UN PO' DI RASSEGNA STAMPA E UNA DOMANDA SU JTLEROY

Il rilancio di Edoardo Sanguineti non è passato sotto silenzio: sul rapporto fra intellettuali e cultura di massa intervengono ancora Giuseppe Caliceti con un articolo su Liberazione di ieri, che trovate qui. Scrive fra l’altro Caliceti:
“Io sono convinto che la realtà prima di uno scrittore (almeno quando sta scrivendo) è innanzitutto la lingua in cui scrive. Sanguineti magari ha scritto una poesia sulla guerra in Iraq, ma non usa la stessa lingua di un corrispondente di guerra della Rai o della Fininvest. Nove scrive un racconto su Magalli, ma non usa la stessa lingua di “Sorrisi & Canzoni”. Balestrini scrive un romanzo sulla ‘ndrangheta, ma non con la lingua con cui ne parlano generalmente sui giornali. Scarpa scrive un romanzo d’amore, ma non usa la lingua che userebbe in tv la De Filippi o Alberto Castagna per parlarci di una storia d’amore. A prescindere dal quello che dicono su questi “temi” popolari, ne parlano nella loro opera con una lingua diversa: che spesso rappresenta il vero senso di quello che scrivono”.

Sul Corriere della Sera di oggi, Giulio Ferroni mena fendenti e non lesina accusa di barbarie e degrado (a Sanguineti e agli irresponsabili come lui, alè). Lo metto on line più tardi.

Su Repubblica di oggi c’è un articolo della sottoscritta su Costantino e l’Impero.
Infine: mi ha colpito quanto diceva in uno dei commenti precedenti Michele Monina a proposito di JTLeroy, che per la cronaca sarà a Roma fra una decina di giorni per presenziare all’anteprima cinematografica di Ingannevole è il cuore, tratto dal suo romanzo più famoso. Michele ne parlava come di un fantoccio. Io pongo un quesito su JT: la sua storia, quella di un bambino divenuto prostituto per seguire la madre sulla medesima strada, è perfetta per il destino di un’icona pop. La versione letteraria di un ospite di Costanzo, insomma. Però scrive come un angelo. Com’è la cosa? Non piace perché piace? Piace e basta? Finto, vero, straordinario nonostante o perché caso umano?

26 pensieri su “UN PO' DI RASSEGNA STAMPA E UNA DOMANDA SU JTLEROY

  1. su leroy:
    chi di quelli che gli sputano addosso era capace, alla sua età, di tirar fuori roba altrettanto compiuta?
    l’editing si fa in tutto il mondo, le speculazioni editoriali pure, chi se ne frega, gli americani impongono il modello – ma chi non trova sostanza letteraria in leroy è un cuore arido e un cattivo lettore

  2. Con Ferroni, che non a caso ha scritto anni fa “il senso della fine” – di che? di chi? – (Einaudi) siamo al “Signora mia, le stagioni non sono più quelle di una volta!”, e giù un bel sospiro. E di Sanguineti che dire? Che così finiscono di solito, quelli che – magari con una casa al mare in meno – mantengono negli anni intatti, la stessa vitalità intellettuale, il “fervore”, si può dire? L’intelligenza.
    E anche lì, forse perchè, i veri intelligenti non sono i furbi che hanno il respiro corto, e la corsa breve, ma quelli che non si prendono in giro da soli, e non barano, nè con sè, nè con gli altri? Forse è la stesso del “fenomeno da baraccone” Leroy? E allora, altro che “Signora mia! Non è più tempo!” altro che “ricerca di forme e formaggi”. Dopo tanta “avanguardia” e “retroguardia” si scopre che l’unica cosa su cui è davvero necessario lavorare per essere un artista/a, è la “consapevolezza”, l’onestà intellettuale, il “prendere coscienza di”?

  3. Per magnifica ironia della sorte, sempre Repubblica pubblica oggi una bella intervista a Franco Moretti sulla letteratura…spero che Ferroni la legga.

