MURAKAMI E IL POP

Sull’ottimo Pulp di gennaio/febbraio è riportata una lunga intervista a Murakami Haruki che potrebbe tornare utile come corollario del post di ieri, e relativi commenti.
Come ognun sa, Murakami è l’assai amato autore di libri straordinari, buon penultimo quel Kafka sulla spiaggia a cui la vostra eccetera deve almeno tre cose. L’emozione della lettrice che incontra un romanzo di rara perfezione; l’unico punto d’incontro con Giulio Ferroni in un’intervista doppia a Fahrenheit; un haiku che mi è stato inviato da un lettore che ha seguito il consiglio, e ha letto il libro.
Bene.  Murakami inizia con questa affermazione: “Amo la cultura pop. Amo i Rolling Stones, i Doors, David Lynch, i film horror, Stephen King, Raymond Chandler e le storie di detective: sono le strutture in cui metto i miei contenuti. E’ questo il mio modo di operare, il mo stile. Preferisco avere un’attitudine popolare, odio l’elitarismo che invece è tipico dei circoli culturali giapponesi. Ed è anche il motivo per cui per molti anni non sono riuscito a trovare un posto adeguato nel mio paese. Ma sto guadagnando territorio, ho uno zoccolo duro di lettori che mi segue da più di quindici anni. E’ confortante”.
E aggiunge una frase che può far saltare sulla sedia: “La lettura dei romanzi deve competere con lo sport, la televisione, i video, la musica, la cucina e altri passatempi altrettando godibili. Lo scrittore non può più pretendere che i lettori impieghino tempo ed energia nel cercare di capire una narrativa difficile”.
Detto, appunto, da uno che ha scritto La fine del mondo e il paese delle meraviglie, fra le altre cose, fa effetto. O dovrebbe, almeno.

43 pensieri su “MURAKAMI E IL POP

  1. Be’ la ricerca di un ‘linguaggio universale’ è il centro della narrazione dei mangaka e dei registi di animazione giapponesi (è la terra di Tezuka!).
    Questa ricerca ha sempre segnato anche l’arte visiva, e ora i linguaggi pop dominano i più elitari musei d’arte contemporanea.
    Mi stupisce sentire un narratore giapponese che considera questa come una propria peculiarità. Non so, forse il mondo letterario è stagno. Eppure mi viene da pensare a Banana Yoshimoto, e alle collaborazioni tra Jiro Taniguchi e tanti scrittori.
    Insomma, non è che Murakami San un po’ se la mena? 🙂

  2. io preferifo il primo murakami ora mi appare molto più lezioso e ripetitivo. after dark è semplicemente brutto e inutile (aggettivo che non mi piace accostare ad un libro ma quando ho terminato la lettura, ho avuto la sensazione di aver perso del tempo). e quell’ultima frase sembra rispecchiare il declino di uno scrittore.

  3. Non sono d’accordo. Kafka sulla spiaggia è tutto tranne che lezioso e ripetitivo. Anzi: mi sembra il punto di arrivo perfetto per Murakami. Quanto ad After Dark, è onestamente meno bello. Ma trovo magistrale il modo in cui si cimenta, per esempio, con il punto di vista.

  4. “La lettura dei romanzi deve competere con lo sport, la televisione, i video, la musica, la cucina e altri passatempi altrettando godibili. Lo scrittore non può più pretendere che i lettori impieghino tempo ed energia nel cercare di capire una narrativa difficile”: io aggiungerei “a meno che non ne valga veramente, ma veramente la pena”.

  5. Ogni tanto un filologo salta su e ci racconta che da secoli ci stiamo perdendo uno dei livelli di lettura di questo o quel classico, oppure che un assunto comune nel leggerlo è totalmente errato. Giocchino Chiarini sulle Metamorfosi, è un esempio stupefacente per me.
    Ma, accidenti, pure senza quel fondamentale livello di lettura oppure proprio grazie a quella lettura “scorretta”, la fortuna di quel libro deve molto, moltissimo a… tutto il resto, quello che per l’accademia non ha peso! E beata l’ora in cui chi ne sa di cose di “cose alte” riesce a metterle da parte per partecipare al mondo di tutti. Devo fare il solito nome?
    Italo Calvino.

