SUL DORSO DI GERIONE

“Il 6 Giugno 1944 il mondo sprofondò nel più oscuro degli inferni.
Il D-Day sarebbe potuto essere il punto di svolta per la Seconda Guerra Mondiale: le truppe Alleate, che già avevano conquistato metà dell’Italia, avevano scelto quel fatidico giorno per sbarcare sulle coste della Normandia e iniziare così l’avanzata verso il cuore del Reich. Ma, mentre i soldati Alleati lottavano e morivano sulle spiagge francesi tra le mine e il fuoco incrociato delle casematte tedesche, i corpi martoriati dei caduti si rialzarono per divorare i viventi. E questo avvenne in tutto il mondo. Nello stesso momento. Da allora i Morti smisero di avere pace e iniziarono la loro caccia contro il genere umano”.
Prima di spiegare da dove è tratto il brano, motivo il senso di questo post: che altro non è se non l’ulteriore anello della catena di riflessioni svoltesi qui da lunedì a oggi (anche da prima, naturalmente, ma mi sembra che questa successione di interventi sia particolarmente interessante). In particolare, mi aggancio all’intervento di Francesco, laddove dice ” Un manuale di gdr è un libro, è fatto di carta e inchiostro, si legge, ma per qualche motivo non è Libro”.
Perfetto. Parliamo dunque di uno dei molti libri possibili: scritto da due narratori italiani, ha diverse ambientazioni (Italia, Germania, Russia, fra le altre) ed è un classico esempio di storia alternativa dove, come in Fatherland di Robert Harris,  la Germania ha vinto la guerra mondiale ed è sotto il dominio del IV Reich. L’Italia è invece retta da una teocrazia governata da Papa Leone IV. La Russia ha abolito la luce del sole. Queste le basi, in una sintesi che più estrema non si può.
Il fattore che ha determinato la situazione è principalmente uno, quello riportato nell’introduzione qui sopra: il 6 giugno 1944 i morti si sono alzati e hanno divorato i vivi. Ora, prima che qualcuno faccia spallucce e pensi “cazzate” davanti all’elemento sovrannaturale, mi piacerebbe ricordare che quello stesso elemento è presente in testi che nessuno avrebbe l’ardire, oggi,  di sottovalutare: testi dove un cavallo alato vola verso la luna a cercare il senno di un cavaliere. O dove, come in una certa autofiction, lo scrivente si imbatte in fantasmi e cavalca creature dal corpo di drago e coda di scorpione (Gerione, per la cronaca).
La storia di cui sto parlando è parzialmente fantastica, ma non del tutto: parla anche di ipotesi possibili, come nella migliore tradizione del What if?. E’ leggibile, ma complessa: molto più complessa di altre storie che vengono giudicate in quanto tali (in quanto libri). Ha un meccanismo impeccabile. Propone personaggi di psicologia tutt’altro che spicciola. Ma è “soltanto” un gioco di ruolo: si chiama Sine Requie, e ne sono autori Matteo Cortini e Leonardo Moretti (per informazioni, notizie e scenari, qui).
Che cosa, dunque, lo differenzia da un Libro? Il fatto che sia concepito per essere ulteriormente sviluppato da chi lo gioca, e che sia dunque “aperto”? Ma non dovrebbe essere così per ogni testo? Non è di fatto  così, per le narrazioni che coinvolgono in prima persona chi legge e che molto spesso vengono fatte oggetto di rielaborazioni, in rete e fuori? A differenziarlo, allora è il  luogo dove si reperisce, in una fumetteria piuttosto che in una libreria? Se così fosse, non sarebbe un buon segnale.
Dunque?

