UN PIEDE IN METROPOLITANA: PICCOLA RIFLESSIONE SULL'ASSOLVERSI

La musica del diavolo non ha nulla di complicato. Anzi, a quanto si racconta, è costruita su melodie elementari condite da accorte dissonanze: due note, insomma, e l’ inferno è servito, naturalmente secondo gli antichi convincimenti (che tanto antichi  non sono: il vecchio jingle di Canale 5 era costruito su scala pentatonica, la più antica – era alla base del corale gregoriano – ma anche la più popolare, era fatta per essere intonata senza fatica dai fedeli, la musica di Vangelis per il vecchio spot Barilla era esemplare per la facilità di memorizzazione; e la colonna sonora di Angelo Badalamenti per Twin Peaks era una vera festa postmoderna di citazioni più o meno colte ma tutte riconoscibili).
Ora, per tentare un’ultima volta di capire le motivazioni nostre, di tutti, quelle che ci portano a reagire con tanta veemenza accusatoria davanti a fatti tragici come quello di Corinaldo, provo a ricordare che il diavolo medesimo non solo è nei famosi dettagli, ma agisce per vie semplici.
Tutto questo, temo che occorra sottolinearlo, viene scritto da una che al diavolo non crede, ma crede nella facilità in cui ognuno di noi cede a una tentazione che scambia, sempre più frequentemente, per “diritto”: assolversi, proporre di sé, sui social naturalmente ma non solo, un’immagine vincente, di persona che fa le cose per bene, è un educatore straordinario, un fine analista politico, un grande esperto di economia, uno scrittore immortale, un arbitro del gusto. Laddove per proporsi come tale ha bisogno di indicare qualcuno che è un pessimo genitore, un politico incapace, uno schiavo dei mercati, un collega che immeritatamente viene letto, una povera donna in metropolitana.
Confesso che lo spunto mi è venuto da una bacheca Facebook di un mio contatto che ieri sera mi è apparso in timeline con uno status imperativo che ammoniva le signore a stare lontane, sempre e sempre, dai collant. Faccenda frivola, per discutere di diavolo, di etica, di disgregazione, ma appunto i dettagli contano e sono un’ottima spia. Ammetto che, da freddolosa collezionista di collant di lana e cotone spesso (al massimo ripiego su calze molto, ma molto coprenti) mi sono chiesta perché, e che senso avesse incitare all’assideramento dei polpacci proprio mentre le temperature precipitavano sotto lo zero. Scorrendo i commenti, ho trovato il motivo: la titolare di bacheca, una giornalista che suppongo mia coetanea o giù di lì, ha fotografato un’ignara signora in metropolitana, immersa nella lettura di un romanzo, che aveva incautamente tirato il piede fuori dalla scarpa (non si fa, va bene, ma non era quello il punto) e, orrore, quel piede era coperto da un collant velato.
Dunque mi sono chiesta questo: cosa ci autorizza a fotografare un piede altrui in metropolitana per poter additare la proprietaria del medesimo al pubblico insulto? Quale demone agisce in noi, per una sciocchezza come questa o per altre più gravi faccende, per spingerci a violare ogni intimità (della sventurata passeggera si vedeva la parte inferiore del viso, ma per abiti, capelli, scarpe e borsa qualcuno poteva anche riconoscerla) e a porre una sconosciuta ignara a esempio di orrore, in questo caso inteso come cattivo gusto? Cosa ci fa diventare i giudici degli altri non nel nostro privatissimo convincimento e rimuginamento, ma in pubblico, con parola scritta e diffondibile da terzi e quarti e quinti?
L’inconsapevolezza, e va bene (ma la postatrice è una giornalista, e forse un paio di cose in materia di peso della parola dovrebbe saperle). Il così fan tutti, e va bene (anzi male). Il “tanto sto giocando possibile che non abbiate senso dell’umorismo” (il giorno in cui riderò su un piede fasciato in un collant mi obbligherò alla rilettura di tutte le freddure di Groucho in Dylan Dog). Il solito “è la mia bacheca ed esercito un mio diritto” (neanche per sogno, e se fossi la signora fotografata eserciterei ben altro diritto, ma non lo sono).
Insisto sul punto: è il disperato tentativo di sentirci al sicuro, perché la sola, vera e grandissima paura è quella del nostro personale fallimento, da cui nessuno di noi è esente, e la necessità di non pensarci proponendoci come infallibili, o comunque esenti da critica. Vale per i collant, vale per la politica, vale per tutto.
E se vi sembra che la stia facendo troppo lunga per uno status scherzoso (e fattela una risata, eccetera), rispondo evocando il meraviglioso e faticoso e conflittualissimo scambio cui due poeti, Vittorio Sereni e Franco Fortini, si sottoposero in tutta la loro vita. Guadagnandone, entrambi.
Come ci siamo allontanati.
Che cosa tetra e bella.
Una volta mi dicesti che ero un destino.
Ma siamo due destini.
Uno condanna l’altro.
Uno giustifica l’altro.
Ma chi sarà a condannare
o a giustificare
noi due?

