UNA CAMERA CHE ASSOMIGLI A UN SOGNO SFRENATO

Sull’ultimo numero di Nuovi Argomenti, fra altre consigliabili letture, c’è un saggio di Ferruccio Parazzoli che si chiama Satori in cucina ed è dedicato al parlare di se stessi. Meglio, allo scrivere. Meglio, al “genere chiamato tradizionalmente autobiografia”. Che non è il diario, avverte Parazzoli (“il diario non è una mesta confidenza con me stesso come vorrei far credere, ma con il lettore che, un giorno, spero, mi farà il dispetto di scovare quanto sono andato scrivendo nel mio presunto segreto”). Parazzoli parte da lontano e parte alto: dalle Confessioni di Sant’Agostino a quelle di Rousseau, per poi verificare come gli interlocutori (Dio nel primo caso, la società nel secondo) e il racconto stesso scendano man mano le gradinate di marmo verso la quotidianità e il “campo stretto” (nel senso in cui usa il termine Alan Bennett). E dunque: la descrizione “bassa” (sia pure applicata ad una scelta esistenziale totalmente anticonvenzionale) di Thoreau in Walden; la “meraviglia delle cose comuni” di de Maistre in Viaggio attorno alla mia camera. Ancora: Lo spleen di Parigi di Baudelaire, con la scoperta che “di tutto c’è qualcosa da scrivere, e tutto pretende che io lo scriva”. Poi. L’interscambiabilità fra luogo (ancora Parigi) e scrittore in Hemingway, Henry Miller, Kerouac. La passeggiata di Robert Walser e il gelido Pomeriggio di uno scrittore di Peter Handke. Infine, le conclusioni di Parazzoli stesso: “Seduto accanto alla lavastoviglie osserverò ciò che non accade da nessun’altra parte, solo qui dentro, al massimo sotto i miei piedi. Siamo in ‘tempo reale’, ‘campo’ ristretto, inquadratura al minimo. Flash”.

Giunti al gradino più basso della sontuosa scalinata agostiniana, si riparte, o si cerca un modo per scendere ancora? (ammesso, certo, che l’analisi di Parazzoli sia interamente condivisibile).

47 pensieri su “UNA CAMERA CHE ASSOMIGLI A UN SOGNO SFRENATO

  1. Scrivi quel che ne pensi: ma Parazzoli è italiano? Perché a vederlo sembra cinese. Perchè “MM Rossa” – per esempio – è un libro bellissimo, diciamo in “senso classico”, che cerca quindi la non-originalità, e la comunanza col lettore invece che la distinzione e il superlativo assoluto. E così altre due opere. Perchè Parazzoli non grida mai. Per chi fosse curioso/a di lui, intervista al di fuori di qualsiasi leccaculismo su ilpostodeilibri.it, numero 20.

  2. Piacerebbe scrivere di Ferruccio Parazzoli, ma credo che glielo lascerò fare da sé, così impara almeno a tener la penna in mano.
    Saludos.
    Iannox

  3. …ah, Parazzoli è uno che ha incontrato, cenato, lavorato con Hemingway – come editor – e altri di questo genere, e non ci ha mai scritto sopra un diario, un’Autobiografia con Vips. Ripeto la domanda: è o no italiano?

  4. Due assenze, le noto così, anzi tre. Cellini, Alfieri e D’Annunzio, che per motivi diversi secondo me producono un salto nella scrittura di sé e la rendono più laica. Gli esempi che tu hai fatto, che credo siano tratti dal saggio, vivono ancora di quella tensione tipica di Agostino, che parlava a Dio per parlare di sé, perché non era cosa buona e giusta che l’autore si nominasse (mi viene in mente Dante nel purgatorio, è così?). La triade, che ho ricordato, secondo me fa un discorso diverso: mette in scena un personaggio che casualmente si chiama come l’autore del libro (aggiungo in questo post in progress, che si potrebbe anche parlare di Casanova).
    E poi un’altra domanda. Ma il Mestiere di Vivere di Pavese? Non è un diario, sicuramente. Potrebbe essere una autobiografia, o più semplicemente, io credo, è un romanzo uscito postumo