  4. Di Ferroni, l’affermazione più grave, per sostanza e modalità di enunciazione, è: “perché oggi il ‘popolo’ non esiste più”. Come dire: oggi l’uomo non esiste più. Io, davvero, vorrei evitare di occuparmi della questione, ma non ce la faccio, è più forte di me, pubblicherò qualcosa su i Miserabili. E’, ovviamente, imbarazzante, ma ciò che viene detto è anche impressionante. Per fortuna che la letteratura orale, che oggi circola nei libri degli italiani, esiste, come sempre è esistita e come sempre esisterà, al di là degli antigalileismi ecclesiastici della trapassata nomenklatura.

  5. Su JT Leroy mi sono già espresso, in volata, sempre in casa tua, oh Loredana. Non dico che i libri non sembrino scritti come li scriverebbe un angelo, lungi da me il voler esprimere un giudizio di merito sulla scrittura, io parlavo proprio di JT Leroy, quello che legge le sue storie nascosto sotto i tavoli delle librerie, il Michael Jackson de noantri, il fantoccio in questione. Non voglio tirare in ballo gossip editoriali (non ne ho la forza fisica), ma la sua scrittura mi sembra un po’ troppo derivativa da quella di altri autori ben noti in USA, e non solo. Il fatto poi che incarni una perfetta icona pop mi sembra evidente, anche se temo che a tale iconografia ci siamo abbeverati solo noi boccaloni italiani e quattro rockstar americane messe in croce. JT Leroy: una icona pop abbinata a libri editorialmente perfetti, peccato che l’una non coincida con gli altri. I suoi libri, per dirla come se fossi uno che lavora in una casa editrice, “funzionano”, però io, personalmente, lo ripeto, io ho i miei dubbi sul fatto che il nome posto sopra il titolo e il vero autore del libro coincidano. Poi, visto che non ho il cuore arido, e per di più oggi ho pure la bimba con la febbre, quindi sono particolarmente debole nel mio lato emotivo, nel leggere le sue storie mi commuovo, e mi commuovo davvero. JT Leroy come Melissa P? Non so, a me il libro di Melissa P ha fatto proprio pena, a prescindere dalla febbre della bimba…
    abbracci e pan di stelle Michele

  6. giuseppe, di imbarazzante in ferroni trovo la banalità delle affermazioni – si è atrofizzato l’acume critico a certa accademia – guarda e passa

  7. J.T. Leroy uguale a Melissa P., solo questo, un fantoccio. Non perdo neanche tempo per parlarne in bene o in male più di quanto non abbia già fatto. Più che un caso umano o che altro, io parlerei di freak costruito dall’editoria. Amen.
    Saludos.
    Iannox

  8. uffa uffa (dice la bambina colla febbre)
    michele scusa, ma se al posto di J T LEROY ci fosse scritto LUTHER BLISSETT non cambierebbe la sostanza di due libri davvero ben riusciti – godibilissimi e – AUTENTICA operazione POP – infarciti di riferimenti a una cultura ulteriore e largamente accettata come popolare dai consumatori (di libri)
    per dirla coi 3 allegri ragazzi morti: ‘la febbre può farti crescere/di un altro centimetro almeno’

  9. Kristian, “mi insegni a dire…”. Ho infatti distinto tra i libri a firma Leroy e quelli a firma Melissa P. Sul godibilissimo, magari, avrei da dissentire (dipende dai gusti personali, ma io nel leggere quelle storie godo poco, nonostante i riferimenti alla mia cultura personale). Per il resto, lo ripeto, ho definito “fantoccio” il tipo che è venuto in Italia a presentare quei libri, un tale che veniva presentato al pubblico come JT Leroy. Tutto qui.
    M

  10. di nuovo – chi se ne frega del marketing
    il problema è proprio che melissa p non è j t leroy – èd è un problema tutto italiano

  11. gente, io ho pianto veramente quando ho letto ingannevole è il cuore più di ogni cosa. Non l’ha scritto leroy? pazienza. chiunque sia stato è un genio.

  12. Io mi commuovo solo quando vedo qualcuno che si commuove e piange e piange tanto ma tanto davanti alle guancette rosa di Heidi. E anche quando Monina diventa zuccheroso come a dire: “Ma sì, in fondo, in fondo, anche Leroy scrive bene, o chi per lui.” Insomma, così non si scontenta e non si accontenta nessuno. Ma la critica, dov’è finita? Boh
    E’ sabato sera, per fortuna, allora vado, sì, vado. Ciao.
    Iannox

  13. cara serena, il problema è che i libri di Leroy sono certo ottimi libri. Ma, ammetti, se non li ha scritti lui non ti senti almeno un po’ ingannata, e noi con te?