90 pensieri su “SUL DORSO DI GERIONE

  1. Ecco appunto.
    Prendetelo se volete come un OT.
    Vediamo se un’analogia analitica possa essere utile.
    La prendo alla lontana.
    Non tutti gli analisti hanno il temperamento che il clichet culturalmente condiviso impone: cioè un tizio compassaterrimo per lo più muto ancorchè con sguardo amabile, che ogni tanto fa delle domande – ma grandissima rottura, sta sempre zitto. Non solo questo non è l’unico modello di lavoro possibile, ma è non è sicuramente l’unico modo caratteriale sulla piazza. esistono analisti ridanciani ed estroverserrimi, analisti che sono oltre modo esuberanti, questo almeno come temperamento originario. Non di rado a questo tipo di temperamento originario si abbina una terrificante esattezza nella comprensione dell’altro. esattezza che ha avuto a suo tempo una funzione difensiva: io ti comprendo e quindi ti domino.
    Questo tipo di strutture di personalità devono lavorare sodo, per imparare a starsi zitti. Perchè la terapia è un romanzo, ma questo romanzo lo deve scrivere il paziente. se l’analista corre troppo cioè da delle interpretazioni anticipate su quanto sta accadendo consciamente e inconsciamente, cioè arriva ai nodi della trama prima che ci arrivi il paziente stesso, fa un errore di metodo. Il paziente si troverà come quando saltiamo dieci pagine di un romanzo appunto e non ci capiamo niente. e si che dovrebbe scriverlo lui. Sono errori tipici degli psicologi giovani, e il motivo sacrosanto per cui occorre tenersi alla larga dagli apprendisti stregoni. Tuttavia, questa capacità di intuire l’altro prima dell’altro, io l’ho sempre associata alla capacità di strutturare trame romanzesche usando lo spunto del reale. Poi tu il romanzo lo dai e vediamo come verrà letto. Chi ne fruirà fruirà di un progetto compiuto e fermo. Non di rado queste persone che hanno il talento micidiale di capire le cose e inventare trame hanno un certo successo sociale. I loro romanzi piacciono e mettono i soggetti in una posizione di subalternità.
    Essi sono passivi. Essi agiscono la trama in maniera molto blanda. La trama è scritta, e l’autore spesso ne dice il senso.
    L’analista allora, impara a stare zitto. Non vuol dire che disimpara la sua capacità di strutturare trame, ma che aspetta il momento in cui come dire le trame vengano a lui che il romanzo lo scriva l’altro. La sua immaginazione produca delle cose. Naturalmente propone delle regole, naturalmente da dei minimi indirizzi – e poi questa cosa succederà – che si tratti di psicodrammi, che si tratti di giochi colla sabbia, che si tratti di Roschrach, che si tratti di test proiettivi, o dei buoni cari vecchi sogni – succederà.
    Però c’è il fatto che non tutti gli interlocutori del famoso analista ora molto più zitto sono equivalenti tra di loro. Ci sono differenze qualitative, e differenze quantitative: proprio come per la fruizione della letteratura convergono questioni culturali, questioni socioeconomiche, abitudini alla narrazione, resistenza alla narrazione. Con certi pazienti lavorare è disperante – alcuni pazienti sono tali perchè hanno una capacità immaginativa povera. E’ il problema di chi non conosce la metodologia nel risolvere il problema. E’ il problema del miope che ha perso gli occhiali.
    Ecco in quel caso quella trama che se ne sta nel cielo della stanza, sopra la testa del terapeuta e quella del paziente, a un certo punto arriva e due cojoni! e na robba de una banalità disarmante. Perchè se le trame quasi ci posseggono l’è anche vero che è la nostra traduzione a conferire loro colore. Se il terapeuta avesse parlato usciva fuori Toerless. Ha parlato questo paziente ed è uscito fuori il dash.
    E allora alla fine, se pensiamo a una trama in cerca di possessore, una storia possibile in cerca di luoghi, il libro e il gioco di ruolo sono una biforcazione, che implica bei rischi: Il signore degli Anelli trova Tolkien e gli va di culo.
    Poi trova un autore fico, un Master fico, e dei giocatori tutti deficienti.
    Eh
    sai che bella festa.
    Oppure trova dei gruppi creativi e fichi.
    Ma la questione è che mentre un libro è un gioco di specchi e il cretino deformerà l’immagine di partenza il gioco di ruolo è una parcellizzazione e riproduzione di trame, è un moltiplicatore di romanzi aleatori. E penso che sia utopistico penare che tutti questi oggetti abbiano tra loro una parallela qualità estetica.
    Io autore di codesti giochi potrei essere respinto o al contrario attratto da questo viaggio delle cosa che scrivo, l’opera d’arte nell’era della riproducibilità – non tecnica.

  2. OMAMMAMIAAA
    Che bello, vedere il piccolo Sine arrivare a far parlare di sè anche fuori dalla nicchia del gdr.
    Grazie per aver citato il nostro mostriciattolo che non sarà un best seller narrativo ma fa il suo sporco lavoro nel suo ambito e un pò anche al di fuori, come molti altri gdr.
    Parlando da appassionato e non da autore credo ci siano molti gdr belli da leggere, in particolare (facendo altri nomi) alcuni prodotti come “Kult” o “Vampiri: la Masquerade”, che ha ispirato a sua volta film e soprattutto movimenti sociali uderground basati su una passione fortissima che nasce proprio dalla sua parte narrativa e non certo dal suo regolamento di gioco.
    Non so se il gdr sia arte o no, non so se lo siano solo alcuni, ma sono un medium che genera divertimento, passione, fantasie condivise, paure, inquietudini, esaltazione o grasse risate… e questo solo nella sua fruizione primaria, quella dal libro al lettore.
    Da li in poi c’è un secondo livello di fruizione che va dal lettore agli altri giocatori e allora la narrativa alle spalle del gdr diventa una traccia per nuove storie, nuovi personaggi e nuove emozioni.
    Per me è tanto, ma certamente per coloro che amano questo genere di intrattenimento è una forma di gioco con caratteristiche uniche e ineguagliabili.
    Ora mi dileguo, visto che sono mooolto lontano dal mio ambito e mi sento un pò fuori luogo.
    Ma ringrazio ancora Loredana (posso darti del tu?) per la citazione e l’attenzione che ci riempie di gioia
    🙂
    Matteo Cortini

  3. Volevo dire una cosa sulla “lingua di plastica”.
    La plastica è una materia straordinaria: si plasma in qualsiasi forma, può essere elastica, rigida, opaca, trasparente, e così via….
    Forse c’è qualcosa da imparare in questa caratteristica della lingua di King di toccare duttilmente ogni cosa del mondo.
    Qualcosa di analogo a quella plasticità, ma su un piano visivo, è il linguaggio dei ‘pupazzi’ inventato da Disney.
    Igort, che è un intellettuale che stimo molto, fa capire la grandezza di quel linguaggio in modo semplicissimo: i pupazzi ci permettono di raccontare tutto, anche una guerra.
    E non ho nemmeno citato i giudizi ammirati di Eisenstein su Disney.

  4. Salve a tutti, dico la mia. Il Gioco di Ruolo è un modo per generare storie collettivamente. Ciò che si “respira” giocando e vivendo in prima persona il proprio personaggio in un GdR è qualcosa di unico, ma al tempo stesso anche trasversale, capace cioè di generare sensazioni simili a quelle che si provano leggendo un buon libro o gustando un buon film.
    La differenza è che le storie in un GdR sono sempre aperte, in divenire, non sai mai cosa potrebbe capitare o cosa TU farai capitare, quali dilemmi dovrai affrontare o quali problemi causerai, come cambierà il tuo personaggio e cosa comporteranno questi cambiamenti nella struttura della storia.
    Ma GdR è anche e soprattutto un modo divertente e costruttivo di passare qualche sana ora di divertimento tra amici, lanciando dadi e aprendo la mente, con la voglia di ricavarci qualcosa di buono.
    Collegandovi qui:
    http://forum.narrattiva.it/viewtopic.php?t=591&postdays=0&postorder=asc&start=0
    troverete una bellissima discussione che parla appunto del significato della storia in un GdR.