  6. Eh si come si fa a non essere d’accordo? EE’ davvero il seguito del post di ieri.
    Io non ho letto Kafka sulla spiaggia, e ammetto di non aver amato alcune cose di Murakami. Ma Dance dance dance, per esempio, mi sembrò una commistione di linguaggi e codici e livelli di lettura veramente interessante.

  7. Io penso che quando Murakami parla di letteratura difficile non usa l’aggettivo come sinonimo di complesso: la narrativa può ben essere complessa e non per questo lontana dalla portata del fruitore medio, che comunque se si sente sfidato o almeno interessato può affrontarla. Secondo me con letteratura difficile intende quella che vede la complessità come un fine in sé, e se ne compiace

  8. La lettura di Kafka sulla spiaggia è stata una delle avventure letterarie più coinvolgenti degli ultimi mesi. Mi sono sentito perfettamente dentro certi aspetti “pop” della società giapponese, ma anche trasportato in dimensioni misteriose e di difficile interpretazione. Tuttavia, da lettore, non mi sono mai posto il problema se quello che stavo leggendo fosse popolare o difficile, elitario o commerciale. Murakami per me è bravissimo proprio perchè riesce a modellare strutture narrative capaci di inglobare interi universi, dal footbal a Jung, dal chiacchiericcio all’indicibile.

  9. Potrebbe trattarsi di un problema di traduzione? Forse Murakami intendeva dire “una letteratura astrusa”, “una letteratura criptica”, “una letteratura cervellotica”.

  10. “La lettura dei romanzi deve competere con lo sport, la televisione, i video, la musica, la cucina e altri passatempi altrettando godibili. Lo scrittore non può più pretendere che i lettori impieghino tempo ed energia nel cercare di capire una narrativa difficile”.
    Anche l’avesse detta Bukowski ma non l’avrebbe mai detto non sarei d’accordo, come si dice “di questo passo dove andremo a finire”.
    Inoltre implica una volontà calcolatissima nello scrittore, come uno stratega che mette le pedine nel posto giusto al momento giusto ed è tutta un’idea di scrittura che non condivido assolutamente.

  11. Beh, William, anche chi costruisce aride cattedrali di citazioni erudite e simbolismi oscuri dimostra una volontà calcolatissima da stratega!
    Insomma, se uno fa uso oggi delle citazioni che Pindaro usava perché erano a tutti al tempo note, è escluso che stia facendo la cosa che allora faceva Pindaro.
    Poi, un altro lato della questione: a me cadono gli attributi, quando leggo l’uso mortifero che fa Eco del “pop” e della lingua italiana ne La misteriosa fiamma della regina Loana. Come dire, l’universo di riferimenti mica basta da solo a /squalificare l’opera!

  12. Tranqui James Biond, a X-factor dicono che i commenti negativi portano ascolti indulgenti e generosi.
    Tu dirai: guardi X-factor???
    Qualche volta sì, c’è Morgan che me fa muri’ perché si vede che è un buono in incognito, e la Maionchi credo è delle mie parti, ergo è simpaticissima 🙂

  13. Trovai Tokio Blues (Norwegian Wood) profondamente Pop, a partire dalle atfmosfere che Murakami dipinge: suoni, immagini, dialoghi sono scanditi da tempi narrativi Pop. Non ho letto le ultime cose dello scrittore giapponese, e sul concetto di romanzo “difficile” (che, a quanto ho capito, in Kafka sulla spiaggia appare evidente) sono d’accordo con quello che Anghelos scrive, la complessità fine a sè stessa che uno scrittore propone ai lettori è un gesto snobbista che tenta l’autoesilio culturale (che poi nutre ribrezzo solo quando sente la parola “pop”).

  14. Ma scherziamo? Narrativa difficile è un’espressione che equivale, per Murahami, a letteratura alta. Un romanzo che compete con lo sport, la televisione, le stronzate in più salse, non appartiene, semplicemente, alla letteratura. Sono assai perplesso dinanzi ad uno scrittore che è soddisfatto del suo “zoccolo duro”. Non ho letto “Kafka sulla spiaggia”, ma considerati gli argomenti riportati dallo scrittore nell’articolo d’introduzione ho un senso di fastidio nel vedere nel titolo di un suo libro un autore che ha prodotto letteratura maiuscola, alta, vera e d anche elitaria, perchè no.

