza? perchè dovrei essere così infantile da dire maestra, ce l’hanno con me, e tu invece un uomo di spirito? c’è una buona ragione?
Provo a tornare su King. Ma solo per ribadire quel che è stato già detto. Se si prende il primo libro di King, Carrie, e lo si mette a confronto con l’ultimo romanzo, Duma Key, credo dovrebbe risultare ovvio a chiunque si occupi di letteratura il lavoro sul linguaggio. La lingua, diceva Marco all’inizio dei commenti, fa la differenza. Molto bene. La lingua di King non si è semplicemente evoluta, il che sarebbe ovvio, ma è stata sottoposta ad un lavoro di ricerca che ha nulla, ma proprio nulla da invidiare a coloro che la critica riconosce come grandi autori.
Bene, King racconta spesso che ogni volta che si parla dei suoi romanzi, la critica lo attacca su questo piano. Sulla famosa “lingua di plastica” di cui esistono echi anche nel nostro grazioso paese.
Non è una questione di mancato riconoscimento: è una questione, come diceva Wu Ming, di menzogna.
Dopo di che, rispondo sulla questione dell’interesse. Mi interessa, certo, e non solo come lettrice, estimatrice e fan di Stephen King. Mi interessa anche come osservatrice: perchè in molti casi, incluse le recensioni nostrane, ho la sensazione che King non venga letto. Ma giudicato a priori e a prescindere.
Esattamente come, per riportare il discorso al post, i gdr vengano respinti a prescindere. Chi se ne frega? Naturale. Si va avanti ugualmente. Ma credo che parlarne, di tanto in tanto, possa essere utile.
Alcor: dando per scontato che nell’accademia il concetto di canone sia universalmente accettato, dici una cosa, semplicemente, non vera. E il problema di King, mi pare, non è di introiettamenti vari: il problema è che se sei un professionista serio, uno che ci tiene, e ti dicono ‘te non vali niente’, t’incazzi.
Paolo: condivido il punto, e sono d’accordo, al punto che forse non ci siamo capiti bene. I gdr sono uno strano, peculiare nodo di scrittura e narrazione orale, che non è per niente ‘romanzo’, ma è di sicuro ‘narrazione’.
D’altro canto un gdr è, a tutti gli effetti, ‘libro’: quando compri un gdr compri, nel 99% dei casi, SOLO un libro. Quindi, perchè mai dove si recensiscono ‘libri’ diversi come pamphlet, graphic novel, romanzi e nonfiction varia, un gdr non si può recensire?
Ti dirò di più: gran parte degli appassionati ‘hard-core’ gioca una minima quantità dei giochi che compra. Però se inizi a capirci qualcosa, leggere regolamenti e ambientazioni è una meraviglia. In un manuale di fai-da-te, ti dicono come ‘fare’ materialmente una cosa – il paragone con i gdr è sbagliato, perchè i gdr non sono libri che ti dicono come fare altri libri, ma sono un inestricabile nodo del libro e della sua ‘attualizzazione’, nel gioco concreto o in quello ‘fantasmatico’ di chi non può giocare tutti i manuali che legge.
Un manuale di gdr non è un manuale di buona scrittura o buona narrazione: è una operativizzazione di una precisa teoria narratologica, che cambia di gioco in gioco. E se sviluppi i ‘codici’ per leggerle, queste teorie, te le godi eccome. Il bello? Che di solito, poi, giocarle in concreto è semplicissimo. Un equilibrio invidiabile (complessità di struttura, estrema facilità di accesso), che, più in generale, ogni bravo narratore dovrebbe inseguire. Ma qui, mi rendo conto, cado nella pura estetica personale.
Poi, certo, il fenomeno-gdr ha poco a che vedere con il fenomeno-romanzo. In compenso ha TUTTO a che vedere con la narrativa. Ora, mentre di altri medium/generi/forme narrative si parla tranquillamente, recensire un nuovo gdr su una rivista mainstream è pressocchè impossibile. Perchè? E’ da questa domanda che si parte. E la risposta, sembra che siamo d’accordo, è tutt’altro che banale.
@ Alcor. Ovviamente la mia è solo un’impressione (che però so condivisa dal 61,4% delle persone che frequentano Lipperatura), ed è fondata non sulla frequenza dei tuoi interventi qui (solo il 18% dei thread dal 2004 a oggi contiene tuoi interventi), ma sul tono dei tuoi interventi un po’ ovunque (secondo Technorati lasci nella blogosfera italiana una media di 3,7 commenti al giorno).
Quanto alla domanda:
“Perchè dovrei essere così infantile da dire maestra, ce l’hanno con me?”