4 pensieri su “UN PIEDE IN METROPOLITANA: PICCOLA RIFLESSIONE SULL'ASSOLVERSI

  1. La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui abbia la zampa caprina e la coda e le corna ed invece può essere la signora seduta di fronte che ti scatta una foto ed il momento dopo sei la strega Bacheca tra le freddure esenti di senso dell’umorismo pescate in rete. Roger ” Verbal ” Kint alias Keyser Soze in una scena tagliata de I Soliti Sospetti

  2. Cara Loredana, come dicevi: il diavolo si nasconde nei dettagli.
    Scusa se racconto qualcosa di mio. (Io) presto sempre volentieri i libri ad alcune persone che so me li restituiranno. Una, non la amo, l’altra sì.
    La prima mi riconsegna i libri in bustacce di plastica di quelle da freezer, l’altra quando mi vede al lavoro mi dice: posso restituirti i libri? E me li rende dentro una busta di carta inserita in un sacchetto di carta (pure carino). Per dire, come sono le persone attraverso piccoli dettagli e come ti pensano e ti considerano. P.S. Quando li presto li metto sempre dentro un bel sacchetto di carta.
    Ma tornando a quanto raccontavi, pensavo che solo alcuni ragazzini non molto consapevoli fotografassero sconosciuti per strada in situazioni che loro magari trovano eccitanti, o particolarmente curiose da poterle poi mostrare agli amici. Un adulto non ce lo vedevo che si mettesse a fotografare. È evidente che mi sbaglio.
    Però una cosa da dire mi sembra necessaria, ossia che nessuno dovrebbe poter fotografare uno sconosciuto senza i suo consenso, almeno non per uno scopo che non sia privato.
    È vero che questo non vale per i personaggi pubblici, ma c’è un implicito sottinteso che lo permette.
    Non è che vietarlo porterebbe qualche risulto efficace ma vorrei che fosse condiviso il concetto e questo permettesse che venisse considerato riprovevole tra le persone comuni.
    Non puoi fotografarmi e mettere la mia immagine in mostra senza il mio
    consenso, e come anche hai già detto tu, a maggior ragione se parliamo di una giornalista.
    Ce l’hai un codice etico a cui rifarti o no?
    E inoltre, gli organismi di controllo dei giornalisti, non l’avranno detto che non si devono utilizzare immagini di persone per scopi pubblici, se non necessarie a commentare un evento pubblico?
    Cari saluti. Patrizia

  3. Una volta si scriveva di “ cose accadevano in giro” . Oggi la realtà è stata sostituita dai social e quindi si scrive principalmente di quello che “accade su facebook.
    Incasellati nei loro status i profili utenti paiono anche facili da valutare: oltre alle loro banali opinioni abbiamo anche primi piani di pettinature macchine tinelli e gattini, per cui ancor più facile è cadere nella tentazione di condannare, oltre all’opinione, anche pettinatura, automobile mobilio , abitudini e vari autoassolvimenti interiori .. insomma una condanna integrale autoassolvente alla persona.
    E a li mortacci sua…
    Personalmente non sono su facebuk, ma sicuramente anch’io merito una condanna integrale e visto che ci sono oltre agli auguri di Buon Natale vorrei proditoriamente esprimere la mia’ sui fatti di Corinaldo.
    Credo proprio che non sia possibile negare che l’episodio ha sollevato con forza l’attualissimo problema educativo. Penso ai poveri insegnanti italiani, sottoposti a violenze, minacce verbali offese quotidiane, da parte di alunni e genitori ( alcuni mi dicono che ormai ai colloqui deve essere sempre presente un testimone..) ecco mi immagino un povero professore delle medie che ai ricevimenti si trova davanti una graziosa famigliola trapp che è appena tornata dal notturno concerto;, come sarà felice di constatare le analogie tra quei genitori e l’insultar cantando dei griots , magari assimilandolo alle tradizioni orali delle civiltà arcaiche e se poi si prende anche un paio di ceffoni ( sciaf-sciaf), considerare che quella potrebbe essere appunto “ la più compiuta espressione musicale del presente …
    ciao,k.

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