  5. @ Alcor:
    “e sei andato a consultare persino technorati?”
    BINGO!!! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! 😀
    Poi te la prendi pure se ti danno dell’acidella. Robe da matti.
    Dovresti togliere almeno un 46,2% di spigoli inutili dal tuo tetragono. Sono d’accordo anche quelli di Technorati, o almeno il 72% del campione.
    Plessus, che stavamo dicendo sullo spiegare le battute?

  6. Eh Zaub, è proprio quello che intendevo dire con il passaggio di informazioni di un GdR assolutamente più complicato di quello di un libro.
    E’ più difficile armonizzare il tutto. A volte è meglio avere come giocatori degli amici poco esperti, a volte ti diverti da matti a giocare con quelli “esperti”.
    Difatti le prime “volte” sono spesso poco emozionanti, c’è da rodarsi.
    Ma alcune campagne possono durare anni, vedere cambiare tanti giocatori e personaggi. E nella loro unicità – per quel gruppo – diventano anche memorabili.
    Per quanto mi riguarda c’è arte anche in una partita a scacchi. Uno sport totalmente cervellotico. Qual è il problema? Sono le regole. Bisogna conoscerle bene per potersi appassionare ad un match.
    Lo stesso capita coi libri, solo che lì “basta” sapere leggere.
    Lo sport talvolta riesce a “scadere” nell’arte, inconsapevolmente. Scrivendo storie eccezionali. Come la partita contro l’Inghilterra in cui Maradona segnò di mano e poi facendo il gol più bello di sempre. Quello è stato facile da capire, e difatti se lo ricordano tutti…

  7. Buoni presagi, la tua obiezione è sensata, stavo tentando di fare un investimento teorico sul concetto di memorabilità per definire la letteratura, ma probabilmente devo puntellare meglio la cosa. Spiego: anche una vittoria di Ayrton Senna può essre definita memorabile, o la formazione dell’Italia nella finale dei mondiali dell’82. Ma è la radiocronaca che potrebbe eventualmente afferire al genere “letteratura” ed essere citata, no?
    Anche nei simposi si recitava poesia, ma la poesia ne è un componente, non certo il fatto principale. E il mio punto sul GdR, trasposto in termini di simposio, sarebbe questo: mi pare riduttivo parlare di simposio (leggi GdR) nei termini di letteratura per dire è figo il simposio/GdR.
    Matteo, potresti chiarirmi la tua distinzione fruizione primaria/fuizione secondaria del GdR? Rispetto a cosa attribuisci questo “ordinamento”?

  8. Vi prego, ditemi che quel WM1 è un fake e non il vero Wu Ming. Che in passato mi è sembrata una persona intelligente ma che qui polemizza come un ragazzino. Ma ve lo immaginate, in un luogo di discussione pubblica quale è questo, Stephen King o J. Ellroy scatenarsi in questi “Ah ah ah” o “prrr” o “acidelle” etc. etc.? Essere dei minori e volerlo dimostrare a ogni costo. Lontani, molto lontani i tempi delle belle battaglie…
    Maddai, è un fake, un troll… vero?