  15. Chi scrive un libro sa bene che a competere con quel libro per l’attenzione delle persone ci saranno film, tv, blog, videogame, cocaina mai così a buon mercato, gare di sudoku, corse coi sacchi, puttane etc. Poi uno può pensare: il mio libro lo scrivo per un lettore-modello che non va al cinema, non guarda la tv, non gioca con la pleistescion, non pippa, non fa il sudoku, non corre nel sacco né va a troie. Ok. Ma mi sembra più proficuo – oltreché più onesto – l’approccio di Murakami. Quando scriviamo, non dovremmo cullarci in false certezze sui lettori e come spendono il loro tempo.

  16. Wu1, hai detto una cosa molto buona che insieme a una traduzione un po’ diversa di ‘narrativa difficile’ mette in una luce completamente diversa quello che dice Murakami. E fa un po’ di luce sul tabù che è scrivere per toccare il maggior numero possibile di lettori perché si sente di avere qualcosa da dire.
    A volte basta davvero poco perché un testo cambi di segno.

  17. Non ho letto niente di Murakami, ma è già pronto sul comodino sotto a Boris Vian col segnalibro.
    Fatta la premessa, a mio avviso non è una questione di “entrare in competizione”. La lettura non deve entrare in competizione con niente, deve entrare in “comprensione” con le sfere emozionale ed intellettuale di proprietà di chi legge. E rinnovare le sue sensazioni, proporre nuove riflessioni, gettare luce nei recessi bui delle sue inclinazioni, confutare certezze e giudizi precostituiti, costituirne di nuovi, condurre al sogno, allo studio e molte altre cose ancora. In mille modi, sfumature, approfondimenti, gradi di importanza. E’ vero, quindi, che il fattore godibilità di un romanzo debbe essere alto: ma ciò naturalmente è correlazionato ai gradi di ricchezza intellettiva, culturale, emozionale del ricettore/lettore. Moccia, per esempio, può essere studiato come fenomeno da Wu Ming (se mi permette l’irriverenza quest’ultimo), ma non credo che sia fra le sue letture preferite. Viceversa Moresco o Genna saranno difficilmente appetibili dalla celebre casalinga di voghera.
    Insomma, romanzo come nutrimento intellettuale, cucina come necessità corporale (ehm, godibile perché no), sport come prolungamento vitale. Tv e video la competizione l’hanno già persa da un pezzo. Musica, discorso a parte.

  18. Moccia mi fa schifo, in effetti. Non cadiamo nel solito equivoco di fondo per cui si condanna il pop in blocco o lo si difende sempre in blocco, per giunta in base al valore o disvalore artistico dei risultati. Nel pop ci sono gli Area (“International pop group”, si definivano sui dischi) e c’è Allevi.
    Il 95% della popular culture è diarrea e il 99% delle statistiche è inventato sul momento.

  19. il primo murakami mi piaceva molto, l’ultimo un po’ meno. Problemi di traduzione? sarebbe un alibi per troppi scrittori, ma tutto può essere. Insomma mica siamo tutti dei Mollica per cui qualsiasi cazzata scritta, filmata o cantata è sempre un capolavoro

  20. “La lettura dei romanzi deve competere con lo sport, la televisione, i video, la musica, la cucina e altri passatempi altrettando godibili”.
    Giustissimo, secondo me. E vorrei richiamare l’attenzione sul “deve competere”, cioè nella tensione verso questo obiettivo: non obiettivo unico, magari neanche predominante o prevaricante, ma comunque esistente. Questo obiettivo c’è: molti “duri e puri della letteratura” farebbero carte false… E tutto si può dire a Murakami meno che sia uno scrittore sciatto, qualunquista, facile ecc. La sua è un’estetica pop ed è coerente con essa. Quando poi dice: “Lo scrittore non può più pretendere che i lettori impieghino tempo ed energia nel cercare di capire una narrativa difficile” forse esagera un po’ (può anche essere stato tradotto male, stavo per aggiungere, quando mi sono fermato pensando, per assonanza, al “sono stato capito male” così tanto usato dal ns. trucido dittatorello). Decisamente, in conclusione, l’approccio di Murakami mi piace (come d’altronde mi piacciono, e molto, le cose che scrive) e, vorrei aggiungere, viene non a caso da un altro mondo, dove si legge molto e dove, probabilmente, la gente tiene alla letteratura e ai libri (quasi) come tiene allo sport, alla televisione, alla musica…