Ma scusa, come faccio a saperlo? Mica sono il tuo analista. So che nel 48% dei casi, si tratta di traumi avvenuti nel passaggio dalle elementari alle medie.
Sono un po’ frustrata perchè sono antica e mi prenderanno a pedate tutti perchè io oltre a monopoli non sono andata ecco. Intuisco la preziosità di questi giochi di ruolo di cui stimabili amici miei sono grandemente appassionati, ho una resistenza virulenta nei confronti però di questa cosa che conosco per niente dovuta probabilmente ad ignoranza mia.
Percià prendete con gentilezza quanto sto per dire, ecco che è un bel po’ aleatorio.
– Ma codesti giochi di ruolo – hanno un che di aleatorietà di provvisorietà. Non c’è una dimensione orale – la stessa che li rende magici, la stessa che li rende modificabili, ma la stessa che come dice PaoloS. toglie la memorabilità?
– Ho pensato a me che scrivo, e al fatto che sisi mi piace l’idea che uno manipoli e reinterpreti e giochi con la mia scrittura, ma senza esagerare ecco. Ho pensato che rispetto alle scritture tradizionali questo oggetto è più condiviso e diviene altra cosa.
– E però vedo che in molti di questi commenti c’è questo bisogno tremendo della legittimazione da parte di quello stesso Alto che si ostenta di disprezzare. I Libri, la Letteratura, gli Studiosi di Letteratura, e queste cose colte amate e odiate sono così cariche di sentimento che non si riesce più a ragionare lucidamente sulla la loro semplice natura interna ma sul POtere che rappresentano e che ci ricordano e le onoreficienze che ne vorremo trarre. Invece il post della Lipperina partiva da un tentativo di decidere se questi Gdr sono una cosa a ase, il che per me non implicherebbe per niente una diminutio, ma solo il riconosicmento di una forma culturale autonoma viva Dio oppure no.
Niente era pe salutà.
Zauberei, l’osservazione è intrigante, ma non facciamo d’ogni erba un fascio. Che so, usare le teorie di Foucault per capire qualcosa su come funziona una sessione di gioco, non significa nominare Foucault per ‘legittimare’, ma solo usare uno strumento teorico per, appunto, capire.
Memorabilità: dipende. Hanno la memorabilità della cultura orale. A me è capitato di soffrire sul serio per la morte di personaggi di gdr – e me lo ricordo bene, credimi. E’ scritto su carta? No. In me? Si. Mica poco, direi.
Poi, dicevo che i libri sono ‘cosi’. La letteratura è una categoria dubbia (Mazzantini insegna), ma siamo tutti d’accordo, mi pare, che i gdr non c’entrino – a patto che si capisca che questo non li rende ‘inferiori’ (nè, per quel che vale, ‘superiori’). Gli Studiosi di Letteratura a volte sono una manica di imbecilli, altre no, e se spesso i derridofili dicono sciocchezze, Derrida è una miniera di idee per studiare, che so, i gdr. Siccome non cerco la legittimazione di Harold Bloom, dovrei lasciargli campo libero? Neanche per sogno, si combatte, si milita.
Se di gdr si parlasse di più sulla stampa l’informazione girerebbe di più, e più piaceri, più svaghi, sarebbero alla portata di più persone. E magari tu avresti meno pregiudizi (uso la parola in senso neutro) sul giocare.
Una cosa è fregarsene di essere ‘legittimati’, altra è chiudersi in una caverna subacquea, no?
Zaub, questa cosa del togliere la memorabilità è riferita alla comunità letteraria. Io incontro gente, e la saluto dicendo “Strappo i cavi!”, e questi mi rispondono “tutti morti!”. È intimo! È segreto… Ma funziona con esattamente QUEL numero di persone che conoscono l’episodio, che non vi racconto no no no.
Mentre chi cita Esiodo, Foscolo o Michael Chabon ha una chance di dire una cosa riconoscibil da un altro amante della letteratura, perché (secondo me) una delle funzioni della letteratura, da sempre, è essere memorabile.
Cosa che, secondo me, è un po’ diverso dal fatto che un manuale è… memorizzabile o anche scritto inmaniera eccelsa o contenente citazioni shakespiriane :DDD
Cioè sì, il gioco ‘vive’ in una dimensione estremamente volatile, nonché comune ma intima. Uno spazio vivo, mobile e pure palestra d’inconscio (Ma non azzardo per questo a paragonarlo con la seduta di psicoanalisi :* ), che appunto lo accomuna per me più al convivio che non al romanzo.