  9. Hemm… ok, ci provo, vediamo se riesco a chiarire meglio quello che intendevo.
    In gdr ha due momenti diversi di fruizione (cioè due “tempi” di godimento):
    Primo Tempo (in ordine temporale): quando si legge un gdr, che è composto da due parti distinguibili ma interlacciate tra loro:
    Parte narrativa, composta dalla sua ambientazione, le atmosfere e i personaggi.
    Parte regolistica composta dalle regole per la creazione “matematica”, “tecnica”, di un personaggio e dalle regole da impiegare per sapere se le sue azioni in gioco sono andate o meno a buon fine.
    In questo Primo tempo abbiamo un godimento simile a quello che c’è nel leggere un libro, specialmente analizzando la Parte narrativa, spesso (comunque è così nel caso di Sine Requie Anno XIII) composta da racconti, diari, testimonianze e aneotti riguardanti il mondo fantastico che si va a presentare. Non tutti i gdr presentano questa parte in maniera così convincente, ci sono anche gdr di pure regole “senz’anima”, che sicuramente si avvicinano più al mondo del gioco che a quello narrativo. Ci sono gdr di mille fattezze in realtà, un universo sconfinato. Ma parlando di Sine Requie la parte dedicata a storie e ambientazione è preponderante. Alcuni manuali sono praticamente privi di regole e offrono solo uno sguardo narrativo su un mondo di fantasia (Sanctum Imperium Anno XIII).
    E questo credo sia l’argomento che Loredana volesse trattare.
    Secondo Tempo. una volta letto il gdr, e appreso il suo regolamento, si passa all’impiego dello stesso sul tavolo da gioco. Stavolta l’autore non è più colui che ha scritto il gioco, ma diventano tutti coloro che lo interpretano, nel ruolo di master (Cartomante in Sine Requie, visto che si gioca con i Tarocchi) o di personaggio. Chiaramente questo secondo momento esula da qualunque valutazione essendo estremamente variabile da gruppo a gruppo e dalle esigenze dello stesso. Si può creare una love story strappalacrime o si può andare in giro ad ammazzare bambini in maniera terrificante, si può entrare nelle maglie della politica o esplorare terre sconosciute… si apre un mondo che ha come limiti, unicamente, la fantasia dei partecipanti e, perchè no, la loro voglia e le loro esigenze di gioco. Si può giocare per esplorare gli abissi dell’orrore della vita umana o per ridere e scherzare ammazzando zombi idioti mentre si sgranocchiano patatine… tutto è possibile e tutto è ugualmente valido in quanto momento di gioco e relax.
    Ora, tornando indietro di qualche passo.
    Esaminiamo tre giochi del passato: Girsa (Gioco di ruolo del Signore degli Anelli), Il Richiamo di Cthulhu (basato sui racconti di Howard Phillips Lovecraft) e Le avventure del Barone di Munchausen.
    Questi tre gdr non presentano una ambientazione originale ma si appoggiano su opere già scritte da autori famosi e molto amati nel loro genere. Quindi in questo caso quello che avevo definito Primo Tempo è composto dalla lettura del manuale (che fornisce quasi unicamente regole) e dei libri ad esso ispirati (che costituiscono la parte narrativa)
    In questo caso credo sia indubbia la qualità del materiale goduto nella lettura e preparazione del gdr (non è una valutazione sui gdr, so che l’autore del gdr non ha scritto Il Signore degli Anelli, si parla di fruizione per l’utente, ok?)
    Bene questi sono giochi estremi, in cui la parte narrativa è esterna al manuale ma di valore altissimo, ok?
    I giochi di cui Loredana parla hanno una parte narrativa facente parte del manuale, invece. Come se uno scrittore avesse scritto un libro e poi nelle ultime pagine avesse detto: volete rivivere le avventure dell’Orlando (c’è anche il gioco dell’Orlando furioso ora che rammento)? Ok, prendete carta, penna e fantasia, segnatevi le caratteristiche e cosa sa fare il vostro personaggio, e vivere le sue avventure nel mondo del libro. Questo modificherebbe il valore della parte precedente? Credo di no, giusto? Però diventa un gioco, o contiene un gioco. Quindi?
    Credo che il fulcro della domanda della Lipperini stesse un pò qui.
    Prendendo dei gdr con forte componente narrativa (di qualità letteraria certamente modesta rispetto a un Lolita o a un qualunque romanzo di King, e ci mancherebbe altro!) dov’è il confine tra gioco e libro?
    C’è?
    Sono libri con regole per una fruizione secondaria?
    Sono giochi con una marcia diversa?
    Secondo me sono medium semplicemente UNICI che sono un ponte tra due mondi: quello del gioco (dal quale sono diversissimi, prima fra tutte sono non competitivi, si basano su dinamiche di gruppo esclusive, sfruttano più la fantasia che le regole matematiche) e quello della narrativa.
    bene… ho detto un monte di fregnacce, spero che a qualcuno che finora ha parlato di tante cose interessanti ma non del punto in questione venga la voglia di leggersi “Sine Requie Anno XIII”… a proposito… il sito segnalato da Loredana è riferito alla vecchia edizione fatta con Rose and Poison e interrotta nel 2006, molto più grezza dell’attuale edita dal 2007. Se volete fare delle ricerche vi consiglio di scrivere il nome completo di “Sine Requie anno XIII” per evitare di fare confusione.
    Ciao a tutti
    Matteo Cortini

  10. Un po’ di considerazioni sparse.
    Intanto, condivido quello che dicono Buoni Presagi ed Ekerot, e credo che abbiano centrato dei nodi cruciali. Poi, Paolo, il gdr _non_ è letteratura, è gdr, su questo siamo d’accordo. Ma la letteratura _non_ è libro, è solo una delle cose che con il libro (che è un oggetto fisico), si possono fare. Così come il romanzo non è narrazione, ma solo una delle cose che con la narrazione si possono fare. Però se con un libro ‘fai’ un romanzo, allora il tuo è un Libro e le riviste-bene possono parlarne, nella sezione di recensione di libri, appunto. Se fai un gdr, no, nella stessa sezione non se ne parla. Perchè? E’ un equivoco profondo e superficiale al tempo stesso.
    Poi. Credo che Matteo, da giocatore, stia dicendo la stessa cosa che dicevo io, e cioè che un manuale puoi godertelo sia leggendolo e basta, che giocandolo (due livelli, appunto). Obiettare su questo, obiettare sul piacere che il semplice leggere un manuale dà (cosa che Paolo non ha fatto, altri, mi pare, si), è una pura idiozia – per il semplice motivo che ne dà, di piacere, ne dà a tanti in tutto il mondo, e il dato empirico è questo.
    Quanto ai discorsi sulla qualità ‘intrinseca’ dei manuali, li trovo poveri. Intanto un manuale è un prodotto multimediale – testo e immagini ineragiscono, e quindi valutarlo solo come testo è, semioticamente, una cazzata. Poi, della qualità intrinseca fa parte il giocarlo, in modo reale o ‘fantasmatico’ – ma comunque è l’esperienza di gioco che un manuale ‘simula’, è quello il tipo di storia che narra. Ci sono manuali (ho citato Nobilis, ho citato Unknown Armies, ma potrei aggiungerci il nuovo Changeling, Werewolf, Inspectres, eccetera) che sono proprio _belli da leggere_. In alcuni casi (Inspectres, appunto, o Nobilis) mi è piaciuto più leggerli che giocarli. Nobilis è famoso tra i giocatori per essere un capolavoro-pressocchè-ingiocabile.
    Il paragone con il simposio è molto bello, anche se credo che ce ne siano altri (nello specifico, narrazioni sciamaniche e alcuni rituali di possessione, soprattutto voudou) che si prestano meglio. Suona folle, ma avrei bisogno di davvero troppo, troppo spazio (un centomila parole circa, mi dicono) per motivarlo meglio.
    Infine, Zauberei, non volevo dire ‘guarda ‘sto professorone che ha scritto un gioco’. Me ne frega niente. Voglio solo dire: due professori universitari (quindi background analoghi – potevano anche essere due giostrai e il succo nonm cambiava) inventano due mondi, poi uno ci fa un romanzo, uno ci fa un gdr. Perchè? E’ una domanda che non dà risposte utili. Cercare di capire ‘quali esigenze ti spingono in una direzione’ è molto spesso una giustificazione ex post, una cosa che fai quando un intervistatore te la chiede, fine. Se io fossi nato a Los Angeles forse avrei scritto sceneggiature, se fossi stato più ricco e mi fossi potuto permettere la pellicola, forse da ragazzino mi sarei messo a fare mucchi di fotografie invece che a scrivere, e ora farei il fotografo e non lo scrittore. La vita concreta, quotidiana, quella in cui viviamo io, tu, i game designer e tutti, è fatta più di caso che di ‘esigenze artistiche che ti muovono in una direzione precisa’. A scegliere un medium piuttosto che un altro ti spingono biografia, momento storico, puro culo, tante di quelle variabili che costruirci dietro una ‘scienza’ è un’operazione futile (e impossibile: scienza richiede falsificazione, e come si falsificano affermazioni del genere?). Preferisco usare il mio tempo per pormi altre domande – ma qui, me ne rendo conto, siamo al 100% nel campo delle preferenze personali.