  5. Accidenti! Tocchi in Mondadori e subito ti mordono le chiappe.
    Sinceramente mi sono sempre girate male, per natura, quindi significa che mi girano e basta come sempre. Ho letto quel che ho letto, e non mi sembra il caso di fare la lista della spesa del “questo-letto a letto, aspettando che il postino mi suonasse due volte almeno”.
    Sì, mi sa che mi girano. 😉 Perché al noioso Vivaldi continuo a preferire Chaikovskij. E mi dà fastidio che mi si metta – alla berlina – nella spiacevole condizioni di farmi i conti “nella mia libreria”. Sì, adesso credo che mi girano veramente.
    Saludos
    Iannox

  6. Ferruccio Parazzoli non è un uomo: è un motivo. E’, per la precisione, il motivo per cui scrivo prosa. Incontrai Parazzoli per la prima volta nelle brume segratesi: era Obi Uan Kenobi, Satana e il cinese dei quaderni kafkiani – tutti insieme. Stranissimo intellettuale apparteto in evidenza, non è nemmeno un’eminenza grigia: è un’eminenza trasparente. Per me è un culto. Ancora non si sa quanto la neonarrativa italiana debba a Parazzoli. Eppure si dovrebbe sapere. Non c’è testo contemporaneo importante che non sia passato per il filtro di Parazzoli. A parte l’opera di Wu Ming, Parazzoli è presente ovunque. Fondamentali i suoi pareri su Evangelisti, Pincio, Monina, Mancassola, Janeczek, Desiati, Piperno e via andare. Il caso Virgili fu, a mia detta, un capolavoro globale di Parazzoli. Come accade stando accanto al Grande Tentatore, Parazzoli ti dà il meglio e il peggio. Insieme a lui ho vissuto la mia più brutta esperienza intellettuale, la fusione mentale non riuscita in occasione della stesura dei “Demoni”. A lui si deve l’entrata della coscienza del satori nella narrativa contemporanea italiana, e non solo la fondazione di una casa editrice popolare come furono e sono e saranno gli Oscar. Quest’uomo è sulfureo quanto lo è il mondo. E’ mondo e immondo, è un mistificatore palese e un sincero menzognero. Il suo prossimo libro si intitola “L’evacuazione”: si tirino conclusioni a partire da questo titolo.

  7. Iannox, se ti gira male dillo subito, che oggi ho da fare, e per vostra fortuna starò fuori dalle balle. ma lo conosci? lo hai letto? che hai letto di lui?

  8. C’è un filtro, un restringimento, una strozzatura: ridurre sempre più il campo, evidenziare il sempre più particolare, fino a che, con un’ultima spogliazione, con l’estrema epifania, si oltrepassa il filtro, si supera il restringimento, si passa con la propria interezza al di là della strozzatura, e la prospettiva si fa senza confini.
    Per dire: il Wolden di Thoreau non è minimalismo.
    Scava, scava, elimina, elinima, finché raggiunge l’archetipo.
    Walden è un archetipo.
    Thoreau stesso si fa archetipico.
    E solo con questo movimento di reductio ad unum, solo con il divenire infintamente occulti si rinasce infintamente svelati (e si trova, in punto di morte, il proprio animale totemico, ma questa è un’altra storia).
    Traslato e con ulteriore reductio: il campo stretto dello scrivere in rete, minimale alla vista dei più, è una ricerca dell’archetipo?
    (disvelo infine e denuncio l’Autrice subliminale: nell’ultimo numero di Nuovo Argomenti si parla di Piperno.
    Ancora lui.
    Pervicace)

  9. Dai, Iannox, se vuoi ti firmo una dichiarazione giurata in cui affermo che a Mondadori non ho neanche pensato, mentre scrivevo del saggio di Parazzoli. Mi interessava l’argomento, non l’editore, uffa. E non ho dubbi sulla tua libreria, giuro anche questo 🙂

  10. Va bene Iannox, dai, ti tirò su io, che persino Genna quando si parla di Parazzoli rinuncia a un po’ della sua ormai mitica rudezza e si addolcisce. proviamo con te
    “…Dava scossoni, beccate no, niente, nessuna beccata, ma soprattutto taceva. era per questo che pregavo, perchè tacesse come aveva sempre taciuto fino ad allora.lo fece. non chiamò nessuno della lista dei nomi mandati a memoria. si scosse soltanto e soffrì. soffrì come può soffrire un pappagallo in un cesto apppoggiato sul pavimento di un vagone della MM rossa…”.
    …e poi, Iannox, pensa che bello. Il pappagallo va nell’ospizio dove c’è il padre del protagonista e lì,
    “…con un occhio vide mio padre. Tirò con la zampa, rinunciò, ‘Anita’, gracidò piano. ”
    Iannox, dì la verità, esageravo? Che c’entra Mondadori? vado, va. ma vi penso.