Francesco:sul “gioco mai mainstream” ci rifletto e ci torno su… ma in linea di massima vorrei dire che bisogna trovare un modo mainstream-leggibile di dirne la peculiarità. Bella impresa, eh…
Ma mi hai presa per scema Francesco?
🙂 Che se vede ci ho er talento eh – ma è chiaro che non mi riferisco all’uso di strumenti critici, perchè cadrei in contraddizione con il mio atteggiamento di sempre (tipo ieri – qui) ma mi riferisco solo a certe iperboliche dichiarazioni, magari è un’impressione mia, ma quando sento aggettivi troppo forti applicati a contesti troppo ampi, beh mi insospettisco.
Sulla questione memorabilità credo che Paolo S. dica cose che condivido.
E continuo a pensare che se la si vede nella prospettiva di chi costruisce l’oggetto forse delle differenze emergono. Intenzioni diverse, generosità diverse.
Allora potremmo proporre una domanda prosaica.
Cosa fa decidere di scrivere un GdR e non un romanzo o viceversa?
Che cosa rivela questa intenzionalità?
–
Paolo S. ci sono sedute di psicoanalisi che con il GdR hanno parecchie assonanze.
Io per esempio ho fatto – e vorrei specializzarmi in – Giochi colla sabbia.
Dove in studio ci devi avere un tavolo pieno di sabbia e una libreria zeppa di oggetti svariatissimi e io analista ti do a disposizione sto tavolo con questo balilamme oggettistico e io non ti do istruzioni e te fai delle scene come ti vengono. E poi io ci faccio una foto ogni volta a questa scenetta.
E tutte domande
E alla fine dopo un lungo periodo si mettono insieme le foto e i le narrazioni ed è una cosa veramente utilerrima e molto bella, appagante sotto molti profili.
Sì, Zau, e c’è chi cita lo psicodramma di Moreno tra gli antenati del GdR, e io ti posso dire che vedo pensieri differenti affacciarsi alle giovani menti di chi gioca di ruolo e chi no (e dico SOLO differenti, non migliori/peggiori/più alti/più bassi), ma qui mi va di seguire la pista di Francesco e accentuare il valore ludico più che il potenziale educativo o terapeutico o… letterario del GdR, che ci può stare eccome. Tra parentesi, mi piace un casino l’immagine di te con la sabbia che “giochi” con i tuoi analizzandi… ed è più comodo che fare le sculture in pietra come C.G. Jung!
@Wu Ming 1
ma ti leggi?
e sei andato a consultare persino technorati?
cmq avevo un blog, fino a qualche tempo fa, dove in effetti postavo e commentavo colpevolmente tutti i giorni:-)
Che il 61% dei commentatori della Lipperini mi conosca, benchè io non commenti qui quasi mai, soprattutto negli ultimi anni, e che abbia addirittura un’opinione su di me, ovviamente mi lusinga.
Quel virgola 4 soprattutto mi abbaglia, ci penserò su, metterò a frutto questa fama immeritata, ambigua e forse colpevole.
Paolo: se fosse facile, non la vorremmo, no? Quando il Master è troppo buono i giocatori si annoiano…
Zauberei: sulla scelta “scrivere un romanzo o un gdr?” l’esempio classico è il prof. M.A.R. Barker e il ‘suo’ gioco, Tekumel. Bene, il caro prof., specialista di linguaggi sudasiatici (se ben ricordo), aveva sviluppato un suo mondo secondario/immaginario, un po’ come Tolkien. Solo che poi ha giocato a D&D, se n’è innamorato, e ha deciso di farci un gioco di ruolo e non un romanzo. Questo per dire, non sempre le esigenze di fondo son facili da distinguere – pur trattandosi, certo, di media diversi.
Sulla psicoanalisi e il gdr in effetti c’è da dire – in Jung c’è il concetto di ‘immaginazione attiva’ che è piuttosto utile per capire il gdr. E dei ‘sandbox games’ si discute anche tra game designer. Ma l’aspetto di ‘gioco’ puro del ‘gioco di ruolo’ non va perso per strada, secondo me…
il gioco colla sabbia è junghiano infatti.
Sono contenta che l’eminente studioso abbia deciso di fare un gioco di ruolo.
Ma insomma mi piacerebbe un tentativo di risposta più non so che mi dica qualcosa ecco.
Poi che non è facile si intuiva.
Paolo S:)
Io quoto il primo intervento di Francesco, sul “gioco” e il “piacere”.
La dimensione ludica è di fatto un movente eccezionale del GdR. Assieme, ovviamente, a quella narrativa. Se la storia non funziona, è troppo cervellotica, o il Master non la racconta bene, il gruppo non si diverte. E inizia la fase dello “scazzo”.