  14. caro Iannozzi, per la cronaca io faccio sì il critico, ma il critico musicale, e quindi posso pur permettermi di esprimere il mio parere di lettore senza addentrarmi in critiche letterarie. Posso dirti, visto che, ahimé ho avuto la sfortuna di ascoltare alcune canzoni scritte dal sig Leroy (ce le ha propinate prima di nascondersi sotto il tavolo della Fnac, tempo addietro), che le canzoni in questione fanno accapponare la pelle, ma non per questioni legate all’emozione. Non mi sembro il tipo da voler accontentare tutti, i fatti parlano per me. Del caso Leroy contesto solo un fatto, se gli eventi raccontati, invece che frutto di esperienze vissute fossero solo frutto della fantasia dell’autore, credo che almeno qualche lettore avrebbe conservato le proprie lacrime per altre situazioni. Tutto qui. Il marketing è marketing, ci mancherebbe. E anche gli editing sono gli editing. Ci rimancherebbe. Anche i ghost writers sono i ghost writers, e ve lo dice uno che ci si è pagato l’affitto a lungo, non una federica qualsiasi. Se poi posso scendere appena appena nel personale, caro Iannozzi, mi sembra che ultimamente (io ti conosco come firma dai tempi di Clarence), tu sia un po’ vittima di sfiducia al limite del livore. Un po’ di ottimismo, che diamine, è sabato…

  15. Caro Michele,
    non so perché – ma così a pelle – mi stai simpatico. E non poco. A parte questo, tornando a Leroy, per fortuna, non ho avuto modo di ascoltare le canzoni di Leroy. Però è esperienza che vorrei fare, però il più tardi possibile, perché io sono ancora attaccato a Nick Drake e a Frank Zappa e a Leonard Cohen, insomma alla musica vera. Che Leroy sia un gioco o piuttosto una Heidi inventata da un ghost writer, poco m’interessa: contesto la scrittura, poi il personaggio che, a dirla tutta, non trovo affatto simpatico. Nella scrittura di Leroy c’è un po’ di quella frustrazione derivata dal cristianesimo e una storia drammatica raccontata come fosse un manga giapponese. Ecco gli ingredienti principi, a mio avviso, che stanno dietro alla scrittura di Leroy o Heidi. Ma chiunque si nasconda dietro Leroy, ecco, il punto è che la sua scrittura la trovo trita e ritrita, troppo facile, troppo perché non si possa indovinare che alla fine qualche lagrima anche al più duro di cuore la strapperà. Ed io che il cuore l’ho affogato in lagrime e risate di tutt’altro spessore poetico, figurati quanto mi puo’ toccare la drammaticità di questo Leroy-Heidi. Preferisco di gran lunga i “bellissimi perdenti” di Cohen con una clessidra in culo, quello è un romanzo che vale la pena di leggere, e non il cuore di Leroy. Comunque, gusti. Non amo neanche i ghost writer, per quanto sono a volte una necessità più del ghost writer che non della narrativa o della letteratura, perché il ghost si deve pagare l’affitto e se altro non gli viene offerto, lo capisco che ci si dia anche ai fantasmi.
    Clarence/Sdm fu una stagione all’inferno rimbaudiana, almeno finché durò. Poi le strade sono quelle che oggi sappiamo. Non rimpiango Sdm, ma forse prima era meglio, o almeno sopravviveva questa illusione.
    No, livore non nutro: non vedo perché e non capisco nei confronti di chi o di che cosa: sono pacifico e incazzato, ma non ho interessi che mi leghino ad un autore piuttosto che a un altro, o a un editore qualsiasi. Mi piace leggere libri belli, solo questo, e m’incazzo quando il libro che pago è una schifezza. Sarà questo il motivo per cui compro sempre meno libri? Forse, nel mio pessimismo, ho cominciato a volermi bene e non ho più voglia di intossicarmi il fegato come una volta. In fondo c’è tempo, c’è tempo per tutto: e le edizioni economiche o quelle in allegato ai giornali, ai quotidiani, arrivano sempre per quei romanzi tanto popolari che più popolari non si puo’. L’ho detto: avessi saputo che il Codice sarebbe stato in allegato a Repubblica, mica mi sarei preso il disturbo di prenderlo, di prenderlo quando ancora non c’era su tutto questo incensare e disprezzare intorno a Brown. Ad ogni modo, è fatta.
    Sì, hai ragione è sabato: meglio esser realisti, così ti saluto e vado con la mia bella a cercar un venditore ambulante di zucchero filato. Ci addolciremo la bocca insieme e poi… Mi dispiace, ma questo è private affair.
    Abbracci, abbracci
    Iannox