  11. Ma sì, lo so che sei in buona fede, cara Loredana. Che poi Parazzoli sia in Mondadori è accidentale, mettiamola così. Non ho detto però – giusto per fare il punto ed evitar possibili equivoci – che non mi piace Parazzoli. Mi son limitato ad evidenziare che qualcuno sembra intoccabile.
    Non dirò a proposito della Beat Generation perché ogni volta che ne parlo vien giù mezzo mondo e pure un urlo ginsberghiano. Quindi taccio, così pure su Papa Hemy e Henry Miller, in quanto, almeno per me, loro sono intoccabili. ^___^ E spendo solo una preghiera per Kerouac, il buon vecchio angelo mezzanotte, quel santo pazzo mezzo cattolico mezzo buddista. Ma poi basta.
    Parlare di sé stessi. Ce ne fosse uno capace oggi! Odio le confessioni anche se passate per letteratura o satori in cucina o nella tromba delle scale a farlo alla boia d’un giuda. Si dovrebbe scrivere di sé stessi, ma le generazioni che sapevano farlo sono passate, e quelle di oggi tirano su col naso e non soltanto perché raffreddati. Un piangersi addosso esasperante, altro che premere sull’acceleratore e seguire la strada o dire della caduta dell’America – pardon – dell’Italia. Però mi conforto un poco con The Assassination dove Sean Penn fa l’attore veramente e ci dice pure d’un certo Tricky Dick Nixon e d’un possibile attentato alla Casa Bianca. Qualcosa che è ben più d’una confessione con sé stessi e con il pubblico in sala.
    La mia biblioteca straripa. ^___^ E José Lezama Lima mi guarda con occhio languido, e m’invita: “Leggimi! Leggimi! Leggimi! Ancora una volta, non ti chiedo cent’anni di solitudine. Ma una volta sola.”
    Saludos.
    Iannox

  12. Beh, Effe, sull’ultimo Nuovi Argomenti Piperno scrive un breve saggio. Ma, ditemi voi, devo autofiltrarmi ogni volta che si rischia di citare Mondadori e l’autore-pare-più detestato dal web? (che poi si giudichi uno scrittore dal suo tweed – citato peraltro da D’Orrico- mi sembra operazione francamente puerile, se posso).

  13. Signora!
    Per de-testare occorrerebbe prima testare, e io per ora non me ne accingo, sopravvivendo alla lacuna.
    Pensavo che il suo fosse un gioco, come Scova l’errore, o il numero 666 inciso al contrario nella traccia di un disco.
    Trova P. (non lo nomino e lo rendo kafkiano) anche dove non c’è, pensavo fosse.
    E credevo, tronfio, di poter passare a ritirare il premio, che avrei dedicato alla mia famiglia, agli amici del bar-tavola calda e a tutti quelli che mi conoscono (ho tracciato una breve autobiografia per restare in tema, non so se)

  14. C’è un che di “dannunziano” nella scrittura bella di Parazzoli. Non arriva al cuore, ha ragione Valchiria.
    Saludos.
    Iannox

  15. Ribadisco – per dirla alla Genna – che Genna non è “parazzolianamente” impermeabile. Vi spiego, stufa, scazzata, del lavoro fatto, l’altro giorno ho pure perso il portafoglio con svariati euri – o me l’hanno rubato, neanche lo so, questo dice tutto – vado sul blog. Schiaccio sul neretto Parazzoli, c’è una pagina del Miserabile che non ho letto (confesso, non leggo sempre il miserabile) e giuro, cinque minuti, e ridevo da sola. Per dire, quanto conta il tema. Come alle elementari. Ci sono bambini che se li fai parlare del fratello della mamma si scatenano. Ti fanno morire. Un’altra decina di sedute del “trattamento parazzoli” e ci siamo, Genna, su…

  16. oops…beh, insomma, non cambia il modo in cui mi muovo su e giù per la scala agostiniana, anche se spesso lo faccio camminando all’indietro o saltando gli scalini a due due.