Ma quando le cose vanno per il verso giusto, un’avventura di GdR può assolutamente diventare memorabile. A distanza di anni, ne riesco a ricordare almeno una decina. Un tizio giapponese, vent’anni fa, pubblicò una sua campagna di D&D e questa divenne un anime, “Lodoss”. E fu un successo pazzesco anche tra ragazzi che di D&D manco avevano sentito parlare.
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A differenziare “GdR” e “libro” c’è proprio e soprattutto il giocare. Giocare significa che si possono fare dei tornei di GdR, dove qualcuno vince e qualcuno perde. Come nei tornei di scacchi.
Mi tornano in mente anche quei curiosi fenomeni, andati per la maggiore negli anni ’80-’90, dei libri-game. Spesso erano fatti in maniera superficiale, ma alcuni erano spettacolari. Congegnati in maniera quasi perfetta. E sono diventati modello di numerosi video-game, e anche di alcune devianze nate poi in rete.
Tu diventavi il protagonista e di fatto decidevi come far agire il tuo personaggi, cambiando le sorti della storia (è proprio il caso di dirlo). Negli esempi migliori (penso alla serie tratta dai cicli di Asimov) esistevano svariate chance di arrivare alla fine.
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So che molti si chiederanno: “Ma dove sta l’arte in tutto questo? Il gioco di ruolo tratto dal “Signore degli Anelli” è arte? Arte tanto quanto il romanzo?”. Domande assolutamente lecite. Va da sé che una risposta non esiste.
Mi pare però che si debba sottolineare una fondamentale differenza. Per quanto riguarda la normale fruizione d’arte, esiste un rapporto autore-lettore\spettatore\ascoltatore. Nel GdR esiste un rapporto tra creatore del mondo e delle regole, che passa la palla ad un Master, che scrive una storia basandosi su quelle regole e poi la fa vivere a dei giocatori. Come si vede il passaggio del testimone è molteplice e serve davvero una grande alchimia in tutti i settori.
Certo, ancora non si può dire che il GdR abbia trovato vette dantesche o dostoevskijane.
Ma ci stiamo lavorando! E se i luminari della critica, appassionati e curiosi alzassero uno sguardo imparziale su questi “giochi”, beh si farebbe anche prima.
” Un manuale di gdr è un libro, è fatto di carta e inchiostro, si legge, ma per qualche motivo non è Libro”.
E perchè un manuale da giochi di ruolo (che onestamente non so nemmeno cosa siano) non dovrebbe essere un Libro? Per uno che lo legge con diletto, è un Libro.
L'”Artusi” è un libro no? Per me sì, leggendo certe ricette mi diverto.
E’ un libro “Fisica tecnica” del Poggi che un mio amico legge la sera per conciliarsi il sonno.
Il libretto di istruzioni della mia macchina invece no, anche se a volte è una lettura piacevole.
Qual’è la differenza? Che il libretto mi interessa solo per l’eventuale applicazione mentre l’Artusi può bastare a se stesso.
Se poi tutto ciò sia “letteratura”…mah, se è letteratura la Mazzantini, allora sì.
PS Chissà qual’è la media giornaliera dei miei commenti nel web, ma davvero la si può misurare? Orwell, eri un bimbo da puppa…
Zaub, questa cosa del togliere la memorabilità è riferita alla comunità letteraria. Io incontro gente, e la saluto dicendo “Strappo i cavi!”, e questi mi rispondono “tutti morti!”. È intimo! È segreto… Ma funziona con esattamente QUEL numero di persone che conoscono l’episodio, che non vi racconto no no no. Mentre chi cita Esiodo, Foscolo o Michael Chabon ha una chance di dire una cosa riconoscibil da un altro amante della letteratura, perché (secondo me) una delle funzioni della letteratura, da sempre, è essere memorabile.
Scusa Paolo, ma secondo me stai mettendo insieme due cose diverse. Non puoi paragonare un episodio di gioco (è questo, giusto?) che può essere conosciuto solo da chi era presente quando si è verificato con il citare qualcosa che è invece potenzialmente conoscibile da chiunque.
Il materiale contenuto in un gdr è potenzialmente memorabile come qualsiasi altra cosa sia pubblicata in un libro. E la cosa bella è che ognuno di noi ne ha una “memoria” diversa a seconda di se, come e con chi lo ha giocato, in modo molto più radicale di quanto non accada con le diverse letture che ognuno può dare di un normale testo scritto.
Sarebbe un esperimento divertente trovare un’avventura classica di D&D (che so, “il castello degli amber”, che in quanto a memorabilità non scherza) farla giocare da diversi gruppi di giocatori e poi mettere a confronto le storie che sono venute fuori.