  21. Tutto a posto WM1, non ridondiamo più… 😉
    Riflettendo ulteriormente sulla dichiarazione resa da Murakami mi avvedo ora che lo scrittore, secondo lui, si può arrogare il diritto di (non) avere delle pretese dal lettore. Ecco cos’è che non mi quadrava. Nel caso specifico, dal podio si declama qualcosa del tipo “scriviamo più facile perché non possiamo pretendere che tutti capiscano”. Superficialmente si è portati a pensare, bah, tutto sommato ha ragione. Direi però che lo scrittore non può pretendere nulla dal suo pubblico. Ribaltando la prospettiva, anzi, è il lettore che si crea aspettative dal romanzo appena iniziato o appena comprato. Murakami, io non ti ho letto, lo sto per fare, ho letto un gran bene di te e mi piacerebbe molto gradire i tuoi romanzi come tante altre persone. Pretendo che tu non mi deluda. E scrivi un po’ come ti pare. Sarò io a stabilire se il tuo testo è difficile o facile.

  22. Mi viene da ridere a pensare a cosa direbbe Murakami se leggesse questi commenti.
    Commenti fatti sulla base di uno stralcio di intervista riportata da un articolo tradotto chissà da chi, in cui Murakami avrebbe parlato di “narrativa difficile”.
    Che chissà cosa intende uno nato a Kyoto, cresciuto a Ashiya, a Kobe, a Tokyo, etc. etc…(leggo da Wikipedia, mica lo so di mio), per narrativa difficile.
    E chissà cosa ha scritto quel giorno il traduttore giappo-italiano, appena sveglio magari, dopo una serata a saké e tempura, quando Pulp gli ha mandato la mail con l’intervista.
    E chissà cos’ha scritto quel giorno l’intervistatore sul taccuino, o cosa ha registrato con il registratorino della Geloso.
    Ma tutti, anche quelli che non hanno letto nulla di Murakami, o magari hanno letto Tokyo Blues venti anni fa perché magari gliel’ha prestato la sorella della vicina di casa perché avevano un tavolo con una gamba più corta da sistemare, o quelli che non hanno letto niente, però sperano di leggere al più presto, o quelli che hanno letto tutto e sanno tutto, tutti a stupirsi, Ma che scherziamo?, a indignarsi, a condividere, a polemizzare, a concedere, Scrivi un po’come ti pare.
    C’è di che mettersi a imparare l’arte di riparare la motocicletta.

  23. Per me Haruki Murakami è un grande. Lo stupore e la meraviglia. I colori e le emozioni. E’ fotografico, cinematografico, letterario, fumettistico, onirico, disperato, reale e metaforico. E’ stata una scoperta tardiva da Kafka. E dopo averlo letto mi sono sentita fortunata per averlo ancora da leggere. Era da nobel, per me.
    Elisabetta

  24. C’è il mio amico Michele che si fa da solo i tagliandi alla moto. E’ anche uno scrittore, sicuramente un artista, ma lui non lo sa.

  25. Ma Scarlett Thomas quanto Murakami ha studiato? E’ che io avevo letto prima Che fine ha fatto Mr. Y e mi era piaciuto (per la follia dispersiva, giocosa e colta che lo pervade) e solo da due giorni kafka sulla spiaggia e mi sembrano padre e figlia! Che botto Kafka sulla spiaggia! A parte il notevole disappunto per il mancato disvelamento finale di qualsivoglia mistero, infilato come niente fosse fra una riga e l’altra, inchiniamoci per l’inventiva e per la faccia tosta!

  26. “Lo scrittore non può più pretendere che i lettori impieghino tempo ed energia nel cercare di capire una narrativa difficile”…Benissimo! Questo vuol dire che d’ora in avanti leggeremo solo i libri di Fabio Volo e Federico Moccia…e certamente saremo tutti più contenti del fatto che i suddetti ‘scrittori’ ci abbiano fatto risparmiare tempo ed energia preziosi! Ottimo consiglio, Murakami 😉

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