  11. Grazie Matteo per le precisazioni! La fruizione “di primo livello” ha una sua importanza, anche se per ragioni tutte mie la snobbo e la considero molto nerd — hai ragione, c’è questo tipo di godimento che non è per niente periferico.
    Francesco, capisco bene il tuo punto e il tuo fastidio, ma continuo a dire che trovo equivoco partire dal medium per stabilire un’equivalenza, oppure, forzando un po’ questo ragionamento, su consolemania dovrei trovare una recensione dell’ultimo Autocad perché il supporto è sempre un DVD e magari c’è un tutorial ludico… preferisco parlare di linguaggi piuttosto che di supporti. Sciamanesimo: oh sì… hai ragionssima, ma non ci scommetterei troppo se quello che cerco è legittimazione mainstream 😉
    Zau, il tuo OT mi piace ma non so se l’ho capito “__”
    Bella discussione, grazie a tutti!

  12. Paolo: su consolemania non dicono di recensire ‘dischi’, dicono di recensire ‘giochi’ (se non sbaglio). Se una rubrica/giornale dice di ‘recensire romanzi’, il tuo discorso lo condivido anche io. Se dice di ‘recensire libri’, no. Sarò anale, forse, ma per chi lavora con le parole, le parole sono importanti (Giacomino docet!). Voglio dire, non è che un gdr sia più diverso da un romanzo di quanto lo sia un libro di ‘gentleman critic’. Se posso recensire sia ‘Armi, acciaio e malattie’ che ‘Infinite jest’, perchè ‘Kult’ no?

  13. Col massimo rispetto, Francesco: continuo a trovare un po’ pretestuosa la tua petitio principii. Sparo un po’ nel mucchio: perché su una rivista/rubrica/giornale ci puoi trovare recensita una biografia di Aleister Crowley, ma non il suo Magick? Perché ci puoi trovare recensiti i lavori divulgativi di prof universitari ma non le loro pubblicazioni specialistiche? Perché non si usa fare le recensioni delle Cinquecentine? Sono tutti libri o no?
    Le ragioni sono varie: culturali, di linguaggi, di *uso*, di contenuti… in un intreccio di queste ragioni, secondo me, si può cercare la chiave per “sdoganare” il GdR senza snaturarlo. Non si possono semplicemente biasimare i media per ostracismo e ignoranza, c’è un certo lavoro culturale da fare, anche se da gamer, intuitivamente, questo mi può apparire superfluo.
    Per dire: io lavoro nel settore “libri per l’infanzia” (a proposito, faccio pure libri di stoffa: sono libri?). Come ne parlano i media? Male, se e quando ne parlano: o ghettizzando in spazi appositi, o inseguendo i “fenomeni”, e solo molto raramente cogliendo le peculiarità dei libri stessi. Sapessimo come presentarli in modo chiaro, specifico e convincente agli uffici stampa (per dire, non come la “stampa di settore”), probabilmente qualcosa cambierebbe. Ma anche questo resta un lavoro da fare…

  14. Paolo, siamo molto più d’accordo di quanto sembri. In un mio commento precedente ho detto che non è che tutti quelli che non conoscono i gdr siano ignoranti o poco attenti. Ci sono motivi culturali. Giustissimo. Magari non trovo azzeccati tutti i tuoi paragoni: un libro specialistico di un professore universitario è un libro tecnico, rivolto a chi conosce una disciplina – un gdr no, in questo è più ‘simile’ a un romanzo, perchè è pensato per elicitare piacere, non per aumentare la conoscenza. Però si, tutti libri sono, e infatti è proprio l’uso della parola ‘libro’ a dover essere problematizzato. Comunque condivido al 100% il senso del discorso.
    Resta un fatto. Se uno ti dice “guarda, c’è un gdr, sai cos’è?” e tu arricci il naso rispondendo “pvefevisco la Cultuva, scusa”, forse non sei ignorante, ma coglione sì. E una pernacchia te la meriti.

  15. Dopotutto non stiamo mica litigando… vedilo come il primo atto di un Buddy movie! E ancora una volta, hai ragione: c’è un problema di godimento “legittimato” e “non legittimato” che la mia prospettiva troppo paludata stava trascurando. C’è anche un certo valore trasgressivo e sovversivo nel GdR!