  17. Per mia poca chiarezza, in effetti, andrea: quelle sono parole di parazzoli riferite a Baudelaire. Da Baudelaire è tratto invece il titolo del post. Scusate se ho ingenerato confusione 🙂

  18. Di colpo, dopo anni di purgatorio, non si fa che parlare di Nuovi Argomenti: e Piperno di qua, e Parazzoli di là, e Colombati di su e Genna di giù… Nuovi Attori per Vecchi Argomenti. MOLTO PUBBLICIZZATI.

  19. premetto che non ho letto l’articolo di parazzoli.
    ma, sull’autobiografismo, mi sentirei di aggiungere qualcosa alle parole di baudelaire “di tutto c’è qualcosa da scrivere, e tutto pretende che io lo scriva”: invertendo ballardianamente il percorso e affermando che tutto ciò di cui narro, per iscritto o meno, pretende che io ci sia. non sarò un artista, e magari non ho il talento necessario perchè ciò che narri possa interessare ad altri, ma è necessario che io ci sia, in cucina come nelle torri gemelle mentre cadono, per poterne narrare, almeno a me stesso.

  20. Ok, il posto: farò un pezzo intitolato TRATTAMENTO PARAZZOLI, ma piascia.
    Fuggo, vado alla FNAC, devo presentare un libro di Aldo Nove, siamo una mafia.

  21. mi raccomando, picciotti, salutate Aldo Nove (in realtà fingo sapendo di fingere, ci siamo appena sentiti: se noi siamo stati attaccati dal domenicale, lui è stato appena insultato da Libero…)

  22. E perchè, Valchiria? Pensare con simpatia, con stima, e anche affetto, a persone che si sono conosciute anni prima, non esclude che si possano provare gli stessi sentimenti per altri che si conoscono ora, o si conosceranno.

  23. A dirla tutta, un pò sembrate una cosca.
    In una stampa di Magritte sareste l’uomo alla finestra.
    Gli altri sono il Fuori.

  24. “il cavaliere d’Inverno” di Pulina Simmons.
    L’amicizia e la stima sono spesso la maniglia salvifica di una finestra e di una porta. Insieme all’ideale e alla responsabilità individuale.
    Oggi sono stanca.

  25. Infatti Sig.ra Loredana, la cosa non era dispregiativa.
    Ma capisco che (mannaggia i miei primi interventi) ora c’è bisogno di precisare.

  26. Be’, è tipico della “scrittura femminile”, no, ed è considerato il suo limite e il suo pregio, di volta, in volta, il “parlare di sè”. Di Marie Cardinal, della Atwood in “Occhio di gatto” di Doris Lessigin “Il Taccuino d’oro” di quasi tutti i libri di Margaret Drabble si dice che siano “autobiografia”. E addirittura per “Cime tempestose” si è tentato di parlare in termini di autobiografia per spiegare la bellezza e la singolarità del romanzo della Bronte. Non so, io tendo a pensare addirittura che “l’autobiografia” in letteratura non esista. Mi rendo che è un po’ un’esagerazione. E però, se quando si racconta, una forma si è costretti a sceglierla, chi ci dice che l’autobiografia non sia solo un modo “ravvicinato” di raccontare il reale? Se invece di me parlo di un ET o di un fantasma è uguale. O no?

  27. Scusate in un momento di frenesia riordinatrice, chissà perchè – anzi, no, mi è venuta osservando l’alto tasso di litigiosità feroce, spiegabile sì, nei confronti dei dell’utriani, ma fra noi, (fra quelli a cui questo blog piace), perchè si litiga “ferocemente”? si dovrebbe solo “litigare”, non ferocemente, no?. Forse uno/a si dovrebbe chiarire bene perchè – della serie, più che l’autobiografia ci serve un po’ di vecchia e sana autocoscienza – freqeunta un blog. Questo blog. Che cosa si aspetta? Che cosa vorrebbe sentrsi dire dagli altri? Che cosa vorrebbe dire e non riesce a dire? pensa che gli altri lo aiutino, o peggiorino le sue condizioni? Perchè? Quanto è disposto a rinunciare all'”amor proprio” – mia madre diceva così – per stare con gli altri? Quanto parte con la voglia di insultare? Della serie mangiato salsiccia a cena? Scusate, è un vizio che ho da sempre, non me lo voglio neanche togliere, ci ho impiegato un po’ a farlo diventare tale, ma io quando capisco una cosa proprio della serie, io…mi sento bene!