  16. ma sono io che vi ringrazio, ilpostodeilibri e compagnia tutta. Quanto a Moretti, l’intervista -e il libro – sono secondo me una delle migliori risposte a Ferroni. Domani cerco di spiegarmi meglio.
    (nessun cinese da digerire, ma svariati preadolescenti in pieno sabato grasso all’opera, questo sì).

  17. Ecco, io che invece torno da un ristorante cinese che mi porterò dietro per i prossimi tre giorni, io che sono allo sbando digestivo vorrei, di sottecchi aggiungere alcune cosette.
    Su JtLeroy, come autore, non avendolo letto non posso parlare: ma vero è quello che dice Serena. Se è solo un fantoccio e dietro lui c’è un gosth e se questo gosht scrive libri bellissimi, be’… chi se ne frega, in un certo senso. E’ il libro quello che conta, l’opera non l’autore in quanto “personaggio”. Se no qui si fa culto della personalità.
    E anche se fosse proprio lui a scriverseli…
    Leroy è, di persona, antipatico? E chi se ne frega bis! Potrebbe anche essere uno stronzo di prima categoria, io non ci vado a pranzo con lui, non ci vado al cinema, non ci vado in vacanza. Spesso, anzi, conoscere gli autori può essere forviante. Mica tutti sono dei simpatici mattacchioni come il sottoscritto! 😉
    Cosa racconta Leroy, vero o finzione? Anche questo, perdonate, c’entra poco. Non è che “il segno rosso del coraggio”di Stephen Crane, come libro sull’assurdità e la violenza della guerra, è meno bello perché Crane in realtà in guerra non c’è mai stato. Lo scrittore non è mai, in questo senso, realista. Altrimenti tutto si riduce a testimonianza (cosa degnissima, ma è altra cosa dalla letteratura…. che poi si possa avere una testimonianza che sia anche letteratura è pacifico) non è di questo che dobbiamo parlare quando parliamo del valore di un testo.
    Dobbiamo parlare, proprio come dice Caliceti, della lingua. Della perfetta aderenza, fra testo, narrazione, lingua. E’ questo che fa l’opera letteraria da quella pseudoletteraria. La questione della lingua “è” la questione per antonomasia in Italia. Ce lo dice Gramsci, ce lo dice Pasolini (ma ce lo diceva anche Dante). E’ da qui che forse dovremmo ripartire per una disanima più ficcante rispetto tutto quello che abbiamo detto fin ora.
    Ma vi lascio, il cinese desidera tanto essere digerito. Tisana: a me!