  16. “Però se con un libro ‘fai’ un romanzo, allora il tuo è un Libro e le riviste-bene possono parlarne, nella sezione di recensione di libri, appunto. Se fai un gdr, no”
    AAAhhhhh!! Ecco cos’è un Libro! Un coso di carta e inchiostro che viene recensito! E se no, no! Mica avevo capito, son duro come le pine verdi.
    Beh, la risposta perfetta per me l’ha già data Paolo’s alle 213, ma non resisto a fare un’aggiunta visto che Francesco insiste: “un libro specialistico .. è un libro tecnico, rivolto a chi conosce una disciplina – un gdr no… perchè è pensato per elicitare (?) piacere, non per aumentare la conoscenza.”
    Non son d’accordo: ci sono libri che interessano solo gruppi più o meno ristretti di AMATORI, ai quali procurano raffinati piaceri…senza che abbiano alcuna ricaduta (pratica) sulle loro conoscenze.
    Consulto spesso il volume “Come si costruiscono le navi da battaglia” del Giorgerini traendone un grande piacere (è scritto anche benissimo, fra l’altro) pur sapendo che ben difficilmente metterò in pratica quanto appreso.
    “Tsushima” di Thiess invece, libro che pure parla di corazzate, son cent’anni che viene rieditato e quando esce se ne trova la recensione: perchè anche un pubblico digiuno di storia navale può appassionarvisi.
    Per me i manuali di Gdr sono libri per amatori del genere, per quanto interessanti, immaginifici o superbamente scritti mi pare del tutto logico che vengano recensiti solo nelle riviste amatoriali.

  17. No, Nautilus, un libro non è un coso di carta e inchiostro che viene recensito. E’ un coso e basta. Il Libro (maiuscola ironica) è quello che viene recensito o variamente accettato dalla cultura-bene. Ma questo è decisamente più opinabile, me ne rendo conto.
    Quanto al resto, ti rispondo in due modi.
    Il primo è generale, e cioè: io, se un libro è interessante ed è del tutto fuori dal mio campo, a leggerlo ci godo. Quindi, se ci fossero recensioni che parlano del Giorgerini, potrei incuriosirmene, comprarlo, e goderne. Se non ci sono, vengo privato di un possibile piacere, e mi rode un po’. Allo stesso modo, mi dispiace per chi potrebbe condividere il mio piacere per i gdr e non ha l’occasione di farlo.
    Ma tu fai un’obiezione più precisa e interessante – e cioè, se ho ben capito, che un manuale di GDR è più simile a un libro tecnico che a uno che serve a elicitare (suscitare, diciamo) piacere. Questo, semplicemente, non è vero. I gdr sono esplicitamente pensati per essere prima letti e poi giocati. Anche un lettore digiuno di gdr può appassionarsi ad Unknown Armies, e ci sono manuali INTERAMENTE di ‘fluff’, come si dice in gergo, e cioè di descrizioni, racconti, costruzione di mondi narrativi.
    Il nostro Amico Digiuno non leggerà sequenzialmente un gdr, magari, perchè non è un romanzo e non è fatto per esser letto come tale – ma lo leggerà (meglio, potrà farlo, se gli piace, ma questo è vero per tutto). E ne guarderà le illustrazioni (che in un gdr sono importanti quanto il testo). E immaginerà i lanci di dado. Eccetera.
    E’ così, l’ho visto succedere, lo vedo succedere di continuo. Succede quando consiglio il gdr giusto alla persona giusta, digiuna o no che sia di giochi. Scusa se suono dogmatico, non è arroganza: è che non sto parlando di teoria, sto parlando di cose che ho visto, di roba tangibile, non so come altro metterla. Forse, davvero, è solo questione di diverse biografie ed esperienze.

  18. @ “Mario”: dài che è vecchio stravecchio il trucco dell’ex-estimatore deluso ecc. ecc. ecc. Una volta è deluso perché prima ero faceto e quel giorno sono serio, la volta dopo è deluso perchè prima ero una persona seria e quel giorno sono faceto. Dài che l’è vecchia. Suvvìa, inventiamocene un’altra, ogni tanto le retoriche van rinnovate.
    Ah, dimenticavo:
    prot!

  19. …dev’essere successo qualcosa di brutto nella tua vita privata. Altrimenti non si spiega tanto astio e tanta stupidità improvvisa. Guarda che anche le persone intelligenti certe volte scivolano sulle idiozie. Ammettilo, fai pace con la testa. E poi – vecchia o non vecchia – sì, sono deluso e te lo dico. Non ti puoi ridurre così (“prot!”, ma ti rendi conto?, neanche nei film di Neri Parenti e alle riunioni della Lega si dialoga in questo modo). Non gettarti fango addosso, risolvi i tuoi problemi e vedrai che tornerai a dire cose interessanti. Nel frattempo – senza sarcasmo – tutta la mia pietas.

  20. Per la cronaca: credo che il Giorgerini di cui parla Nautilus sia anche il co-autore dell’almanacco navale, autore di un catalogo che è (più o meno) la versione italiana di Jane’s Fighting Ship — libro che poi è nato come “sourcebook” per un gioco di simulazione. Com’è piccolo il mondo…

  21. Francesco, ma come un gdr sarebbe un libro? Allora il monopoli e’ un tabellone? E io che mi soprendevo quando un mio amico giocava scacchi senza scacchiera e senza pedine!
    Non direi che un gdr e’ un libro, e questo e’ anche il motivo per cui non finisce recensito nei giornali. Che poi manco e’ un male, che’ lo strumento recensione e’ una muffosa e stantia pratica che non si capisce perche’ sia ancora in vita.
    Non so se valga la pena forzare il concetto di libro piu’ di tanto per dire quello che tu, in maniera in buona sostanza sacrosanta, intendi dire. I libri sono piu’ o meno quelle cose la’. Cio’ non toglie che ne esistano altre che sono altrettanto stimolanti, divertenti appassionanti e formative come i giochi di ruolo.
    bytheway: una mia curiosità, che mi arrovella fin dai miei primi approcci con D&D, ma perché le ragazze non ci giocano ai giochi di ruolo? oppure le cose sono cambiate?