  28. Come per dire che non esiste il perfetto realismo perchè filtra sempre l’opinione personale; come per dire che non esiste una tela che non dipinga pure il suo pittore.
    Sicuramente è così: infatti non penso esista un “genere autobiografico” per definizione; ossia ne esiste la definizione e basta, ma non credo che ci sia realmente un genere categorizzabile a priori. Poi, se vogliamo sorvolare le qualità che definiscono formalmente un genere ed ampliare il nostro punto di vista fino a quello di ogni scrittore, è ovvio che qualunque libro ha del sudore e del sangue e dei sogni e del tempo e della moralità o amoralità e delle aspirazioni e delle osservazioni del suo scrittore.
    Ugualmente anche quando ci riconosciamo o meno in un libro, quando spinti da una curiosità o da una illuminazione (perchè no) o da un consiglio e perfino un giudizio, stiamo facendo autobiografia.
    Le cose che mi piacciono esprimono il bello secondo me; quelle che non mi attirano manifestano la noia secondo me, l’indifferenza secondo me, l’odio secondo me.
    A questo punto però il discorso straripa, come spesso accade, in qualcosa che non è più il discorso iniziale: tutto è vero e tutto è falso e potremmo parlare di sofismo e di Gorgia, ma staremmo a filosofeggiare.
    Del resto esiste un senso comune secondo cui un libro è più o meno autobiografico di un altro: perchè no.
    Diciamo allora che certi libri sono eccellenti nel genere cui più somigliano; certi altri lo sono di meno.
    Così siamo eccellenti diplomatici.

  29. Io cerco di non litigare perchè mi piacciono molte delle persone che frequentano questo blog. e, mi piace a volte dovermi “disciplinare” per non litigare. però a volte mi dispiace se gli altri litigano – credo che alla base ci sia qualcosa come delle specie di “crisi abbandoniche, della serie dovrei dire, “Non sono cazzi miei!”, invece penso, sotto sotto da qualche parte, “Oddio, se litigano troppo e poi non ci parliamo più? nessuno con nessuno? se il blog sparisce? se ognuno se ne va per la sua strada, io dove vado?” . Quindi era una proposta pratica, per quello ho detto, “tentativo di riordino”. Naturalmente vale anche per me. No, non era una freciatina. Non ho litigato con nessuno. Per adesso…grrrr!!!!

  30. ok. Hai goduto mangiando una salsiccia magica, che ti ha spinto con ansia (anzi, anzia, come scrivi tu) a riordinare il ripostiglio di questo blog, da cui son venuti fuori ferocia autocoscienza e qualche altra cosuccia che adesso non ricordo perchè io la salsiccia non l’ho mangiata e quindi (come dicono quelli della fiesta) non ci vedo e non ci rammento più dalla fame.
    Con chi hai litigato?

  31. valchi, dimmi. a proposito di che? della “ferocia” dell’autocoscienza, del litigio, del blog, della salsiccia, dell’ordine, del disordine, di dell’utri, di me, del posto, o del godimento?

  32. Scusa se ti rispondo dopo quasi due ore ma ogni tanto devo pur smettere di lavorare e tornare a casa 🙂
    Cara IlPostodellaPacecheConsentediParlare, ora ho capito. Non avevo percepito nessuna frecciatina (giuro che non soffro di paranoia fino a questo punto nè di protagonismo fino a questo punto). Avevo realmente desiderio di capire da cosa derivasse la tua ansia; ancor più di capire cosa temessi.
    Ora ho capito e anche se non sembrerebbe (ehm…ognuno c’ha il suo carattere) concordo.
    In fondo, a prescindere di cosa si parla, son pochi i posti dove realmente si può parlare.
    Buona Pace a tutti.