  18. (SOPRAVVISSUTI 2 . Un’altro intervento é nel post prima. Abbiamo sbagliato post”o”)
    E sì, dicevamo, anche a noi di ilpostodeilibri.it , che non siamo professoresse e anzi piuttosto delle squinternate di grado super, quella di Franco Moretti sembra una gran bella rivoluzione, si. Noi, che dal 2003 nel nostro “piccolo piccolo” sito curiamo due sezioni uno dei SOPRAVVISSUTI e l’altra di quelli che invece sopravvissuti non sono, (ergo, INTROVABILI) la aspettavamo una rivoluzione così. E oggi su Repubblica, finalmente l’intervista, e un cambiamento di prospettiva a 360 gradi, del nostro professore, rispetto all’altra sua corposa opera, IL ROMANZO. Perché lì invece l’analisi era rivolta, forse troppo, solo agli autori, come dire, mai “dimenticati”, con tutto il rispetto per il “discorso” quanto mai a la page, quello sul “canone” . Che prevede l’insegnamento di “autori importanti e autori meno importanti” , ma non sul gusto del lettore, come sarebbe giusto, ma per via, diciamo così “di retorica istituzionale”. La letteratura come qualcosa che nessuno “deve e può dimenticare” . Come se la letteratura fosse una triste commemorazione, una specie di evento di quelli che se sei un po’ superstizioso giustamente ti gratti, invece di leggere. Tant’è che era stato pure accusato il professore – da Daniele Brolli? mi sbaglio – di non tenere in nessuna considerazione la “letteratura molto fruita” – libri spolpati e sucidi – e meno studiata”, diciamo così, i romanzi più popolari. Comunque, stasera siamo contente. Insomma, i temi sono sempre gli stessi, nella vita. I professori, gli squinternati, la fortuna, la sfortuna, degli autori, dei periodi. E poi il popolo che non legge, la buona fede, gli onesti, i disonesti, gli intellettuali, quelli che fanno finta, e quelli che certe volte non ce la fanno più. Ci scuserà la Lippa che le abbiamo invaso il salotto, ma era uni dei temi di discussione oggi, no? Sappia comunque la padrona di casa che non la ringrazieremo mai abbastanza della sue generosità, e che se l’avessimo conosciuta prima, forse saremo anche state un po’ meno “instabili”. Se la stabilità può essere data, come dire, dalla sicurezza che ci sia un posto dove “comunicare”. Si diceva così una volta?

  19. Mi sono ricordata. Era stato Emanule Trevi sul Manifesto a esprimere qualche dubbio sulla validità e il “senso” di un’opera come quella compilata da Moretti. “Chi la legge? Perché leggerla? In che (non) considerazione viene tenuto il lettore?”. Qualche buona osservazione l’ho trovata anche in un bel libro di Pierluigi Pellini, un giovane atipico professore, che non ho mai visto, e che ho “identificato” su Internet. Ha scritto un bel libro “In una casa di vetro”, si chiama. L’ha pubblicato Le Monnier.

  20. Sono un cuore arido.
    Non l’ho letto tutto Ingannevole…, leggicchiato qui e lì in libreria. La scrittura mi piace, molto. Ma il contenuto mi ha annoiata.
    Sono un cuore arido.

  21. ho letto “Costantino e l’impero” (carino, divertente) e ho letto anche la recensione sulla Repubblica. E c’è una domanda che mi sta ossessionando (proprio non ci dormo) : Ma Zola, che cosa c’entra?

  22. Se Jt Leroy è un fantoccio non lo so, e poi non l’ho ancora letto. Ne ho sentito molto parlare, questo si. Ora, come dice Gianni Biondillo, ciò che conta è l’opera. E’ vero, l’autore è molto meno importante dell’opera – e parlo di opere e autori importanti, perchè della fuffa si, è importante, per così dire, solo il “personaggio-autore”. Ma sapere se dietro Leroy ci sia un ghost writer oppure no, se questo ragazzo è un fantoccio, una specie di cantante pop anni 80 che (non) canta in playback (perchè infatti la voce registrata nei suoi “dischi su carta” non è la sua) se insomma JT Leroy è il Den Harrow (ve lo ricordate?) della letteratura americana, a mio avviso è importante saperlo. L’opera sopra tutto, si, ma l’autore, perlomeno, un passo dietro. Bisogna sapere chi scrive i libri – anche se si tratta(forse, in questo caso) di un ghost writer di grande talento. Nessuno o quasi conosce la faccia di Pynchon, mi pare, ma Pynchon è l’autore, lui comunque c’è, sappiamo che è lui che scrive ciò che scrive da 40 anni.

  23. Evviva Costantino.
    Manca solo un bel dibattito in TV (da Vespa?) per chiudere il ciclo del materiale organico.
    La cacca uscita dal TV rientra nella pancia di chi l’ha generata.
    Evviva la TV .

  24. Leroy è grande, perchè ha tanto sofferto e alla fine è riuscito a manifestare il suo dolore nel modo migliore: scrivendone. Purtroppo, non sempre le opere nate dal dolore sono bellissime. Io ho letto solo “Ingannevole” e non mi è sembrato proprio bellissimo (ma tanto di cappello alla sua capacità di risorgere dal nulla).

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