  22. Alessandro: quando ti vendono il Monopoli, ti vendono una scatola con dentro delle cose. Quando ti vendono un gdr, tranne rarissime eccezioni (tipo la storica ‘scatola rossa’ di D&D) ti vendono un libro, punto e basta. E per questo, in rubriche in cui si recensiscono libri tanto diversi quanto quelli di Stephen Hawking e quelli di Dan Brown, “Trail of Cthulhu” di Laws & Hite ci può stare eccome. E se questo non succede, non è perchè i primi due si somiglino più di quanto somiglino al terzo – non è vero, è un’illusione prospettica culturalmente determinata. Non succede perchè il terzo è vittima della stessa ideologia che fino a qualche anno fa escludeva il fumetto, e in parte lo esclude ancora. E anche allora si diceva ‘si vabbè, ma comunque è un’altra cosa’. Che sarei anche d’accordo, se non fosse che sotto ‘un’altra cosa’, di solito, è nascosta la parola ‘schifezza’.
    Quanto alle donne: la mia compagna è una giocatrice appassionata e mi è capitato di masterizzare campagne con tutte donne giocatrici, mentre il mio gruppo ‘storico’ (con cui ho giocato fino a pochi mesi fa, in Italia) era fifty-fifty. In effetti anni fa il gdr era un passatempo pesantemente ‘gendered’, ma da un po’ (a occhio direi soprattutto sull’onda lunga di Vampiri) non lo è più. Fenomeno interessante in sè, direi.

  23. mmmmm, non sono d’accordo. Esistono molti giochi che dentro una scatola ne’ dentro un libro ci stanno. Mentre non esistono romanzi (nel senso moderno del termine) ne’ saggi tecno-scientifici senza che siano scritti. Diciamo che la scrittura gli e’ essenziale.
    La questione è che il supporto e’ una comodita’ per chi organizza un giornale. E al contrario i giochi non si possono ridurre a un supporto solo e in molti casi neanche a un supporto.
    I giochi, come diceva quello, sono una famiglia di famiglie molto complicata da dominare in toto da un esperto, ma anche da un semplice appassionato. Metterci su una rubrica non e’ facile (anche se il mitico Dossena faceva piu’ o meno quello). Non si restituisce la dignità a delle bellissime pratiche infilandole nella rubrica libri.

  24. Madonna, Mario… Riprenditi, su, guarda che la seriosità non c’entra nulla con la serietà, direi anzi che è il suo contrario.
    Quello che scrivi mi ricorda la scena di “Frankenstein Jr.” in cui “Aigor” dice a “Frederaick” di seguirlo, poi gli porge un bastone da zoppo uguale al suo e gli dice: “Si aiuti con questo”.
    Ecco, tu mi inviti a seguire la tua andatura, e a infilarmi nel retto lo stesso palo che hai tu. Anzi, dici che una volta ce l’avevo anch’io, ma, insomma, a me non risulta! Magari, per rinfrancarti dovresti rileggerti qualche cronaca di beffa blissettiana.
    Poi, insomma, astio… Mah. Io capisco che la faccina-dipendenza ci consegna una scrittura depotenziata e sotto-connotata, e rende gli occhi incapaci di capire i toni senza l’accompagnamento emoticonico, ma bisognerebbe lottare per recuperare un po’ di empatia anche in assenza dei corpi.
    Ciao.

  25. INSOMMA
    Si fa sta sessione di D&D?
    WM1 prepara la campagna, Francesco ci aggiorna sulle regole e poi mi piacerebbe realizzare il sogno di una vita: un intero gruppo di soli nani guerrieri…che ve ne pare?

  26. la sfortuna dei gdr è chi ci gioca , anche ( soprattutto ) l’ambientazione più bella e complessa può essere rovinata da un gruppo di nerd un venerdì sera .

  27. Ekerot, volentieri, ma con tutte le mie belle parole, su D&D mi cogli impreparato, perchè non lo gioco da, tipo, dieci anni o più. Posso suggerire un Ars Magica? Credo che a molti, qui, li farebbe impazzire di gioia…

  28. Ah, BP: quello di Sellerio non è ‘un’ regolamento, ma ‘il’ regolamento. Wells (si, proprio lui, quello della Guerra dei Mondi) ci giocava con J.K.Jerome, e ‘Little Wars’ è il primo regolamento di wargames _ludici_ (e quindi, non tesi a formare quadri dell’esercito) della storia. E poi dai wargames sarebbe nato D&D, e da D&D i giochi di ruolo più complessi. Pensa, uno dei padri della SF è stato anche nonno inconsapevole dei gdr…

  29. Francesco, lo so. Ho quel libro, che per inciso è un vero gioiellino per come racconta tutta la genesi del regolamento e dei suoi aggiustamenti (nonché per la descrizione degli esempi di gioco).
    Tra l’altro Wells a un certo punto dice che il regolamento non prevede di entrare negli edifici perché si creerebbero situazioni difficili da gestire. Il che è divertente, perché D&D nasce portando il regolamento del war game di Gygax, Chainmail, dentro a luoghi chiusi (come raccontato in questo articolo di The Believer).

  30. Non voglio entrare nel merito delle discussioni di qui sopra, ma lascio il mio piccolo inciso per ringraziare l’autrice per aver spezzato una lancia in favore di un genere troppo spesso svilito rispetto alle sue potenzialità.
    Grazie Loredana, a nome di quanti provano piacere nel leggere un bel manuale di gioco, e soprattutto a nome di coloro che mettono l’anima nello scriverne uno.