  33. REALISMO NON MAGICO
    – Eugenio Montale –
    Che cos’è la realtà
    il grattacielo o il formichiere
    il Logo o lo sbadiglio
    l’influenza febbrile
    o la febbrile o quella
    del psicagogo
    Che cosa resta incrostato
    nel cavo della Memoria
    la cresima, la bocciatura
    il primo figlio (non ne ho)
    le prime botte prese
    o date,
    il primo giorno (quale?),
    le nozze, i funerali,
    la prima multa, la prima
    grossa impostura,
    la sveglia da cinque lire
    a suoneria
    o l’altra col ghirigoro dell’usignolo,
    la banda all’Acquasola,
    la Pira (La) non accesa ma a bagnomaria
    tra le dolci sorelle
    dell’Istituto di Radiologia,
    le visite e la morte della zia
    di Pietrasanta
    e tanta
    e tanta troppa roba, non so quale
    Che cosa di noi resta
    agli altri
    (nulla di nulla all’Altro)
    quando avremo dimesso
    noi stessi
    e non penseremo ai pensieri
    che abbiamo avuto perchè
    non lo permettera’
    Chi potrà o non potrà,
    questo non posso dirlo.
    Ed è l’impaccio,
    la sola obiezione che si fa
    a chi vorrebbe abbattere il feticcio
    dell’Inutilità.
    A proposito di qualcosa che più somiglia al raccontar di sè.

  34. Wow, meglio di Zelig, qui! Io posso sempre fare Claudio Bisio, un simpatico umorista. E che gli altri si scelgano i ruoli, così ci divertiamo tutti insieme.
    Saludos.
    Iannox-Bisio

  35. Scusate, non c’entra, però c’entra. La Sgrena che dice – giustamente, finalmente – a Scalfari che parla di cose che non sa, a proposito dell’ Iraq. E che è una cosa indegna. Attraverso uno/più “corpi esposti” – Sgrena, Calipari, corpi dei morti, ma corpi – è venuto fuori un nodo centrale della trasmissione della cultura in Occidente. Una quastione fondamentale. Che c’entra con l’autobiografia. C’entra perchè un/a giornalista che fa il suo lavoro rischiando “fisicamente” – “invece di rimanere in albergo”, dice la Sgrena – produrrà “lavoro culturale” qualitativamente molto diverso da uno che parla di Iraq e sta a Roma. il complimento sulla qualità, gliel’ho fatto io , non se lo fa da sola. “E’ una cosa indegna!”, dice Giuliana al trombone barbuto. Che dire? Si può, a proposito di corpi, gridare, in questa sede. allora lo grido. “Giuliana sei veramente veramente veramente grande!”

  36. IlPosto,
    cosa leggo…
    non sono una tuttologa, nel senso che non leggo di tutto. Ci son cose che non si fanno più leggere dopo le prime dieci pagine; mi risponderai che sono una superficiale. Non lo so, ma ho sempre considerato le pagine come persone: sento ad impatto quale tipo di rapporto potremmo instaurare e non mi inoltro più del necessario, più del “mio” necessario ovviamente. Ci sono altre cose che timidamente mi invitano ad andare avanti, anche se il primo impatto non è proprio di quelli afrodisiaci; e allora procedo, infine quasi mai mi pento: sono i casi in cui le apparenze non contano troppo, come con le persone.
    Poi ci sono le volte in cui non scoppia il colpo di fulmine ma nemmeno l’amicizia, cioè il sentore dell’amicizia: è il caso dell’innamoramento vero, quello che accade perpetuando nel tempo.
    Potrebbe essere il caso del nostro scrittore del “pappagallo”. Questo adesso non posso dirlo.
    E infine ci sono le passioni irrefrenabili, come quelle che ho vissuto per Leopardi, per Celìne, per Faber (a proposito il suo petalo mi ha entusiasmata), per Rankin (Anime morte lo consiglio a chi ama il giallo), per Grossman, per Nadia Julien (per i pochi amanti delle spire del simbolismo). E sicuramente dimentico tantissimi dei miei amori.
    Ma una cosa ho imparato da un libro che occupa un posto “esistenziale” della mia libreria personale. Esistenziale perchè si è insinuato dalla teoria alla pratica, è divenuto qualche pagina della mia vita vera ed ha praticamente influito sulla mia reale andatura: come in un viaggio al termine della notte, viaggiamo tutti da fermi.
    Spesso i viaggi più importanti si compiono in questa maniera; e sui sediolini immaginari del mio treno, che sfiora le fermate per cui tutti prima o poi passiamo, un libro prende il posto di un altro ad ogni passo.
    Sicuramente oggi sono molto più ignorante di quanto non potrei essere domani, dopo qualche altro km e qualche altro docile o tormentato libro.
    Però conto di continuare a viaggiare, alternando alla lettura talvolta qualche scrittura, poco degna di nota, che importa, ma saporosa di un sentimento vero che mi scoppia nel cuore ogni volta che inizio a sfogliare un nuovo compagno di viaggio.
    Non mi sposto mica sul serio 🙂

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