  31. Qualcuno ha riportato su un forum questo articolo e poiché anch’io sono appassionato sia di letteratura che di Gioco di Ruolo, questa è la mia risposta. Sul forum il quesito era posto come “il GdR è letteratura”?
    Io non mi sono mai posto il problema perché in sincerità vado oltre al termine letteratura.
    Ho già scritto o detto altre volte che è mia profonda convinzione che quando qualcuno inventa qualcosa essa prende vita da qualche parte… forse in questa dimensione, “dove nessuno è mai giunto prima”, come ci mostra una puntata di Star Trek: The Next Generation arrivando in un battito di ciglia in un luogo dove la fantasia diventa realtà, forse in un universo alternativo.
    Detto questo, se questa invenzione è fatta bene (ovvero se non sono solo un’accozzaglia di idee senza senso o coerenza tra loro) la letteratura è solo il mezzo con cui l’autore, il tramite, la fa conoscere agli altri.
    Infatti una delle cose che più mi fanno arrabbiare, anche se forse non tutti saranno d’accordo con me, è quando l’autore decide di sua sponte di cambiare in modo radicale il suo mondo (intendo nella sua sostanza, le sue leggi, o qualcosa che aveva già descritto senza ombra di dubbio in un altro modo in precedenza).
    Detto questo sono convinto che esista buona o cattiva letteratura dal momento che esistono bravi e cattivi autori o inventori capaci o mediocri, ma disdegnare a priori in base al genere mi sembra poco serio.
    Del resto:
    let|te|ra|tù|ra
    s.f.
    AU
    1a insieme di opere scritte che si propongono fini estetici o hanno comunque, in ragione della loro concezione e del loro stile, un elevato valore nella storia intellettuale
    A me sembra che un manuale possa rientrare senza problemi nella definizione da dizionario, in quanto se forse non hanno fini estetici dei livelli di una Divina Commedia o simili, vi si possono trovare quelle invenzioni che possono effettivamente avere un grande valore nella storia intellettuale.
    (fine intervento sul forum)
    Al contrario a me sembra che qualcuno qui parli dei libri/letteratura, ma soprattutto del termine intellettuale nel senso più dispregiativo di “intellettualistico”, che appartiene alla sfera della letteratura che celebra sé stessa.
    Un libro è fatto di invenzioni, idee, emozioni… cose che si possono trovare anche in un manuale di Gioco di Ruolo.
    Non stiamo parlando di un manuale di matematica (che pure è considerata letteratura, ovviamente scientifica), ma di libri dove si parla di mondi, personaggi, eventi, ma visti dalla parte di un ipotetico “dio” invece che da quella di un lettore esterno.
    Se un dio guarda la sua creazione non la vedrà solo come una fantastica poesia o una descrizione toccante, ma ne ammirerà piuttosto le regole, l’invenzione, i “retroscena”, poiché è sua prerogativa farlo e controllare che funzionino… e come dio la sua stessa creazione lo porterà ad inventare altro o ad ammirare come questo suo mondo possa continuare a vivere anche senza il tuo intervento… cioè quello che ogni autore, Dungeon Master, giocatore, a livelli diversi vive.
    Se questa ruota in continuo movimento ed evoluzione non viene considerata degna di rivestire un “valore intellettuale”, in funzione di questi meriti, allora comprendo anche il perché tutti si siano scandalizzati quando Dario Fo ha vinto il nobel…

  32. Sì Luca, la mossa dell’Accademia di Svezia quella volta lasciò molte persone spiazzate, e bisogna dire che — per quanto sia indubbio il valore morale e intellettuale di Dario Fo — il concetto di “letteratura” va trattato con un po’ di elasticità per metterci dentro quel gigante che è Dario Fo. Sebbene esista la trascrizione del suo discorso in occasione del Nobel, esso non esiste hmm “principalmente” come testo. Disse Fo: “Ecco, io sono abituato da tanto tempo a realizzare dei discorsi con le immagini, invece di scriverli li disegno. Questo mi permette di andare a soggetto, di improvvisare, di esercitare la mia fantasia e di costringere voi ad usare la vostra.”
    E l’improvvisazione si rifà a una tradizione *popolare* ben distinta da quella *colta* letteraria (qulla dei “Grandi Autori”, con la quale Fo non poche volte è in polemica. Fo non fa leva principalmente sulla parola esatta, fissata una volta per tutte, perché vuole rimanere in uno spazio discorsivo mobile e aperto. Una scelta di campo chiara e coerente con la sua vocazione teatale e il suo rifarsi alla Commedia dell’Arte. Un campo dove la forza delle passioni e delle idee viene espressa principalmente su registri distinti dalla parola fissata. Non sono distinzioni da poco!
    In tal senso sì, la decisione dell’Accademia di Svezia può sembrare scandalosa, ma legendola con attenzione si nota come essa si trovi “costretta” a far riferimento ai testi scritti di Fo e al loro valore letterario. Il discorso di Fo sottolinea molto bene il suo punto di vista, e non manca di lanciare frecciatine a “intellettuali” e “scrittori”, lo trovate qui http://nobelprize.org/nobel_prizes/literature/laureates/1997/fo-lect-i.html
    Fine della digressione, non devo aggiungere nulla sugli RPG, credo.
    Luca, interesantissimo il tuo blog. Piacere di fare la tua conoscenza!

  33. Grazie Paolo… infatti la motivazione del nobel a Dario Fo è stata: «Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi.»
    Solo un problema… i giullari medievali, che lui ripercorre molto bene, non scrivevano… avevano un canovaccio (a volte) e poi improvvisavano… avevano regole che rispettavano (a volte) inventado la storia attorno ad esse.
    Non è la stessa definizione, nel succo estremo, che si può dare di un manuale di GdR?
    Qualcuno poi mi ha fatto notare questa frase di Valerio Evangelisti
    “Secondo me, i giochi di ruolo contengono gli elementi essenziali del meccanismo della narrativa. Che cosa fa uno scrittore, mentre è all’opera, se non impersonare una serie di personaggi? E cosa fa un lettore, se non partecipare allo stesso gioco e vivere diverse vite?”
    E’ vero che dobbiamo prendere con elasticità il discorso di letteratura, ma io considero predominante il fattore di crescita culturale che essa porta (quello che nella definizione di letteratura veniva chiamato valore intellettuale) e che nel caso dei GdR non è solo l’illustrazione sul libro, ma la parola stampata e tutto ciò che da quelle parole deriva, dal momento che, come dice Evangelisti, si danno i meccanismi base (le regole, le idee, ecc…) per creare narrativa.

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